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    Predefinito Il migliore ristorante al mondo che non pagava i lavoratori

    Costi e ritmi di lavoro insostenibili. Sarebbero queste le motivazioni dietro la chiusura appena annunciata del ristorante pluristellato Noma di Copenhagen. Nonostante i successi su guide e media, lo chef René Redzepi ha deciso di chiudere i battenti della sua cucina entro il 2024. L'obiettivo annunciato è quello di trasformarsi in un laboratorio dedicato all'innovazione in campo alimentare, con i nuovi orizzonti che si sarebbero aperti a causa della necessità di rivedere un modello di business rivelatosi inefficiente e "eticamente insostenibile" per i lavoratori. A svelare i retroscena della vicenda sono il New York Times ed il Financial Times, che già a giugno 2022 aveva realizzato un lungo articolo sulla relazione tra piatti di lusso e condizioni di lavoro inaccettabili.

    "Nel 2025, il nostro ristorante si trasformerà in un gigantesco laboratorio, una cucina di prova all'avanguardia dedicata al lavoro di innovazione alimentare e allo sviluppo di nuovi sapori, che condividerà i frutti dei nostri sforzi più che mai", si legge sul sito ufficiale. Uno dei luoghi di ritrovo dei buongustai di tutto il mondo, con cene e vini in abbinamento da 760 dollari a testa, si concentrerà sull'esportare sue versioni "pop-up" all'estero, fare ricerca nel resto del mondo e dedicarsi all'e-commerce. Oltre alla voglia di cambiare, cosa ha spinto a questa svolta?

    Il Noma di Copenaghen, il cui nome è un gioco di parole con le parole danesi "nordisk mad" (cibo nordico), è stato fondato nel 2003 da un allora giovanissimo René Redzepi e, grazie al suo approccio all'avanguardia applicato alla cucina del Nord Europa, è riuscito a trionfare più volte nelle classifiche dei migliori ristoranti del mondo. Ha ottenuto tre stelle Michelin e cinque nomine come miglior ristorante del mondo nella classifica The World’s 50 Best Restaurants. Un successo che sembra però essere stato sorretto dal lavoro gratuito di numerosi aspiranti cuochi e stagisti. La ricerca di una cucina prestigiosa da inserire sul curriculum li avrebbe spinti ad accettare condizioni dure e non retribuite. A confermare in parte questa versione è lo stesso chef il quale, commentando la chiusura del locale, ha dichiarato che diversi membri dello staff "lavoravano gratis pur di avere accesso ai segreti della cucina". Una condizione che Redzepi ha definito "eticamente non sostenibile". Stiamo parlando di circa 30 membri non retribuiti per ogni ciclo di stage trimestrale.

    Il sistema andava avanti dal 2003, anno di apertura del ristorante. Il nuovo ciclo, ribattezzato Noma 3.0, si basa sulla necessità di ristrutturare il modello di lavoro, oltre che quello di business: "Il nostro obiettivo è quello di creare un'organizzazione duratura dedicata al lavoro innovativo nel settore alimentare, ma anche di ridefinire le fondamenta del team di un ristorante", si legge ancora sul sito. Le prime crepe erano già emerse nel 2016, quando Redzepi aveva chiuso nella capitale danese, trasferendo il ristorante in Messico, Giappone e Australia. Nel 2018 l'apertura del Noma 2.0, basato su tre "stagioni": frutti di mare, verdure, selvaggina e foresta. Il nuovo inizio si è rivelato poco duraturo. Nel corso dell'ultima premiazione dei 50 Best Restaurants ad Anversa, lo chef aveva confessato di come fosse "impraticabile retribuire in maniera giusta un centinaio di dipendenti a quei livelli". Diverse testimonianze hanno però parlato di salari inesistenti. Una situazione quindi ben più grave di quella dipinta da Redzepi.

    Ad accettare la formula dello stage non retribuito di tre mesi erano soprattutto aspiranti cuochi provenienti dall'estero e sbarcati in Danimarca per formarsi e cercare fortuna. Non si tratta di una novità per i ristoranti stellati, ma ad impressionare sono i numeri del Noma. Per anni erano stati inseriti circa 30 collaboratori per ogni tirocinio, nel 2019 si era arrivati ad appena 34 chef retribuiti su uno staff di circa cento persone. Oltre la metà del personale lavorava gratuitamente. Solo col periodo post pandemia, secondo un insider anonimo, il numero degli stagisti si era abbassato dai 15 ai 20 tirocinanti. Perché tanti giovani erano desiderosi di lavorare senza stipendio? Il ristorante che Redzepi aveva fondato ad appena 25 anni era diventato l'apripista di un circuito più ampio di cucine stellate, rendendo la Danimarca una meta di pellegrinaggio per i fanatici dei menù gourmet, attraendo al contempo centinaia di lavoratori della ristorazione e dell'ospitalità. Subito prima della pandemia, l'intero settore a Copenhagen valeva oltre 5milioni e 500mila euro all'anno, con turisti stranieri attratti più da cene di grido che dalla celebre Sirenetta o dai modelli di vita alternativi di Christiania.

    Nonostante le solide leggi danesi sulla protezione dei dipendenti, l'inchiesta del Financial Times aveva svelato un ampio quadro di sfruttamento nell'ambito della ristorazione, sul quale le autorità della Danimarca avrebbero chiuso un occhio per tutelare quella florida economia. Nell'articolo del giornale statunitense i dettagli di rapporti ingannevoli. "Mi hanno dato un contratto che diceva che avrei lavorato 37 ore a settimana e l'ho firmato", aveva raccontato un ex stagista, precisando che i ritmi erano ben altri: oltre 70 ore in cinque giorni e mezzo. Il problema però non erano solo le condizioni contrattuali. "Ho visto sei stagisti strappare le piume d’anatra fuori sotto una pioggia gelida, erano coperti di piume, tremavano e le loro mani erano bloccate come artigli", aveva accusato un testimone, precisando che "c’era spazio per farlo anche in una delle cucine di preparazione al piano di sopra. Quale datore di lavoro fa fare questo alle persone?". Alla base della piramide del gusto c'erano quindi lavoratori stranieri disposti a sacrifici e trattamenti iniqui pur di preservare il visto e non essere respinti dal Paese.

    Dopo le accuse, Redzepi garantisce di voler creare una versione rispettosa dei diritti dei suoi collaboratori. "Uno dei motivi principali per cui stiamo apportando questo cambiamento è che possiamo diventare un luogo di lavoro più sostenibile per il nostro team e crescere insieme" si legge sul sito, dove Noma assicura che offrirà ai lavoratori opportunità diversificate in base alle competenze o di permettere loro di specializzarsi nell'area in cui sono appassionati. Una promessa che suona ritagliata su misura rispetto alle accuse di essere un luogo inadeguato anche a livello formativo: "Tutto ciò di cui hanno bisogno sono le mani", ha detto un ex-stagista di Noma nel 2019. "Ci metti a raccogliere le erbe per tre mesi. Non otteniamo così l’esperienza che ci è stata promessa. Ma a chi importa?" ha chiosato il lavoratore. Pur respingendo le accuse, nel luglio del 2022 Noma aveva promesso di retribuire anche gli stagisti. Solo pochi mesi dopo è arrivata la comunicazione della chiusura del ristorante.

    https://www.agrifoodtoday.it/attuali...UAs4U5ars9JCp0

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