Il 24 giugno 1946 cessa formalmente le sue funzioni il Senato del Regno d'Italia, in seguito ai risultati del referendum istituzionale. Dal 1943, dopo la caduta del regime fascista, anche se totalmente privato di ogni funzione politica, era rimasto in vita e composto dai suoi membri, nominati a vita appunto dal Re d'Italia. Il suo ultimo presidente, dal luglio 1944 il nobile siciliano Pietro Tomasi della Torretta, si dimise il giorno dopo. Secondo lo Statuto Albertino erano senatori regi gli arcivescovi e i vescovi, i presidenti delle due camere parlamentari, i ministri, gli ambasciatori, i presidenti della Corte di Cassazione e della Corte dei Conti, coloro che prestavano i servigi scientifici e culturali alla nazione, membri di accademie scientifiche, letterarie e culturali, i membri del Consiglio di Stato, altri magistrati, intendenti, i deputati durati per tre legislature, i governatori delle colonie, ma anche persone d'alto censo che pagavano un'imposta molto alta per i loro beni o le loro industrie ecc. Tutti i suoi componenti erano stati dichiarati decaduti dall'Alta Corte di Giustizia per perseguire i conniventi del regime mussoliniano. In generale, durante la dittatura, il Senato regio aveva subito profonde trasformazioni e all'infuori della dozzina di "ruderi antifascisti", cioè i senatori dissidenti, l'istituzione si era perfettamente allineata al Ventennio senza essere abolita come la Camera dei Deputati. Rimanevano in carica dopo la Liberazione come senatori, discriminati o riammessi, solo 95 membri dei 452 iniziali, ma i tempi erano mutati e si sollecitava alla clemenza. Numerose infatti erano le proteste dei senatori stessi o chi per loro, anche quelli non sospesi che però avevano subito l'interdizione del diritto elettorale. Con la nascita della Repubblica era sfumata la speranza che finissero gli effetti del loro stato, ma si rilevava che con la perduta funzione di decadenza, l'elezione dell'Assemblea Costituente e la ricostituzione delle amministrazioni locali, si erano superate le loro incapacità elettorali. Sembrava avessero vinto comunque le forze politiche "repubblicane" e di sinistra, negando loro qualsiasi richiesta economica e politica. Ma col progressivo indebolimento dell'antifascismo, le successive e fallaci interpretazioni delle leggi portano la Cassazione nel 1947 a ripristinare i "diritti lesi" dei senatori decaduti, annullando tutti i provvedimenti contro di loro e reintegrandoli formalmente in un'istituzione già abolita prima della sua definitiva soppressione.