Fu di pochi anni orsono la norma europea che prevede per i cosiddetti "coniugi" omosessuali il diritto a spostarsi in uno Stato europeo ove non è sancito tale "coniugio" e a ottenere il permesso di soggiorno entrambi anche se uno solo dei due "coniugi" ne avrebbe diritto in tale Stato.
Adesso dall'Unione Europea vogliono che sia riconosciuta la cosiddetta "genitorialità" omosessuale anche in ogni Stato europeo ove non è sancita tale "genitorialità", in pratica facendo valere ruolo di figlio di entrambi i cosiddetti "genitori" anche se le leggi di tale Stato non attribuiscono tale ruolo.
Si tratta di questione analoga al riconoscimento delle lauree straniere. Se non esplicitamente considerate valide, resta il diritto di chi in possesso di esse di utilizzarle per questioni riguardanti gli Stati che invece le riconoscono...
Chi riguarda una (presunta...) situazione privata e personale? Forse riguarda lo Stato ove ci si trovasse e che non la sancisce? Nella misura in cui tale situazione non riguardi tale Stato, non ci sarebbero possibili impedimenti per considerare la suddetta cosiddetta "genitorialità" in effetto anche in tale Stato ove non sussista medesima regola...
Come si vede l'iniziativa ha qualcosa di ambiguo, dunque qualcosa di troppo, ma la obiezione più seria è quest'altra: che senso e che effetto ha provare a legiferare su familiarità in realtà inesistenti o esistenti solo per uno dei due presunti e non veri coniugi, datoché l'omosessualità si realizza in relazioni di tipo amicale non familiare? Nessun vero senso né vero effetto se non una grave e perniciosa illusione e una pessima confusione.
I veri diritti sono riferibili soltanto a situazioni reali, non "ideali" (tanto per usare un eufemismo). Quello che è accaduto e accade dall'Unione Europea non è a vantaggio della vera emancipazione sessuale e sociale ed è a discapito di tutti i coinvolti, in particolare dei bambini.
Mauro Pastore