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    Predefinito Rif: Repubblica Popolare Cinese


    CINA: IMPERIALISMO O SOCIALISMO


    II PARTE




    CINA: POLO IMPERIALISTICO, OPPURE NAZIONE SOVRANA DI MATRICE PREVALENTEMENTE SOCIALISTA?

    Venezuela e Bolivia? Come sopra…

    D’accordo, passiamo ai paesi confinanti (o vicini) alla Cina e forse la musica cambierà…oppure no?

    La Russia: Una sfera d’influenza ed un territorio economico, sottoposto all’egemonia cinese? La Russia di Eltsin era diventata sicuramente semi-colonia, ma non certo dominata dalla Cina…

    L’India? Ma non è una potenza emergente che ha instaurato ottime relazioni con gli USA e Russia, invece munita di una discreta dose di diffidenza verso il vicino cinese?

    L’Afghanistan? Semi-colonia, ma non certo di Pechino…

    Le altre nazioni dell’Asia centrale, partendo dal Kazakistan? Se sono ” territori economici cinesi” si tratta sicuramente di un segreto custodito molto bene…Forse la Mongolia, confinante con la Cina per migliaia di chilometri, è il “territorio economico” l’area geopolitica controllata da Pechino? La risposta risulta ancora una volta negativa, vista la significativa influenza russa(contrastata dagli Stati Uniti) sul paese in oggetto. L’Iran? Un oscuro e diabolico, ” Lavaggio del cervello degli han ha convertito il clero sciita in cripticomunisti filocinesi? Thailandia, Filippine, Indonesia e Singapore? Gli Stati Uniti in questi paesi pesano sicuramente molto più della Cina e sotto tutti gli aspetti,nel caso indonesiano,proprio dopo ed a causa dell’atroce massacro dei comunisti (filocinesi) indonesiani avvenuto nel 1965/66… Nepal? Si fa già gli affari suoi, senza alcun condizionamento da parte del presunto (e confinante) imperialismo cinese…Pakistan vi sono certo aerei, droni, truppe e consiglieri stranieri nel paese ma ci risulta che parlino inglese con una forte pronuncia yankee…

    L’Iraq? E’ stato il polo imperialistico cinese ad invaderlo e occuparlo a partire dall0inizio del 2003?

    D’accordo, cambiamo continente ed aree geopolitiche.

    Australia? Opera la CIA ad Alice Springs, non certo i militari o l’Echelon cinese.

    Le aree della Polinesia e Melanesia? Esse sono dominate in larga parte dagli USA (Haway, Samoa, Marianne, Isole Marshall, Federazione della Micronesia, Guam e Midway, ecc), in parte minore dall’imperialismo francese e dall’Australia.

    Il mondo arabo, soggetto all’imperialismo cinese? Non oserebbe sostenerlo neanche il sionismo internazionale, mentre da decenni, Egitto, Arabia Saudita e Giordania sono sotto la sfera a influenza degli USA.

    L’Antartide? Con i suoi (gelatissimi…)13.117.000 kmq è stata divisa dal trattato del 1969 in zone d’influenza tra Gran Bretagna, Norvegia, Australia, Francia e Nuova Zelanda: manca la Cina (del resto manca anche la forza lavoro e lo sfruttamento delle risorse minerarie del continente).

    Zona artica, Groenlandia e Islanda? Zone geopolitiche economiche già occupate, ma non dai cinesi…

    America Latina? Astraendo dai sopracitati esempi di Cuba, Venezuela e Bolivia, una parte importante del continente rimane ancora oggi sotto l’egemonia statunitense, partendo dal Messico fino ad arrivare a Cile e Perù; la parte restante, Brasile di Lula in testa, come minimo non è sottoposta ad alcun significativo e duraturo controllo, sia di natura politica che economica, da parte di Pechino.

    L’Africa? Si è già notato come anche soggetti ipercritici con Pechino ammettano che la “politica della non-interferenza” costituisce uno dei principali e costanti capisaldi della strategia cinese rispetto al continente africano, dato che la “Cina si limita a fare buoni affari senza immischiarsi nelle vicende nazionali”: il Sudan islamico, ad esempio, non è certo sul punto di diventare comunista o (ancora peggio, orrore) di entrare stabilmente nella presunta zona di influenza esclusiva/egemone dei cinesi.

    Di sfuggita, si può notare come sia la Francia ad avere sin dal 1958/62 e fino ad oggi, una sfera d’influenza esclusiva nell’Africa occidentale…

    Abbiamo voluto tralasciare tre stati: Malaysia, Corea del Nord e Myanmar (Birmania).

    Per ragioni geografiche ed economiche, la Malaysia mantiene da lungo tempo degli ottimi rapporti con la Cina, senza tuttavia rinunciare in alcun modo alla sua piena autodeterminazione, al suo sistema capitalistico(con un certo grado di intervento statale, in ogni caso)ed al suo dichiarato anticomunismo.

    Come nella Malaysia, non vi sono truppe e/o basi militari cinesi neanche in Birmania, ma solo ottime relazioni geopolitiche e commerciali ormai consolidate con Pechino: fin dal 1988/89, del resto, il regime militare birmano ha scelto una propria autonoma”via al capitalismo selvaggio”che esclude a priori una scelta strategica e di campagna a favore della Cina.

    Per quanto riguarda infine la Corea del Nord, gli osservatori occidentali meno prevenuti hanno subito notato l’importanza del continuo richiamo al patriottismo ed all’autonomia, non privo di alcune spinte e tendenze autarchiche, all’interno della formazione politica e socio-economica della Corea del Nord.[1]

    Il suo partito comunista sceglie autonomamente, a volte compiendo errori, la propria linea politica ed i suoi dirigenti, senza aspettare alcun avvallo da parte di Pechino; non ospita truppe e/o basi militari cinesi sul suo suolo e la sua alleanza strategica con la Cina non comporta alcuna forma di sfruttamento economico da parte di quest’ultima, obbligata anzi a fornire un consistente e continuo aiuto energetico ed alimentare al suo socio alla pari di Pyongyang.

    Finita questa sommatoria panoramica mondiale, si può concludere con sicurezza che Pechino non ha assunto il controllo di una propria zona d’influenza, di un proprio”territorio economico”, di una propria”area imperiale”dominata e sfruttata, in esclusiva o almeno in condominio: ma allora, di che “polo imperialistico”stiamo parlando? Polo imperialistico o assenza di imperialismo visibile, almeno per i comuni mortali?

    Tra l’altro proprio la Cina è stata trasformata in una semi-colonia dell’imperialismo occidentale per più di un secolo, dal 1842 al 1949, diventando una riserva di caccia per i sofisticati”pusher”di oppio del colonialismo britannico: anche la storia di una nazione conta e pesa, seppur come elemento secondario.

    Settimo scoglio per la tesi della “Cina-polo imperialistico”: l’assenza totale di basi militari e di truppe cinesi all’estero, oltre che di interventi militari nel resto del mondo a partire dal 1979(a partire dalla breve e controproducente spedizione punitiva in Vietnam, nel febbraio/marzo del 1979).

    Storicamente l’imperialismo contemporaneo, del capitalismo finanziario e delle multinazionali private, è stato contraddistinto fino al 1945/60 dal colonialismo e dall’occupazione manu militari dei paesi extra-europei da parte delle diverse potenze imperialistiche, e dopo il 1945 dalla”basing strategy”messa in campo dagli USA con la progressiva creazione di una rete diversificata ed impressionante di basi militari, soldati e”consiglieri”militari statunitensi sparsi in circa cento paesi del globo: dalla Colombia all’Italia, dall’Arabia alle Azorre, dalla Georgia alla Corea del Sud.

    Basi ed avamposti militari che servono anche a controllare il “territorio economico”, le fonti energetiche e di materie prime, le zone di passaggio degli oleodotti e del traffico internazionale.

    La Cina non possiede neanche una base militare all’estero, mentre i (pochi) soldati cinesi all’estero operano solo sotto l’egida delle Nazioni Unite: un fenomeno irrilevante?

    Gli interventi militari all’estero delle potenze imperialistiche, con l’occupazione prolungata del territorio altrui, quasi non si contano più dopo il 1945 e fino ai nostri giorni.

    A parte il caso estremo dell’imperialismo nordamericano, la Francia ha compiuto numerosi interventi militari dopo il 1962 nella sua particolare zona d’influenza neocoloniale, l’Africa occidentale; la stessa Italia ha partecipato come socio minore (o protagonista) alle occupazioni occidentali del Libano (1982/83), della Somalia (1992/94), dell’Iraq (2003/2006) e dell’Afghanistan, dal 2002 fino ad oggi.

    A “carico”, della Cina, dopo il 1979, non emerge nessun dato accusatorio in questo settore. Risalendo invece indietro nel tempo, la partecipazione cinese alla guerra di Corea del 1950/53 non procurò nessuna base militare o egemonica alla Cina nella Corea del Nord, mentre le due rapide (anche se disastrose, dal punto di vista politico) guerre contro l’India (1962) ed il Vietnam (1979) finirono in breve tempo, e proprio con il ritiro unilaterale e senza condizioni delle truppe cinesi.[2]

    Dopo il 1946 sia gli Stati Uniti che, in modo minore, la Francia e la Gran Bretagna hanno spesso utilizzato i mezzi paramilitari ed i servizi segreti per rovesciare i regimi a loro sgraditi, quasi sempre progressisti ed antimperialisti: si va dal Guatemala di Arbenz (1954) fino al colpo di stato promosso nel Venezuela di Chavez dalla CIA (aprile 2002), con l’appoggio delle forze reazionarie e della borghesia locale.

    La Cina non ha partecipato a questo “gioco sporco” tipico del moderno Risiko mondiale e della politica neocoloniale delle potenze imperialistiche, dopo il 1945: un elemento non irrilevante, a nostro avviso, specie se collegato all’assenza di basi militari/truppe all’estero ed alla mancata occupazione da parte di Pechino di nazioni straniere.

    Ultima difficoltà per la teoria della “Cina-polo imperialistico”: la mancata partecipazione di Pechino alla pluridecennale corsa al riarmo nucleare.

    Oltre a fare in modo che il numero totale dei membri delle forze armate cinesi passasse dai circa cinque milioni del 1980 ai 2300000 del 2005/2008, la Cina si è dotata solo di un modesto arsenale nucleare, forte al massimo di 70 vettori intercontinentali e di 200 testate nucleari in grado di raggiungere il territorio statunitense.[3]

    Tale potenziale bellico rimane enormemente inferiore a quello via via accumulato dagli Stati Uniti e dall’Unione Sovietica/Russia post-sovietica: l’obiettivo centrale nella strategia nucleare adottata dalla Cina dopo il 1964 non era quello di raggiungere, almeno in parte, le due superpotenze militari del globo, ma viceversa di garantirsi un adeguato potere di dissuasione in grado di scoraggiare a priori qualunque possibile aggressore, Stati Uniti in testa (dopo il 1980/88), e ogni minaccia alla sua sovranità, come afferma esplicitamente il Libro Bianco creato dal Ministero della Difesa cinese nel 2006.

    Per dare un’idea del rapporto di forze nucleare attualmente esistente sul nostro pianeta, le 200 testate costruite dalla Cina alla fine del 2006 si confrontano sia con le 4.545 in possesso degli USA nello stesso periodo che con le 3.284 testate a disposizione della Russia, sempre a fine 2006: si tratta di un’asimmetria particolarmente evidente e non priva di significati politici di carattere generale, che ha per oggetto la principale arma distruttiva nell’epoca post-Hiroshima ed un elemento molto importante al fine di distinguere le grandi dalle medie potenze, almeno sul piano politico-militare e militar-tecnologico.[4]

    Sul piano militare la Cina non è certo una super potenza ed il suo potenziale d’urto, seppur non trascurabile, è solo leggermente superiore a quello della Gran Bretagna e Francia, mentre invece a parità del potere d’acquisto il PIL cinese del 2008 era oramai pari al 70% di quello degli USA, secondo le stime più prudenti.

    Gli argomenti sopra elencati risultano incompatibili con il modello teorico della “Cina-polo imperialistico”, specie se analizzati nella loro interconnessione dialettica.

    Viceversa essi supportano la tesi alternativa di una formazione economico-sociale prevalentemente collettivistica, che se da un lato regala molto poco al resto del globo in termini materiali(si pensi, a titolo di paragone, al rapporto economico invece formatosi tra URSS e Cuba dal 1970 fino al 1990), dall’altro non partecipa allo sfruttamento imperialistico del terzo mondo.

    La Cina:

    - non ha quasi multinazionali e banche private in giro per il mondo

    - non si è creata” territori economici” e riserve di caccia per l’esportazione dei suoi capitali

    - non possiede basi militari e forze d’occupazione all’estero

    - non partecipa alla folle corsa al riarmo atomico, oltre che ai progetti di Guerre Stellari, ecc

    - finanzia il debito statale degli USA, ma permette allo stesso tempo alle multinazionali straniere di controllare quasi il 60% dei suoi scambi con il mondo occidentale ed il Giappone

    - è interessata principalmente ad assicurarsi forniture sicure di petrolio e materie prime, partendo da Russia e Kazakistan, senza basi militari e “riserve di caccia” esclusive.

    Cina come “terzo imperialismo”? I fatti testardi parlano invece di uno stato socialista sovrano ed autonomo, le cui relazioni concrete con il mondo esterno non sono certo riconducibili alla categoria di imperialismo, e che non ricerca l’egemonia (né planetaria né regionale) sia per scelta strategica autonoma che per i rapporti di forza cristallizzatisi negli ultimi decenni. Invece la Cina ha adottato una lungimirante politica internazionale caratterizzata da una cooperazione egualitaria a 360° (senza di regola fornire donazioni eccessive e/o ” sussidi imperiali” alle altre nazioni) con tutti gli stati e le aree geopolitiche del globo strategiche, che sta già dando buoni risultati in molti paesi di quel Terzo Mondo ipersfruttato dall’imperialismo occidentale.

    Si possono legittimamente avanzare numerose critiche alla politica internazionale della Cina, a partire dallo spazio eccessivo concesso alle multinazionali occidentali sul suo territori, al debole sostegno materiale fornito dopo il 1991 a Cuba, ecc: ma si tratta di un altro livello e terreno di discussione, di confronto tra compagni che sentono di far parte di un medesimo campo e fronte di lotta, seppur con tutte le differenze possibili.

    Prima possibile obiezione: “Pechino non si è appropriata di una propria sfera di influenza esclusiva solo perché non possiede le forze per farlo con successo, almeno per ora”.

    In primo luogo rimane il fatto che tali zone e “territori economici” al momento attuale non sussistano. In secondo luogo, almeno il rapporto di forza creatosi tra la Cina e la Corea del Nord dopo il 1989/91 avrebbe sicuramente consentito l’emergere di tendenze egemoniche della prima rispetto a Pyongyang, ma non è invece accaduto nulla di simile proprio a giudizio dei comunisti nord coreani: durante una recente visita a Pechino di Pak Ui Chun, ministro degli esteri della Repubblica Democratica Popolare di Corea (13 gennaio 2009), la Corea del Nord e la Cina hanno espresso “soddisfazione per lo sviluppo dei loro rapporti bilaterali” e lanciato una serie di iniziative comuni per celebrare il 60° anniversario della creazione dei rapporti diplomatici tra i due paesi.[5]

    Seconda possibile obiezione: “e i fondi sovrani cinesi, e gli investimenti cinesi nel mondo occidentale”? La Cina ha creato, con fondi pubblici, un fondo d’investimento di proprietà statale sottoposto allo stretto controllo degli apparati governativi: si chiama China Investment Corporation (CIC), fondato nel settembre 2007 con una donazione di 207 miliardi di dollari.

    A dispetto della grande massa di capitali a sua disposizione, dal 2007 fino ad ora il fondo statale cinese ha effettuato solo poche e limitate acquisizioni di quote minoritarie di società finanziarie occidentali: ha comprato una consistente partecipazione azionaria del 10% nel gruppo finanziario Blackstone, per un valore pari a 3 miliardi di dollari, ed il 9,9% di Morgan Stanley spendendo 5 miliardi di dollari a tale fine.

    Fondi statali, dunque; utilizzati solo in proporzioni modeste e (soprattutto) impiegati non per fini di profitto, ma geopolitici: influenzare e poter condizionare, almeno in parte, i “salotti buoni” del capitalismo e della finanza occidentale. Con molta grazia ed il solito sciovinismo occidentale, F. Galletti e G. Vagnone hanno rilevato che nei fondi sovrani” il vero pericolo arriva dalla Cina”, visto che “nel caso dei fondi cinesi, che non a caso preoccupano gli statisti occidentali molto più di quelli arabi o russi, tutto dà intendere che si tratti di vere e proprie forme di espansionismo geopolitico per entrare in settori strategici: banche, assicurazioni, infrastrutture”.[6]

    Fondi statali per scopi geopolitici: siamo lontani dal capitalismo monopolistico.

    In questo campo una delle rare acquisizioni di società occidentali lanciata da un’impresa privata cinese è stato l’acquisto nel 2004 della divisione personal computer, dell’IBM (per 1,25 miliardi di dollari da parte della Lenoro: ma anche quest’ultima è posseduta per quasi un terzo dallo stato cinese.

    Se è vero che la compagnia cinese Minmetals ha acquistato la maggiore compagnia mineraria canadese, che la Shangai Automotive Industries ha comprato la sudcoreana Sangyong e la Shenyang Machine il gruppo tedesco Schiess, nel 2005 l’azienda statale cinese CNOOC non ha potuto acquisire la multinazionale californiana Unocal proprio per il veto del governo “liberista” di Bush junior, preoccupato dalle ricadute geopolitiche del possibile take-over da parte di Pechino.

    Per fornire un termine di paragone, il capitalismo finanziario ed i grandi monopoli privati dell’India hanno dimostrato un altro ritmo di marcia nel processo di esportazione di capitali verso le metropoli imperialistiche.

    Come ha notato F. Rampini nell’aprile del 2007, in soli tre mesi le multinazionali indiane hanno “dato la scalata con successo” a ben 34 gruppi stranieri, per un valore di 11 miliardi di dollari e nei soli primi tre mesi del 2007.

    “Altre dinastie del capitalismo indiano ormai molti occidentali le conoscono bene perché le hanno in casa. Il gruppo Mittal di Lakshmi e Adita, padre e figlio, controlla la maggior parte della siderurgia europea dopo aver acquistato il colosso Arcelor (francobelgospagnolo). Kumar Mangalam Birla, presidente del gruppo Birla, con la sua filiale dell’alluminio Hindalco ha comprato quest’anno il rivale americano Novelis e si è issato al primo posto mondiale nel settore. L’impresa farmaceutica Ranbaxy di Malvinder Singh è reduce da otto acquisizioni in America, Italia, Romania e Sudafrica. Dall’inizio del 2007 le multinazionali indiane hanno dato la scalata con successo a 34 gruppi stranieri, per un valore di 11 miliardi di dollari. The Economist prevede: “Un giorno saranno loro a insegnarci le nuove regole del mestiere d’impresa, proprio come nell’ascesa del Giappone la Toyota divenne l’azienda pilota mondiale, che rivoluzionò il modo di fare le automobili”.[7]

    Di sfuggita, va notato come nel 206 il grande gruppo privato della Tata da solo fatturasse 22 miliardi di dollari, pari a circa il 3,7% del prodotto nazionale lordo indiano, e che il conglomerato Reliance Industries (che vede come suo maggiore azionista Mukesh Ambani) a sua volta contasse da solo il 3,5% sul PNL dell’India, con i suoi 20 miliardi di dollari di vendite annuali. Con i sopracitati monopoli privati Birla, Rambaxi e Mittal (ben 58 miliardi di dollari di fatturato nel 2007, dopo l’acquisizione dell’ARCELOR), le cinque principali aziende private-familiari controllavano e possedevano circa il15% della ricchezza globale prodotta in India agli inizi del 2007, facendo si che un settimo del PNL( in un paese composto da più di un miliardo di persone) fosse nelle mani e proprietà di cinque sole “grandi” famiglie dell’India.[8]

    Non sorprende per tanto che Laksmhi Mittal e Mukesh Ambani risultassero nel 2000 tra le cinque persone più ricche del globo, quasi alla pari con Bill Gates ed il messicano Carlos Slim secondo la rivista Newsweek (12 novembre 2007); non sorprende neanche che in India si sia consolidato un “crony capitalism”, un “capitalismo dei compari” contraddistinto da relazioni di alleanza particolarmente sfacciate tra grandi monopoli privati e apparati statali, tra alta finanza e nuclei dirigenti politici al potere.

    Terza possibile obiezione: “la Cina sta acquistando terreni agricoli in mezzo mondo, con una forma di colonialismo agrario che rimanda all’Ottocento”.

    Nel 2003 Cina e Kazakistan hanno firmato un accordo con cui la Cina ha preso in affitto 20 kmq di terreno Kazako, che circa 3000 agricoltori cinesi già ora coltivano a soia con capitali cinesi: area prima non sfruttata e confinante con la Cina, 20 kmq rispetto ad una superficie totale del Kazakistan pari a circa 2.717.000 kmq (equivalente a nove volte l’Italia).

    Nel maggio del 2008 Cina e Russia si sono accordate affinché 800 kmq di terreno siberiano, non coltivato e confinante con la Cina, fossero utilizzate come una sorta di joint-venture tra società cinesi e i contadini e le autorità russe per produrre riso e soia: l’investimento di 21,4 milioni di dollari è a carico della parte cinese, mentre 4.500 contadini cinesi svolgeranno gran parte dell’attività produttiva in loco. Sempre per permettere di stabilire delle proporzioni, la sola Regione Autonoma Ebraica (fondata sotto Stalin, nel lontano 1934) ha una superficie totale pari a 36000 kmq, la sola Siberia si estende per più di 13 milioni di chilometri quadrati, l’intera Russia per più di 17 milioni di chilometri quadrati.

    800 kmq contro 17.000.000 kmq, in Russia.

    20 kmq contro 2.700.000 kmq, in Kazakistan.

    Non c’è che dire, i cinesi hanno oramai colonizzato gran parte della Russia e del Kazakistan…

    Quarta possibile critica: “la Cina ed il PCC esprimono una politica internazionale sempre tesa alla coesistenza pacifica con l’imperialismo occidentale: per tanto diventano corresponsabili, complici del sistema imperialistico mondiale”.

    Lenin e il partito bolscevico firmarono nel marzo 1918 il trattato di brest-Litovsk con l’imperialismo tedesco; nell’aprile 1922, sempre vivo ed operante Lenin, venne a stipulare con la Germania il trattato di Rapallo sancendo il riconoscimento reciproco tra le due nazioni, e cioè creando una vera e propria coesistenza pacifica tra potere sovietico e capitalismo finanziario tedesco, almeno sotto il profilo delle relazioni internazionali; nel 1921 proprio la Russia sovietica, sempre vivo ed operante Lenin, aveva firmato accordi politico-diplomatici con la Turchia e l’Iran, entrambi paesi nei quali avvenivano in quel periodo massacri dei comunisti e delle forze di sinistra.[9]

    Logica conseguenza: Lenin e il suo partito bolscevico erano diventati complici dell’imperialismo occidentale, o almeno di una sua frazione. Oppure qualcosa non quadra, rispetto alla valutazione iper-antagonista della strategia della coesistenza pacifica?

    Viceversa il PCC risulta realmente “complice” e corresponsabile, perché partecipante a pieno titolo, della risoluzione che ha firmato quando si è concluso il decimo incontro internazionale dei partiti comunisti e dei lavoratori, tenutosi a San Paolo(Brasile) dal 21 al 23 novembre 2007.

    Nel testo di questa risoluzione, firmato da 65 organizzazioni comuniste, si afferma che i partiti comunisti “accolgono le lotte popolari emergenti in tutto il mondo contro lo sfruttamento e l’oppressione imperialista, contro i crescenti attacchi alle conquiste storiche del movimento operaio, contro l’offensiva militarista e antidemocratica dell’imperialismo.

    Sottolineando che la bancarotta del neo-liberalismo rappresenta non solo il fallimento della gestione del capitalismo, ma la sconfitta del capitalismo stesso, fiducioso della superiorità degli ideali e del progetto comunista,noi affermiamo che la risposta alle aspirazioni di emancipazione dei lavoratori e dei popoli si può trovare soltanto nella rottura con il potere del grande capitale e con i blocchi e le alleanze imperialiste, attraverso profonde trasformazioni di liberazione e di carattere antimonopolista”.

    Inoltre nella risoluzione di San Paolo si è rilevato che “il mondo si trova davanti una grave crisi economica e finanziaria di grandi proporzioni. Una crisi capitalista, indissolubilmente legata alla sua stessa natura e alle sue indissolubili contraddizioni, probabilmente la più grave crisi dalla Grande Depressione iniziata con il crollo del 1929. Come sempre i lavoratori e il popolo ne sono le principali vittime.

    La crisi attuale è espressione di una più profonda crisi intrinseca al sistema capitalista, che dimostra i limiti storici del capitalismo e la necessità del suo rovesciamento rivoluzionario. L’attuale crisi costituisce, inoltre, un enorme minaccia di regressione democratico e sociale e pone le basi, come la storia a dimostrato, per una deriva autoritaria e militarista che chiede più vigilanza da parte dei partiti comunisti e di tutte le forze democratiche e antimperialiste.

    Mentre vengono impegnati miliardi di risorse pubbliche per salvare i responsabili di questa crisi - il grande capitale, l’alta finanza e gli speculatori - i lavoratori, i piccoli agricoltori, i ceti medi e tutti coloro che vivono del proprio lavoro sono schiacciati dal peso dei monopoli e soffriranno maggior sfruttamento, disoccupazione, erosioni salariali e pensionistiche, insicurezza, fame e povertà“.[10]

    Il PCC ha firmato in prima persona la risoluzione di San Paolo, e pertanto ne porta la piena responsabilità: a ciascuno secondo la sua responsabilità.

    Per la Rete dei Comunisti e la rivista Contropiano, sorge il problema se essere “corresponsabili” (perché consenzienti) della teoria sulla “Cina-polo imperialistico”: un problema oramai ineludibile.

    Penultima osservazione: “si è spesso parlato, anche nella sinistra antagonista occidentale, delle presenti tendenze imperialistiche ed egemoniche espresse dalla Cina verso Taiwan e le isole Spratly.

    Per quanto riguarda le isole Spratly, nel marzo del 2005 è stato concluso un accordo alla pari tra Cina, Vietnam e Filippine al fine di sondare per tre anni il sottosuolo delle isole Spratly, che si crede possano diventare il prossimo Golfo Persico.

    La Cina Popolare ha sempre ribadito che Taiwan è parte integrante della Cina: ma, allo stesso tempo, ha sempre aggiunto di accettare l’attuale status-quo che vede l’isola sostanzialmente(anche se non formalmente, punto centrale per Pechino) sovrana, avviando dopo il marzo del 2008 un deciso miglioramento nelle relazioni con Taipei sotto tutti i profili, grazie alla vittoria di Kuomintary nelle elezioni presidenziali della primavera 2008.

    Da notare che finora il vero “grande fratello” di Taiwan è stato il solito imperialismo statunitense: grande fornitore di armi all’isola, tra l’altro, e sostenitore “coperto” dalle forze politiche che a Taiwan cercavano -fino alla sconfitta subita nel marzo 2008- di rendere indipendente l’isola anche sul piano formale.

    Ultima obbiezione: “perché la Cina non ha appoggiato a sufficienza Cuba socialista, specialmente nel durissimo quinquennio 1991/1995 ?”

    Crediamo per una reale scarsità di forze materiali e (soprattutto) a causa di un eccesso di prudenza della direzione comunista cinese nei confronti dell’imperialismo statunitense, all’apice della sua potenza internazionale (assoluta e relativa) proprio nei cinque anni presi in esame.

    Dopo il 2002 , tuttavia, la situazione è nettamente migliorata proprio sotto il profilo economico e commerciale nelle (già buone) relazioni tra i due stati socialisti.

    Alla fine di dicembre del 2008 Carlos Miguel Pereira, ambasciatore cubano in Cina, ha notato come le relazioni cubane con la Cina abbiano raggiunto il miglior livello nella loro storia: il commercio cino-cubano è passato dai 578 miliardi di dollari del 2003 ai 2,6 miliardi del 2007, più che quadruplicandolo nel giro di soli quattro anni.[11]

    ” La Cina è un sicuro e stabile importatore del nickel e dello zucchero cubano”, ha inoltre sottolineato l’ambasciatore cubano in Cina,”e la Cina sta iniziando a diventare un grande paese investitore a Cuba”, a dispetto del blocco economico statunitense: non a caso Carlos Pereira ha auspicato un ulteriore rafforzamento della cooperazione tra i due paesi, evidentemente noncurante della (ipotetica) trasformazione della Cina in un (presunto) “polo imperialistico”.

    CONCLUSIONI

    Corriere della Sera del 23 gennaio 2009, pag. 15.

    ” Quanti morti può fare una privatizzazione? O meglio, se un conto si può fare, quante vite è costato il passaggio dal comunismo al capitalismo? E ancora: si può conteggiare l’effetto delle ricette economiche che quella transizione l’hanno dettata negli eltsiniani (e clintoniani) anni Novanta?

    Il conto è stato fatto. Pubblicato su una delle più prestigiose riviste di medicina internazionali, l’inglese Lancer, quattro anni di lavoro modelli matematici complessi, basandosi sui dati dell’Unicef dal 1989 al 2002. La conclusione: le politiche della privatizzazione di massa nei Paesi dell’ex Unione Sovietica e nell’Europa dell’Est hanno aumentato la mortalità del 12,8%. Ovvero, hanno causato la morte prematura di un milione di persone.

    Non che, finora, qualche stima non fosse stata fatta. L’agenzia Onu per lo sviluppo, l’Undp, nel ‘99 aveva contato in dieci milioni le persone scomparse nel tellurico cambio di regime, e la stessa Unicef aveva parlato dei tre milioni di vittime.Lo studio di Lancer firmato da David Stuckler, sociologo del Oxsford University, da Lawrence King, della Cambridge University e da Martin McKee, della London School of Hygiene and Tropical Medicine invece parte da una domanda diversa: si potevano evitare tante vittime, e sono da addebitare a precise strategie economiche?

    La risposta è si . Ed è la “velocità” della privatizzazione che -secondo Lancet - spiega il differente tasso di mortalità tra i diversi paesi. Si moriva di più dove veniva adottata la “shock terapy”: in Russia tra il 91 ed il 94 l’aspettativa di vita si è accorciata di 5 anni. Nei paesi più “lenti”, invece, come Slovenia, Croazia, Polonia, si è allungata di quasi un anno.

    Perché se gli operai inglesi negli anni ottanta, come nel film di Ken Loach, “ringraziavano ” la signora Thatcher, gli operai delle fabbriche chiuse dell’Est devono (in parte) la loro sorte al geniale economista americano, consigliere allora di molti governi dell’Est. E infatti il signor Sachs ha risposto piccato, con una lettera al Financial Times. Ma quel “milione di morti ” ha ormai acceso il dibattito ai due lati dell’Oceano, sulle pagine del New York Times e nei blog economici”.[12]

    Tre milioni di morti, secondo l’Unicef, dal 1989 al 1999: il costo “modesto” della controrivoluzione capitalistica, salutata ai tempi con gioia da larga parte della sinistra antagonista occidentale ed italiana. E sorgono subito alcune domande.

    Forse questi tre milioni di morti pesano nella stessa analisi della Cina attuale, della sua natura socioeconomica e della posizione/politica internazionale?

    Forse sussiste un legame tra la passata “gioia” espressa da larga parte della sinistra antagonista per il crollo del muro di Berlino e la critica distruttiva, ora ed adesso tanto diffusa verso la Cina Popolare (capitalismo di stato, imperialismo, ecc.)?

    Cosa c’entra tale critica (ed analisi) distruttiva con una possibile -anzi necessaria- valutazione oggettiva dell’attuale dinamica politica e socioeconomica della Cina, fatta certo da lati negativi (denunciati spesso dagli stessi comunisti cinesi) ma anche da aspetti positivi, in quasi tutti i campi (ivi compresa la politica e posizione internazionale della Cina )?

    Troppe domande?
    [1] Autori Vari, “L’adorato Kim Chang-il”, prefazione di G. Riotta, pag. 3, Ed. Obarra

    [2] M. Bergere, “La Repubblica Popolare Cinese”, pag. 348, Ed. Mulino

    [3] L. Tomba, “Storia della Repubblica Popolare Cinese”, pag. 191, Ed. Mondadori

    [4] Stime del Sipri-2007, in www.archiviodisarmo.it, Camilla Reali

    [5] english.peopledaily,com.cn, “DPRK FM meets visiting senior Chinese diplomat”, 13 gennaio 2009

    [6] F. Galletti e G. Vagnone, “Fondi sovrani: il vero pericolo arriva dalla Cina”, 15 gennaio 2008, in l'Occidentale

    [7] F. Rampini, 16 aprile 2007, “Tata traccia la via indiana al capitalismo delle famiglie”, in ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio

    [8] F. Rampini, 16 aprile 2007, op. cit.

    [9] A. B. Ulam, “Storia della politica estera sovietica (1917-60)”, pag. 108, 131, 217-218, Ed. Rizzoli

    [10] M. Gemma e F. Giannini, “I comunisti di tutto il mondo ripartono da San Paulo”, 30/11/2008, in l'Ernesto Online - Rivista Comunista

    [11] english.people.com.cn., 29 dicembre 2008, “Cuban ambassador hopes for more bilateral co-op with Cina”

    [12] Corriere della Sera, 23 gennaio 2009, pag. 15 “L’addio al comunismo? Un milione di morti”

  2. #12
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    LA PATRIA NON DIMENTICHERA'

    Ultima modifica di Stalinator; 24-10-10 alle 19:38

  3. #13
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    LODE ALLA PATRIA


  4. #14
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    GLORIOSO ESERCITO DI LIBERAZIONE DEL POPOLO




    Ultima modifica di Stalinator; 24-10-10 alle 19:37

  5. #15
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    SPECIALE DELLA TV LATINO-AMERICANA SULLA RPC



    Ultima modifica di Stalinator; 01-11-10 alle 03:11

  6. #16
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    RAPPORTI CINA-VENEZUELA


    19 APRILE 2010
    FIRMATO ACCORDO PETROLIFERO CINA-VENEZUELA


    Pechino, 19 apr. - China National Petroleum Corp. (CNPC) e la compagnia petrolifera statale venezuelana (PDVSA) hanno firmato un memorandum d'intesa che comprende l'accordo di cooperazione petrolifera del blocco Junin 4 e siglato un accordo quadro di cooperazione finanziaria a lungo termine, cui hanno preso parte anche China Development Bank (CDB), Venezuelan Social Development Bank (BANDES), il Ministero della finanza e il Ministero dell'energia e del petrolio venezuelani e cinesi. Il giacimento di Junin 4 e' situato in Venezuela nella cinta di olio pesante dell'Orinoco, il blocco ha una superficie di 325 km quadrati, una riserva recuperabile di petrolio di 8 miliardi e 700 milioni di barili e una capacita' produttiva annuale di 20 milioni di tonnellate. Per quanto riguarda l'accordo quadro sulla cooperazione finanziaria di lungo termine, la Cina prevede un finanziamento di 20 miliardi di dollari entro 10 anni. PDVSA e CNCP hanno firmato un contratto di import-export petrolifero a garanzia di rimborso. La firma di tali accordi rafforzano ulteriormente la cooperazione tra i due paesi in campo energetico, segnando per la Cina l'inizio della fase di sviluppo nel settore petrolifero in Venezuela. -



    Sole 24 Ore di martedì 20 aprile 2010, pagina 12
    Prestito di 20 miliardi dalla Cina al Venezuela - Da Pechino 20 miliardi a Caracas

    di Da Rin Roberto

    Prestito di 20 miliardi dalla Cina al Venezuela

    La Cina concederà al Venezuela di ugo Chavez un prestito di 20 miliardi di dollari. In cambio Pechino otterrà da Caracas un netto aumento delle forniture di petrolio. In cambio del maxi-prestito la Cina si è garantita un netto aumento delle forniture di greggio.
    Ieri, 19 aprile, era giornata di celebrazioni in Venezuela, l'anniversario del bicentenario dall'indipendenza dalla Spagna. Pochi a Palacio Miraflores, fino a qualche settimana fa, avrebbero sperato di poter festeggiare con un annuncio così eclatante. Invece è andata bene, benissimo per il caudillo che, nel pieno di una crisi di consensi, ha incassato un prestito miliardario.
    «È il più grande mai concesso dalla Cina a un Paese straniero» ha tuonato Hugo. Che ora più che mai ha bisogno di liquidità per oliare la macchina elettorale in vista delle prossime elezioni legislative; fronteggiare la recessione economica (il PIL nel 2009 si è contratto del 3,3%); tamponare la piaga dei blackout energetici che continuano a interrompere l'attività economica. I termini del prestito non sono stati diffusi né dal Venezuela né dalla Cina «L'unica certezza - spiega Boris Segura, analista di Rhs securities - è che a Caracas arriveranno tutti questi soldi e in cambio verrà inviato petrolio a Pechino». «Tutto il petrolio di cui la Cina averebbe bisogno per consolidarsi come potenza mondiale è qui», ha detto Chavez.

    Indiscrezioni trapelate nei giorni scorsi in occasione della visita a Brasilia del premier cinese, Hu Jintao, evidenziano la chiara volontà del governo asiatico di creare società di servizi petroliferi in America Latina. Un'operazione che potrebbe infastidirele società americane ed europee.

    La strategia potrebbe inoltre essere facilitata dalla scelta di molte compagnie petrolifere occidentali che, negli ultimi tempi, hanno fatto un passo indietro in Venezuela e non si sono ritirate del tutto dal Paese, mentre Royal Dutch Shell e Bp non hanno partecipato alle ultime gare d'appalto rifiutando il modo sempre più dominante di Pevsa, la società petrolifera venezuelana. La Cina ne ha approfittato e si è incuneata occupando gli spàzi liberi. Al di là delle dichiarazioni rassicuranti della diplomazia asiatica si sono susseguite tensioni sottotraccia tra Pechino e Washington. Pochi giorni fa Michael Shifter, presidente del Dialogo Interamericano, con sede nella capitale Usa, ha polemicamente dichiarato che ai cinesi non interessa affatto l'irritazione degli Stati Uniti» e che «continuerarino ad attuare politiche aggressive nel subcontinente».

    Per la politica interna del governo venezuelano i dollari cinesi sono una vera e propria manna. Il dibattito sul ruolo di Simon Bolivar, El Libertador, e sulle conquiste della Revolucion Bolivariana è un pò meno sterile, se accompagnato da iniezioni di sussidi e da una propaganda convincente: il populismo economico è un'arma che Chavez sa adoperare con molta destrezza.

    Proprio nelle scorse settimane le milizie rivoluzionarie - giovani che cercano di rilanciare l'immagine del paese attraverso Facebook, Twitter e una propaganda capillare con sms e mail - hanno iniziato a rilanciare le chance di Chavez in vista delle amministrative di dicembre.

    TENSIONI CON WASINGTON In programma La creazione di società petrolifere miste per sostituire le compagnie americane ed europee in rotta con il regime di Chavez. Il prestito da 20 miliardi di dollari promesso al Venezuela di Hugo Chavéz è uno dei maggiori mai concessi dalla Cina. Secondo Chavez, l'accordo prevede condizioni che non hanno nulla a che vedere con quelle chieste dagli organismi di credito multilaterali. Cresce da parte di Pechino l'interesse nei confronti dei mercati latinoamericani e la volontà di rafforzare i legami con i grandi produttori di petrolio. Alla nuova apertura di credito da parte di Pechino corrisponde infatti l'impegno di Caracas nelle forniture di petrolio: Chavez ha ricordato come oggi il Venezuela invii in Cina 500mila barili al giorno che diventeranno 900mila da novembre. La Cina, fino a qualche anno fa esportatore di petrolio, è oggi il terzo importatore al mondo di greggio. ll Venezuela è il nono produttore mondiale. Pechino si è inoltre impegnata a fornire tecnologie per realizzare tre centrali elettriche. La nuova intesa si aggiunge al fondo da 12 miliardi di dollari che Pechino ha messo a disposizione di Caracas per infrastrutture ed edilizia popolare della settimana scorsa; accordo col quale la Cina ha concesso un prestito di 10 miliardi di dollari al Brasile sempre in cambio di forniture petrolifere. Al vertice di San Paolo, il presidente brasiliano Lula da Silva ha sottolineato che il Bric rappresenta ormai il 16% del PIL mondiale e un mercato con il 40% della popolazione del pianeta. Nonostante la crisi economica internazionale, il commercio bilaterale tra Brasile e Cina è cresci to del 50% nell'ultimo anno.

    Dialego

  7. #17
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    COSA DIFENDONO LIU XIAOBO E CARTA08


    Liu Xiaobo è stato uno dei principali estensori dell’anticomunista “Carta 08″ pubblicata nel dicembre 2008, che apertamente faceva riferimento a quella “Charta 77″ elaborata dai dissidenti anticomunisti cecoslovacchi guidati da Vaclav Havel: il Vaclav Havel coautore della piena restaurazione del capitalismo e dell’adesione alla Nato della Repubblica Ceca, dopo aver ingannato quasi tutta la sinistra antagonista occidentale.

    L’essenza del programma di “Carta 08″ e degli anticomunisti cinesi?

    Ovviamente la “tutela della proprietà privata” (la proprietà pubblica, ai loro occhi sapienti, non è degna certo di tutela), un programma ben conosciuto in Europa orientale dopo il 1989!

    La loro analisi della storia cinese? Basta riportare, dal loro documento, due sole perle.

    “L’impatto con l’occidente nel XIX secolo ha prodotto uno shock che ha portato alla caduta di un sistema autoritario e decadente…”

    Basta andare sul sito anticomunista Asianews.it, e si troverà questa incredibile deformazione della realtà cinese (”Il testo integrale di Carta 08″).

    Dal 1840, infatti, l’imperialismo occidentale ha occupato militarmente la Cina per più di un secolo…

    Dal 1840, l’imperialismo occidentale ha spacciato oppio e morte a milioni di cinesi per un secolo…

    Ma per gli autori di “Carta 08″ si è trattato solamente di uno “shock” (salutare…) che ha tra l’altro portato, a loro avviso, “alla caduta di un sistema autoritario decadente”. Un fenomeno tutto sommato positivo, sempre a loro parere, e questo per una triste fase storica nella quale le truppe d’invasione occidentali ed i marines statunitensi erano dislocati in forze in Cina (1900 e 1945/47, nel caso dei marines), portando i soliti doni del colonialismo liberale: stupri, massacri e sfruttamento bestiale dei lavoratori delle nazioni occupate, in tutto o in parte.

    Ma la “perla” migliore è un’altra.

    “La vittoria sul Giappone nel 1945 ha dato una nuova possibilità alla Cina di fare un passo in avanti verso un governo moderno” (moderno e capitalistico, secondo Carta 08), “ma la sconfitta dei Nazionalisti” (di Chiang Kai-Shek, della borghesia e dei latifondisti cinesi che erano i mandatari politici del partito “nazionalista”) “nella guerra civile contro i Comunisti, ha gettato la nazione” (=la Cina) “nell’abisso del totalitarismo”.

    Proprio così, parole degne della peggior destra reaganiana: nella guerra civile del 1945/49, secondo l’orrenda “Carta 08″ elaborata dagli anticomunisti cinesi (e secondo i suoi alleati internazionali, a partire dalla borghese occidentale), sarebbe stata sicuramente utile e proficua la vittoria di Chiang Kai-Shek e dei suoi protettori americani, con un bello sterminio dei comunisti cinesi simile a quello effettuato (grazie alla CIA) contro i comunisti indonesiani nel 1965/66, oppure in Cile nel 1973, ecc.

    Alcune domande per i compagni onesti.

    Ci hanno già fregato nel 1977/89, vendendoci Havel, Walesa e compagnia come dei “sinceri democratici” che “lottavano contro il totalitarismo”: siamo pronti a farci imbrogliare un’altra volta, con la solita benedizione del Manifesto ora alleato di Vendola (di Vendola, e non solo…)?

    Siamo già pronti a dimenticarci che il “grande” premio Nobel l’hanno conferito nel 2009 anche al “grande” Obama, all’eroe statunitense della guerra in Afghanistan e Pakistan, oltre che del golpe (”soft e democratico”) in Honduras?

    Ci devono in…culcare la loro presunta e borghesissima “verità” nei secoli dei secoli?

    “Chi non ricorda il proprio passato” (Indonesia, Cile, Honduras 2009, ecc.) “è destinato a riviverlo”: su questa bella frase siamo d’accordo, o dobbiamo ancora appoggiare gli aspiranti Havel, Walesa ed Eltsin del presente e del futuro, in Cina come a Cuba?

    Non è certo un caso che il Dalai Lama si sia subito complimentato con Liu Xiabo, proprio per la sua appartenenza al fronte mondiale dell’anticomunismo assieme ai vari Pannella, Yoan Sanchez, ecc.


  8. #18
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    SUPER-ACCORDO STRATEGICO-ENERGETICO TRA CINA E RUSSIA

    Tratto da: l’Ernesto
    su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile del 27/09/2010

    Cina e Russia hanno firmato a Pechino una serie di accordi di cooperazione nei settori energetico e finanziario e della produzione di risorse marine. Oggi il presidente russo Dmitri Medvedev ha incontrato il presidente cinese Hu Jintao ed i due hanno firmato una dichiarazione congiunta per rafforzare il “partenariato strategico” di coordinamento e reso nota un’altra dichiarazione congiunta basata sul sessantacinquesimo anniversario della fine della seconda guerra mondiale e la vittoria sul nazi-fascismo.

    Durante la visita di Medvedev in Cina il suo ministro degli esteri Sergei Lavrov ha firmato insieme al suo omologo cinese Yang Jiechi un accordo di cooperazione per la lotta al terrorismo, il separatismo e l’estremismo che dovrebbe soprattutto servire a tenere a bada le minoranze islamiche che vivono nei due Paesi.

    Sempre oggi il ministero russo dell’energia e la Commissione di Stato cinese per lo sviluppo e le riforme hanno firmato un protocollo d’intesa per l’utilizzo delle fonti di energia rinnovabile e il direttore dell’agenzia per l’energia atomica russa (Rosatom) Sergei Kirienko ha firmato con la China national nuclear corporation (Cnnc) un accordo di cooperazione strategica sul nucleare civile. L’agenzia federale per la pesca e l’agricoltura della Russia e il ministero cinese dell’agricoltura hanno approvato un protocollo d’intesa per la prevenzione dello sfruttamento illegale e incontrollato di risorse marine.

    Gli accordi includono un protocollo d’intesa sul carbone e una lettera d’intenti tra la China North industries corporation e Rusal, il più grande produttore di alluminio del mondo, un accordo per la progettazione della terza e quarta unità produttiva dell’impianto nucleare di Tianwan, a Lianyungang, nella provincia cinese orientale di Jiangsu, altri accordi energetici e un accordo finanziario tra la Banca industriale e commerciale della Cina e la Vtb Bank russa.

    Hu Jintao ha detto visibilmente soddisfatto: «Questa visita costituisce il più grande evento di quest’anno nelle relazioni sino-russe. La visita di Medvedev permetterà di approfondire gli scambi strategici bilaterali e la cooperazione efficace in tutti i settori e giocherà un ruolo importante nella promozione di una solida crescita di queste relazioni bilaterali».

    Medvedev ha risposto che «I contatti frequenti tra i dirigenti dei due Paesi sono favorevoli agli interessi dei popoli ed alle relazioni bilaterali». Che il legame tra lo Stato-mercato-energetico russo e la fabbrica del mondo cinese sia sempre più stretto lo spiegano bene i 5 incontri avuti da Medvedev e Hu nel solo 2010 e la dozzina di documenti firmati a Pechino, ma soprattutto l’inaugurazione dell’oleodotto sino-russo. «Questi documenti - ha detto Medvedev - dimostrano bene che esiste una cooperazione ed un coordinamento stretto tra i due Paesi», uno degli incubi statunitensi (e giapponesi) si avvera.

    Secondo il ministro russo dell’energia, Igor Stchin, Russia e Cina sarebbero vicine anche ad un accordo sul gas: «Speriamo di poter firmare i contratti commerciali entro la metà dell’anno prossimo», ha detto ai giornalisti russi che seguono Medvedev nella sua visita di tre giorni in Cina.

    Il direttore di Rosatom Sergei Kirienko ha invece annunciato che la Russia ha proposto alla Cina di sfruttare insieme tre giacimenti di uranio sul suo territorio: «I nostri partner cinesi hanno manifestato un grande interesse per la cooperazione nella produzione di uranio. Noi gli abbiamo proposto di estrarre l’uranio in tre campi russi e abbiamo fornito loro dei dossier appropriati. La parte russa è pronta ad esaminare le proposte per altri giacimenti di uranio. La Russia potrebbe creare una joint venture con la Cina o attrarre investimenti cinesi in questi progetti di estrazione. I cinesi sono anche interessati a cooperare con la Russia nella produzione di uranio in Paesi terzi. E’ possibile, abbiamo soprattutto discusso dei Paesi africani».

    Il supermarket nucleare russo apre le porte al mercato nucleare cinese che è diventato il più grande del mondo e ci mette il carico dei giacimenti africani, sfruttando così la penetrazione commerciale in Africa di Pechino che sembra non avere più limiti.

    Ma secondo Lavrov gli investitori cinesi vorrebbero anche partecipare alla realizzazione di Skolkovo, la città dell’innovazione ribattezzata la “Silicon Valley russa”. «Il presidente cinese - ha detto il ministro - si è complimentato per il nostro progetto di creazione della città innovativa di Skolkovo. Secondo lui, gli investitori mostrano altrettanto interesse per il progetto». Il centro di Skolkovo è stato voluto da Medvedev come progetto pilota della modernizzazione della Russia e prevede di mettere insieme le ultime conquiste in materia di urbanizzazione, efficienza energetica e gli ultimi ritrovati nei settori delle tecnologie nucleari, spaziali, informatiche, delle telecomunicazioni e della navigazione satellitare. Sembrerebbe una specie di variante putiniana-medveviana delle città della scienza, delle stelle e dell’atomo dell’Unione Sovietica che si sono spesso trasformate in ghetti militarizzati inaccessibili.

  9. #19
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    CINA E RUSSIA: UN'ALLEANZA STRATEGICA SEMPRE PIU' FORTE

    Il presidente cinese Hu Jintao è arrivato a Mosca l’otto maggio per rinnovare e rafforzare i rapporti strategici con Mosca.

    L’incontro tra Hu Jintao e il suo omologo russo Dmitry Medvedev è avvenuto durante le commemorazioni per il 65° anniversario della fine della “Grande Guerra Patriottica Russa” che si riferisce alle battaglie contro la Germania nazista ed ai suoi alleati sul fronte orientale, dal giugno del 1941 al maggio del 1945.

    La visita di Hu è stata anche occasione per rinnovare i rapporti commerciali tra i due Paesi, i cui volumi d scambio nell’ultimo anno mostrano dati positivi: nel primo trimestre dell’anno ha fatto segnare un aumento del 64% e raggiunto i 12 miliardi di dollari. Hu e Medvedev parleranno anche dell’oleodotto di 1030 chilometri che parte da Skovorodino, e arriva a nord-est della città cinese di Daping: secondo le previsioni l’oleodotto sarà completato come previsto entro la fine dell’anno, e tra il 2011 e il 2030 trasporterà 15 milioni di tonnellate di greggio all’anno dalla Russia alla Cina.

    Nel corso dell’incontro tra Hu Jintao e Medvedev è stato riaffermato il valore e l’importanza internazionale della cooperazione e dell’alleanza strategica tra Cina e Russia, mentre sono state poste le premesse per ulteriori controlli commerciali ed energetici tra le due nazioni.

    La positiva interrelazione tra Cina e Russia, creatasi a partire dal 1999, ha ormai assunto un alto valore geopolitico sottolineato espressamente da entrambe le parti. Quando il primo ministro V. Putin ha incontrato a Mosca Xi Jinping, vice presidente cinese, nel marzo del 2010 ha subito annunciato che “la Russia continuerà a prestare alla Cina il suo sostegno su tutte le questioni, compreso il problema di Taiwan. “Abbiamo sempre sostenuto la Cina sulle questioni più sensibili, compreso il problema di Taiwan”, ha dichiarato. “Abbiamo intenzione di continuare a costruire le relazioni con la Cina sulla base del rispetto per i nostri interessi comuni”.

    Boris Gryzlov, presidente della Duna di Stato e presidente del Consiglio Supremo del partito Russia Unita, ha ribadito il sostegno di Putin. “Il governo cinese è l’unico governo legittimo che rappresenta tutta la Cina, e Taiwan è parte integrante della Cina”, ha detto Gryzlov alla seconda conferenza del dialogo interpartito tra Russia Unita e il PCC.

    Il vice presidente cinese, ha risposto sottolineando l’importanza nell’affrontare i problemi globali da una posizione multipolare. “Nel bel mezzo delle profonde trasformazioni dell’ordine economico mondiale, dobbiamo prendere in considerazione gli interessi della Russia, della Cina e dei paesi in via di sviluppo”, Xi Jinping ha sottolineato. “La Cina e la Russia devono sostenere ciò, così come l’istituzione di un mondo multipolare e la democratizzazione delle relazioni internazionali”. Xi ha aggiunto cha la Cina vuole che la Russia “svolga un ruolo importante negli affari internazionali e regionali, cosa che sarebbe in linea con il suo status di grande potenza”.

    Parole chiare. Fatti (politici ed economici) ancora più chiari, sgraditi all’imperialismo statunitense ed al suo attuale mandatario politico, l’amministrazione Obama.

    Fonti: -”Russia Today” ,24 marzo 2010

    Sassone, “Hu Jintao a Mosca”, 5 maggio 2010 in Rinascita.eu - Quotidiano di Sinistra Nazionale

    Quotidiano de Popolo di Pechino, 10 maggio 2010 “Chinese, Russian presidents meet on bilateral cooperation”, in english peopledaily.com.cn


  10. #20
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    EDITORIALE DI CHINA DAILY

    traduzione a cura di Walter Ceccotti


    Fonte: China Daily, 24 ottobre 2010

    Editoriale:

    Alcuni occidentali hanno sempre tentato di promuovere la democrazia in stile occidentale, la libertà e i diritti umani in Cina. Essi formulano suggerimenti di riforma del sistema politico in cui chiedono un sistema multipartitico e un sistema di “check and balances” sui poteri in Cina, che metta in discussione la leadership del Partito Comunista cinese e l’attuale sistema politico socialista del paese. Questi occidentali pensano che il sistema di check and balances sui poteri e la democrazia parlamentare siano quanto di meglio e dovrebbero essere una cosa comune a tutti i paesi.

    La maggior parte dei valori di essi cui si fanno avvocati sono talmente inesistenti al punto tale che nemmeno loro stessi riescono ad attenervisi. Prendiamo ad esempio la teoria della “superiorità dei diritti umani sulla sovranità nazionale”: i paesi occidentali apriranno forse i loro confini per lasciare che gli immigrati dai paesi poveri entrino liberamente e offriranno loro dei posti di lavoro? Il passato leader cinese Deng Xiaoping una volta disse che per due dei maggiori problemi del mondo, la pace e lo sviluppo, non era stata ancora trovata una soluzione. Come mai? Una ragione importante è la mancata democratizzazione delle relazioni internazionali. Hanno forse i paesi sviluppati mai dato ai paesi in via di sviluppo democrazia e libertà trasferendo loro la libertà di parola e il diritto alla discussione? Mai.

    In passato il popolo cinese provò a copiare il sistema politico e la democrazia dei paesi occidentali sul cammino diretto a perseguire la democrazia e la libertà, ma ogni tentativo in tal senso venne fatto a pezzi dalle grandi potenze e dai latifondisti che volevano dare al popolo cinese la sola libertà di essere loro schiavo.

    E’ il partito comunista cinese che ha guidato il popolo cinese a liberare la nazione e a rovesciare l’oppressione da parte dell’imperialismo, del feudalesimo e del capitalismo burocratico. Deng Xiaoping evidenziò l’essenza della democrazia occidentale, dicendo che “la democrazia di una società capitalista è tale solo per i borghesi ed il capitale monopolistico”. Per i paesi svantaggiati e i loro popoli, questa retorica (occidentale) non è altro che una trappola ideologica.

    Per di più, la “separazione dei poteri”non è un sistema condiviso nemmeno per gli stessi paesi capitalisti occidentali. E’ stata la Costituzione americana che per prima ha definito il sistema dei “pesi e contrappesi”. Essa fu sicuramente un progresso all’epoca se confrontata con la monarchia assolutistica o costituzionale dell’Europa.

    Tuttavia, l’obiettivo primario del sistema è quello di confinare i poteri della Camera dei Rappresentanti invece di equilibrare il potere legislativo, quello esecutivo e quello giudiziario.

    I Partiti al governo degli Stati Uniti ritengono che la Camera dei Rappresentanti sia quella più vicina al pubblico in generale, grazie ai rappresentanti della Camera eletti direttamente dal popolo. Perciò i partiti al governo hanno posto il Senato al di sopra della Camera dei Rappresentanti, e utilizzano di conseguenza il potere amministrativo del Presidente degli Stati Uniti per neutralizzare e sopprimere il potere della Camera dei Rappresentanti.

    Inoltre, essi dotano il Chief Justice della Corte suprema il diritto di veto sui provvedimenti della Camera dei Rappresentanti. Il Chief Justice viene nominato dal Presidente ed ha carica vitalizia. I Senatori rimangono in carica per sei anni mentre i membri della Camera dei Rappresentanti solo per due. Come può tale sistema dei “pesi e contrappesi” che sopprime e confina i poteri dei rappresentanti del popolo essere perseguito come modello di democrazia?

    Le precondizioni alla formazione dei modelli politici occidentali furono entrambi vergognosi e non replicabili.

    Per prima cosa, lo sviluppo dei paesi occidentali si basò sul più grande e orribile sistema di furto e saccheggio di ricchezza della storia dell’umanità su larga scala e a lungo termine. Secondo dati forniti da studiosi occidentali, 30 milioni di indiani vennero uccisi nell’arco di 500 anni; i continenti Sud e Nord-americani ricchi di risorse vennero occupati e 50 milioni di schiavi neri vennero venduti e deportati fino al continente americano per fornire lavoro non pagato.

    Secondo, nell’attuale sistema globale di produzione e distribuzione, i paesi sviluppati occidentali agguantano la più grande fetta di profitti e il loro sviluppo è basato sullo sfruttamento dei paesi del terzo mondo. Se si rimuovesse questa base di ricchezza, per il cosiddetto sistema di voto multipartitico sarebbe difficile esistere.

    Fino ad oggi, i paesi del terzo mondo che hanno copiato i sistemi democratici occidentali sono stati sostanzialmente privi di successo. Un’importante ragione è stata la mancanza di una base di ricchezza. Se vi sono grandi conflitti di interesse in una società pluralistica, il voto sarà invalidato e la violenza diverrà la norma.

    Per ridure i conflitti di interesse, ci si appoggerà su costosi sistemi di welfare basati sui trasferimenti statali. Tuttavia, la base di questi sistemi sono le immense risorse e ricchezze sfruttate globalmente. Se la base viene rimossa, la cosiddetta democrazia occidentale e la società civile così ben funzionante collasseranno. Per esempio, nel 2005, tumulti si sono verificati a Parigi e parecchie altre grandi città in Francia. Più di 400 auto sono state distrutte durante la notte. La ragione principale è che un grande numero di Arabi immigrati, specialmente giovani, hanno trovato difficile trovare lavoro dopo che si erano trasferiti in Francia. E sono divenuti insoddisfatti verso la società.

    La più profonda e più diretta ragione di ciò è la ricchezza, poiché il sistema di welfare francese non è in grado di coprire tutti gli immigrati.

    Osserviamo un altro esempio: nell’agosto del 2005, dopo che un uragano ha colpito la parte sudoccidentale, quella più povera, dello stato della Luisiana e a città di New Orleans, in quelle aree si sono verificati su larga scala sciacallaggi armati e stupri.

    In seguito l’esercito giunto per aiutare le vittime dell’uragano ha dovuto condurre veicoli blindati in queste regioni disastrate, e pesantemente armati. Questo scenario non si verificherà mai nella Cina socialista. I soldati dell’esercito cinese sono arrivati nelle regioni colpite da disastri solo con materiale di aiuto alla popolazione e per le necessità basilari. Quando la gente ha visto l’Esercito di Liberazione del Popolo, sembrava che avessero visto il salvatore. Ma l’esercito americano è arrivato nelle aree disastrate con le armi, e i suoi elicotteri sono stati fatti oggetto di bersagliamenti.

    Ci sono stati solo più di dieci paesi occidentali sviluppati dal XVIII secolo in poi. Con una popolazione di non più di un miliardo di persone, questo blocco comprende solamente un ottavo-settimo del totale del mondo. Tuttavia, questo numero ha toccato il limite di tolleranza del Pianeta a causa dello stile di vita rapace nel “club dei ricchi”, uno stile di vita che non dovrebbe essere imitato. Ad esempio, il consumo di petrolio pro capite degli Stati Uniti è più di dieci volte di quello della Cina.

    Negli Stati Uniti, ogni 1.2-1.3 persone possiede in media un’auto. Se fosse lo stesso caso in Cina, il numero di auto del paese arriverebbe a 1.6 miliardi e causerebbe sicuramente la devastazione dell’ambiente. E’ molto ipocrita per il mondo occidentale predicare istericamente la cosiddetta libertà, democrazia, diritti umani e costituzionalismo mentre esso consuma sfarzosamente le risorse del mondo e punta il dito contro il governo cinese.

    Un commento del passato leader Deng Xiaoping su questo tema dà da pensare. Deng evidenziò che l’essenza di questi problemi è che il mondo occidentale vuole rovesciare la Repubblica del Popolo cinese ed il Partito comunista e costruire un paese capitalista fantoccio. La verità parla più ad alta voce delle parole.

    Se la Cina copia il loro idealismo, come il costituzionalimo e i valori, il paese affronterà il malcontento popolare e perfino il pericolo del separatismo etnico.

    Guardate cosa gli “attivisti della pace”hanno fatto. La cricca del Dalai lama ha pianificato gravi atti di violenza comprendenti il pestaggio, la distruzione di beni, il saccheggio e gli incendi a Lhasa, capitale della regione autonoma del Tibet, il 14 marzo 2008.

    Incitati e supportati dal “Congresso Uiguro Mondiale”, guidato da Rebiya Kadeer, un gruppo di separatisti ha progettato e messo in pratica gravi violenze che hanno lasciato sul terreno 197 vittime e ferito più di 1.700 persone nella città di Urumqi, nella regione autonoma del Xinjiang il 5 luglio del 2009.

    Questi fatti raccapriccianti ci dicono che la Cina sarebbe nel caos se implementasse sistemi multi partitici o federali. La “democrazia, libertà e diritti umani” che il mondo occidentale sta chiedendo non sono affatto volti ad emancipare il popolo lavoratore dall’oppressione e dallo sfruttamento. Alcuni paesi si sono trovati intrappolati nel malcontento sociale e in disastri politici dopo aver copiato il modello democratico occidentale. C’è un vecchio proverbio cinese che dice “travasare l’arancio in una terra non adatta porterà al deterioramento delle specie di arance”. Ciò è quello che accade con un paese se esso copia un modello politico non adatto.

    Senza dubbio, noi riconosciamo e trarremo delle lezioni da tutti i risultati del genere umano, incluse le utili esperienze occidentali. Tuttavia, in alcun modo noi dovremmo copiare il modello occidentale “dal naso al dito”. Data l’attuale instabile situazione internazionale e il deterioramento della crisi finanziaria, il sistema socialista ha mostrato i suoi vantaggi nel mettere in comune gli sforzi a vantaggio dei maggiori impegni assunti. Se noi semplicemente seguissimo i modelli occidentali, perderemmo la base ideologica condivisa e il forte nucleo di direzione. Ed in questo caso l’intero paese cadrebbe e la rinascita della nazione cinese diventerebbe una missione impossibile.

    Noi abbiamo visto innumerevoli eroi e lavoratori modello da tutti i campi della vita come Ren Changxia, Wang Ying, Tang Dong, e Guo Mingyi. Ci sono anche molti soldati dell’Esercito di Liberazione del Popolo che rischiano le loro vite nelle operazioni di aiuto in caso di piene e di salvataggio in caso di terremoti. Quale credo li spinge? La risposta è lo spirito di servire il popolo. Questo solamente è l’anima delle politiche democratiche socialiste e i valori che il nostro popolo cinese segue.

    E’certamente molto difficile per gente come “Runner Fan” e Liu Xiaobo comprendere questi veri valori. Con tali valori, la Cina ha sconfitto vari invasori, prodotto la bomba atomica e la bomba H, e lanciato il suo primo satellite. Con questo spirito, la Cina ha potuto superare anche piaghe, piene, terremoti e disastri dovuti ad ondate di gelo.

    Il popolo cinese ha compiuto le proprie scelte sui percorsi politici e non ha bisogno di alcuna lezione dall’estero. E’ facile capire che la Cina non avrebbe visto la liberazione e lo sviluppo senza la democrazia cinese e lo spirito nazionale comune. Il pacifico ed amichevole popolo cinese sta producendo dei contributi per il mondo a modo suo.

    La Cina non esporterà la rivoluzione, la fame o la povertà. La Cina non interferirà con gli affari interni degli altri paesi. La Cina è la forza reale che difende la pace mondiale.

    Tuttavia, i nemici del popolo cinese tendono a chiudere gli occhi di fronte a tutti questi fatti.

    Il popolo cinese direbbe di no ad ogni nonsenso come l’affermazione che “la Cina ha bisogno di essere colonizzata per altri 300 anni”. Come il passato leader cinese Deng Xiaoping disse, “si tratta solo di rafforzare il regime del popolo attraverso l’uso del potere della dittatura democratica del popolo”, e “questa è la comune aspirazione del nostro popolo cinese”.

    La strada della Cina fu una nuova strada di indipendenza, duro lavoro, e autostima costruita da milioni del suo popolo con il proprio sangue e le proprie vite. Liu Xiaobo, che è auto-ossessionato con l’idea di diventare un cosiddetto “nuovo potere politico” vendendo astratte teorie prive di significato e attraverso il gergo politico assistito dall’Occidente, verrà alla fine gettato nella spazzatura dal popolo.

    La storia ha dimostrato che la strada politica scelta dal popolo cinese è la via che nel lungo periodo può portare felicità e benessere, che può prevenire la Cina dall’essere divisa e proteggerla dalle frequenti guerre. La Cina guidata dal Partito Comunista cinese è un paese in cui il popolo è divenuto padrone di se stesso.

    Chiunque ami la Cina, abbia una profonda solidarietà con la sua gente e si preoccupi per il suo futuro dovrebbe essere responsabile e realizzare che la Cina deve aderire alle sua politica democratica socialista con caratteristiche cinesi, invece di prendere ad esempio il modello occidentale. Il modello cinese si è dimostrato più adatto allo sviluppo democratico della Cina.

    Traduzione dall

 

 
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