Originariamente Scritto da
Giò
Il problema di fondo di tutto il "magistero" conciliare e post-conciliare è che non c'è più una chiara ed inequivocabile manifestazione dell'intenzione di insegnare, secondo i criteri e le condizioni tradizionali del Magistero ecclesiastico-pontificio. Quindi, già questo pone un problema assai grave di premesse. Un "magistero" dialogico-liberale, quale risulta essere quello dal Concilio Vaticano II in poi, non è il Magistero tradizionale, non è il Magistero cattolico perché anziché porsi lo scopo totalizzante di conservare e trasmettere il depositum fidei, confermando i fedeli nella fede cattolica ed insegnando la dottrina cattolica (eventualmente approfondendola, laddove opportuno o necessario), si pone lo scopo di "dialogare" con il mondo e - più precisamente - con il mondo contemporaneo, posponendo (o comunque non affermandone più chiaramente l'urgenza) il momento della conversione. Un "magistero" che afferma che ogni singolo individuo ha un diritto naturale alla libertà religiosa, persino in foro esterno, depotenzia programmaticamente e 'strutturalmente' la sua forza vincolante. Scrivo questa lunga premessa per dire che quella di Papa Francesco in merito alla guerra probabilmente non è nemmeno considerabile a monte un'evoluzione della dottrina sulla guerra ex justa causa, perché trattasi di pronunciamenti espressi con quella che potremmo chiamare una "intenzione oggettiva" di tipo dialogico-liberale non compatibile (o, se vogliamo, non chiaramente compatibile) con l'intenzione di insegnare e vincolare tipica del Magistero in senso tradizionale (che è l'unico senso ammissibile).
Rischieremmo di andare eccessivamente fuori tema, quindi non mi dilungherò molto più di quanto mi sia già dilungato. È vero che il mutamento delle circostanze può portare a situazione inedite che richiedono di essere affrontate applicando i sempiterni principi della morale al caso concreto, ma al tempo stesso tenendo conto dell'incidenza del "nuovo". Motivo per cui, per fare un esempio un po' banale ma efficace, in un'epoca in cui il traffico stradale era davvero scarso andare ad una certa velocità risultava essere meno pericoloso per l'incolumità propria e del prossimo di quanto invece è oggi, con un trafficio stradale molto più consistente - cosa che, evidentemente, moltiplica le occasioni in cui si può danneggiare (anche molto gravemente) il prossimo e che quindi deve indurre ad una maggiore prudenza rispetto a quanto ci si poteva permettere una volta. Riguardo alla guerra, vale un discorso analogo: le potenzialità distruttive delle armi moderne, che col passare del tempo divengono sempre più numerose ed efficaci, generano l'obbligo morale nei governanti di essere - rispetto ad epoche precedenti - molto più cauti e prudenti nel muovere guerra contro un altro Stato o nell'intervenire militarmente in un conflitto già in corso in un altro a supporto di una delle fazioni in campo. Questo però non è sufficiente per annullare la possibilità e la legittimità morale e giuridica di una guerra ex justa causa non solo come bellum iustum difensivum ma anche come bellum iustum offensivum, tenendo conto che, in realtà, anche la cd. guerra giusta offensiva è offensiva solo materialmente e, in un certo senso, cronologicamente, perché sostanzialmente difensiva. Infatti la guerra giusta è tale perché dettata dalla volontà di ovviare ad una violazione grave e certa del diritto, cioè della giustizia. Il che equivale a difendersi da una grave ingiuria.
Ora, che la guerra sia sempre ingiusta o che sia in se stessa un errore, come Papa Francesco ha avuto occasione di dire, contraddice l'insegnamento tradizionale della Chiesa in materia. Lui stesso poi, parlando del conflitto fra l'Ucraina e la Russia, ha detto che combattere - cioè fare la guerra - per difendersi da un'aggressione è giusto, introducendo un'aporia nell'insieme delle sue dichiarazioni. Se la guerra è in se stessa un errore o se è sempre ingiusta, allora anche la guerra condotta da uno Stato ingiustamente invaso da un altro risulta essere, paradossalmente, ingiusta. Va ammesso invece che, nell'Enciclica "Fratelli tutti" (2020), Papa Francesco è stato più equilibrato e chiaro che in altre sue pubbliche dichiarazioni: "La questione è che, a partire dallo sviluppo delle armi nucleari, chimiche e biologiche, e delle enormi e crescenti possibilità offerte dalle nuove tecnologie, si è dato alla guerra un potere distruttivo incontrollabile, che colpisce molti civili innocenti. In verità, mai l’umanità ha avuto tanto potere su sé stessa e niente garantisce che lo utilizzerà bene. Dunque non possiamo più pensare alla guerra come soluzione, dato che i rischi probabilmente saranno sempre superiori all’ipotetica utilità che le si attribuisce. Davanti a tale realtà, oggi è molto difficile sostenere i criteri razionali maturati in altri secoli per parlare di una possibile guerra giusta". Qui si dice che "i rischi [della guerra] probabilmente saranno sempre superiori all'ipotetica utilità che le si attribuisce": l'affermazione di una improbabilità non implica un'impossibilità. Si dice anche che "oggi è molto difficile sostenere i criteri razionali maturati in altri secoli per parlare di una possibile guerra giusta": molto difficile non significa impossibile. Tuttavia, questa maggior chiarezza e questo maggior equilibrio non risolvono la problematicità di queste dichiarazioni presenti nel documento pontificio.
Supponendo che il Papa, parlando di "utilità", ne parli nei termini dell'utile onesto e non dell'utile meramente materiale, è quanto meno dubbio (a voler essere generosi) affermare la probabilità che sempre - leggasi: in ogni circostanza possibile - la guerra comporti rischi che travalicano la sua utilità.
La frase sulle difficoltà odierne nel sostenere "i criteri razionali maturati in altri secoli per parlare di una possibile guerra giusta" è a dir poco equivoca. I principi della dottrina sulla guerra ex justa causa hanno infatti un fondamento razionale indiscutibile. I cd. "criteri razionali" della dottrina sulla guerra giusta non vengono meno per il mutamento delle circostanze storiche. Ed è proprio la loro applicazione al caso concreto che può portare e, a conti fatti, porta a valutare la guerra moderna con molta più prudenza di quanto avveniva nei tempi passati - sia recenti che, soprattutto, remoti. Quale sarebbe quindi la difficoltà nel sostenere tali criteri? Al limite, si sarebbe potuto dire che è raro trovare casi in cui si realizzino tutte le condizioni che permettono di dire che una determinata guerra è moralmente giustificata. Ma questo è un altro paio di maniche.
Concludo dicendo che dalla lettura dell'Enciclica "Fratelli tutti" e da altre dichiarazioni rilasciate da Papa Francesco non si può dedurre che il Papa escluda la possibilità di guerra giuste perché non ci sono più Stati cristiani. A parte il fatto che sarebbe un errore dottrinale grave sostenere l'impossibilità anche per l'acattolico di compiere almeno qualche cosa di moralmente lecito (guerra ex justa causa inclusa), risulta chiaro che la posizione del Papa è dettata da considerazioni relative ai danni gravi che "le società, i più deboli, la fraternità, l’ambiente e i beni culturali, con perdite irrecuperabili per la comunità globale", possono subire dallo scoppio di conflitti nei tempi odierni.