Il propagarsi della guerra nel bacino del Mediterraneo dipende sia da un'iniziativa improvvisata che da una fatalità strutturale. L'iniziativa è del 10 giugno 1940, quando il Duce dichiara guerra agli Alleati convinto che non ci sarà bisogno di combatterla davvero. Non si cura del fatto che il suo esercito non sia operativo, che un terzo della flotta mercantile italiana in viaggio in tutto il mondo venga immediatamente requisito: Mussolini è certo che, con la Francia in ginocchio, la guerra sia già finita. Per opportunismo, conta di sedersi al tavolo dei vincitori. La fatalità discende dalla fascinazione del fascismo per la guerra, che non è soltanto un modo per realizzare il sogno imperiale del "Mare Nostrum", è un rito iniziatico che dovrebbe dare vita all'uomo nuovo: un eroe duro e virile, fedele allo Stato fascista e al Duce. Dal 1935 in poi, del resto, non c'è stato anno che l'esercito italiano non abbia combattuto, in Africa come in Spagna.

Il fascino dell'avventura bellica acceca il Duce, al punto che non vede il divario tra le proprie limitate risorse economiche e le variegate aspirazioni territoriali (Corsica, Tunisia, Egitto, Balcani). Il Mediterraneo è un teatro che richiede il dominio sull'acqua e in aria, per garantire la sicurezza dei convogli. L'Italia non dispone di industrie e materiale bellico adeguato, né di un comando integrato e delle conoscenze logistiche necessarie a tali operazioni. Sulla terraferma, le distese desertiche richiedono unità meccanizzate che sono merce rara, proprio come un numero adeguato di velivoli moderni. Pur con questo tallone d'Achille, il Duce approfitta della sconfitta francese e conduce una "guerra parallela" indipendente da quella tedesca. Le colonie sono altrettanti trampolini di lancio verso la Somalia britannica, l'Egitto e la Grecia, dove vengono disseminate le migliori truppe italiane (100mila uomini in Africa orientale, 188mila in Libia e 165mila in Albania). Mussolini attacca ovunque, e ovunque viene respinto: 130mila uomini vengono catturati in Libia nel dicembre 1940, 90mila in Africa orientale nell'aprile 1941. I greci, dopo un contrattacco, entrano in Albania. L'incursione britannica su Taranto, prefigurazione di Pearl Harbor, infligge un duro colpo alla Regia Marina. Destabilizzando la regione, Mussolini minaccia gli interessi della Germania. Hitler deve intervenire per assicurarsi il petrolio rumeno e garantire la neutralità della Turchia, che fornisce minerali alla Germania. Nel gennaio 1941 la Luftwaffe appare nel cielo di Malta e un mese dopo sbarca l'Afrikakorps. Nell'aprile 1941, i panzer dilagano nei Balcani: la Jugoslavia, che si è rifiutata di unirsi all'Asse, cade in due settimane, mentre la Grecia resiste una settimana di più.

La guerra parallela è finita. I tedeschi conducono le danze e il fronte mediterraneo diventa un teatro periferico. Anche se Churchill sogna di usarlo come trampolino per colpire il ventre molle dell'Asse, diviene periferico anche per gli inglesi, come dimostrano le forze dirottate verso l'Estremo Oriente. Per due anni, ognuno dei due campi prende alternativamente il sopravvento a seconda dei mezzi che impegna su questo teatro. Poi, nell'autunno 1942, i rapporti di forza cambiano definitivamente e il Mediterraneo diventa un'"Allied Property".