di Adolfo Omodeo – Da «Critica», 1939, p. 293; ristampato in “Figure e passioni del Risorgimento”, Milano 1945, p. 164; poi in “Difesa del Risorgimento”, Einaudi, Torino 1955, pp. 470-471. [Recensione a Emilia Morelli, “Mazzini in Inghilterra”, Le Monnier, Firenze 1938].


Il merito del volumetto di Emilia Morelli, che ricostruisce il periodo inglese della vita mazziniana, non è tanto negli elementi nuovi che arreca (un manipolo di lettere del Mazzini, un discorso di lui alla società operaia e copiosi brani della stampa inglese dell’epoca, accuratamente spogliata per ciò che riguarda l’agitatore ligure), quanto nella precisione e nettezza di contorno. Certamente, la vita del Mazzini in Inghilterra ci era nota, molti dei biografi di lui ce l’avevano narrata, anche con copiosi particolari, ma restava sempre un po’annebbiata ai nostri occhi. Si stentava a renderci conto dell’urto e della conciliazione dello spirito continentale del Mazzini, formatosi alla scuola del liberalismo della restaurazione francese e del democraticismo del periodo di Luigi Filippo e della libera Svizzera, col particolarismo insulare degli Inglesi. La Morelli, che ben conosce l’Inghilterra (ciò, anzi, nuoce in qualche punto all’espressione italiana), compie molto bene la funzione di interprete per l’uno e per l’altro aspetto, e la vicenda riesce assai nitida e precisa. L’universalismo mazziniano non è inteso in un primo momento dagli uomini inglesi della politica e della cultura e, di questa incomprensione, è documento l’ironia di Thomas Carlyle; in un secondo tempo, esso trova seguaci e propugnatori ardentissimi, quando il Mazzini entra in rapporto con circoli non conformisti in religioni e radicali in politica. In realtà, il Mazzini fu soprattutto sentito in Inghilterra come propugnatore di un’idea religiosa: di una di quelle idee che, attraverso moti di opinione pubblica, arrivano ad imporsi alla politica e ai parlamentari. E la conquista del gruppo dei seguaci inglesi fu essenziale per la formazione del partito d’azione. Molto acuta è l’interpretazione che la Morelli dà delle relazioni della Jane Carlyle col Mazzini e del dissiparsi di quel quasi idillio. È una decifrazione profondamente e finemente muliebre. Al pieno prorompere dell’amore, è d’ostacolo non solo il rispetto che il Mazzini intendeva usare alla moglie dell’amico, ma la stessa preponderanza dell’interesse politico in lui. Quando l’amicizia con la famiglia Ashurst dischiude al Mazzini una possibilità d’azione ben più vasta di quella che gli consentiva l’amicizia puramente individuale del Carlyle, egli vi si abbandona con trasporto: allora, il sentimento amoroso della Jane ne rimane ferito d’una gelosia che si rivolge non tanto e non solo contro la famiglia Ashurst e le sue numerose donne, ma anche contro lo stesso ideale mazziniano che la Jane aveva difeso dalle irrisioni del marito. E la Carlyle divenne ingiusta verso il Mazzini, dicendo di lui nel ’54:

Il suo carattere, che era generoso ed altruista, era rovinato da uno spirito intrigante. Cercava sempre il vantaggio che poteva trarre da ogni avvenimento… vantaggio per la sua causa, ma con metodi che un uomo tale dovrebbe disdegnare… Era certamente serio e dignitoso, ma alle volte esprimeva sentimentalismi triviali, con quell’aria di gravità e dignità, in maniera intensamente comica.


Qui bisogna riconoscere che il disincantamento della Carlyle, anche se muove da una delusione sentimentale, si compiva secondo la linea comune a tutti coloro che si distaccavano dal Mazzini: sperimentavano come l’uscita da un fascino che aveva alterato in loro la visione della realtà ed avevano il fastidio e il terrore di quel fascino, come ho avuto occasione di determinare anni or sono. Senonché la loro repugnanza non dev’essere accettata come giudizio storico, ma come misura dell’efficacia dell’azione mazziniana.

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