Però @Tommaso, a dire il vero, la denuncia del socialismo reale come forma di capitalismo di Stato non è mai stata estranea alla destra radicale. Rimonta addirittura a Mussolini, che in diverse occasioni stabilì l'equazione fra socialismo di Stato e capitalismo di Stato, riferendosi soventemente proprio all'esperienza del bolscevismo russo. In un discorso del 1934 il Duce disse: "Questo comunismo, così come ci appare in talune sue manifestazioni di esasperato americanismo (gli estremi si toccano) non è che una forma di socialismo di Stato, non è che la burocratizzazione dell'economia". Al figlio del fabbro era quindi ben chiaro che sovietismo ed americanismo fossero due facce della stessa medaglia.
Il motivo per cui, in una determinata fase storica, l'avversione nei confronti del comunismo è stata più virulenta di quella nei confronti del liberalismo è spiegabile col fatto che si vedeva nell'esperienza sovietica realizzata un radicale peggioramento dei mali provocati dallo stesso liberal-capitalismo. La mostruosità di tale esperienza ed i rischi derivanti dalla sua eventuale espansione in tutto il mondo non erano considerati frutto (o soltanto frutto) di un "tradimento della rivoluzione" originaria, ma una precisa conseguenza di una tara insita nel marxismo stesso. Dubito che questo discorso ti convincerà a fondo, ma per debito di onestà te lo farò comunque: di fronte a due mali molto gravi, qual è quello che combatti per primo? Quello che fra i due risulta essere peggiore: o perché pone un pericolo più immediato o perché presenta un grado maggiore di perversità o per entrambi i motivi. Il che non significa ritenere contraddittoriamente l'altro male un bene. Significa solo stabilire un ordine di priorità.
Per darti un'idea ulteriore di ciò che spiega l'avversione per il comunismo da parte della destra radicale, intesa nella sua più ampia accezione, mi permetto un'altra citazione, a mio parere molto emblematica sul tema: «Ogni persona con la testa sul collo non può non trovarsi d'accordo coi marxisti di fronte alla plebe dorata del capitalismo, alle "glorie" fabbricate dalla propaganda o all'insulsaggine futile di certi film americani. L'accordo si ferma tuttavia alla diagnosi, dal momento che il rimedio proposto dal marxismo - questa mostruosa mescolanza di materialismo astratto e di messianismo utopistico - può sfociare solo in un massiccio aggravamento dei mali che abbiamo denunciato: la separazione dell'uomo dalle sue sorgenti cosmiche e divine e la tirannia dell'idolo sociale» (Gustave Thibon, "La luce che manca al nostro sguardo. L'eclissi di Dio e il non-senso dell'esistenza", ed. Fede e Cultura, 2022, p. 173).
Del marxismo quindi non si contesta la lotta al dominio indebito del capitale e al prevalere dell'utile economico su ogni altra cosa, ma si contesta di voler spazzare via proprio ciò che da questo indebito ed ingiusto prepotere ci sottrae. Marx diceva che la religione è l'oppio dei popoli, ma non lo diceva perché, implicitamente, criticava la strumentalizzazione della religione da parte delle oligarchie capitaliste per difendere i propri privilegi consolidati, magari con l'aiuto di qualche prete corrotto. Lo diceva perché partiva dal presupposto della negazione gratuita del soprannaturale e dell'impossibilità di qualsiasi ordine metafisico, stante l'intrinseca plasmabilità del reale in quanto tale. Di fronte ai nazionalismi di vario conio il massimo che Marx ed i suoi epigoni sono stati in grado di concedere fu un apprezzamento puramente strumentale.
Ho imparato in questi tuoi anni di frequentazione del forum che non sei di certo un marxista rigidamente dogmatico, quindi non intendere queste mie considerazioni come rivolte contro di te, ma come un modo per spiegarti il perché dell'atteggiamento di fronte al marxismo.
E qualche parola va spesa ancora sulla spersonalizzazione: non è in discussione che, soprattutto nella fase odierna del capitalismo e della società occidentale, siamo di fronte a fenomeni di spersonalizzazione. Spersonalizzazione ancora più pericolosa, per certi versi, di quella che avrebbe voluto fare - e, in larga parte, fece - il vecchio comunismo realizzato nei cd. paesi del socialismo reale perché subdola, strisciante, quasi nascosta dall'ipertrofica esaltazione dell'ego che le dinamiche sociali presentano sempre di più. Più si esalta l'individuo e la sua autodeterminazione - concepita in termini assolutistici - e più lo si svuota e lo si dissolve nell'eggregora atomistica attuale. Ma tutto ciò non rappresenta forse la dimostrazione che, diabolicamente, il vecchio liberalismo ed il vecchio comunismo si sono in qualche modo saldati, producendo una sintesi nuova e peggiore?
Concludo, dicendo: giustamente avversi la comunità astratta del denaro ed obietti che la comunità che vorresti è di una "concretezza assoluta" perché fondata su rapporti non più mediati dall'utile economico, bensì "da un contenuto di volta in volta specificato secondo i bisogni concreti degli umani messi in presenza". Ma oltre i bisogni fisiologici più terra terra il bisogno più impellente per l'uomo è scoprire il senso alla propria esistenza. Un senso che difficilmente potrà mai trovare se sarà escluso da quei nessi organici che la vera natura dell'uomo impone. Tra questi nessi vi è quello della famiglia: né il suo surrogato borghese né la sua parodia omosessualistica, ma quella comunione di vita permanente in cui l'unione tra uomo e donna consente da sempre ad ogni società di sussistere nel tempo.