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Discussione: L'onore dei soldi

  1. #1
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    Predefinito L'onore dei soldi

    Sarà vero oppure no?
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    Ciancimino e dell'Utri assieme "chiesero 20 miliardi di prestiti per B."
    In un'intervista esclusiva al Fatto Quotidiano l'ex direttore generale della Banca Popolare di Palermo rivela: "Don Vito e Marcello cercavano fondi per le aziende di Berlusconi, indebitate fino al collo"

    A raccontare l'incontro che proverebbe i rapporti tra il gruppo del premier e l'ex sindaco di Palermo, sempre negati dal Cavaliere, non è Massimo Ciancimino o un pentito qualsiasi, ma un manager di banca in pensione che ha passato metà della sua vita nel cuore del potere siciliano. Si chiama Giovanni Scilabra, oggi ha 72 anni e allora era direttore generale della Banca Popolare di Palermo del conte Arturo Cassina, il re degli appalti stradali, amico e sodale di Ciancimino. L’ex manager è abbastanza deciso nel collocare l’incontro nel 1986. Don Vito era stato arrestato da Giovanni Falcone per mafia nel 1985 e aveva l’obbligo di risiedere a Roma. Ma il figlio Massimo ha raccontato che, grazie alle sue coperture, circolava indisturbato a Palermo. “Nel 1985 era stata inaugurata la nuova sede della Banca Popolare di Palermo di fianco al Teatro Massimo”, cerca di riannodare i ricordi l’ex manager, “ricordo che l’incontro avvenne in quella sede”. In pensione dal 1999, Scilabra ha più tempo da dedicare alla lettura. L’ex manager ha seguito con attenzione le rivelazioni del Fatto sugli affari e gli incontri milanesi tra il Cavaliere e Ciancimino. E, quando l’avvocato-onorevole Niccolò Ghedini ha dichiarato: “Nessun rapporto né diretto né indiretto né tantomeno economico vi è mai stato fra Berlusconi e Vito Ciancimino. All’’epoca Berlusconi non sapeva chi fosse il sindaco di Palermo”, Scilabra ci ha aperto la sua bella casa palermitana per dire quello che ha visto con i suoi occhi di Marco Lillo
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    L’onore dei soldi
    Parla il banchiere Scilabra: "L'ex sindaco di Palermo Ciancimino venne da me insieme a Dell'Utri a chiedere 20 miliardi per Berlusconi"



    Vito Ciancimino e Marcello Dell’Utri nel 1986 chiesero insieme 20 miliardi di vecchie lire in prestito per le aziende di Silvio Berlusconi alla Banca Popolare di Palermo”. A raccontare l’incontro che proverebbe i rapporti tra il gruppo Berlusconi e don Vito, sempre negati dal Cavaliere, non è Massimo Ciancimino o un pentito qualsiasi ma un manager di banca in pensione, che ha passato metà della sua vita nel cuore del potere siciliano e che ora ha deciso di aprire l’album dei ricordi. Si chiama Giovanni Scilabra, oggi ha 72 anni e allora era direttore generale della Banca Popolare di Palermo del conte Arturo Cassina, il re degli appalti stradali, amico e sodale di Ciancimino. L’ex manager è abbastanza deciso nel collocare l’incontro nel 1986. Don Vito era stato arrestato da Giovanni Falcone per mafia nel 1985 e aveva l’obbligo di risiedere a Roma. Ma il figlio Massimo ha raccontato che, grazie alle sue coperture, circolava indisturbato a Palermo. “Nel 1985 era stata inaugurata la nuova sede della Banca Popolare di Palermo di fianco al Teatro Massimo”, cerca di riannodare i ricordi l’ex manager, “ricordo che l’incontro avvenne in quella sede”. In pensione dal 1999, Scilabra ha più tempo da dedicare alla lettura. L’ex manager ha seguito con attenzione le rivelazioni del Fatto sugli affari e gli incontri milanesi tra il Cavaliere e Ciancimino. E, quando l’avvocato-onorevole Niccolò Ghedini ha dichiarato: “Nessun rapporto né diretto né indiretto né tantomeno economico vi è mai stato fra Berlusconi e Vito Ciancimino. All’’epoca Berlusconi non sapeva chi fosse il sindaco di Palermo”, Scilabra ci ha aperto la sua bella casa palermitana per dire quello che ha visto con i suoi occhi.

    Dottor Scilabra quando ha conosciuto Marcello Dell’Utri?
    Nei primi mesi del 1986, il Cavaliere Arturo Cassina, mi disse: ‘Dottore Scilabra, vengo sollecitato da Vito Ciancimino per un finanziamento a un grande gruppo del Nord. Io vorrei che lei lo riceva e ascolti le sue richieste’. Dopo alcuni giorni Vito Ciancimino è venuto insieme al signor Marcello Dell’Utri. Mentre Ciancimino lo conoscevo bene, era stato già assessore e sindaco, Dell’Utri per me era uno sconosciuto. Per accreditarsi mi disse che era palermitano, aggiunse che aveva un fratello gemello. Poi entrò nel vivo. Veniva a chiedere un finanziamento per il Cavaliere Berlusconi.

    Perché la Fininvest di Milano chiedeva prestiti a Palermo?
    Dell’Utri mi disse: ‘Abbiamo problemi al Nord con il sistema bancario e allora abbiamo tentato con l’amico Ciancimino di sentire cosa si può ottenere dalle piccole banche siciliane’.

    La richiesta di finanziamento a quanto ammontava?
    Circa 20 miliardi di vecchie lire. Il rischio però sarebbe stato suddiviso tra tutte le banche popolari della Sicilia. Feci presente a Dell’Utri che per noi, piccole banche siciliane, quelle richieste erano troppo onerose.

    Cosa le disse per convincerla?
    Marcello Dell’Utri disse che il gruppo Fininvest avrebbe ripagato con congrui interessi l’operazione. Voleva restituire tutto dopo 3 anni, in un’unica soluzione. Solo gli interessi sarebbero stati pagati durante i 36 mesi.

    Lei cosa rispose?
    Io dissi: ‘Visto che lei è venuto accompagnato da Vito Ciancimino ne parlerò con le altre banche’. Però aggiunsi che una restituzione a 36 mesi mi sembrava poco fattibile anche perché la Banca d’Italia e gli organi di vigilanza ci stavano con il fiato sul collo e avrebbero sicuramente avuto qualcosa da ridire. Proposi allora di adottare il metodo revolving, cioè con dei rientri ogni 4 mesi del capitale. In modo da permetterci anche di vedere come andavano queste aziende nel frattempo.

    E in questa conversazione tra lei e Dell’Utri, che atteggiamento adottò Vito Ciancimino?
    La mia impressione è che il ruolo di Ciancimino fosse un po’ quello del sensale dell’operazione.

    In che rapporti erano Dell’Utri e Vito Ciancimino?
    Cordiali. Si vedeva che si conoscevano bene. Comunque io mi riservai di decidere e passammo ai saluti. Da allora non ho più visto di persona Dell’Utri.

    E il finanziamento?
    Dall’indomani io mi misi all’opera. Contattai i presidenti e i direttori generali delle banche popolari più rappresentative per sentire il parere di colleghi più anziani di me. Tutti dissero che l’operazione non era fattibile. Era troppo rischiosa per le nostre piccole banche.

    Perché il gruppo Berlusconi aveva bisogno di capitali?
    Non capii esattamente se dovevano servire per la Edilnord, per la Fininvest o per la Standa (in realtà la Standa sarà comprata da Berlusconi solo anni dopo, ndr). Comunque il gruppo Fininvest allora era indebitato per migliaia di miliardi.

    Chi erano questi colleghi delle altre banche con i quali ha parlato del finanziamento a Berlusconi?
    Contattai Francesco Garsia, direttore della Banca Popolare di Augusta; il barone Carlo La Lumia e il direttore Giuseppe Di Fede della Banca di Canicattì; l’avvocato Gaetano Trigilia della Banca di Siracusa; il barone Gangitano della Banca dell’Agricoltura, sempre di Canicattì; Francesco Romano della Popolare di Carini. Allora erano le banche più rappresentative della Sicilia, con tanti sportelli e attivi congrui. Feci’ da regista all’operazione perché ero nel capoluogo, Palermo, ed ero il più giovane, tanto che gli altri sono quasi tutti morti.

    E come è finita la storia?
    Ciancimino tornò da me, da solo. E gli dissi che l’operazione non poteva andare avanti per i motivi che ho detto.

    Come la prese Ciancimino?
    Molto male. Nell’operazione secondo me lui si sarebbe certamente ritagliato una mediazione perché secondo me per lui questo oramai era un mestiere. Fu sgradevole come suo solito. Mi disse che eravamo una bancarella, che eravamo tirchi, che avevamo fatto male e che dovevamo dare questi soldi a Berlusconi, un grosso imprenditore che avrebbe pagato interessi congrui.

    E Cassina come la prese?
    Ovviamente io avevo riferito tutto al commendatore che mi disse di fare tutto il possibile ma – comunque – sempre tutelando l’interesse della banca.

    Ci può raccontare chi era secondo lei il Conte Cassina, come lo chiamavano allora?
    Era in realtà un signore venuto da Como che usurpò il titolo nobiliare al fratello e che iniziò a lavorare nelle manutenzioni stradali nel dopoguerra. Così entrò in rapporti con Ciancimino, assessore ai lavori pubblici e poi sindaco di Palermo.

    E chi erano gli altri soci della banca?
    La banca era una piccola popolare con dei soci di riferimento. Oltre a Cassina c’era il cavaliere Alfredo Spatafora, ricchissimo titolare di una catena di negozi di scarpe in tutta Italia e il commendatore D’Agostino che operava nel campo delle opere marittime.

    Sta parlando di quel Benni D’Agostino, arrestato nel 1997 e poi condannato per mafia, già socio nel periodo 1979-80 del presidente del Senato Renato Schifani?
    Sì, lui era il figlio del commendatore ma si occupava anche lui dell’azienda e lo conoscevo, come il padre.

    Perché Cassina era così potente?
    Cassina a Palermo era come Costanzo, Rendo e Graci messi insieme a Catania. A Palermo era come Agnelli a Torino. Nella sua villa aveva impiantato uno zoo con centinaia di animali: leoni, leopardi, coccodrilli, giraffe e zebre. Gestiva l’Ordine del Grande Sepolcro di Palermo dove faceva entrare chi diceva lui. Funzionari di polizia, prefetti, politici e mafiosi e colletti bianchi facevano la fila mentre io, ovviamente, me ne fottevo. Cassina era molto amico anche di Gheddafi, che gli affidava gli appalti in Libia. Uno dei primi libretti verdi della rivoluzione del Colonnello finì nelle mie mani perché Gheddafi lo aveva donato personalmente a Cassina che aveva fatto impiantare le tende nei suoi saloni in suo onore.

    Ma perché Cassina aveva il monopolio degli appalti?
    Nella sua ditta c’era addirittura un distributore delle tangenti. Si chiamava ragioniere D’Agostina, detto manuzza. Il commendatore mi chiamava la sera e mi chiedeva di far preparare al cassiere decine di milioni di vecchie lire in contanti. Al mattino si presentava il ragioniere e mi lasciava un assegno che veniva addebitato sui conti di Cassina. Quei soldi servivano per politici e funzionari. Il ragioniere mi diceva: ‘Assai ci costano i politici al conte Cassina’”.

    Chi erano i correntisti della banca?
    Prima che io diventassi direttore c’era il papa della mafia, Michele Greco. Era amico del vicepresidente Giuseppe Guttadauro, ex deputato monarchico legato alla mafia di Ciaculli, che fu cacciato dalla banca.

    Cosa pensa dei racconti di Massimo Ciancimino sui rapporti economici tra il padre e Silvio Berlusconi?
    Per me, al 99 per cento, Massimo Ciancimino dice la verità. Comunque da quello che ho visto io, Ciancimino era un uomo venale. A lui interessava l’argent , cioè i soldi della mediazione. Non era una persona raffinata. Il raffinatissimo, secondo me, era Marcello Dell’Utri.

    Quali erano i rapporti tra Ciancimino e Cassina?
    Erano culo e camicia. Quando Ciancimino era assessore, tutte le strade, gli acquedotti e le fognature erano appaltate alle ditte di Cassina. Al punto che tutte le mappe delle reti non erano in comune ma in mano a Cassina, anzi nella casa di un capomastro. Se il comune voleva riparare una strada doveva chiedere le mappe a lui. Fu proprio il capomastro a spiegarmi il meccanismo. Un giorno si presentò nel mio ufficio e mi chiese un prestito di 500 milioni di lire dell’epoca, che ovviamente gli rifiutai. Lui allora si inalberò e mi spiegò che non era un capomastro qualsiasi ma quello che aveva le mappe. Alla fine ottenne il prestito, anche se molto inferiore.

    A proposito di prestiti rischiosi, lei si è pentito di non avere dato quei 20 miliardi all’uomo più potente d’Italia?
    No. Ma che scherziamo? La centrale rischi bancari indicava per il gruppo Berlusconi un’esposizione per migliaia di miliardi. Era troppo rischioso e avremmo rischiato seriamente di perdere tutti i soldi.

    Perché oggi racconta questa storia?
    Perché sono stufo delle bugie. Per capire l’Italia di oggi bisogna partire dalle storie come quella di Cassina, che io ho vissuto. E per costruire un paese migliore bisogna cominciare a raccontare tutta la verità.

    da Il Fatto Quotidiano del 23 ottobre 2010
    Il Fatto Quotidiano
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    Mafia, Ghedini: “Notizie infondate”
    Dell’Utri: “Mai conosciuto Ciancimino”
    Secondo l'avvocato del premier "Berlusconi non ha mai dato incarico a Dell'Utri di trovare" 20 miliardi perché, dice, "negli anni 80 la situazione finanziaria del gruppo Fininvest era più che positiva"


    Il legale del premier e deputato Pdl, Niccolò Ghedini, e Marcello Dell’Utri smentiscono quanto raccontato nell’intervista rilasciata al Fatto Quotidiano da Giovanni Scilabra.

    “Mai il presidente Berlusconi ha incaricato il Senatore Dell’Utri o altri per ottenere finanziamenti presso la Banca Popolare di Palermo. Le dichiarazioni apparse quest’oggi sul Fatto Quotidiano in relazione ad una richiesta di finanziamento avanzata dal senatore Dell’Utri per conto del Gruppo Fininvest nel 1985 sono destituite di ogni fondamento”. A sostenerlo è il legale del premier Niccolò Ghedini in una nota. “Come risulta dagli atti d’indagine svolti dall’Autorità Giudiziaria conclusisi con una archiviazione di ogni ipotesi accusatoria e dalle numerosissime anche successive prove documentali e testimoniali – aggiunge Ghedini – negli anni 80 la situazione finanziaria del Gruppo Fininvest era più che positiva e non destava preoccupazione alcuna tanto che le maggiori banche italiane lo ritenevano cliente privilegiato, affidabile e solvibile”.

    “Non avrebbe avuto logica alcuna, quindi, rivolgersi a piccole banche locali, per di piu’ in Sicilia, per un gruppo che già vantava numerose ed eccellenti linee di credito – conclude – ancora una volta si cerca, basandosi su accadimenti insussistenti e palesemente privi di ogni logica e riscontro, di creare notizie volte a delegittimare strumentalmente il presidente Berlusconi”.

    Marcello Dell’Utri, invece, afferma: “Non ho mai conosciuto o incontrato né Vito Ciancimino, né il signor Scilabra, il quale racconta, quindi, delle assolute falsità, delle quali sarà chiamato a rendere conto. Con lui dovranno rispondere coloro che, dalle colonne de Il Fatto, confondono ogni giorno la libertà di informazione con il diritto di ingiuriare chiunque non sia loro gradito”.
    Il Fatto Quotidiano
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    Solo un piccolo commento: Il Fatto pubblica una intervista, Dell'Utri (un pò nervosetto) se la prenda con Scilabra e non con chi, facendo il proprio mestiere, raccoglie l'intervista. O no?
    Ultima modifica di Dario; 23-10-10 alle 18:46
    Cum Feris Ferus

  2. #2
    veterolegalitario
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    Predefinito Rif: L'onore dei soldi

    a ghedini devono aver messo la gettoniera come ad un juke-box .....

  3. #3
    Si legge NUAR!!
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    Predefinito Rif: L'onore dei soldi

    soldi che puzzano
    l'italiano ha un tale culto per la furbizia che arriva persino all'ammirazione di chi se ne serve a suo danno.

    jesus died for somebody's sins but not mine

  4. #4
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    Predefinito Rif: L'onore dei soldi

    Citazione Originariamente Scritto da Saviano Visualizza Messaggio
    a ghedini devono aver messo la gettoniera come ad un juke-box .....
    Mavalà...
    Cum Feris Ferus

  5. #5
    veterolegalitario
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    Predefinito Rif: L'onore dei soldi

    Citazione Originariamente Scritto da Noir Visualizza Messaggio
    soldi che puzzano
    per i più uguali son profumi ....

  6. #6
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    Predefinito Rif: L'onore dei soldi

    Chissà se Berlusconi denuncerà anche il Fatto?
    Cum Feris Ferus

  7. #7
    veterolegalitario
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    Predefinito Rif: L'onore dei soldi

    Citazione Originariamente Scritto da Obi1Kenobi Visualizza Messaggio
    Chissà se Berlusconi denuncerà anche il Fatto?
    è irrilevante .... anche oggi c'è un articolo, dove spiegano che ghedini ha raccontato l'ennesima balla sullo stato di salute e sulle ottime linee di credito di fininvest nella seconda metà degli anno ottanta ....
    ma questo lo sanno già tutti ....in tempi non sospetti l'avevano CONFESSATO persino confalonieri, dell'utri stesso e ferrara .....

  8. #8
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    Predefinito Rif: L'onore dei soldi

    Citazione Originariamente Scritto da Saviano Visualizza Messaggio
    è irrilevante .... anche oggi c'è un articolo, dove spiegano che ghedini ha raccontato l'ennesima balla sullo stato di salute e sulle ottime linee di credito di fininvest nella seconda metà degli anno ottanta ....
    ma questo lo sanno già tutti ....in tempi non sospetti l'avevano CONFESSATO persino confalonieri, dell'utri stesso e ferrara .....
    Lo stesso Confalonieri dichiarò ingenuamente che "Se Berlusconi non fosse entrato in politica oggi saremmo tutti in galera o sotto qualche ponte" ostridicolo:
    Cum Feris Ferus

 

 

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