
Originariamente Scritto da
Giò
Quella della Compagnia di Gesù è indubbiamente una storia complessa ed in seno ad essa troviamo effettivamente delle tentazioni immanentistiche. Dico tentazioni immanentistiche e non dei tratti immanentistici perché l'autentica spiritualità ignaziana, sui cui si fonda il vero e proprio gesuitismo, è ben lontana da qualsiasi prospettiva di mondanizzazione. Queste tentazioni le vediamo sin dai tempi delle diatribe sul rapporto fra grazia divina, natura e libertà umana, che contrapposero il domenicano Báñez al gesuita Molina. Le vediamo nel tomismo "spurio" di Francisco Suarez. Nella presenza ricorrente di gesuiti nelle principali corti europee. In certa casuistica degenerata e troppo lassista (da non confondere con la casuistica in generale, che è cosa ottima) possiamo vedere un esempio di cedimento a queste tentazioni di accomodamento con il mondo e quindi, in un certo senso, immanentistiche. Dalla Compagnia di Gesù è venuto un Teilhard de Chardin, che è stato uno dei più clamorosi e rovinosi esempi di cedimento. Questo non toglie che, per tanti versi ed in tanti suoi esponenti, la Compagnia di Gesù è stata un esempio di sana intransigenza dottrinale e di encomiabile fedeltà al Papato. Ed è questo il gesuitismo che tanto sprezzantemente viene criticato e stigmatizzato dai nemici della Chiesa e della Compagnia di Gesù.
Papa Francesco è "figlio", teologicamente parlando, della gestione di p. Arrupe, durante la quale il virus neo-modernista dilagò indisturbato nella Compagnia. E spesso venne declinato in uno pseudo-cattolicesimo orizzontale, mondanizzato e concentrato prevalentemente sulle questioni sociali e politiche. La teologia della liberazione è "troppo" e quindi viene respinta, ma si cerca di recuperarne il nucleo meno eversivo. È la cosiddetta "teologia del popolo", dalla quale l'odierno Pontefice ha attinto ricorrentemente. Quest'impostazione, unita ad un certo pragmatismo, che preferisce risolvere i problemi concreti e regolare situazioni de facto esistenti che approfondire i principi teorici che fondano l'azione moralmente retta, è la "cifra" del Pontificato bergogliano. E ne spiega molti aspetti. Ad alcuni il Papa appare teologicamente rozzo e talvolta confuso nelle sue espressioni. In parte è vero, ma molte sue dichiarazioni rispecchiano sia questo suo pragmatismo estremo che il circiterismo dei documenti del CVII, che afferma per poi negare o ridimensionare. Tale circiterismo in Papa Francesco è spesso più radicale di quanto sia stato durante il Concilio Vaticano II.
Quest'orizzonte non è riconducibile a quello di San Roberto Bellarmino. È lecito pensare che nella formulazione della tesi della potestas indirecta in temporalibus della Chiesa e della tesi della potestas a Deo per populum abbiano influito due circostanze storiche molto importanti: la riforma protestante e l'ascesa dell'assolutismo regio. Entrambi fenomeni che misero in discussione il primato della Chiesa e del Papa. Tuttavia, parliamo di tesi con un fondamento notevole, che qui non occorre esaminare nel dettaglio ma che va rimarcato onde evitare di scadere nell'errore di pensare che queste tesi siano state elaborate per motivi strumentali. Anche perché, secondo certi autori, queste due tesi rappresentano una sistematizzazione di dottrine già presenti nel Medioevo. Se questo può essere discusso per quanto concerne la tesi della potestas indirecta in temporalibus della Chiesa, lo è molto meno per quanto riguarda la tesi sull'origine del potere politico (quella della potestas a Deo per populum), che in effetti possiamo considerare la tesi prevalente già nel Medioevo (perlomeno, implicitamente).
Riguardo al valore effettivamente magisteriale dei pronunciamenti bergogliani, Enciclica "Fratelli tutti" inclusa, rimando a quanto ho detto sopra: c'è un problema a monte e questo problema a monte è l'intenzione oggettiva di esercitare l'autorità magisteriale ecclesiastico-pontificia nel senso tradizionale, che almeno dal Concilio Vaticano II in poi sembra non esserci più stata o risulta quanto meno dubbio che ci sia. È un problema che non coinvolge solo Papa Francesco ma anche i suoi immediati predecessori. Le stravaganze di Papa Francesco hanno solo reso il problema più evidente.
L'incidenza dell'industria bellica nelle scelte politiche dei governanti, sopratutto in paesi come gli Stati Uniti d'America, non mi sembra una novità degli ultimi tempi. È un problema che era già in nuce prima della seconda guerra mondiale e che ha avuto modo di manifestarsi anche e soprattutto negli anni successivi all'ultimo conflitto mondiale. Sicuramente è un problema che s'è aggravato col passare degli anni, ma considerarlo qualcosa di completamente nuovo mi sembra esagerato.
Dire che la guerra è in se stessa un errore ha un significato preciso. Un conto è dire che la guerra è un flagello, che è un castigo tremendo per i nostri peccati, ecc. Un altro è dire che è in se stessa un errore: ciò significa dire che la guerra è essenzialmente un errore. Ma ciò contrasta col fatto che la guerra possa essere giusta. Contrasta quindi con l'ammissione che almeno la guerra difensiva sia giusta.
Non dobbiamo dimenticarci comunque che anche la condanna della guerra offensiva risulta problematica. La teologia cattolica distingue tra guerra offensiva ingiusta e guerra offensiva giusta. La prima è la guerra d'aggressione, mentre la seconda no. Certamente, a volte si dice "guerra offensiva" intendendo la guerra d'aggressione, ma il distinguo fra le due permane. Si può argomentare che oggi la communitas gentium presenta un carattere di maggiore organicità rispetto ad ottant'anni fa e che l'esistenza di istituzioni internazionali e di organismi sovranazionali come l'ONU renda il bellum iustum offensivum un caso più astratto che concreto, valido teoricamente, ma ormai superato nella pratica. Quest'obiezione è comprensibile ma si scontra con alcuni dati di fatto: 1) l'ONU non possiede un'autorità politica efficace superiore a quella degli Stati; 2) l'ONU è ancora imperniata sulla riconosciuta supremazia di alcuni Stati su altri, che in sede di consiglio di sicurezza possono mettere il proprio veto sulle decisioni prese a maggioranza; 3) gli Stati che ne fanno parte nei fatti non hanno principi condivisi ed in linea teorica aderiscono ad un sistema che ha assunto principi liberali. Infine, va fatta una considerazione di ordine prudenziale: se l'ONU arrivasse davvero ad avere un'autorità politica efficace superiore agli Stati e dotata di potere coercitivo, si rischierebbe di avere non l'etnarchia dei popoli, ma la definitiva realizzazione del nuovo ordine mondiale globalista.
D'accordo sul fatto che nemmeno la guerra difensiva può eccedere, ma una frase del genere - giustissima ed in linea con la dottrina cattolica - rientra appieno nella dottrina della guerra ex justa causa ed è giustificabile entro quel quadro teorico. Questo rende ancora più incomprensibile perché nell'Enciclica "Fratelli tutti" Papa Francesco abbia scritto che "è molto difficile sostenere i criteri razionali maturati in altri secoli per parlare di una possibile guerra giusta".
Lo Stato in quanto tale è finalizzato al bene comune della società. È suo dovere conformare le proprie norme di diritto positivo alla legge naturale. Anche se non è governato da cristiani, non gli si può negare il diritto di ordinare la società secondo ragione e natura. Anzi, questo è un suo dovere preciso.
Di certo questa non è una considerazione che ha esplicitato né nelle sue affermazioni sulla guerra né in quelle relative al fatto che in certi Stati ci siano leggi che puniscono le relazioni e agli atti omosessuali.