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    Predefinito Nazionalbolscevismo

    Lo spazio politico della resistenza tedesca (Ernst Niekisch)

    In questo saggio del 1931, Ernst Niekisch indica il compito della resistenza all'occupazione occidentale della germania. Sono evidenti le incredibili similitudini fra la Germania di Weimar (sotto il controllo di Versailles) e l’Europa di oggi, sottoposta alla gestione delle istituzioni EU e alla Nato. Allo stesso modo incredibili sono le similitudini con la nostra attuale società: la borghesia liberale non riesce più a rispettare le sue promesse di ricchezza, oggi come ieri. Doveva darci ricchezza, non crea altro che povertà e malessere. Quello che oggi non sta succedendo (almeno in apparenza...), a differenza di ieri, è la nascita e l'affermarsi di opposizioni alla società borghese morente: ma ecco qui un altro motivo di grande interesse per leggere Niekisch; si fa un gran parlare oggi di "rossobruni" e "nazbol", spesso per infangare queste posizioni e collegarle al nazismo o al comunismo. Ma ecco che un grande politico "rossobruno" come Niekisch critica aspramente i Partiti Partiti comunista e nazionalsocialista, indicando come non fanno altro che perpetuare i valori borghesi. Diverso è invece l'approccio realista che va seguito: La Russia sovietica è il bastione contro Versailles, quindi contro l'occidente. La Germania per resistere deve allearsi con la Russia e deve carezzare la forza tattica del socialismo. Lo stesso Lenin ha basato la sua idea sulla forza nazionale russa. Continuiamo a stupirci su come un autore della rivoluzione conservatrice come Niekisch riesca a parlarci e indicarci la giusta postura da tenere cento anni dopo.

    *

    Dal 1918, in Germania, si è andati verso un punto in cui i bisogni vitali dello Stato si trovano in totale incompatibilità con quelli della società borghese, un punto in cui è divenuto necessario a tutti i costi decidersi per lo Stato o per la società borghese. Da allora non si può essere che borghesi o tedeschi. Essere un borghese tedesco equivale ad incarnare una contraddizione insolubile. Applicare una politica borghese e tedesca non è oggettivamente possibile. Necessariamente, essa risulterà sempre un tradimento nei confronti della Germania da parte della borghesia. Per ragioni di autoconservazione, la borghesia tedesca deve diventare “paneuropea”; per poter continuare ad esistere, deve integrare la Germania nella Pan-Europa. La società borghese, la cultura occidentale, la situazione creata da Versailles sono, dal 1918, aspetti diversi di una stessa realtà. Ma il vero senso di questa realtà è la sottomissione della Germania e l'estorsione di tributi imposti al popolo tedesco. Una politica tedesca, volendo soddisfare i bisogni vitali del Paese, non può che essere antiborghese, anticapitalista e antioccidentale. Se non lo sarà, inevitabilmente ricadrà sempre negli interessi della Francia.

    La società borghese ha prodotto un tipo di uomo a sua perfetta immagine e somiglianza. È la "personalità liberale" che è tratta interamente dall'economia e occupa posti chiave nell'industria, nel commercio e nella finanza. L'economia è il suo destino sotto ogni punto di vista, ed egli intende la politica esclusivamente in funzione dell'economia. Il suo benessere, la percezione che ha della propria importanza, la sua posizione sociale sono indissolubilmente legati alle tendenze economiche. Così tutto il suo campo visivo è occupato dall'economia, di quella che gli appare come la causa prima di tutto ciò che accade, come il centro della sua esistenza. Infine, anche il suo rapporto con la natura è distorto. La considera come una riserva di energia che deve sfruttare in modo razionale, sviluppandola con il fine di ottenerne un buon ricavo. È distaccato da tutto ciò che è elementare. Per lui questa non è una forza oscura che procede irresistibilmente, ma una fonte di energia dalla quale può trarre profitto. Egli concepisce il sentimento nazionale nello stesso modo. Freddamente calcolatore, strappa il velo della nazionalità e non prova alcuna emozione. Riconosce l'utilità di far credere che tali interessi economici costituiscano "i bisogni vitali della Nazione". Si entusiasma per la flotta che alimenta la domanda di piastre schermanti in acciaio, e la guerra è una buona occasione per realizzare i suoi interessi. La personalità liberale diventa l'artefice di questo scandaloso abuso che ha contaminato il Reich caduto e ha distolto i lavoratori tedeschi dall'idea di Stato: questo abuso che consiste nell'invocare l'interesse nazionale quando la sete di guadagno e la volontà di sfruttamento permette loro di saccheggiare in sicurezza. L'attuazione di un complotto egoistico, sotto forma di "affari nazionali", è stata una bestemmia che ha distrutto l'innocenza del sentimento nazionale. Di questi tempi, quando si alza un'ondata nazionalista, cerchiamo istintivamente il borghese liberale che c'è dietro e che aspetta l'occasione per arricchirsi.

    Cos'è il Nazional bolscevismo: ecco il suo manifesto
    Il Manifesto Nazbol,
    pubblicato da noialtri

    La personalità liberale costituisce il rappresentante più tipico della società borghese. Ma per poter esistere, deve incorporare e orientare l'accettazione della sua scala di valori a tutti quegli strati della società che non possono farne parte senza certe riserve. Il contadino, l'intellettuale, l'aristocratico, il soldato, l'impiegato dipendente e l'operaio non del tutto proletarizzato non possono fargli eco nel corpo e nell'anima. Mai costoro sono stati così esclusivamente dipendenti da fattori economici, a differenza della personalità liberale. Difendono ancora una posizione particolare che non è determinata dal denaro e dalla ricchezza. Hanno un orientamento borghese, senza essere intimamente borghesi. Si sono adattati alla società borghese solo per conservare dentro di sé elementi non borghesi. Vedono il mondo attraverso le lenti della borghesia, ma non possono ancora rimuovere tali lenti e costruirsi un'altra immagine del mondo. Il contadino rimane attaccato ai suoi campi e al ritmo della natura, anche se ha imparato i segreti della gestione dei conti. L'intellettuale ha protestato in cuor suo contro il fatto che la forza delle sue riflessioni e l'abbondanza della sua immaginazione vengano sottoposte alla legge della domanda e dell'offerta sul mercato pubblico. Certo, lo Junker e il soldato si sono adattati a questa società, ma hanno compensato ciò con il disprezzo nei confronti di quello a cui non potevano più opporsi. Il dipendente si è rifiutato di accettare che il suo valore sociale potesse dipendere oggettivamente dalla sua posizione. Con le sue idee romantiche, egli si è distinto per la dignità del suo rango. Avvolgendosi nel culto di un bel passato, ha superato la dolorosa umiliazione che il presente gli ha inflitto. L'operaio non proletario, infine, ha cercato di acquisire una coscienza del proprio valore particolare e personale, rimanendo attaccato alle tradizioni religiose e patriottiche.

    La società borghese ha pressato per facilitare il compromesso con queste classi sociali la cui essenza le risultava estranea. Nei riguardi del contadino ha osservato un atteggiamento prudente e discreto. Le concessioni che ha fatto alle sue particolari regole di vita sono state sorprendentemente clementi. Ha prestato attenzione a ciò che vi ha trovato dal punto di vista economico. Ha persuaso l'intellettuale proclamando pubblicamente "l'uguaglianza nei diritti di istruzione e di proprietà". Ha impedito a qualsiasi studente squattrinato di utilizzare la nobiltà del suo spirito contro la quota dei profitti del direttore generale. Con generosità, ha posto l'istruzione, questa “provvigione” di conoscenza, oltre il possesso di proprietà, la possessione di beni materiali. Ha lusingato l'aristocratico e il soldato facendo del loro modo di vivere un modello e pagandoli bene per stringere accordi matrimoniali con loro. Non ha infastidito il dipendente, dedito ai suoi hobby di mezza età. Se durante le ore di lavoro si comporta da proletario buono e docile, ha il diritto di procurarsi qualche compenso nella libertà virile delle fantasie di sodalizio. Ha cercato di comprare il lavoratore “non marxista”, senza rendersi pienamente conto della situazione, tramite le comunità di lavoro e le istituzioni sociali.

    La società borghese ha potuto irretire queste classi sociali assicurando loro entrate sufficienti. Coloro che hanno saputo adattarsi, sono rimasti liberi dal bisogno. L’opposizione ha dovuto difendersi dalla pena di morte per fame, mezzo per rendere docili i più recalcitranti.

    È vero che in Germania la società borghese ha rivelato nel tempo la sua impotenza in un ambito in cui avrebbe dovuto avere forza suggestiva e che sarebbe stata la vera portatrice della sua esistenza: dopo il 1918, si è mostrata incapace di assicurare alle masse il loro lavoro e il loro pane quotidiano. I suoi miracoli economici sono serviti da mezzo di corruzione. In questo momento rimane in debito con i miracoli. La sua magia è svanita; abbiamo scoperto che ciò che voleva che accadesse era una menzogna a fronte della verità. Facendo dell'economia il motore dell'universo, il suo mondo ha perso di senso, poiché l'economia non funzionava più.

    Ha dato motivo di dubitarne proprio a queste classi sociali che, in fondo al cuore, non vi avevano mai preso parte. Così non ha saputo impedire che i contadini venissero cacciati dalle loro terre. Ha abbandonato completamente l'intellettuale. Agli uomini d'onore, al soldato in particolare, ha inflitto una vergogna senza eguali. Anche l'operaio, non impegnato nella lotta di classe, è stato consegnato alla disperazione. Essa è divenuta la nemesi e la maledizione di tutti quegli uomini. Il fatto che continuasse a esistere, ha rovinato quelli a cui si era appellata. Non disponeva più delle riserve che le consentivano di distribuire elemosine a coloro la cui riluttanza doveva sopportare al riguardo. I princìpi sui quali si reggeva la società borghese sono serviti improvvisamente a giustificare la rovina di coloro di cui, fino ad oggi, essa si era conquistata la fiducia tramite promesse di vantaggi economici. Ovunque ha diffuso angoscia e miseria dove ci si attendeva invece benessere e progresso. Chi non era, in cuor suo, borghese, non ha avuto più motivo di difendere la società borghese. Essa non riusciva più a convincere nessuno della sua missione e appariva invece come un inganno e un'organizzazione fraudolenta. Il fascino che esercitavano i valori e i modi di vita borghesi è stato spezzato. L’essenza fondamentale, la voce dello spirito etnico, gli istinti basilari, che per tanto tempo sono stati sacrificati alla disciplina della vita borghese, hanno ritrovato la loro voce. Bisogna porsi la questione dell'essere o non essere e capire subito che l'essere è incompatibile con il mantenimento della società borghese.

    Lo abbiamo percepito profondamente dopo aver trascurato il fatto che la società borghese era divenuta un'istituzione e una misura di sicurezza per il mondo di Versailles, questo mondo che è in opposizione fondamentale alla rivendicazione del diritto alla vita della Germania. Laddove si discute di questa rivendicazione, d'ora in poi sarà necessario organizzare la rivolta contro la società borghese. Se l'economia borghese e capitalista vuole costringere la Germania a dissolversi in Pan-Europa, la Germania deve reagire con sangue e fuoco a questa società per la quale l'economia rappresenta il destino.

    tshirt nazbol, niekisch, wiederstand

    La società borghese, che deve giustificarsi con i successi economici, ha perso il suo potere sui contadini, sull'intellighenzia, sui soldati, sugli impiegati e sugli operai quando con la firma del Trattato di Versailles li ha gettati nella miseria. Da questo fatto è scaturito in loro, e solo in loro, un nuovo impulso, naturale e tedesco. Da allora sono rimaste solo poche migliaia di capitani d'industria, banchieri, amministratori e giornalisti venduti la cui precaria esistenza è tesa, per ragioni interne, a mantenere la società borghese. Al di fuori di essi, questa società non può resistere che, tutt'al più, per l’abitudine e la legge d'inerzia. Ma niente le permetterà di rimanere per sempre. Il declino dell'Occidente di Spengler è la profezia del crollo della società borghese. E il suo libretto L’uomo e la tecnica si rivolge alla stessa società dandole il cortese consiglio di morire con dignità.

    I processi di distacco interiore di queste classi sociali, trascurate dalla società borghese, si riflettono nella storia dell'evoluzione del movimento nazionalsocialista. Il Nazionalsocialismo era questa forma sotto la quale si sono espressi i primi sentimenti oscuri di queste classi che non partecipavano veramente alla società borghese. Dal movimento nazionalsocialista hanno preso coscienza della loro particolarità non borghese. Non erano ancora in grado di formulare ciò da cui volevano essere guidati. Non è quindi un caso se il loro programma sociale sia rimasto impreciso, nebuloso e confuso. Hanno professato il socialismo senza che quella dichiarazione avesse un contenuto concreto. Era solo l'espressione enfatica del loro desiderio di tenere a bada l'ordine borghese.

    Il loro ardore nazionalista è stato l'irruzione di un'originalità fondamentale. La volontà nazionale di vita che, a ragione, si sentiva minacciata dall'esecuzione politica dei trattati, guidati da un’ottica borghese, veniva affrontata con veemenza. Questa si è risvegliata quando l'uomo ha preso coscienza di tutta la gravità della situazione e dell'impossibilità di uscire dalla sua miseria individuale. All'improvviso ha capito che questa miseria toccava anche le basi dell'esistenza nazionale.

    È vero che il sentimento, l'orientamento e le forze motrici di questo movimento antiborghese non corrispondevano all'organizzazione da esso poi formata, non corrispondevano più alle tendenze e agli obiettivi del "Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori".

    Il Partito non è diventato lo strumento di una volontà antiborghese. Non l'ha più rafforzata e non ha seguito le sue vie. Al contrario, in seguito ha preso posizioni per indebolirla, paralizzarla e deviarla dal suo cammino. Prima la ha incanalata per domarne la veemenza, e poi per lasciarla impantanare. La rendeva inoffensiva, diventava solo un semplice appello alla coscienza della società borghese, volendo, di fatto, impedire una rottura con la borghesia. Da lì, si è trasformato improvvisamente in un'associazione per il salvataggio della società borghese. Ha avuto l'effetto di una misura che doveva imbrigliare gli istinti antiborghesi per poterli poi dominare più saldamente. È una misura che ha fatto tutte le sue prove. Da sempre la Chiesa cattolica è stata usata per rendere inoffensivi i movimenti insurrezionalisti. Il Partito Nazionalsocialista è diventato lo strumento che consente alla società borghese di applicare la stessa tattica. L'abbandono di alcuni punti socialisti, scritti nel programma, gli accordi con l'industria pesante, la tendenza a fare coalizioni con i partiti di destra, l'assicurazione di una legalità ininterrotta, l'impegno preso nei confronti della cultura occidentale sono segni che indicano chiaramente come il Partito si senta in obbligo verso l'Occidente.

    In Hitler il sentimento della vita borghese ha perso la sua naturale sicurezza. Nella misura in cui rappresenta la società borghese, la incarna solo nella sua estrema angoscia, nell'isteria della sua paura della morte, e nella ferocia della sua disperata difesa. Era quindi inevitabile che l'infamia borghese si amplificasse in lui fino a diventare grottesca, volendo mettere le ruggenti flottiglie dei più autentici sentimenti nazionali al ripugnante servizio dell'egoismo “privato” e borghese. L'alleanza che Hitler ha concluso con i direttori generali dell'industria pesante dell'Occidente è un simbolo terrificante: ancora una volta, abbiamo venduto il fervore tedesco per usarlo come rinforzo delle speculazioni importune e dei tentativi scellerati degli uomini d'affari borghesi.

    Quando queste classi sociali emarginate si sono rese conto della truffa di cui, ancora una volta, sono state vittime, l'adesione al Partito Comunista è apparsa loro come l'unica soluzione. Se le idee nazionaliste fossero davvero solo l'esca che i reazionari usano per attirare gli imbecilli, se il sentimento nazionale è solo un'ebbrezza passeggera, che fa bene ai freddi calcolatori egoisti, allora, per amor proprio, non si dovrebbe rifiutare per sempre di cadere nella trappola del movimento nazionalista? Non è idiota continuare a considerare l'“internazionalismo” qualcosa di sconcertante?

    Tuttavia, non c'è dubbio che queste classi sociali si sentano apolidi a prescindere dal Partito Comunista. Vista la caratteristica particolare del Partito, come potrebbe essere altro?

    Certamente il proletariato delle grandi città industriali è allo stesso modo un prodotto del mondo borghese. La borghesia ha tagliato il legame tra il lavoratore e la natura, i mezzi di produzione, la sicurezza della proprietà. Lo ha obbligato a vedere il suo unico significato nel fatto di essere venduto alla "forza lavoro" e di essere usato come tale. Gli ha inculcato che non vi è nulla al di fuori dei processi economici e che la sua intera esistenza è governata da congiunture economiche. Se, a poco a poco, l'operaio inizia a pensare solo in termini economici, viene messo a disposizione della stessa società borghese. Non è stato Marx a spingerlo lì. In fondo, Marx ha solo spiegato le leggi che regolano l'economia capitalista e le ha impresse nella mente dell'operaio, non permettendo più che la sua comprensione ne venisse offuscata. Marx, con molto rigore scientifico, ha dimostrato che le forze profonde, che muovono la società borghese, derivano esclusivamente dall'ordine economico e che la sua concezione del mondo è tutta fondata su un modo di pensare in termini economici e calcolabili. Ha incoraggiato gli operai ad appropriarsi, con mente calma, delle stesse forze e delle stesse concezioni. La fonte del pensiero materialista si trova nella società borghese. Il marxismo è la cinica rivelazione del segreto più profondo della borghesia. È una spietata esplorazione della coscienza borghese. E ostacola questa società, non perché sia in opposizione con essa, ma perché vede attraverso di essa. Il borghese che ingiuria l'operaio, perché egli pensa solo al suo stipendio e al suo contratto, è inconsapevole e ignorante oppure un terribile ipocrita. La differenza tra il borghese e il proletario è semplice da capire: uno è un beneficiario della società borghese e l'altro deve pagarne tutti i costi.

    tshirt nazbol, niekisch, wiederstandFino al 1918, l'opposizione “marxista” è stata solo una lotta all'interno del sistema capitalista. Seguendo l'adagio “vivi e lascia vivere”, si è cercato un compromesso che permettesse di assicurare il profitto alla borghesia e che impedisse al proletariato di perdere ogni speranza. La socialdemocrazia e i sindacati hanno adempiuto alla loro funzione impedendo alla pressione del proletariato di superare i limiti oltre i quali un'esplosione sociale sarebbe stata inevitabile. In questo senso, sono stati valvole di sicurezza della società borghese.

    Il proletariato era, a questo punto, un prodotto della società borghese divenuto finalmente disvelatore delle vere tendenze di questa società. Rappresentava concretamente dove essa ci avrebbe dovuto condurre. Proprio perché aveva un'ombra, all’interno di essa si intensificavano gli impulsi più cupi, le conseguenze velate, l'istinto profondo nascosto, la legge più segreta di questa società. La sua esistenza sradicata simboleggiava e anticipava tutta la miseria dello stato finale della società borghese: la sua mancanza di legami con la natura, il suo materialismo ottuso, il suo razionalismo senz'anima, la sua natura occidentale, il suo pacifismo, la sua pantomima paneuropea, il suo consumo nazionale. Il proletariato socialdemocratico che ha fatto un'astrazione di ogni tradimento, ed è prossimo a riconciliarsi con la Francia, è solo una rivelazione che affretta le intenzioni più segrete della società borghese. L'operaio “marxista” pronuncia già oggi quello che direbbe domani il suo capo.

    La socialdemocrazia è parte della società borghese tanto quanto i nazionalsocialisti. Anche essa “salva”, ma funziona su un altro livello. Mentre Hitler raccoglie chi è dissidente ai borghesi, il socialdemocratico cerca di imbrigliare gli uomini segnati dal ferro rovente, gravati dai colpi del destino, questi uomini il cui sangue e sudore sono stati usati per costruire la società borghese.

    Quando nel 1918 la società borghese si è trovata in difficoltà e non ha potuto più permettersi il denaro necessario per placare il proletariato, gran parte dei lavoratori tedeschi è sfuggito al potere addomesticante della socialdemocrazia. Erano annientate tutte le speranze del proletariato, che voleva proseguire nella sua perdita. Le sue riserve di sostanza umano e nazionale sono state distrutte tra le mura delle grandi città. Dall'istante in cui ha perso le basi della sua esistenza, è rimasto solo il risentimento sociale, nella volontà di contrattaccare e mettere in atto un'ultima difesa. L'ira insensata della sua volontà di distruzione l'ha spinto fino alla negazione assoluta della società borghese. La sua insurrezione si è impantanata nel dominio socio-economico, incapace di acquisire una forza di attacco politico. Così ha espiato il peccato di essere stato il prodotto di questa società. Perché non porta avanti in alcun modo una vera politica. Una politica che si orienti principalmente in funzione di criteri economici è sempre rimasta una “politica amatoriale, dilettantesca” e subisce con forza battute d'arresto.

    Dietro l'intensa sete di distruzione, c'è il sogno impotente di una società futura, e non la ferma determinazione a creare lo stato del futuro. Anche se, in ragione dei nessi di causalità, il colpo alla società borghese è stato forte quanto il colpo di Versailles, l'effetto non è stato calcolato dal punto di vista di una vera politica.

    Era compito del Partito Comunista riunire le masse proletarie le cui speranze erano state annientate. Evidentemente, i quadri che offriva e la sua atmosfera dominante erano poco adatti a questi contadini, intellettuali, soldati, impiegati e operai non ancora definitivamente proletari. A causa delle condizioni sociali della loro esistenza, queste classi non hanno la stessa amarezza sociale. Hanno ancora basi che sono qualcosa di diverso dal “risentimento sociale”, e possono trasformarsi in impulsi politici. Anche se ciò sembra paradossale, l'operaio comunista è un prodotto della società borghese, molto più di questi "non proletari". La società borghese ha creato e formato l'operaio, anche se lo ha maltrattato. Così le altre classi sociali, anche quando si sentivano integrate nella società borghese, custodivano sempre la loro particolarità al di fuori e al di là delle influenze borghesi. Così è nell'accrescimento dell'estrema miseria esistenziale, che allora si sono viste cose più grandi e più complesse di quelle rappresentate dalla società borghese. Quindi hanno percepito molto rapidamente che nel Partito Comunista non avrebbero trovato il loro posto. Visibilmente questo stesso sentimento vive nell'operaio, attualmente iscritto al Partito Comunista ma che, nonostante il suo destino proletario, custodisce ancora il resto della sua sostanza nazionale e umana. Pur condividendo l'ostilità verso la borghesia, è lo stesso tormentato da un’ansia che gli dice che è, in qualche modo, un cattivo dipendente.

    Il Partito Comunista ha capito che il proprio attacco alla società borghese, attacco la cui forza motrice era stato il risentimento sociale, non corrispondeva alle esigenze politiche della situazione e mancava persino di obiettivi decisivi. Si è reso conto che per la sua posizione di principio non poteva che riunire il proletariato industriale e sradicato, e che gli strati sociali importanti, pressando per sfuggire all'influenza della borghesia, restavano sordi ai loro appelli. Di conseguenza, ha cercato di sostituire con la tattica ciò che gli mancava per natura. Si arrivò così alla linea di Scheringer e al programma agrario comunista. Sono questi due fenomeni di adattamento che sono stati loro imposti dalle circostanze esteriori, e che non sono in alcun modo una reazione diretta dalla loro stessa natura.

    Per questo gli manca la forza per convincere. Il programma agricolo, sebbene adeguato al sentimento di vita del contadino e alla sua concezione del mondo, non crea una vera apertura verso la popolazione rurale. Il contadino vi ha fiutato un'«intenzione», una trappola, ed è rimasto in guardia. Il programma agricolo comunista non rappresentava una condanna ma era il risultato di calcoli assolutamente arbitrari. E quando entrano in gioco calcoli arbitrari, le basi sono fragili. Certamente, la linea di Scheringer era un tentativo di occupare "posizioni nazionaliste". Ma intanto bisogna rendersi conto che il Partito Comunista non era abituato a combattere su questo terreno. Già causa di ammutinamenti nelle loro stesse fila, non possono mantenere questa linea. Il proletariato industriale occidentalizzato non ha più uno spessore psicologico e popolare tale da essere portatore del pesante compito della politica nazionalista. Per questo motivo il Partito Comunista tedesco è trotzkista, sebbene sia dalla parte di Stalin. Il leninismo, che ha rappresentato una realtà di Stato totale, esige una pienezza viva, una pienezza che questo partito non ha più, ma che l'operaio russo, sempre attaccato al suo villaggio, custodisce ancora in sé.

    In questo momento entriamo nello spazio politico della resistenza tedesca.

    Per il Partito Comunista resta una tattica piena di zelo, ma inefficace, per il movimento di resistenza è una vocazione alla quale non può sottrarsi. La resistenza taglia i ponti con la società borghese, le sue istituzioni e le sue scale di valori. Il destino di chi non possiede nulla, quella società borghese imposta ai contadini, agli intellettuali e agli impiegati, facilita la loro decisione di rompere con loro. Non hanno più interessi economici che potrebbero legarli a questa società. Certamente, mettiamo in discussione la funzione politica della società borghese prima di attaccarne il carattere sociale. È necessario spazzarlo via perché è diventato lo strumento che il regime di Versailles usa per dominare la Germania. Grattando lo smalto tedesco della società borghese, scopriamo il regime di Versailles. Incarna una contromisura istituzionale che impedisce la liberazione della Germania. La volontà di rivoluzione sociale della resistenza tedesca ha ragioni politiche segrete. Deve rompere questo meccanismo applicando la legge di Versailles sul territorio tedesco. Non solo il proletariato delle città industriali, ma semplicemente la Germania, non ha più nulla da perdere se non catene. Solo che il proletariato non vede che le catene sociali che deve sopportare sono fatte di ferro politico. Da questo punto di vista, anche l'idea di lotta di classe assume improvvisamente una colorazione politica: il borghese appare, all'interno dei confini tedeschi, come un legionario straniero. Tutto ciò che possiamo fare contro di essa è, in verità, una forma di guerra contro lo straniero. La causa della Germania è sempre nelle mani di coloro che combattono la borghesia. In primo luogo, instaurare la comunità nazionale con la borghesia equivale a una fraternizzazione con il nemico.

    Noi riconosciamo il borghese, in questo senso, nella sua posizione sulla proprietà privata e sulla Russia.

    Accettando il principio della proprietà privata illimitata, si conferma la validità del titolo dei creditori stranieri a danno del popolo tedesco, e si antepone l'arbitrio individuale alla pretesa del diritto alla vita della Nazione. Il bolscevismo russo non ha abolito di per sé l'istituzione della proprietà privata. Per i bisogni dello Stato, lo circoscrive e lo riduce ai beni minimi di quella categoria. Essere tedeschi significa oggi limitare all'estremo, in modo analogo, l'estensione della proprietà privata per ragioni di conservazione nazionale.

    tshirt nazbol, niekisch, wiederstandLa Russia è il centro del mondo anti-Versailles, e ha subito su di sé tutte le conseguenze che non risparmiano le forze antagoniste contro Versailles. Non è un paradiso, come crede l'operaio comunista. È un campo opposto all'Occidente. Lì, la gerarchia è determinata dalla capacità di ciascuno di adempiere alla propria funzione di operaio e di soldato. La ricchezza è semplicemente un peccato. Questo è ciò che spaventa la borghesia, ma costituisce un modello per la resistenza tedesca.

    Poiché il Partito Comunista è incapace di assumersi tale responsabilità politica e, quindi, voler rovesciare la società borghese è solo un mezzo per il fine rivoluzionario nazionale. Anche nel solo piano sociale esso è molto meno rivoluzionario di quanto supponga la sua dottrina. Manca, per così dire, il ricco suolo umano, dal quale scaturiscono sempre nuovi impulsi, incalzanti azioni rivoluzionarie. Ma questo suolo esiste nelle classi dei contadini, degli intellettuali, dei soldati, degli impiegati e degli operai semi-proletari che stanno uscendo dal campo borghese e già sentono cupamente che la società borghese è la più sicura garanzia della sottomissione tedesca. Per questi uomini sventola la bandiera della resistenza tedesca. Il loro posto è qui, si riuniscono sotto questa bandiera.

    C'è un tratto comune tra il movimento comunista e la resistenza tedesca: entrambi condividono l’appartenenza al fronte anti-Versailles e sono pienamente consapevoli che è necessario rompere con la cultura occidentale, la società borghese e il sistema capitalista, se si vuole prendere seriamente la guerra contro Versailles. Non possiamo appartenere al fronte anti-Versailles se vogliamo “salvare” in qualunque modo alcune parti del vecchio mondo. Sarebbe "fascista", se si considera il "fascismo" l'ultimo sforzo dell'Occidente. Tutte le vere tendenze anti-Versailles devono essere, in un modo o nell'altro, "comuniste" o "bolsceviche". Un tempo il bolscevismo era la più grande e coraggiosa levatura della Russia, che le ha permesso di ottenere, nonostante tutto, la vittoria sull'Occidente. Quest’ultimo l'hanno capito benissimo. Il modo in cui esso vitupera contro la Russia rivela che sta cercando di vendicarsi. Con questa natura delle cose, “essere bolscevico” significa infliggere una sconfitta all'Occidente. Quando attacchiamo il bolscevismo, dichiariamo di subire questa sconfitta, che consideriamo la causa persa dell'Occidente come la nostra causa.

    Ma questo tratto comune non cancella la particolarità della resistenza tedesca. La resistenza ha più respiro; ha respiro politico, pensa in termini di strategia. Così la lotta di classe dei comunisti è solo un canale di combattimento tattico per essa. Essa conta sul valore combattivo delle brigate proletarie nella missione contro l'Occidente. Assicura che lo spirito militare del “Fronte Rosso” sia diretto dal pensiero politico. Non teme l'internazionalismo comunista. L'universalismo occidentale del cattolicesimo romano e la comunità degli interessi economici globali dell'Occidente liberale sono molto più pericolosi di ciò.

    Di per sé, la resistenza tedesca non è né comunista né anticomunista. Ma è capace di comunismo, quando non c'è altra soluzione. Piena di determinazione, è pronto a tutto, quando agisce per salvare la Germania. Data la situazione globale, il collettivismo è certamente oggi un mezzo necessario per ottenere i fini politici della Germania; questo è un dato di fatto. La politica di resistenza consiste nell'usare questo fatto per assicurare un futuro alla Germania.

    Dal punto di vista politico il comunismo, che all'inizio aveva significati esclusivamente economici, si trasforma in questo unico tipo di collettivismo che l'orgoglio umano può tollerare, vale a dire il collettivismo delle truppe valorose. Il collettivo contadino diventa una comunità per la difesa dei contadini, la fabbrica socialista diventa un battaglione di operai, e tutti i processi di produzione si trasformano in prestazioni militari, in un'impresa eroica e guerriera. Il popolo tedesco ha sottoposto la sua esistenza a un intero piano onnipresente per giungere alla distruzione delle basi del regime coercitivo di Versailles mediante misure applicate secondo un metodo rigoroso. Il collettivismo ne è l'espressione. Il popolo tedesco non ha ancora capito che i suoi oppressori hanno organizzato sistematicamente la sua sottomissione. I piani di Dawes e Young sono stati appena visti da questo punto di vista. In confronto, la resistenza "nazionale" tedesca sembra pietosa e deplorevole, un'opposizione che rimane fermamente attaccata ai diritti individuali della "personalità creativa". Difficilmente è possibile affrontare il mondo e la politica con una tale incoscienza. I piani dei popoli soggiogati non possono essere troppo estesi, troppo “globali”, per sopravanzare l'ordine metodico dei conquistatori. Il piano quinquennale della Russia dà l'esempio di dove un popolo in pericolo deve essere pronto ad arrivare. Il “secolo della libertà individuale” è finito, è iniziato quello della progettazione collettiva. Un tempo il liberalismo “consegnava” l'umanità a uno stato di dipendenza organica. Allora l'umanità ha contratto questo male che è l'individualismo esacerbato e che deve essere, oggi, consegnato allo spirito liberale. Già l'avanguardia ha varcato la soglia di una nuova epoca di vincoli esigenti, razionali e consapevoli.

    Il partigiano della resistenza tedesca, così come il proletariato comunista, si colloca all’interno di questa avanguardia. Entrambi sono combattenti incondizionati, l’uno attaccato alla politica dello Stato quanto l'altro lo è alla classe. Il coraggio della loro assoluta convinzione viene dalla loro povertà. Quando hanno qualcosa da perdere, è facile manipolarli momentaneamente. Sebbene, in conseguenza delle sue opinioni, il proletariato comunista debba essere ostile all'idea di Stato, il potere coercitivo dell'idea di “Stato totale” è così grande – e la Russia lo dimostra – da attrarre anche il proletariato – in contraddizione ai suoi principi antistatali – nel suo campo di forza. Essere comunista o partigiano della resistenza tedesca non è una questione di principio, ma di sostanza nazionale. Alla fine, la sostanza tedesca sarà così forte da trasformare l'idea di comunismo in uno strumento al servizio della futura grandezza della Germania. Anche Lenin, che non è mai stato proletario, ha sottoposto la logica della sua teoria marxista ai comandamenti politici della sostanza nazionale russa.

    Se il non proletario volesse improvvisamente annullarsi nel Partito Comunista, questa sarebbe una fuga codarda e molto conveniente. Non hanno alcun compito da svolgere lì, devono solo adattarsi ad esso. Credere che ad attenderli ci sia una missione di educazione nazionale sarebbe un'illusione che si creerebbero da soli. Nessuno vuole essere educato da loro. In precedenza, i loro "doni" sarebbero stati considerati sospetti, come "gusci vuoti e reazionari". Noi non vogliamo i loro “regali”, vogliamo che si pieghino energicamente alle regole. Entrano in un dominio straniero. Se non ne rispettano gli usi e costumi, dovremmo disprezzarli. Devono distruggere ciò che conviene loro per essere riconosciuti uguali, per non dargli più importanza. Alla fine essi si renderanno conto che aderiscono al partito solo perché la vita che conducevano è già in rovina e hanno perso ogni speranza. All’interno del partito. Saranno liberi dalla disciplina che impone le richieste tedesche. Nessuno lo desidera. Discretamente, anche loro si sentiranno poi sollevati per essere sfuggiti con onore al rigore di questi requisiti.

    L'operaio comunista è soltanto social-rivoluzionario, e questo per ragioni oggettive. Partendo dalle condizioni sociali e storiche della sua esistenza, è impossibile per lui – prima di tutto – essere un nazional-rivoluzionario. C'è una possibilità per il tedesco che il suo radicalismo sociale sia un esplosivo in grado di scavalcare l'ordine coercitivo di Versailles. Sebbene l'operaio comunista non dubiti del significato politico della sua azione, il fatto che la compia è già sufficiente.

    I compiti più pesanti sono riservati agli strati non proletari. Il loro radicalismo sociale dovrebbe essere la prova della loro sincerità nazional-rivoluzionaria. La serietà della convinzione nazional-rivoluzionaria sarà il vero senso della loro vita. Il loro radicalismo sociale non è spontaneo, ma è necessario. Deve essere al di sopra di ogni sospetto. Questo è lo spirito di resistenza. Generalizzarlo ed estenderlo a tutte le classi non proletarie, ecco cosa si deve fare. Ciò richiede infinitamente più energia del salto liberatorio nel Partito Comunista. Quando il radicalismo sociale diventerà un elemento essenziale dell'atteggiamento generale di queste classi sociali, avrà una base di fiducia che consentirà loro di organizzare e andare incontro al lavoratore comunista. Il loro ardore nazional-rivoluzionario, la fermezza della loro volontà politica diverranno allora la forza motrice che potrà allargare la spinta in avanti rivoluzionaria sociale per compiere un'azione politica con un'apertura alare molto ampia.

    La resistenza tedesca è dove si assicura che l'azione sociale rivoluzionaria serva ugualmente alla causa rivoluzionaria nazionale avendo come fine la caduta della società borghese ed è, allo stesso tempo, il punto di partenza per la resurrezione della Germania.

    Ernst Niekisch - 1931
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia dell'Europa del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

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    Predefinito Re: Nazionalbolscevismo

    L'Oriente sta morendo: il veleno della civiltà (Ernst Niekisch)

    Scritto nel 1929, questo articolo di Niekisch sottolinea quanto è ancora necessario affrontare oggi: la totale sovrapposizione fra ideologie politiche e dominio geopolitico, ossia come il liberalismo sia nient'altro che il vincolo occidentale e inoltre la postura e il carattere centrale della Germania: essa, come l'Europa può essere vincolata all'occidente politico, ma aspira alla libertà orientale.

    Un tempo l'Est era uno spazio che attirava i tedeschi, uno spazio in cui si diffondeva la loro cultura. Il popolo tedesco avanzò verso l'Est, conquistandolo, colonizzandolo, mettendoci le radici e creando un nuovo paese, dando così prova dell'inesauribile e generosa ricchezza del suo sangue. Il battito del cuore tedesco, forte e sicuro di sé, risuonò fino agli stati baltici. Grazie ai colonizzatori, che integrarono l'Est nel ritmo e nelle tradizioni e variazioni della loro esistenza, la forza viva della volontà di vita tedesca si estese quasi all'infinito. Assetata di imprimere la sua forma, ha sottomesso ciò che ha dimostrato, vicino e lontano, la legge della sua essenza. Un'audacia giovanile spingeva uomini temerari verso l'Oriente. Le loro avventure, le loro vittorie e le loro opere dello spirito inondarono le terre orientali, come una benedizione fruttuosa.

    Quale profondo e brutale cambiamento è avvenuto da allora! La progressione tedesca verso l'Est divenne difensiva, e poi dalla difesa, alla ritirata. Per decenni, la Germania continuò a perdere il suolo che un tempo aveva conquistato. Nel 1918, la ritirata divenne una debacle fatale; nello stesso modo in cui crollò il fronte militare, così crollò ad est il fronte civile. Il flusso di slavi che premeva da dietro, impose al popolo tedesco delle frontiere insopportabili e da allora hanno continuato a stendere le mani verso il suolo tedesco. Stanchi della guerra, i tedeschi hanno lasciato i territori minacciati, fuggendo il dolore e le sofferenze delle regioni di confine. Noi diciamo che l'Est sta morendo. Oggi, ci sono solo due isole che lottano disperatamente per sopravvivere: Danzica e la Prussia orientale. Il Reich non fa nessun appello di incoraggiamento promettendo la fine del blocco; nessuna truppa è in marcia portando soccorso. Per il Reich, sono una situazione scomoda, un imbarazzo. "Accettare obblighi supplementari, perché?"

    t shirt russia, est, z, niekisch

    Certamente, non abbiamo perso la visione dell'impegno. Di volta in volta, dichiariamo tedeschi i partigiani di Danzica. Favoriamo gli stabilimenti secondo la legge sulla creazione dell'insediamento. Accordiamo generosi crediti alla Prussia orientale. Periodicamente, tentiamo di dimostrare la solidarietà con l'Est. Deploriamo i fallimenti di tali sforzi e le spese. Lo deploriamo e lo spieghiamo. L'esodo rurale è un tratto dell'epoca. In campagna non si gustano i frutti della vita di città. I piaceri offerti dalle città seducono e attraggono. Il lavoro in campagna è duro, i salari sono troppo bassi, gli alloggi insufficienti. Accettare le condizioni rurali è un sacrificio per coloro che hanno qualche esigenza.

    Questa interpretazione della situazione si basa sull'opinione che il "progresso" sia l'essenza della città. Da questo punto di vista, i fondi inviati all'Est assumono l'aspetto di un'elemosina o, nel migliore dei casi, di un risarcimento secondo coloro che si sforzano di rinunciare ai piaceri offerti dal "progresso".

    Questo atteggiamento si spiega con il fatto che la città è considerata come un luogo dove si può vivere bene, un luogo superiore, più alto nella scala dei valori. Così, nella città, vediamo il villaggio "dall'alto" e pensiamo che per essere "elevati", dobbiamo lasciare la campagna. Nell'ambiente urbano, il contadino è considerato "più comune", più rozzo, più incolto dell'abitante della città, è un po' "zotico".

    La sopravvalutazione della città comprende evidentemente la sopravvalutazione di tutto ciò che essa produce: il suo modo di vivere, la sua struttura economica, il suo spirito, la sua civiltà. La sentiamo più "raffinata", più libera, "superiore alle altre". Le statue della città di Gand, risalenti al 1192, dichiarano con orgoglio: "La libertà della città di Gand è così grande che permette a tutti di vendere o dare in pegno i suoi buoni edifici, sottomettere alla giurisdizione della città, genitori o amici, alla quale nessuno può opporsi invocando legami di sangue o di vicinato". Questa liberalizzazione dell'economia deve opporsi alla "proprietà feudale del contadino". Come sembrerebbe "arretrato" o "retrogrado" rispetto alle statue di Gand del 1192, esse erano veramente progressiste! Così il barone von Stein disse: "come il soldato non ha il diritto di portare la sua pistola al banco dei pegni, il contadino non può ipotecare la sua terra". E Arndt scrisse: "Se vogliamo un paese forte e orgoglioso, dobbiamo avere la proprietà e un forte contadino. La terra non deve passare di mano come merce. La casa del contadino non deve essere una piccionaia dove si entra e si esce a cuor leggero. Quando ciò accade, l'onestà, l'onore e la fedeltà muoiono, e infine anche la campagna".

    L'abitante della città è borghese nella misura in cui ama la libertà, lo spirito, la raffinatezza e si rallegra del successo sociale, è liberale. Il liberalismo è il prodotto delle città; "l'aria della città rende l'uomo libero". Ma il suo clima non è favorevole né all'onestà, né all'onore, né alla fedeltà. L'aria di città rode l'interno. Nei grandi centri urbani, infine, non rimane nessuno dei dolci ricordi di tale ingenuità contadina. L'uomo stellato è solo un oggetto commerciale che provoca ilarità nei giornali satirici e nei cabaret.

    L'Italia del Rinascimento fu la culla della civiltà urbana. L'antico spirito romano fu riscoperto e nacque la "civiltà europea". Le radici dell'antica cultura mediterranea furono ricongiunte. La Francia offriva un terreno fertile per la civiltà urbana. La sua predisposizione spirituale e psicologica, probabilmente una reminiscenza dell'invasione romana della Gallia, era adatta ad essa. Come la Francia creò Parigi, la città per eccellenza, portò ugualmente la civiltà urbana al suo apogeo, dandole una forma esemplare e molto seducente. Tutte le città europee guardavano con invidia a Parigi. Lo spirito francese affascinò il mondo intero. Il percorso vittorioso della "cultura" francese provocò ovunque lo schiudersi dello spirito liberale, borghese e urbano. All'inizio, era nascosto dietro i modi di società regolati da principi assoluti. Ma nel 1789, si rifece il look e scelse l'abito corrispondente alla sua vera natura. Sotto la forma di mentalità borghese, liberale e occidentale, cercò allora di penetrare nei popoli che ancora gemevano sotto il "giogo del feudalesimo".

    A partire dal Reno, in direzione dell'Est, i popoli erano sempre meno impregnati di liberalismo e di spirito urbano e rimanevano sotto il regime feudale. Per ragioni storiche e psicologiche, l'Est rimase lo spazio del feudalesimo, della mentalità rurale. Più si avanza verso est, più si affermano queste caratteristiche. La Germania, l'impero del centro, ha due mentalità. A ovest, siamo affascinati dalla civiltà occidentale e urbana, ma oltre l'Elba inizia la "barbarie", inizia l'"Elba dell'est".

    Dal 1789, lo spirito civilizzatore dell'Occidente si sforza di sottomettere l'"Elba dell'Est". L'intera Germania deve essere conquistata al progresso, alla libertà, alla "luce"; deve essere "elevata" al rango dell'esistenza occidentale. Lo sviluppo dell'industrializzazione in Germania ha favorito queste tendenze. La relazione intrinseca tra civiltà, industrializzazione, capitalismo e borghesia divenne manifesta. La rivendicazione di libertà che sembrava opporsi ferocemente ad ogni sottomissione della coscienza è solo, in verità, una dichiarazione di guerra contro i vincoli economici; essa tende ad aprire la strada alla liberazione degli istinti egoistici e materialisti. Il principio materialista della lotta per la libertà tradisce il fatto che i suoi veri missionari sono economisti, come Adam Smith, e ugualmente Karl Marx, teorici dell'economia e non profeti o filosofi.

    Bismarck lottò disperatamente contro questa ondata liberale e urbana durante il conflitto sul tema della costituzione e, ancora una volta, con le leggi antisocialiste. Ma l'onda lo travolse, fu costretto a concludere compromessi pesanti per le conseguenze. Guglielmo II rinunciò a perseguire questa impresa e divenne un imperatore liberale e borghese, anche se, consapevole della falsa situazione, si coprì nervosamente del manto delle vecchie tradizioni e insistette sulla conservazione di alcune forme tradizionali della costituzione. La sinistra tedesca è l'alleato dichiarato della civiltà occidentale contro il nemico comune, "l'Elba orientale", o diciamo attualmente, contro "il militarismo e l'autocrazia prussiana". Nel 1918, la parte filo-occidentale, liberale e civilizzatrice ha piantato la sua bandiera nel Reich. Questa bandiera nero-rosso-oro sventolava sulla Germania che non era più governata dalle leggi dei propri bisogni vitali ma da quelle delle potenze occidentali vittoriose, la cui civiltà non aveva dubbi.

    t shirt russia, est, z, niekischIl principio liberale, il principio dell'essenza urbana dominava la Germania, poiché un intero popolo aveva ceduto al "fascino della città" e abbandonato questa essenza rurale. La vita sotto la dipendenza dall'estero, che il Diktat di Versailles aveva imposto alla Germania, portava alla proletarizzazione e alla sradicazione, inseparabili dal destino urbano.

    Come poteva questo popolo, che aveva ormai basato la sua esistenza sull'"esodo rurale" e l'abbandono dei valori contadini, colonizzare di nuovo e conservare le regioni di frontiera dell'Est? I suoi tentativi di insediamento assomigliano a quei poveri giardinetti che vengono piantati tra le mura delle vecchie città per creare un piacevole arredamento. Non sono affatto il segno della sete di ritorno alla terra e dell'entusiasmo nazionale. L'orientamento verso l'Occidente è diventato il corso della vita tedesca, della sua volontà, della sua energia della campagna piatta e tonificante. A causa di questa deviazione, tutte le forze vitali cominciano ad esaurirsi. Lo spirito di civilizzazione ha un effetto, in generale, mortificante come lo spirito della città in particolare. Di conseguenza, il fianco orientale del Reich è indebolito, è senza difesa. Ogni colpo può ferirlo, ogni bassezza lo lacera.

    La liberalizzazione e l'occidentalizzazione del Reich implica necessariamente la rinuncia all'Oriente. Integrandosi nella civiltà occidentale, il sentimento per l'Est, la sua virtù e i suoi valori si spengono. La forza di affermazione nazionale è pericolosamente paralizzata nella regione di confine dell'Est.

    La Germania è liberale, borghese e occidentale, è incapace di reggere l'Est. E in quanto tale che rimane liberale, borghese e occidentale, deve accettare una ritirata dopo l'altra all'Est, sottomettersi a una sconfitta dopo l'altra. Aspirando ai valori borghesi e civilizzati, si negano i valori rurali e naturali. L'ingresso nella civiltà occidentale porta necessariamente all'abbandono della vocazione della colonizzazione dell'Est. Si tratta di perdite inevitabili le cui conseguenze sono fatali.

    Evidentemente, con il suo riavvicinamento all'Ovest, la Germania non sostituisce ciò che ha perso abbandonando l'Est. La scala di valori borghesi e civili che ha adottato non nasce dal profondo del suo vero essere; questi valori vengono da un'essenza straniera, rappresentano l'atteggiamento spirituale e il sentimento di vita di un'altra umanità. Il tedesco, avallandoli, diventa un imitatore e un seguace. Per lui non sono la rappresentazione e la realizzazione della sua vera essenza, ma idoli freddi ed estranei, che vengono dall'esterno e richiedono la rinuncia alla propria personalità. Non corrispondono alla sua psiche e preme per plasmarla a loro immagine. Si trova davanti alla scala dei valori occidentali con la stessa incertezza in cerca di illusioni dell'uomo di campagna che si sottomette all'influenza della città. Lì si perde e perde il suo equilibrio. Non ha più i suoi istinti, crede di poter vincere perdendo. L'indebolimento della Germania segue la progressione del liberalismo e del suo imbarbarimento. Il declino è iniziato nel 1890 - e forse anche prima, a ben vedere. Quando il paese diventa interamente liberale, diventa totalmente impotente.

    L'impiantazione della "civiltà" in Germania e l'indebolimento politico sono, senza dubbio, fenomeni paralleli. Questa impotenza incita il "vicino dell'Est" a cogliere l'occasione per prendere possesso di una regione indifesa. Il percorso che porta la Germania verso l'Occidente si traduce nella perdita della sua esistenza autonoma. L'Occidente fa la sua preda politica come prima la sua preda spirituale.

    L'urbanizzazione e l'imborghesimento della Germania sono le vere cause del suo declino. Quando Stresemann, l'uomo più attivo della borghesia tedesca, ha consegnato, incondizionatamente e senza scrupoli, il futuro della Germania alle potenze occidentali, ha semplicemente applicato la legge fondamentale della politica tedesca borghese.

    La ricostruzione del paese è possibile solo attraverso un ritorno: rispetto all'Est, rivolgendo un rifiuto all'Ovest, abbandonando il liberalismo borghese, e la civiltà europea. È vero che agisce da uno sconvolgimento radicale, perché oggi l'esempio russo fa tremare le anime borghesi. L'orientamento verso l'Est e l'abbandono dell'imborghesimento della Germania si situano sotto lo stesso piano. Questo nuovo orientamento verso l'Est significa il ritorno alla terra, la ribellione alla città, il coraggio di essere "barbari", rurali e primitivi. In queste condizioni, l'Est potrebbe aprirsi nuovamente al popolo tedesco che riscopre la forza di intraprendere grandi sviluppi politici. La nazione avrebbe di nuovo un terreno in cui potrebbe affondare radici profonde e sane.

    Tuttavia, la Germania borghese è incapace di abbandonare volontariamente la civiltà in cui è racchiusa. La rinuncia al modo di vita borghese deriva da una rivoluzione sociale e da un pathos nazionalista, mirando a obiettivi nazionali. Ma dove troveremo il borghese tedesco che, in una rivolta nazionale, sarebbe prossimo ad accettare una rivoluzione sociale per riconquistare uno spazio vitale all'Est? È una domanda gravida di conseguenze per il futuro della Germania.

    Ernst Niekisch - 1929
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia dell'Europa del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

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    Predefinito Re: Nazionalbolscevismo

    Per una politica rivoluzionaria (Ernst Niekisch)

    Le analisi di Niekisch come questa sono fondamentali per una serie di motivi: sono una ricostruzione storica lucida e di prim'ordine; parlano di un'occupazione politica e culturale dalla quale liberarsi, situazione che viviamo anche oggi; sottolineano l'importanza della geopolitica e della politica estera; indicano come filosofia occidentalista e dominio di potenze occidentali sia la stessa cosa. Anche se questo scritto è del 1926, abbiamo ancora tanto da imparare.

    *

    “Ma bisogna dire questo: se firmiamo questa pace, ci porremo sotto la costrizione della forza. Nel nostro cuore, rifiutiamo questa pace” – Vorwärts, 8 maggio 1919


    La politica tedesca in quanto tale non può avere altri obiettivi che la riconquista dell'indipendenza nazionale, la rottura dei vincoli imposti, e la ricostituzione di un'importante influenza globale. Dal punto di vista tedesco, che è naturalmente il nostro, non c'è niente di più importante di questi obiettivi. Tutta la nostra politica domestica, sociale, economica e culturale deve ricevere questo impulso, la sua linea generale e lo spirito che lo domina. Il sentimento di questa necessità è quasi onnipresente! Quante volte, lasciandoci pervadere dalle preoccupazioni della politica interna, la politica estera ha abbandonato il nostro campo visivo. Ci sono “grandi” giornali tedeschi che non parlano quasi mai di politica estera, come se questo la rendesse parte delle banalità della nostra esistenza nazionale. Al contrario, ogni ritardo alla modifica dell'insegna dell’erario, ancora in stile monarchico, li preoccupava in grande misura. Senza una parola da dire, nemmeno infastiditi, non avendo la coscienza tranquilla, si privano del gioco della politica globale, in ragione della nostra debolezza, imponendoci innumerevoli umiliazioni, ingiustizie e pericolosi attacchi contro il futuro del Reich. Così larghi strati della nostra gente cercano la causa della loro sventura esclusivamente nella situazione politica interna. Sperano che basti sostituire qualche alto funzionario, sciogliere un'organizzazione segreta, imporre dazi differenti alle importazioni, ridurre le tasse doganali, convocare o sciogliere il Reichstag, procedere con nuove elezioni, che tutto cambi all'interno del Paese. Ignorano il contenuto del Trattato di Versailles. Non sanno che il commissario incaricato dei risarcimenti è l'uomo più potente della Germania, che le nostre ferrovie e il nostro denaro sono nelle sue mani. Non hanno idea di prospettare i debiti che pesano su di noi e non capiscono che il Piano Dawes, in definitiva, è una questione che tocca gli stipendi dei tedeschi. Il tenore di vita del lavoratore tedesco si riduce nella misura in cui rimborsiamo gli obblighi del Piano Dawes. Il costo della vita per il lavoratore, da una parte, e il Piano Dawes accanto al Trattato di Versailles, dall'altra, sono incompatibili. Strappare questi trattati, revocare gli obblighi che impongono, rompere gli impegni sarebbe l'unica politica tedesca che salverebbe l'operaio da un assoggettamento irrimediabile. A questo punto le esigenze del lavoratore e gli interessi della Nazione coincidono: se egli oserà lottare per il suo spazio vitale e la sua libertà, guiderà, allo stesso tempo, la battaglia per la liberazione di tutta la Nazione. La missione nazionale a noi affidata e il modo in cui essa sarà adempiuta dipenderanno dalla sua futura posizione sociale e politica.

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    Nessuno, nemmeno un folle, può, al momento, immaginare una lotta aperta. Ciò richiederebbe tattiche moderate di cui non disponiamo. Ma potremmo anche approfittare dei vantaggi delle congiunture globali, che in realtà ci sono proibite. È conveniente essere pazienti. Tuttavia, non dobbiamo cadere in una pazienza inattiva, una pazienza di rilassamento e demoralizzazione. Dobbiamo prepararci per i grandi compiti: morali, organizzativi e di altra natura. La questione è sapere se abbiamo energie sufficienti, se dobbiamo persistere, resistere, se non ci adatteremo pigramente al nostro destino, se non accetteremo i fatti in modo disinvolto. Siamo molto forti, perseveranti, ostinati nella difesa della nostra causa, della nostra fede, del nostro futuro contro un mondo ostile e troppo potente, anche se sembra insensato, impossibile e inutile intraprendere questa missione? Ci opporremo con una volontà inflessibile, uno spirito di incrollabile resistenza all'assalto di potenze straniere, dispotiche, pretenziose, violente e intolleranti, che si vantano delle vittorie acquisite in alto combattimento? Se conserviamo infallibilmente questa volontà e questo spirito, rimarremo nella nostra attuale impotenza solo per un periodo che verrà superato, non ci farà cadere e ce lo lasceremo indietro con coraggio.

    È vero che la forza e la durata della resistenza sono determinate dal fatto che le si interiorizzi nella propria coscienza, istintivamente o in tutta conoscenza della causa, delle sorgenti profonde e vive che alimentano le potenze contro le quali questa resistenza deve essere diretta. È tempo di capire che una delle origini del nostro disagio è la spiritualità occidentale, questa spiritualità che con i suoi tratti “liberali” e le allegre melodie “progressiste” è riuscita a conquistare anche gli operai. Essa riprende fedelmente l'immagine del mondo dei capitani d'industria inglesi e dei finanzieri francesi, come se potesse davvero essere l'espressione e il fine dell'esistenza, dell'ambiente proletario e dei suoi desideri. Essere occidentali significa: usare la parola libertà per commettere frodi, dichiararsi partigiani dell'umanità per aprire la strada al crimine, distruggere i popoli con un appello alla pace. La Gran Bretagna, l'Inghilterra “libera”, ha strangolato gli indiani e gli egiziani. La Francia, generosa e umana, ha avvelenato i marocchini e i siriani. Queste grandi nazioni guadano nel sangue dei popoli schiavizzati in virtù della loro missione di “civiltà”. La pace “giusta” che l'eminenza occidentale Wilson aveva promesso, quella era la pace che ci è stata imposta a Versailles.

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    Non faremo altro che facilitare gli obiettivi degli Stati vincitori se continuiamo a dare rifugio e tolleranza al loro spirito. Ci mancheranno la fiducia in noi stessi e la sicurezza sovrana nel prepararci a sferrare un colpo, se immettiamo i loro princìpi nella nostra terra. In tali condizioni, le giustificazioni mancheranno di passione, grandezza storica e profondità simbolica. Il dibattito non affronterà più nulla di essenziale o significativo, né toccherà questioni profonde. Lo ha capito bene la Russia, quando la sua indipendenza era minacciata dalla schiacciante supremazia occidentale: in quel momento ruppe totalmente con tutto ciò che non era di origine russa – con la cultura e le regole economiche, sociali e politiche dell'Occidente – con passione e forza invincibile. In Germania, invece, la situazione è molto diversa. Nel nostro Paese non solo i singoli, ma anche interi partiti politici sono affascinati dallo spirito occidentale. Per molto tempo, alcuni ambienti capitalistici, in particolare la grande borghesia, si sono dati anima e corpo all'Occidente; altri pensano che sia utile – per ragioni economiche – guadagnarne la fiducia. Non molto tempo fa, il professor Bonn ha affermato: “Il monopolio nazionale non può più assicurare il reddito abituale e gli investimenti di capitale. È a questo punto che offrono fraternamente la loro mano destra da oltre le frontiere, dove stava il nemico, e gridano: ‘dimentichiamo il passato!’. Per salvaguardare il loro monopolio, sono diventati cosmopoliti. Nelle sale di riunione e nella proiezione della propaganda si sente già l'odore della fraternizzazione dei popoli”. Per preservare i loro profitti, essi si sono schierati contro il proprio Paese e si sono ingraziati i francesi, gli inglesi e gli americani nella caccia al bottino. Vendono il futuro della loro Nazione per ottenere una quota di borsa più alta. I difensori di un accordo con l'Occidente, il cui scopo è di rendere permanente la situazione creata da Versailles, sono, all'interno del nostro Paese, gli agenti e i difensori degli interessi nemici. Chi li vuole contrastare non si sta occupando di politica interna, ma di politica estera. Occorre arrivare a considerare e trattare come corruttori della Nazione tutti coloro che, per avere successo negli affari, favoriscono l'indebolimento dello spirito di opposizione all'Occidente. Questo vale anche per quei “tedeschi” che sostengono attivamente l'applicazione del Trattato di Versailles, in cui risiedono i loro interessi – di cui essi non fanno menzione, incassando migliaia di marchi. Sono lontani da noi, sono stranieri e nemici come tutti coloro che, invocando Versailles, si guadagnano da vivere. La rivolta e la resistenza senza tregua contro di loro e contro tutto ciò che è occidentale – dentro e fuori i nostri confini – deve diventare il nostro atteggiamento naturale. Certamente, questo è rivoluzionario. Ma non dovrebbe lasciare dubbi: ovvero dobbiamo essere un popolo rivoluzionario, o saremo soffocati nel pantano, e cesseremo di essere un popolo libero per sempre.

    Ernst Niekisch, 1926
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia dell'Europa del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

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    Predefinito Re: Nazionalbolscevismo

    Un destino mancato (Ernst Niekisch)

    Niekisch, lucidissimo padre del nazionalbolscevismo, in questo saggio ci dà prova della sua capacità analitica e della lucida saldezza emanata naturalmente da una visione socialista e patriottica: grazie ad una puntuale ricostruzione geopolitica Niekisch riesce a spiegare in un colpo solo i motivi di scontro fra fascismo e comunismo da rintracciare nella competizione nel campo della politica estera, e ricostruisce il significato di Versailles e della Repubblica di Weimar, sempre sottolineando la centralità delle relazioni fra Stati. Non sono scontri ideologici quelli che hanno creato le future coalizioni, bensì sono forze ancora più profonde legate alla scelta sul destino del mondo. Lo stesso destino dal quale la classe operaia, incapace di essere davvero prussiana, si è sottratta, non combattendo per la sua vocazione definitiva: la Germania.




    Il rovesciamento che ha avuto luogo in Germania e che si interpreta come "rivoluzione nazionale" o "rivolta nazionale" è certamente, prima di tutto, un evento di politica interna tedesca. Allo stesso tempo, considerando il suo obiettivo e orientamento, si è distinto, avendo travalicato la posizione abituale della Germania nella politica globale. Tuttavia non si è sviluppato esclusivamente sulle basi della politica estera, ma è stato direttamente provocato da alcune variazioni nelle relazioni internazionali esistenti.

    "La Repubblica di Weimar è la forma sotto la quale la Germania si adatta più facilmente al regime di Versailles". Questo era un lieto luogo comune. Lo stato di Weimar era l'organo esecutivo che le potenze occidentali usavano contro il popolo tedesco. Questa repubblica si modellava sulle idee costituzionali della Francia. Così, fece della Germania una zona di influenza francese. La Francia era il vero beneficiario di Versailles. La sottomissione della Germania a questo regime apparve quindi come una sottomissione alla Francia.

    La sottomissione fu effettuata sotto il velo della politica di conciliazione e dell'intesa franco-tedesca. In ogni caso, la Germania "andava d'accordo" con la Francia nella misura in cui si adeguava alla volontà di quest'ultima. Per la Repubblica di Weimar, l'unica politica estera era quella del "riavvicinamento franco-tedesco". Questa politica raggiunse il suo apogeo con il patto di Locarno. In questa occasione la Germania rinunciò, volontariamente e senza compensazione, all'Alsazia-Lorena. Ma gli accordi che erano all'origine di questa ignominia fecero credere al popolo tedesco che la revisione del diktat di Versailles era iniziata e che venisse stabilita una sincera relazione amichevole tra Germania e Francia. Locarno mise il popolo in uno stato di estrema euforia. Su tutti gli orizzonti, Stresemann apparve con ingannevoli richiami di speranza. La Germania celebrò una delle sue più pesanti sconfitte in materia di politica estera come una "vittoria". Credeva in un successo chimerico mentre era stata invece gravemente umiliata e ingannata. L'esultanza provocata da Locarno era in grottesca opposizione con la realtà dei fatti che i francesi non avevano perso di vista in nessun istante.

    È vero che con il tempo non si poteva più nascondere che, a Locarno, la Germania aveva scambiato il suo diritto perpetuo sull'Alsazia-Lorena con un piatto di lenticchie e che lì aveva dichiarato il suo consenso a soffocare il suo desiderio di affermare se stessa e il suo orgoglio. La stessa linea collegava Erzberger, padre della risoluzione di pace e firmatario dell'armistizio, Hermann Müller e il "centrista" Bell, firmatari dell'atto di Versailles, a Stresemann, firmatario del patto di Locarno. Sono i tedeschi che hanno capitolato e hanno dato una mano ad espellere la Germania dalla storia. Con i piani Young e Dawes, il popolo tedesco ha dato ugualmente un titolo d'obbligo alla Francia, affinché Parigi non la disturbasse quando la cullava nelle illusioni di pace.

    Quando il popolo tedesco capì l'inganno, la reazione non si fece attendere. La borghesia tedesca, partigiana di Stresemann, passò al nazionalsocialismo. Sostituì il suo "Viva Stresemann!" con "Heil Hitler!". In questo modo, sperava di liberarsi dalla politica di attuazione dei trattati e dalla sottomissione degli anni successivi secondo le promesse fatte. Stresemann morì in un buon momento: la sua morte coincise con il suo fallimento politico.

    Schierandosi con Hitler, la borghesia cambiò fronte politico. Il nazionalsocialismo era in accordo con Mussolini. Le sue idee, riguardo alla costituzione, erano profondamente segnate dal modello dell'Italia fascista. La borghesia, sottraendosi all'influenza francese, si oppose immediatamente alla Costituzione di Weimar, questa creazione dello Stato che, nel 1918, essi stessi fondarono come eredità del 1848.

    Gli operai socialdemocratici rimasero i soli difensori dello stato di Weimar e della sua sottomissione, in materia di politica estera, alla Francia. Non era un'impresa etichettarli d'ora in poi come gli unici responsabili della debolezza interna ed esterna di Weimar. La maledizione ha sempre colpito questi ultimi! In quel momento, i vecchi partigiani di Stresemann inveirono contro i socialdemocratici, loro alleati di un tempo. La svastica, che portavano all'occhiello, dava loro il coraggio e la buona coscienza necessari per il loro ruolo di giudici e vendicatori "nazionale". In questo modo hanno fatto pagare solo ai lavoratori socialdemocratici il loro passato compromesso.

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    Anche in quest'epoca, la Francia conserva la sua preminenza in Europa. Tuttavia, per quanto riguarda il suo peso politico e le diverse pressioni che può esercitare sugli altri Paesi, ha sperimentato tutte le stesse vicissitudini dal 1918. Il sistema delle alleanze europee della Francia non funziona sempre senza intoppi. Si formano gruppi di potenze al di fuori di esso, che impongono limiti più o meno stretti alla sua libertà d'azione. Il clima e la solidità delle relazioni, l'accentuazione dei sentimenti nelle sue relazioni con l'Inghilterra, l'America, il Giappone e la Russia cambiano costantemente. A volte interferiscono con la posizione di forza della Francia, a volte le sono favorevoli.

    In un certo senso, il tempo ha lavorato visibilmente contro la Francia. Ha persistito nel mantenimento delle convenzioni di Versailles. Per essa, il trattato era "sacro" perché ne era la beneficiaria privilegiata. Infine, ogni moderazione o attenuazione, ogni "revisione" sarebbe dipesa dalla Francia. Più il trattato si sgretolava, più veniva smantellato, più il potere della Francia diminuiva. La revisione avrebbe imposto la perdita di ciò che la Francia aveva vinto dalla Germania. Per questo motivo la Francia si oppose a ciò con lo stesso vigore con cui la Germania lo richiedeva.

    Più diventava evidente che il mantenimento del trattato di Versailles riguardava soprattutto gli interessi della Francia, più si accumulavano occasioni per le diverse potenze di favorire le richieste di revisione della Germania. Questa era almeno tanto una politica pro-tedesca quanto una politica anti-francese. Il numero di Paesi che insistevano sul mantenimento del trattato diminuiva davanti ai suoi occhi. Solo la Francia e i suoi alleati difesero con tenacia tutti i suoi articoli, sapendo che ogni modifica avrebbe portato inevitabilmente alla sconfitta.

    Soprattutto l'Italia fascista era una partigiana della revisione; questa era la migliore arma che Mussolini aveva contro la Francia. La rivalità franco-italiana non si estinse durante la guerra. Dopo di essa, si infiammò con un nuovo ardore. Italia e Francia si contendevano l'eredità mediterranea dell'antico impero romano. La posizione dell'Italia ne aveva sofferto, con la Francia che si era ritagliata la parte del leone. Il dominio che essa esercitava sul Mediterraneo disturbava e irritava l'Italia. Per rafforzare il suo potere, era necessario indebolire quello della Francia. Non l'aveva mai conquistato nella misura di quest'ultima, ma poteva immobilizzare le sue forze e porre innumerevoli ostacoli alla politica francese. Nei Balcani, alle conferenze di Ginevra, è stata da allora il più fastidioso antagonista della Francia. Infine, ha fomentato il desiderio di revisione della Germania e non perde occasione per trattare questo argomento e far credere che sarebbe l'alleata più fedele della Germania. L'antagonismo franco-italiano, che già impone limiti al potere della Francia, è sorto da grandi difficoltà con il graduale riavvicinamento tra Germania e Italia. Certamente, anche i due Paesi uniti non potevano andare testa a testa con la Francia. Tuttavia, la forza di resistenza interna di questo blocco fu sufficiente perché la Francia si ponesse il problema se valesse la pena di rischiare una guerra. Integrandosi in questo blocco, la Germania divenne meno accessibile agli interventi francesi. La sua alleanza con l'Italia aveva diminuito la pressione che la Francia poteva esercitare su di essa.

    Anche se la Germania non aveva ancora scosso il giogo di Versailles, poteva comunque alleggerirne il peso e quindi alimentare la speranza di un ritorno alla libertà nazionale. Questa speranza le restituì il coraggio che le era mancato per così tanto tempo. Era nato un nuovo sentimento di valore nazionale. I portatori di questa nuova certezza erano queste classi sociali dello Stato di Weimar, espropriate, disoccupate e declassate, ma soprattutto questa gioventù a cui Weimar aveva tolto ogni fiducia nell'avvenire. Ci siamo affidati più facilmente all'amico italiano affinché, alla fine, avessimo una nuova ascesa nazionale. Il declino dello stato di Weimar ha dimostrato che l'influenza francese si era persa sul terreno della Germania. La lotta contro il regime di Weimar è stata allo stesso tempo una battaglia che abbiamo reso alla Francia. Il crescente fascismo della Germania è quel processo che mette fine all'alienazione del Paese da parte della Francia.

    Il capovolgimento avvenne sotto il governo di Brüning. C'era già un cancelliere semi-fascista. All'inizio non aveva veramente l'intenzione di staccarsi da Weimar e dalla Francia. La piega che presero gli eventi gli impose questo distacco. Egli si oppose a una prima resistenza alla Francia e ad una politica estera tedesca "attiva". La Francia gli inflisse gravi sconfitte politiche, ma queste ridicolizzarono definitivamente i tentativi di un avvicinamento franco-tedesco. Così la Germania fu spinta tra le braccia dell'Italia. Stresemann aveva già evitato Mussolini, ma Brüning era desideroso di avere relazioni amichevoli con il leader italiano. Il fatto che, in parallelo, Brüning mise in atto lo smantellamento del sistema democratico-parlamentare di Weimar, corrispondeva alla logica interna di questa politica estera. Il suo "governo autoritario" era una transizione precaria verso quella dittatura che Hitler avrebbe instaurato più tardi, appoggiandosi su una larga base democratica. Brüning stabilì i ponti che permisero così al Zentrum di passare, in buona e dovuta forma, dal fronte socialdemocratico a quello nazionalsocialista.

    Il gabinetto di Papen fu uno strano interludio. Egli intendeva perseguire la politica dell'intesa franco-tedesca in condizioni più favorevoli, perché il riavvicinamento tra la Germania e l'Italia aveva dato una lezione alla Francia che avrebbe dovuto servire da avvertimento. Il gabinetto Papen non aspirava veramente a una collaborazione diretta con l'Italia, ma voleva piuttosto riportare la Francia alla ragione usando la minaccia di un'intesa italo-tedesca. Tuttavia, Herriot si dimostrò irremovibile. E così, il gabinetto Papen ricevette una brusca frenata.

    Il gabinetto Schleicher seguì la stessa strada. Tuttavia, capì più chiaramente che nel caso in cui lo avesse deluso, sarebbe stato pronto a passare dalla parte dell'Italia. Ma Schleicher ha aspettato troppo tempo per prendere questa decisione. Perse del tempo prezioso soppesando i pro e i contro. Quando gli uomini decisero di rischiare qualcosa, ciò comportò la caduta di Schleicher.

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    Con la vittoria di Hitler nacque un blocco europeo fascista che, senza la sua costituzione, avrebbe necessitato di un trattato di alleanza formale e particolare. Il consenso sull'orientamento ideologico, la somiglianza nella concezione sociale e politica del regime, il nemico comune in politica estera erano fattori di coesione. Davanti al Gran Consiglio Fascista, Mussolini aveva dichiarato: "Il movimento fascista che si è sviluppato oltre le frontiere italiane è la manifestazione di uno spirito che riceve direttamente e indirettamente i suoi principi e tutto il suo contenuto di dottrine e di istituzioni da quelli che l'Italia aveva usato per creare lo stato moderno." La stessa atmosfera spirituale regna oggi in questo regime che si estende dalla Roma di Mussolini a Tilsit. L'impero medievale è risorto sotto la forma di una nuova esistenza spirituale. Ma certamente è governato da Roma, come Mussolini aveva riconosciuto con tanto orgoglio in tutto il mondo. Roma è questo sacro legame che solleva le passioni della Germania e dell'Italia fascista e attira le idee, i cuori.

    La concezione della politica estera della Germania fascista non ha mai mancato di grandezza e di coerenza: uno spazio, che va dal Mare del Nord e dal Baltico alla punta meridionale della Sicilia, riunito per imporre limiti alla volontà di potenza francese. Questo sollecita l'appello dell'impero britannico che, in ragione delle proprie necessità vitali, sente la necessità di reprimere la volontà di potenza francese opponendo ad essa un contrappeso. Parigi non poteva mai contare troppo sui suoi alleati ad Est. La Cecoslovacchia aveva un'importante minoranza tedesca, la Jugoslavia una forte minoranza croata. In caso di guerra, questi tedeschi e questi croati avrebbero potuto essere mobilitati contro questi Stati che li hanno oppressi per dieci anni.

    La Francia è consapevole della sua situazione e delle tendenze che vi si manifestano. Nonostante il suo nervosismo, prende, con circospezione, delle contromisure. Può essere sicura di poter fare appello alla Polonia. Dato il patto di non aggressione russo-polacco, la Polonia è completamente libera nei suoi movimenti verso la Germania. La neutralità benevola della Russia, sulla quale la Francia può contare, lega l'Inghilterra all'Asia. La Romania tiene sotto controllo l'Ungheria. La Francia ha cercato in tutti i modi di integrare l'Austria in questo sistema. I legittimisti e i socialdemocratici "neri e gialli" mostrano compiacenza. L'Austria dovrebbe diventare un'estensione della Piccola Intesa. Il Tirolo e il Vorarlberg dovrebbero tagliare il legame tra la Germania e l'Italia.

    Dato che la Francia custodisce sempre la sua incontestabile superiorità militare, pensa, in caso di guerra, di poter invadere immediatamente la Germania meridionale e stabilire un collegamento con la Cecoslovacchia e la Jugoslavia. Inoltre, si sente probabilmente abbastanza forte da non temere la minima resistenza se occupasse improvvisamente la regione industriale della Germania.

    Così, i fronti revisionista e antirevisionista si trovano faccia a faccia, pieni di disprezzo e nessuno può prevedere le loro reazioni.

    Per quanto audace fosse la concezione fascista della politica estera, essa poggiava comunque su basi estremamente fragili. L'entusiasmo tedesco non sostituisce i carri armati, l'artiglieria pesante e le squadriglie di bombardieri che non ha. L'ambizione dell'Italia non può compensare il progresso degli armamenti e la superiorità della Francia, rafforzata dal suo impero coloniale in Africa. Per il resto, anche l'Italia fascista è, rispetto alla Francia, un soldato di secondo ordine. L'appello dell'Inghilterra non è sicuro di nulla: vorrebbe evitare la guerra e non ha intenzione di entrarvi dalla parte dell'Italia e della Germania.

    Ma anche il forte sentimento di solidarietà internazionale fascista dell'Italia è sospetto. Nel caso estremo, la Francia potrebbe sempre offrirle più della Germania. Il “sacro egoismo” dell'Italia non esiterebbe, se ne valesse la pena, a far cadere la Germania fascista in favore della Francia parlamentare e democratica. L'Italia chiede soltanto e non fa nulla. Non accetta nemmeno l'idea del ricongiungimento dell'Austria alla Germania e non vuole più parlare della restituzione dell'Alto Adige.

    Istintivamente, la Germania nazionalsocialista sente la precarietà del suo sistema di politica estera. Per questo vuole liberarsi, all'interno delle proprie frontiere, da tutti gli elementi che, in uno stato di emergenza, potrebbero improvvisamente essere utilizzati per provocare un indebolimento interno. Vuole prevenire tutti i pericoli che potrebbero minacciarla internamente. Vuole prevenirli con tanta circospezione che dubita che una sconfitta in politica estera, dovuta all'atteggiamento dell'Italia, possa essere tanto fatale quanto la frode di Locarno lo fu per il regime di Weimar.

    La lotta contro Weimar era la lotta contro la sottomissione alla Francia. L'operaio socialdemocratico, sostenitore del regime di Weimar, era un alleato della Francia. Questo faceva scattare contro la socialdemocrazia questo spirito mortificante: aveva anche un significato per la politica estera. Il nazionalsocialismo, combattendo l'operaio socialdemocratico, conduceva la guerra contro un nemico esterno, la Francia. Poteva concepirsi come un esercito in marcia, affidandosi al combattimento, ottenendo le sue vittorie e celebrando i suoi eroi morti per la sua causa. Dopo la grande battaglia decisiva del 5 marzo 1933, che fu il suo "Tannenberg", mise i suoi prigionieri di guerra in "campi di concentramento". La scomparsa della socialdemocrazia fu considerata come una pulizia del suolo tedesco, le spie, l'avanguardia e le truppe ausiliarie francesi furono eliminate. I successi che la "rivoluzione nazionale" ottenne contro la socialdemocrazia furono oscuramente sentiti come sconfitte della Francia. Così abbiamo potuto giustificare le rumorose celebrazioni delle vittorie con le loro fiaccole, i loro stendardi e la loro musica.

    Poiché avevamo rotto la forte posizione della Francia, si parlava di una "rivoluzione nazionale". I socialdemocratici furono espulsi da tutti i posti dove era loro permesso di agire, come funzionari di Versailles, contro il popolo tedesco. Questi posti, resi vacanti, furono, con buona ragione, intascati come "bottino di guerra" dai loro stessi uomini su cui potevano contare. Il pacifismo fu proscritto senza pietà come "alto tradimento". Non credevamo più che potesse essere un principio morale ed etico. Diciamo che è piuttosto una tendenza un po' dubbia porre la pretesa francese al potere al di sopra del diritto nazionale tedesco all'esistenza. Il pacifismo ha abbandonato il suo diritto alla vita perché la sua difesa avrebbe richiesto coraggio, risoluzione e impegno totale.

    tshirt nationalbolchevism, nazbolLa Germania fascista, che vuole mettersi in condizione di dirigere tutti i suoi elementi vitali contro la Francia, non può paragonarsi alla socialdemocrazia. Se tollerasse quest'ultima, farebbe una concessione alla Francia. La socialdemocrazia ha ferito la coesione del blocco fascista e ha indebolito la sua forza d'urto, diretta contro la Francia.

    Ma la sua dissoluzione non era, in nessun caso, una garanzia per il blocco fascista. Non poteva dargli la certezza che grazie a questa avrebbe avuto la meglio sulla Francia e il suo sistema di alleanze. Il successo dell'inizio non determina in alcun modo il risultato definitivo della politica estera: lo smantellamento della socialdemocrazia è lungi dall'essere il presagio della vittoria nel conflitto che si annuncia tra il blocco fascista e la Francia.

    L'antagonismo tra il blocco fascista e la Francia è un affare inter-europeo: due sistemi dello stato borghese lottano per la supremazia. Ma nonostante questo antagonismo, ci sono alcune cose che rimangono comuni al blocco fascista e alla Francia. È l'omogeneità della concezione borghese della vita, le abitudini delle istituzioni borghesi, l'attaccamento incrollabile alle tradizioni dell'Occidente, alle sue regole e alla sua cultura. Se i valori fondamentali della comunità della vita europea fossero messi in discussione, l'antagonismo tra il blocco fascista e la Francia si attenuerebbe e i nemici nello schema tattico diventerebbero alleati per principio.

    La Russia bolscevica e la crescita del comunismo nello spazio europeo incarnano forze vitali antieuropee. La posizione centrale della Germania apre la prospettiva di un'alleanza russo-germanica. La Polonia slava potrebbe complicare la realizzazione di una tale alleanza, ma non impedirla. Essa gioca lo stesso ruolo che il Tirolo germanico e il Vorarlberg hanno giocato nella costituzione del blocco fascista. Si tratta di barriere che possiamo ribaltare. Ma un'alleanza russo-germanica significherebbe che la Germania ha abbandonato l'Europa. Questo nuovo blocco avrebbe confini dall'Asia ai Vosgi e alle Alpi. Tutta la società borghese e occidentale si sente solidale e rabbrividisce davanti a questa prospettiva. Pensare ad un tale insieme sembra loro frivolo o addirittura suicida e criminale. Nel blocco fascista si riunisce una volontà feroce di difendere l'Europa - volontà che viene dalla sua natura - e la risoluzione, nutrita da una passione feroce, di rompere la supremazia della Francia. La sola idea di un'alleanza russo-germanica è in contraddizione con questi due obiettivi. Questa idea nega il diritto alla vita dell'Europa e priva, allo stesso tempo, il blocco fascista della sua libertà d'azione, cioè di entrare in conflitto con la Francia. Per salvaguardare l'Occidente, i paesi fascisti devono rassegnarsi all'egemonia francese. Ecco perché il fascismo non ha alcuna indulgenza per il comunismo. Quest'ultimo sconvolge il gioco sottile con cui il fascismo cerca di ottenere il dominio dell'Europa - contro la Francia - senza provocarne il crollo. Solo chi è pronto ad assumersi la responsabilità della sua esistenza e del suo destino può governare l'Europa. Ma quando l'esistenza di questa stessa Europa è minacciata alla sua base, nessun occidentale può credere in un conflitto con la Francia. Sa che l'Europa - data la sua divisione interna - non può sopravvivere a un tale conflitto e diventerebbe allora vittima dell'"attacco asiatico".

    Il fascismo si rende conto che la sua missione storica è apertamente messa in discussione dal comunismo. Ne segue una guerra spietata tra i due movimenti: essere o non essere! Nessun compromesso è possibile. Bisogna lottare fino alla fine per la causa. La vittoria dell'uno suggellerà necessariamente la scomparsa dell'altro.

    Tuttavia questa rivoluzione politica aveva uno sfondo che conteneva le necessità intrinseche della storia.

    Nel novembre 1918, la Germania si trovò davanti a un compito gravoso nel campo della politica estera. Era necessario salvare il paese e la sua indipendenza nonostante la catastrofica disfatta militare. Nel 1917, la Russia ha conosciuto una situazione simile e vi ha dato prova di sé. La Germania aveva perso sul terreno dove il combattimento si è svolto fino ad oggi. Nemmeno un intervento in massa avrebbe potuto porvi rimedio. Per affrontare questa situazione, era necessario non solo un coraggio eccezionale, ma anche un piano tattico completamente nuovo, e porre la lotta su quest'altro schema. La Germania avrebbe dovuto presentarsi in modo da evitare l'abituale dimostrazione di forza militare, che le avrebbe dato una superiorità inaspettata. Aveva perso la guerra nazionale. Potevamo uscirne solo con la capitolazione o con una lotta di classe che si rivoltasse contro lo spirito borghese delle potenze occidentali vincitrici. In questo caso, la giustificazione della guerra, che aveva galvanizzato gli eserciti dell'Intesa fino a questo momento, non avrebbe più avuto valore. La combattività delle truppe francesi, inglesi o americane sarebbe stata internamente intaccata se i lavoratori tedeschi avessero schierato la bandiera con il motto di liberazione delle classi oppresse di tutti i Paesi. Allora, forse avrebbe dovuto sacrificare la borghesia tedesca. Ma che importanza avrebbe avuto se, al prezzo del sacrificio, la Germania avrebbe potuto essere salvata?

    L'ora storica dei lavoratori tedeschi era suonata. Da quel momento più di uno Junker disse, basandosi sul suo senso della storia, che il "socialismo" era l'ultima piattaforma della salvezza tedesca. I lavoratori tedeschi avrebbero dovuto fare la storia mondiale. Avrebbero dovuto dare il loro sangue con ancora più generosità di quanto non avessero fatto durante la guerra e superare la meravigliosa tradizione dell'eroismo prussiano. Il nuovo fronte che avrebbe dovuto riunirsi sul Reno avrebbe potuto essere solo un fronte di classe contro il mondo borghese. Tuttavia, il retroterra di questo fronte si sarebbe esteso fino alla Siberia. Guerra e non pace, guerra all'interno e all'esterno, contro tutti coloro che non avevano gusto per l'austerità spartana, questo era ciò che gli operai tedeschi avrebbero dovuto portare al loro popolo e al mondo intero.

    Gli operai tedeschi si sono sottratti a questa missione storica per la quale erano stati chiamati. Perché chi altri se non gli operai avrebbero potuto condurre la lotta di classe contro il mondo borghese e occidentale?

    Dato che il modello dell'operaio tedesco non è di tipo proletario, inquadrato e uniforme, la condizione proletaria non corrisponde veramente alla sua natura. Egli non si sente lì nel suo elemento. La sua mentalità e la legge interna della condizione proletaria divergono. Per questo non c'è un accordo istintivo e spontaneo tra i suoi atti e le necessità intrinseche della sua condizione. Certamente in Germania l'operaio è ancora il più adatto alla lotta di classe. Tuttavia, questa attitudine è lungi dall'essere evidente e incontestabile. Egli ha dubbi e scrupoli davanti a questa lotta - non nello schema intellettuale ma nello schema della sua struttura psicologica. Il solo fatto di chiamarsi "compagno" lo mette già a disagio. Essere un combattente di questa lotta di classe lo spaventa. Gli appare come un rischio troppo estraneo alla sua natura per poterlo seguire. Così gli operai tedeschi che avrebbero dovuto essere spinti, con un entusiasmo traboccante e una devozione cieca e spontanea, a dare la loro vita a questa causa, tremavano davanti alla prospettiva catastrofica di un eroismo proletario; questo eroismo non li attirava affatto. Non avevano la vocazione. Non volevano "avventure" incerte, temendo una "caduta nel vuoto". Dubitavano persino della capacità di assumere la responsabilità di un proletariato tedesco. Per loro, la rivoluzione universale diretta contro l'Occidente non rappresentava questa audace impresa, per far deragliare tutti i partiti che volevano la sottomissione della Germania. Vi vedevano un sacrilegio. Così, dove avrebbero dovuto affrontare i maggiori pericoli, temevano per la loro sicurezza.

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    Gli operai prevedevano l'enorme sforzo che avrebbero dovuto fare in materia di politica interna ed estera. Questo presentimento li paralizzava. Non vedevano davanti a loro solo il nemico esterno, borghese, che nella sua ebbrezza di vittoria faceva le sue scorribande. Non erano più ingannati dal grandissimo potere della classe borghese, che doveva essere tenuto in conto anche in Germania. La Russia usava il suo immenso spazio contro l'invasione delle potenze straniere, spazio che mancava in Germania. Oltre a ciò, la borghesia russa era relativamente poco importante e, in ciò che riguardava le tradizioni radicate, il prestigio, l'efficacia e il sentimento del valore di sé, non reggeva il confronto con la sua "sorella" tedesca. Certamente, nel 1918, questa borghesia tedesca, congelata dalla paura di fronte alla catastrofe nazionale che la colpì, abbandonò il potere ai lavoratori. Tuttavia, bisognava aspettarsi che si sarebbe difesa con furore non appena i suoi interessi sociali ed economici fossero stati seriamente toccati. L'alleanza tra la borghesia e il nemico straniero, che già una volta la borghesia russa non aveva rifiutato, fu probabilmente l'ultimo rifugio anche della borghesia tedesca. Solo il suo fanatismo scatenato avrebbe permesso al proletariato di lanciarsi nella lotta contro il mondo borghese, tedesco e straniero. L'operaio tedesco ha ignorato questo fanatismo; così, si è sottratto all'azione che la storia si aspettava da lui. Solo alcuni eventi locali e spontanei indicavano che, in certi casi, la necessità di dover agire era compresa. Infine, durante la crisi di Versailles, anche il conte Brockdorff-Rantzau arrivò a capire che la Germania doveva impegnarsi in una rivoluzione globale per salvare il suo futuro.

    Per il suo carattere, un popolo può essere incapace di affrontare una situazione di portata globale e storica. Una nazione può essere rivoluzionaria solo a condizione che la sua natura l'abbia misteriosamente predestinata a sconvolgimenti per i quali i tempi sono maturi. Il fatto che sappia realizzare ciò che il momento richiede, le conferisce una grandezza storica. La mentalità russa nel suo orientamento era meravigliosamente in accordo con l'azione che l'anno 1917 richiedeva al suo popolo. La Germania, d'altra parte, si mostrava completamente sconvolta di fronte alla situazione del 1918. Il modello proletario le era estraneo, non corrispondeva alla sua natura. Così cadde, maldestramente e goffamente, nella servitù di Versailles. Avrebbe potuto sfuggirvi se avesse intaccato la superiorità delle forze nemiche con i mezzi e gli stratagemmi della guerra rivoluzionaria e proletaria. Rimanendo incrollabilmente fedele a se stesso, il nemico non ha avuto difficoltà ad infliggergli una sconfitta umiliante. Non ha saputo adattarsi ai bisogni e alle esigenze della nuova situazione globale. Per questo motivo, rimase fondamentalmente attaccato al vecchio mondo la cui legge, dal 1918, dava diritto a Versailles. Data la sua natura, il popolo tedesco, compresi i lavoratori, non poteva affrontare ciò che la storia gli aveva imposto. Questo compito era al di sopra delle sue forze e andava contro il suo istinto. Non potendo dominare la situazione, ne divenne schiavo.

    I lavoratori tedeschi hanno rifiutato di rischiare eroicamente la loro vita. Al contrario, hanno firmato la loro capitolazione. Non hanno fatto quello che dovevano fare. Hanno tradito la loro vocazione. La resa della nazione fu la conseguenza finale derivata dalla saggezza borghese. La borghesia l'ha capito meglio degli operai. Anche se l'azione del proletariato si limitò alla capitolazione, rimettere la direzione politica nelle mani degli operai fu un errore. Ritirandosi davanti all'atto eccezionale, gli operai sono rimasti in debito con ciò che ci si aspettava da loro. La Germania prima della guerra si era rassegnata a dire che gli operai avrebbero trovato un'uscita che li avrebbe salvati dalla tanto temuta capitolazione. Ma quando i lavoratori stessi procedettero alla resa, ebbero ragione di sentirsi ingannati. Abbiamo punito gli operai per questa capitolazione nazionale, che non era colpa loro, caricandoli di tutta questa responsabilità.

    Per le classi dirigenti della Germania prima della guerra, la capitolazione era la fine logica della loro lotta ormai persa. Per gli operai, che non erano responsabili della dichiarazione di guerra e del suo perseguimento, essa era priva di significato, non era un'azione derivante dalla necessità della loro situazione. Questi operai capitolarono come qualcuno che volesse disfarsi rapidamente di un peso e di una costrizione che, fondamentalmente, non lo riguardava. Con molta sconsideratezza, hanno apposto la loro firma sul trattato di Versailles. Dimostrando così che la causalità non esercitava alcuna pressione dolorosa su di loro. Hanno "impegnato" la capitolazione nello stesso modo in cui noi andiamo all'avventura, senza tener conto delle conseguenze. Così, questa resa è stata un vero e proprio attacco alla vita della nazione, un attacco lanciato con molta noncuranza. Per le classi dirigenti della Germania prima della guerra, la capitolazione fu un evento così tragico che le schiacciò.

    Non appena gli operai cominciarono a mettere in atto la capitolazione, sorsero dubbi sulla loro capacità di dirigere il Paese. Gli stessi operai non ci credevano più. Senza alcuna garanzia, Ebert si presentò al mondo borghese. I ministri socialdemocratici della Repubblica di Weimar mettevano in atto lo stesso comportamento. Sapevano che la loro presenza alla testa del Paese non era giustificata da nessuna azione storica di valore. Sapevano anche quanto fosse fragile la base su cui poggiavano. Per questo hanno avvertito la necessità di una coalizione. I socialdemocratici temevano il potere indiviso. Non si sentivano all'altezza dell'attacco a cui erano allora esposti. Cercarono non solo un appello alla società borghese, ma tentarono anche di rendersi indispensabili con i servizi che le fornivano con zelo. Fecero appello all'aiuto dei figli della borghesia, quando, in certi luoghi, si formarono movimenti proletari che sentirono la funzione storica che gli operai avrebbero dovuto compiere nel 1918. Nel novembre 1918, gli operai premevano per attuare un compito della borghesia. In futuro, speravano di avere il compito di attuare molte azioni di questo tipo. La borghesia scoprì presto la debolezza degli operai. La controrivoluzione iniziò immediatamente. La morte di Rosa Luxemburg e Liebknecht, l'assassinio di Eisner, la frantumazione della Repubblica "sovietica" di Monaco, il Putsch Kapp, l'eliminazione di Erzberger e Rathenau, il Putsch di Monaco di Hitler furono i punti culminanti di questa "controrivoluzione". Già nel 1923, Stresemann, un borghese, rappresentava bene questa epoca.

    Così fu presa la decisione contro i lavoratori. Solo alcune artificiose costruzioni politiche, tattiche e manovre parlamentari permisero ai socialdemocratici di conservare il loro potere in Prussia. Lì non si sentivano a loro agio. Per questo, il 20 luglio 1932, non hanno avuto il coraggio di combattere in Prussia. Sparirono senza opporre resistenza. Avendo abbandonato la loro causa, rivelarono al nemico la misura della loro impotenza. Il 30 gennaio 1933, persero ciò che restava della loro posizione politica. Furono privati dei loro diritti ed espulsi dalla comunità nazionale. A questo proposito si sviluppò una politica di rappresaglie. Nel 1918, hanno mancato il loro destino e nel 1933 hanno dovuto pagare per questo. Li abbiamo portati davanti a un tribunale che ha pronunciato il giudizio che meritavano. Furono condannati perché non avevano peso. Li abbiamo persino privati del diritto alla protezione della legge, tale era il grande desiderio di distruzione che il loro fallimento aveva provocato. Poiché la storia aveva fatto appello a loro per compiere un'opera vana, avevano semplicemente perso la loro ragione d'essere. D'ora in poi potevamo calpestarli, perché avevano cessato di significare qualcosa. Erano solo un parassita che viveva all'amo della borghesia. Non meritavano alcuna considerazione.

    Il movimento comunista si è schierato nel momento in cui la borghesia tedesca aveva già cominciato a mantenere consapevolmente la sua volontà di conservazione. In cerca di protezione, furono integrati in un ordine borghese internazionale. I comunisti erano, prima di tutto, respinti e odiati come una minaccia ai valori borghesi. La loro forza esplosiva, diretta contro Versailles, suscitò più disagio e rancore che simpatia. Non solo sono arrivati troppo tardi, ma hanno anche ricordato, in modo pietoso, che la necessità di preservare l'esistenza della Germania poteva richiedere il sacrificio delle forme di vita borghesi. Non vogliamo pensare che non eravamo più pronti a fare questo sacrificio. Abbiamo detestato il movimento comunista con tanta veemenza perché era lo spettro tardivo di un'occasione nazionale mancata. Questo spettro ci scuoteva perché evocava l'eventualità che una tale occasione potesse ripresentarsi.

    Nel 1918, i lavoratori tedeschi non hanno saputo sfruttare l'occasione e devono pagarne le conseguenze. Gli operai socialdemocratici erano disprezzati perché, al posto di essere padroni severi, erano valletti. Ma era anche necessario sopprimere gli operai comunisti perché non venisse mai l'ora in cui si potesse permettere loro di diventare tali padroni severi.

    Il nazionalsocialismo arrivò al potere sotto la forma di un movimento borghese, le sue file erano piene di borghesi sradicati. I proletari disoccupati, che condividevano la mancanza di radici dei membri borghesi, li rafforzarono. Milioni di contadini vi aderirono. Questi contadini, più sensibili di chiunque altro ai cambiamenti dell'epoca, sentivano avvicinarsi la loro rovina. Per tutti, l'insicurezza era un elemento della vita quotidiana. Con il crollo del loro piccolo mondo in cui avevano un fulcro e in cui un tempo si sentivano liberi, avevano perso il loro equilibrio psichico. Volevano buttare a mare le poche certezze che ancora esistevano ma dalle quali erano esclusi, per poter approdare su un'isola galleggiante e insediarsi lì. Non rimaneva più molto da difendere per loro. Così sono diventati aggressori decidendo di conquistare nuovi spazi per mettervi radici. Erano il popolo in esilio che si rifiutava di riposare. Con la forza, vorrebbero insediarsi dove possono sentirsi sicuri, dove possono sentirsi a casa.

    Tutti i veri movimenti rivoluzionari si rivolgono a una classe sociale relativamente omogenea, che si solleva contro l'ordine stabilito nella società, un ordine che regna da decenni, anzi da secoli. Un'importante classe operaia insorge e realizza che è sfavorita dal destino, che una "piccola classe dirigente" la opprime e la considera "inferiore". Volendo accedere al potere, si crede chiamata ad una missione storica. Così è stato in Francia, con la rivoluzione del 1789, quando il Terzo Stato ha dato vita all'era borghese. Allo stesso modo, gli operai e i contadini russi hanno iniziato, nel 1917, un secolo proletario. Tutte le vere rivoluzioni vogliono introdurre un nuovo sistema sociale, un nuovo principio direttivo nella storia universale.

    In questo senso, la vittoria del fascismo in Italia non fu una rivoluzione. Il fascismo ha difeso e rafforzato un ordine sociale minacciato, che noi volevamo disturbare e rovesciare. Lo "modernizzò" e lo trasformò in modo che potesse resistere meglio alle perturbazioni cicliche. Il fascismo non invocava cose passate, cadute in disuso. Non era un movimento di restaurazione. Era piuttosto un'impresa conservatrice. Mussolini era un "rivoluzionario" conservatore.

    Il nazionalsocialismo è più vicino al fascismo che il giacobinismo del 1789 o il bolscevismo del 1917. Ma in nessun caso si tratta della stessa ideologia. Non ha questa relazione naturale con un ordine universale, radicato, strutturato, dove la situazione di proprietà è stabile. Non ha le basi sociali che rimangono intatte e incrollabili. Raduna milioni di uomini che, a causa del deterioramento delle loro condizioni materiali, sono rimasti fuori dalla struttura nazionale per diventare una massa informe. All'inizio, questi sradicati hanno preso la loro sconfitta come una disgrazia passeggera. Come i disoccupati, che speravano di trovare rapidamente un lavoro, coloro che erano stati espropriati dei loro beni pensavano di poterli recuperare. Conservarono i modi di vita e le idee che corrispondevano a quelli di chi non aveva ancora perso la sicurezza sociale e materiale. Continuavano a considerarsi come "membri di una nazione", quindi erano già fusi in una massa. Il nazionalsocialismo ottenne un successo favoloso perché non esitò a sottoporre il popolo tedesco alle influenze della propaganda e alle regole di organizzazione, sempre efficaci quando producevano la loro impressione sugli sradicati. Non ha provocato i processi di livellamento dei tedeschi, ma li ha riconosciuti e adattati. Il suo atto rivoluzionario consisteva nella distruzione di una "coscienza nazionale" che era sopravvissuta a lungo al crollo dell'ordine sociale. La sostituì con una "coscienza di massa", più attuale. Un popolo, che dubita di se stesso, cerca rifugio nell'orgoglio e nell'intolleranza, adatti a qualsiasi arma. Il tedesco abbandona la nazione in quanto tale per rinascere nel movimento nazionalsocialista, sotto forma di massa. Hitler è segnato dal declino che ha vissuto. Il suo discorso lo riflette. La sua vocazione consiste nel ricostruire ciò che è degradato e caduto in rovina. Lo ricostruisce secondo una nuova legge che emana come Führer delle masse. Nessuna classe sociale, che vive da allora nell'oscurità e che costituisce, in un certo senso, una riserva biologica nazionale, può essere portata al potere dal nazionalsocialismo. Forse è un patetico tentativo di ristrutturare le classi espulse nello spazio della storia e riconquistare per loro il proprio spazio, prima che si consumino definitivamente. Come in tutti i fascismi, queste classi non vogliono restaurare ciò che erano, ma non vogliono più conservare nulla. Desiderosi di creare un mondo nuovo, subiscono tuttavia il fascino delle immagini di un lontano passato. Credono sinceramente di essere dei rivoluzionari, ma in realtà soccombono alla seduzione che proviene dal regno delle memorie storiche.

    Nell'epoca in cui il nazionalsocialismo prende il volo, la sua forza coesiva non risiede nel godimento comune di uno stato sociale preesistente. Al contrario, le masse nazionalsocialiste si sentono "escluse" ed è per il fatto di sentirsi escluse, che sono compagni, membri di un partito. Certamente, si può dubitare che il solo sentimento negativo di essere socialmente esclusi possa bastare a riunire milioni di uomini in solidarietà. Il nazionalsocialismo vuole sedurre i tedeschi. Ma in ogni tedesco dorme un soldato. Organizzando le masse secondo le regole della disciplina militare, esso soddisfa i bisogni elementari dei tedeschi. L'uomo della strada, elemento della massa, sente in se stesso un guerriero. Lo spirito militare restituisce un senso e una dignità alla sua esistenza. Ciò che all'inizio era una massa ora diventa un "esercito". I gruppi d'assalto (SA) si considerano come "il popolo mobilitato". L'ordine sociale del mondo è crollato, ma l'ordine militare, che nel frattempo si era stabilito, era pronto a sostituirlo. Il fatto che per il tedesco la disciplina militare rappresenta sempre un ritorno alla sua propria natura, alla sua vera essenza, assicurava il successo di questo nuovo ordine. In questo modo, Hitler si trasformò poco a poco da leader di un partito a capo di un esercito. Per l'esercito bruno, la Germania di Weimar era un paese straniero. L'ha "conquistata" nel corso di una lunga campagna. La vittoria del 5 marzo fu un affare militare. Un comandante ha combattuto il suo avversario e l'avversario ha perso. Ci sono state vittime che il destino ha colpito. Secondo la legge del conquistatore, l'esercito bruno si è impadronito di questa benedizione che rappresenta il potere dello Stato. La Germania ha sostituito le forme dello Stato dei diritti civili con quelle di uno Stato basato sul potere militare. Il Führer ha preso il posto del Parlamento.

    Il nazionalsocialismo ha ristabilito un regime militare in Germania. Per questo motivo, ha potuto recuperare lo spirito di Potsdam. La natura guerriera del prussiano si manifesta attraverso di essa.

    Certamente, questa sostanza guerriera è in primo luogo un fenomeno naturale. Potrebbe anche portare all'impegno mercenario al servizio di una potenza straniera. Il "prussianesimo" è il matrimonio tra questo fenomeno naturale e l'idea di Stato nata nel nord-est della Germania. Federico il Grande che, da non credente, aderì esclusivamente alla ragione di Stato prussiana, fu la perfetta incarnazione di questo prussianesimo. Un regno militare non è per forza prussiano. Lo è solo nella misura in cui riprende e sviluppa il pensiero statale di Federico II.

    Ernst Niekisch, 1933
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia dell'Europa del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

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    Predefinito Re: Nazionalbolscevismo

    Considerazioni su un viaggio in Russia (Ernst Niekisch)


    In questo saggio del 1932, Ernst Niekisch, riflette sulla natura del nuovo Stato Sovietico, indicandone lucidamente pregi e difetti. Da teorico naturale di un vero nazionalbolscevismo si rende subito conto dell'eccessivo materialismo che andrebbe corretto con le verità indicate dai teorici della rivoluzione conservatrice; allo stesso tempo evidenzia il carattere propriamente russo e titanico di questa realtà che considera ovviamente e naturalmente un'alleato della Germania.

    Si può camminare per le strade russe e non imbattersi nella minima manifestazione, istituzione o misura con cui la Russia vorrebbe – o potrebbe – sedurre. La gente è mal vestita, come se ci fossero solo proletari che escono dalla fabbrica e vi ritornano. Gli uomini indossano berretti, donne e ragazze portano sciarpe. Lo straniero viene riconosciuto in base al cappello che indossa. Le scarpe sono di scarsa qualità, i negozi quasi vuoti. Lì, prima della guerra, erano ammassate tutte le prelibatezze d'Oriente e d'Occidente, adesso ci sono alcune scatole di conserve, mucchietti di rape, cetrioli e patate. Nelle vetrine, l'oggetto più trasandato e superfluo cerca di attirare il cliente: tre o quattro boccette di profumo, un vecchio mandolino, un foulard rosso per rallegrare. Nel mezzo di queste tristi cianfrusaglie, il busto di Lenin o Stalin sta al centro e funge da foglia di fico. I negozi sulla Prospettiva Nevski o di fronte al Cremlino, un tempo celebrati da tutto il mondo, assomigliano oggi a piccoli mercatini delle pulci di un oscuro sobborgo. Forse in questo momento è questo il vero carattere di città come Leningrado o Mosca. Ovunque c'è questo cupo grigiore che prima si incontrava solo nei quartieri popolari. Lo splendore dei vecchi palazzi è scomparso. I poveri volti, scavati dal dolore, guardano attraverso le alte finestre. I miserabili, con la bocca sdentata, sono stipati nelle stanze dove un tempo l'élite conduceva una vita in pompa magna, aperta al mondo. Questa Russia è effettivamente proletaria. Ad ogni occhiata, questo viene confermato. Essa non vuole ingannare con villaggi Potëmkin. Forse non aveva nemmeno la fantasia e la leggerezza per erigere simili villaggi. Non abbellisce nulla della monotonia della vita quotidiana, e nulla impedisce allo straniero di vedere il paese così com'è. Se vogliamo intraprendere un viaggio di scoperta, con i suoi rischi e pericoli, non abbiamo ostacoli contro cui scagliarci.

    La Russia vuole essere uno stato proletario, e lo è. Uomini o donne - bisogna far parte della popolazione attiva per avere diritti civili, e persino il diritto alla vita. Chi non è un lavoratore non ha la possibilità di partecipare a una cooperativa che riceve, anche se in quantità limitata, i beni di consumo e li distribuisce ai propri soci sulla tessera annonaria a prezzo calmierato. In epoca feudale era necessario avere la terra, nell'era borghese era fondamentale possedere il capitale per poter essere un esponente della classe dirigente. In questo momento, è necessario lavorare per essere riconosciuti socialmente e politicamente.

    Da un punto di vista storico, si comprende come la nuova Russia sia nata sotto forma di Stato operaio: quando, nel 1917 e negli anni successivi, i saccheggiatori stranieri e gli sfruttatori capitalisti cercarono di dividere la Russia e di colonizzarla, fu usata con successo l'idea di marxismo contro di loro. L'indipendenza esterna della Russia fu salvata e difesa dagli operai rivoluzionari. Gli aristocratici e la borghesia russa erano vicini a tradire e vendere la libertà e l'integrità del loro Paese al prezzo di vedere confermati i propri privilegi sociali. La grande impresa politica che l'operaio rivoluzionario ha compiuto per la Russia gli ha dato conferma del proprio valore. Sicuro di sé, vuole formare anche il suo Paese a sua immagine e somiglianza.

    Il potere effettivo dell'operaio russo dipende da particolari circostanze storiche. Certo, la questione fondamentale di sapere se c'è intrinsecamente una necessità oggettiva pressante per un'epoca del lavoratore, non è stata ancora risolta. Se ci fosse una tale necessità, in questo momento, lo Stato operaio sarebbe ben più che un avvenimento casuale della storia. Avrebbe una tale importanza da eguagliare quella delle rivoluzioni francese o britannica.

    Nel caso di un aristocratico senza lo stile di vita di un gran signore, la sua autorità e la sua pompa sono un segno di degenerazione. Nella misura in cui egli, molto più tardi, si adatta alla società borghese, è un ibrido che deve coglierne l’ironia e che – se è intelligente – non si prende più sul serio.

    tshirt nazbol, nazionalbolscevismo, strasser, national bolchevism

    Innegabilmente, i grandi giorni della borghesia sono ugualmente passati. La terra era finalmente divenuta comprensibile e calcolabile. Dappertutto c'erano limiti, barriere, che la straripante libertà dell'individuo ha scavalcato o infranto. La fede nelle possibilità illimitate è morta. Non c'è più spazio per intraprendere grandi e audaci imprese. Le cose non possono più essere prese singolarmente. Non c'è armonia prestabilita nel libero gioco delle forze. Ciò che viene abbandonato a se stesso, finisce in crisi e catastrofi. I borghesi sono mutilati: le cose non si lasciano più dominare dal punto di vista della redditività. Il capitalismo, che non può dare pane e lavoro a venti milioni di disoccupati, perché i suoi principi gli impediscono addirittura di superare lo stato anarchico dell'economia globale, deve essere messo in discussione. Il signore, a cui i problemi globali non permettono più di dormire, si ritira. Stanco, si arrende. A volte discute ancora nelle conferenze, ma si sente lontano da una condizione in cui è possibile affrontare realmente i problemi e risolverli.

    I lavoratori potranno essere questa classe sociale che non teme le difficoltà perché sono ancora così ingenui e ciechi nella loro totalità, questa classe che riesce a manifestarsi perché ha il coraggio di affrontare le sue difficoltà?

    In questo senso, l'operaio russo crede nella sua missione globale. Si vede come il prototipo, il modello dell'uomo chiamato a prendere possesso del mondo. Tutta la vita russa è concepita secondo questo modello. Lo caratterizza, ne conferma il diritto ad esistere, lo idealizza e gli dà l'occasione di godere della sua importanza. Dietro ogni manifestazione pubblica, dietro ogni gesto dell'operaio stesso, intendiamo difendere strenuamente questa pretesa che l'operaio sia l'uomo più avanzato e portatore delle più grandi speranze. Gli operai tedeschi e occidentali portano tutti nel cuore segreti ideali borghesi. Ecco perché non hanno mai abbastanza fiducia in se stessi per intraprendere una rivoluzione proletaria. L'operaio russo non si è mai sottomesso minimamente alle influenze della civiltà borghese. Ha potuto così avere il coraggio di professare quello stile di vita proletario. Esso si impone con una tale forza che, nelle città, non si vedono quasi tracce di altre classi sociali. Accanto a lui, nessun altro tipo di società russa osa manifestarsi. Anche i “reietti” della borghesia, i figli e le figlie di uomini che “sono stati qualcuno”, si adattano alla nuova società.

    L'ambiente, il milieu che contraddistingue il lavoratore è la fabbrica. È un mondo stranamente artificiale, senza alcun legame con la natura, distaccato da tutto ciò che è organico. L'uomo è precedente alla sua creazione. È lì, nel frastuono delle macchine, che lavora. È lì che misuriamo esattamente le sue prestazioni. Il ritmo e il tempo della macchina impongono quindi la sua legge meccanica al suo organismo. Ma proprio queste macchine, che lo sottomettono al loro ritmo, sono meraviglie create dall'uomo. È la tecnologia che insegna all'uomo come egli può avere successo adoperando la sua fiducia e la sua intelligenza. Ogni funzione all'interno della fabbrica è un trionfo della scienza e della razionalità dell'uomo. In questo ambiente si forma una concezione della vita che lo incoraggia ad essere assai orgoglioso della ragione umana. Noi riteniamo che la sua vocazione sia quella di diventare un agente in fabbrica e un fattore nei processi di produzione. Sembra che tutti gli angoli bui possano essere illuminati, che il mondo non nasconda più misteri, che non esistano più problemi tecnici che non possiamo risolvere. L'irrazionale diventa chimera o misticismo. In generale, questo si mischia a progetti controrivoluzionari che inquinano l'aria pura della fabbrica. L'aria è così pura che finalmente anche i rapporti tra uomo e donna, lavorando fianco a fianco in catena di montaggio, hanno perso lì la loro sensualità.

    Le relazioni tra i sessi sono più neutre che nell'Europa occidentale o centrale. Esse sono governate da una calma sovrana. Il matrimonio, così come il divorzio, sono semplici questioni di convenienza. Il matrimonio proletario non è più immorale in rapporto al matrimonio borghese di quanto lo fosse il matrimonio borghese in rapporto all'antico matrimonio religioso. Corrisponde semplicemente alla situazione odierna. Essi non possono più impegnarsi eccessivamente nelle buone maniere. L'uomo e la donna, che durante il giorno sono occupati con il lavoro e la propaganda, non possiedono più quel certo terreno psichico su cui può fiorire il “romanticismo familiare”. Non c'è più una sessualità torrida. Per questo motivo in Russia la prostituzione è scomparsa. Berlino è incomparabilmente più immorale di Leningrado, Mosca o Kiev. La facilità con cui si può divorziare eccita l'immaginazione sessuale dell'Occidente. Tuttavia, la Russia è ben lungi dal confondere il matrimonio con una breve avventura erotica. Un comunista che si lascia andare alla promiscuità con la sua ragazza si disonora e perde ogni merito.

    Questi uomini e queste donne, stimati in modo univoco in funzione della loro produttività e tra i quali non vi sono oscuri segreti erotici, sono evidentemente uguali nei diritti. Questa uguaglianza non è controversa o sottolineata in modo aggressivo. Il sesso conta poco per chi, come direttore di fabbrica, gestisce 20 o 25 mila operai o impiegati. Questo atteggiamento razionalista e materialista, che caratterizza la fiducia in se stessi di questi uomini, sembra terra terra, o piatto, ma è saldamente ancorato nei loro cuori. Vogliono ad ogni costo istruire, informare: sapere è potere. I mezzi di istruzione e i metodi pedagogici hanno raggiunto un livello e una perfezione senza precedenti. L'operaio russo sa quali sono le risorse di materie prime del suo paese. È aggiornato sullo stato odierno della produzione russa. Vede l'infamia che caratterizzava il vecchio ordine sociale. Conosce le leggi dell'insurrezione proletaria, come conosce la storia dell'evoluzione dell'uomo. E, in particolare, ha scoperto i trucchi che la scimmia ha utilizzato per elevarsi al livello umano. Egli tratta la concezione economica della storia come uno strumento che gli permette di affrontare tutte le questioni e vederle chiaramente. Per lui non esistono più misteri impenetrabili.

    Ciò prepara l'operaio, che si è messo alla prova in fabbrica, a compiti più alti. Egli studia chimica, fisica e tecnologia dei materiali. Avere un’istruzione significa essere in grado di diventare un esperto di tecnologia dei materiali. Lo Stato, i sindacati, anche le fabbriche organizzano corsi e aprono scuole che permettano loro di seguire gli studi. Le scienze sociali, che accompagnano il giovane russo fin dall'asilo, sono, per così dire, il credo e il fondamento scientifico della nuova dottrina della salvezza. Là vivono e si evolvono come l'Europa centrale vive con concetti e idee cristiane. Diversamente, solo la conoscenza tecnica e la formazione vengono dopo. Il tecnico e l’ingegnere per la Russia di oggi equivalgono a quello che il curato era per il Medioevo, e l'avvocato per la borghesia francese.

    In questa atmosfera “chiara”, satura di materialismo, la Chiesa ortodossa dovrà collassare per forza, anche se nessuno la attacca apertamente. Essa è molto più aristocratica e mistica della Chiesa cattolica. Solo le vecchiette e alcuni uomini anziani partecipano alle funzioni. Le preghiere e i canti dei pope a porte chiuse non hanno più alcun legame vivo con la realtà della Russia moderna. La Russia oggi crede nel trattore e irride le vecchie icone. Nell'Europa centrale e occidentale, ancora non ci rendiamo conto che l'aria delle fabbriche moderne non è conveniente per nessuna forma di cristianesimo. Nelle grandi città la cura per la salvezza delle anime è praticata solo nelle sfere psicologiche che devono ancora essere del tutto invase dal progresso tecnico. L'ateismo russo non è malevolenza russa; è solo questa forma di metafisica a cui siamo inevitabilmente condotti quando tutto è sottoposto alla tecnologia. Quando siamo convinti che la tecnologia possa risolvere tutti i problemi, non c'è più posto per la pietà o per il rispetto del divino.

    Manifesto nazional bolscevico, paetel, nemici del sistema

    Tuttavia, il fervore della fede nel progresso tecnico e l’autostima del proletario hanno anche altre motivazioni che si trovano al di fuori del razionale, e che risiedono nei fatti. Il Paese possiede immensi giacimenti di materie prime non sfruttate. Ha risorse inesauribili. Esse sono la sicurezza del proletariato. Anche senza essere messe in luce, danno ali alla speranza. Questa è la situazione eccezionale dell'operaio russo! Egli può essere certo che la sua opera non si esaurirà in fatiche inutili e che potrà trarre ricchezze dalle viscere della terra. Il voto di povertà, liberamente pronunciato, e la più severa disciplina del lavoro sono tanto più facili da sostenere, nel caso estremo, quando egli può sempre riporre la sua speranza in queste riserve.

    Certo, il tipo operaio è un uomo mediocre, più malaticcio, più modesto e più ottuso dei membri della vecchia classe dirigente. Ma probabilmente questo sarà il nostro destino, perché la terra ha cominciato a impoverirsi. Di conseguenza, egli deve essere economico, deve contare, pianificare e affermarsi fino all'ultimo.

    Come sempre l'operaio sente la sua esistenza minacciata dall'anarchia del regime economico capitalista. Sebbene i trust e le imprese private siano organizzati seguendo un programma dettagliato, l'economia capitalista, nel suo insieme, è una caotica matassa di forze antagoniste. È proprio questa libertà illimitata la causa delle crisi per le quali il lavoratore deve sempre pagare con la disoccupazione e le riduzioni di stipendio. La pianificazione dell'intera economia è dunque la vera pretesa dell'operaio, è il fondo del suo socialismo. All'idea di libertà della borghesia l'operaio contrappone l'idea di pianificazione. L'edificazione del socialismo corrisponde a quella dell'economia pianificata. Gli equivalenti che ne derivano sono evidenti e non possiamo metterlo in discussione: come il borghese aspira a un'economia di mercato perché gli conviene, così l'operaio vuole un'economia pianificata per il proprio interesse. Come l'economia libera e il capitalismo significano la stessa cosa, così è anche per l'economia pianificata e il socialismo.

    L'economia dello Stato operaio russo è pianificata nel senso più ampio del termine. Stabiliscono una tavola sinottica dell'insieme delle forze produttive individuate. Quindi fissano in quale misura i diversi settori industriali possono essere sviluppati e la loro produzione aumentata, sulla base di macchinari, lavoratori e capitale disponibili. Le diverse parti del progetto di pianificazione vengono coordinate e poi diffuse nei centri di attività industriale e negli stabilimenti. Là esaminano ciò che è possibile fare, lo discutono e lo modificano per contro-proposizioni. Infine viene presentato un contro-progetto che realizzerà l'elaborazione definitiva del piano. Questo diventa, per così dire, un principio di etica sociale: queste cifre sono quasi moneta morale, indicando a ciascuno ciò che lo attende. Aspettare le cifre iscritte è dovere del cittadino! Ogni stabilimento, ogni ramo di produzione rende conto quotidianamente del rapporto tra piano di produzione e rendimento reale. Quando quest'ultimo è insufficiente, senza indulgenza, si fa autocritica e si cerca di capire il motivo del deficit. Quando non si tratta di cause che sfuggono al controllo della fabbrica (consegne insufficienti di materia prima, problemi di trasporto), il personale viene severamente rimproverato e gli amministratori richiamati. Da nessuna parte il Taylorismo, con le sue tabelle di rendimento, la sua colpa data al lavoratore pigro e i suoi auguri rivolti al lavoratore coscienzioso, è stato applicato con tanto rigore come nelle fabbriche russe, sebbene lì abbia un significato molto diverso. Qui non è più il padrone che si arricchisce quando l'operaio dispiega tutte le sue forze. Ogni lavoratore fa del suo punto d'onore aiutare il progresso della realizzazione del socialismo. È la Russia socialista che esige che ogni lavoratore adempia al proprio dovere. Lo sciopero ha così perso il significato che ha nei Paesi capitalisti. Diventa un attacco al socialismo, un tradimento allo stato operaio. È un crimine politico rilevante per il KGB. L'operaio serve la sua giusta causa. Solo se ha una visione molto ristretta – le informazioni dovrebbero essere lì per porvi rimedio – non riconoscerà questo fatto. I giovani operai, uomini e donne, entusiasti e fanatici della cultura socialista, diventano "brigate d'assalto" e stabiliscono, secondo tali modelli, dei primati. Essi formano l'intera fabbrica nel loro entusiasmo, diventando la coscienza e lo sprone che spinge avanti. Quando abbiamo chiesto a due lavoratori le ragioni per cui fanno parte degli oudarniki ("pionieri"), hanno risposto: "Se perdessimo tempo a spiegarlo a questi uomini durante il nostro orario di lavoro, non potremmo mai essere oudarniki". Così il lavoro viene svolto con una coscienza molto più marcata di quanto dovuto, nella società socialista. Ciò avviene per supportarla e distinguerla come tale.

    L'applicazione del piano nell'economia richiede sicuramente un'organizzazione di controllo burocratico. È necessario accettare il peso inevitabile di sforzi operativi e inutili. Tuttavia vi sono un buon numero di interventi oculati per rendere più flessibile la realizzazione del piano. Alcune imprese chiave devono telegrafare un resoconto giornaliero alla commissione centrale di pianificazione a Mosca. Nel momento in cui c'è una differenza, contraria alle regole, tra le cifre iscritte nel piano e quelle effettivamente prodotte, una delegazione torna sul posto, esaminandone le ragioni e adottando misure draconiane.

    Per la Russia, l'intensità del lavoro è notevole. La disoccupazione non esiste. Ma vedendo i negozi vuoti viene naturale chiedersi dove vadano i beni di consumo e la merce.

    Fino alla fine, la Russia zarista era rimasta un Paese quasi esclusivamente agricolo. Nello schema industriale, dipendeva dallo straniero. Questa era la sua debolezza. La Russia post-rivoluzionaria se ne rese conto, quando, nel 1917, dovette affermarsi contro le potenze globali del capitalismo. Per superarle era necessario darsi subito da fare e, in primo luogo, costruire quei mezzi di produzione, industrie di base e industrie chiave. Essa si gettò con tutte le sue forze in questa impresa. La produzione di carbone, minerali ferrosi e petrolio fu aumentata, l'elettricità fu installata ovunque. Iniziò lo sfruttamento delle riserve. Il primo piano quinquennale mirava a tutti questi obiettivi. Tuttavia, i consumi ne hanno beneficiato poco. I beni di consumo sono rimasti rari come prima. La produzione di tessuti e scarpe è appena aumentata. L'industria pesante, tutta nuova, era allo stesso modo un'industria degli armamenti. La capacità di difesa è stata perfezionata. Il rendimento faceva parte della mobilitazione militare. Hanno fatto la loro parte, ma il livello di vita non si è accodato. I tempi erano difficili. Era necessario lavorare sodo e accettare molte privazioni. In cambio, hanno ricevuto il risultato di un futuro migliore. Era necessario non dimenticare che erano in uno stato transitorio. Una ricompensa quasi garantita e calcolabile attendeva chi avrebbe saputo perseverare. Quando la Russia sarebbe stata pronta a utilizzare tutte le sue forze per creare un'industria per i beni di consumo, la miseria quotidiana sarebbe finalmente finita. Credono che le previsioni siano giuste. Statisticamente, già anticipano i grandi lavori che affronteranno in futuro. L'ottimismo russo vede in queste statistiche di irrealtà curve di produzione ascendenti. È così sicuro del suo futuro che osa, fin da ora, immaginarlo e rappresentarlo. Si parla di 88 milioni di paia di scarpe che verranno prodotte in pochi anni, con la stessa sicurezza con cui si parla dei 40 milioni che produrranno oggi. Il piano prevede tutto questo. Sgombra la strada alle persone e queste persone hanno energia sufficiente per realizzare il piano. Sacrificano il presente per il futuro che stanno costruendo. Il popolo russo ha dimostrato il suo eccezionale eroismo, di cui altri popoli non sono capaci. Alcuni Paesi possono interessarsi alla bellezza dei loro paesaggi. La Russia è interessata unicamente alla causa del suo corpo sociale orientato verso un unico punto e realizzante lo stesso spirito che si traspone nel sogno artificiale di una vita migliore, coscientemente mantenuta e difesa eroicamente.

    Nelle fondamenta dello stato operaio sovietico c'è una profonda spaccatura, dovuta al contadino russo. Anche la sua esistenza si oppone a quella dello Stato. Lo Stato è consapevole di questa incompatibilità. Secondo ogni logica, vuole liberarsene; con mano ferma, vuole farla finita lì. Poiché si trova di fronte a un'alternativa: preservare la propria vita o lasciare che il contadino continui la sua, e ha evidentemente deciso contro il contadino. Quest'ultimo non si adatta allo stato operaio. Quindi, deve scomparire. È necessario che il contadino diventi operaio. Questa è la soluzione! La meccanizzazione dell'agricoltura fornisce i mezzi per fare ciò. Quando sarà organizzata come un'impresa industriale, la mentalità del contadino cambierà. Troverà il suo posto nel kolchoz come l'operaio trova il suo in fabbrica. Al piccolo personaggio del contadino che figura nelle statistiche sovietiche hanno già tolto il cappello di pelliccia. D'ora in poi, indosserà il berretto del proletario.

    Quando il contadino combatte deve sopportarlo, ma essi devono occuparsene. Ogni compromesso sarebbe mortale per lo Stato operaio. In molte regioni, il kolchoz rappresenta un progresso rispetto alla miseria in cui i contadini avevano vissuto fino ad oggi. Questo è un fatto di cui lo Stato operaio può beneficiare. Ogni giorno il sabotaggio dell'agricoltura e delle consegne agricole causa una macchia allo Stato. Gli esperti di questioni russe temono il peggio per l'approvvigionamento alimentare del Paese durante il prossimo inverno.

    Lo Stato operaio sa di essere a rischio. Il kulako è il tipo di contadino che, a causa del suo carattere, si pone in opposizione fondamentale allo Stato. Inculcano ai russi che questo stesso kulako è un traditore del suo paese, del suo popolo, che è un corruttore. In questo modo, il contadino è liquidato nello schema psicologico. Non possono più essere dei veri contadini, in buona coscienza. L'uomo del contado ha perso la sua sicurezza. Diffida del modello che, fino ad oggi, corrispondeva alla sua natura. Viene sensibilizzato a un altro modello che gli suggeriscono quotidianamente con parole, scritti, altoparlanti e microfoni, cioè il modello del cittadino sovietico che è e vuole essere un lavoratore. La città si impadronisce della campagna, e la tecnologia della natura. Lo Stato operaio forma gli uomini secondo i suoi bisogni, trasforma un intero popolo. Lo spirito della tecnologia soggioga 140 milioni di contadini e li rende compagni degli operai che, nelle loro fabbriche, sono integrati al ritmo del lavoro in catena di montaggio. Il lavoro con il materiale organico è posto sotto lo stesso piano di quello con il materiale inorganico e senza vita. In fabbrica basta saper premere un pulsante per accendere una luce, per utilizzare l'energia elettrica. C'è una differenza fondamentale, indiscutibile – questa differenza è precisamente negata. Il contadino deve essere intossicato dalla meccanizzazione e trovare – come l'operaio – una nuova sicurezza.

    Sul suolo vergine d'America è nato il farmer, una sorta di ritratto rurale del borghese di città. Questo agricoltore fondamentalmente ha il carattere di un cittadino e considera le sue terre come un mezzo di produzione capitalistica. La Russia cerca, in modo analogo, di mettere a fianco del proletario urbano un'immagine rurale corrispondente, una figura che deve nascere nel kolchoz. Questo nuovo tipo di proletario rurale russo si colloca in rapporto all'agricoltore come il proletario urbano sta al capitalista urbano. Tuttavia, questi due tipi rurali non hanno nulla in comune con la versione tedesca del contadino.

    L'operaio ha fiducia in se stesso, nella sua forza creatrice, nel suo futuro. Si considera un elemento nella costruzione del socialismo e questo gli dà coraggio. Il suo passato rivoluzionario, il suo tipo, la sua missione diventano gli ingredienti di un nuovo mito. Questo mito ha i suoi luoghi di culto tinti di rosso. I ritratti degli eroi della rivoluzione, la letteratura rivoluzionaria, le figure della produzione russa, le tavole di resa della fabbrica, gli equipaggi delle barche, i kolchoz sono icone, libri sacri, segni religiosi di questi moderni luoghi di elevazione spirituale. Questo nuovo mito mostra la sua forza coesiva, sebbene debba mettersi alla prova sotto la luce di una coscienza risvegliata. Esso culmina nel culto che fa voto al corpo di Lenin. Funzionale quanto suggestivo è il mausoleo davanti al Cremlino, di fronte alla straordinaria chiesa di San Basilio, risalente all'epoca di Ivan il Terribile. Ogni giorno migliaia di persone sfilano davanti al cadavere imbalsamato che riposa nella sua bara di vetro, illuminata da riflettori. In questo luogo, non si può non rabbrividire davanti al segreto mistico che fluttua nell'aria e si basa immortalmente nella trascendenza. L'anima ingenua si può commuovere, ma si realizza anche la fredda curiosità scientifica che vi si trova. L'ambiente non obbliga nessuno a rispettare il cadavere imbalsamato come taumaturgo e salvatore. La luce è così inondante che lo riduce quasi a una figura di cera. Il mito qui fiorito confina con l'inizio della curiosità scientifica. Ma, nonostante tutto, la volontà di credere è abbastanza forte da lasciarsi distogliere dall'austerità dell'ambiente; il razionalismo della vita quotidiana non può togliergli fiducia. Il mito fiorisce anche sotto la stessa forte illuminazione dei locali della fabbrica. “Per noi russi”, scriveva un fervente comunista, “le cose sono più facili che per gli altri popoli. Quando siamo in una situazione di stallo, consultiamo il nostro Lenin e lì troviamo consigli”.

    Spesso sentiamo dire dai russi in posizioni chiave che a lungo termine Mosca non può rimanere la capitale dell'Unione Sovietica. La nuova capitale dovrebbe trovarsi nella regione degli Urali, a metà tra il lato europeo e quello asiatico. Sentiamo così questa volontà di porre fine alle tradizioni, iniziare ad adottare un punto di vista completamente nuovo e, in particolare, costruire una nuova Russia sul suolo vergine della Siberia. Essi vogliono rimuovere il peso del passato, essere nuovi come una volta era l'America, questa America che vogliono superare. C'è la tendenza a spostarsi verso Oriente, a lasciare uno spazio già saturo di storia per penetrare in uno senza storia. In un certo senso, questa tendenza fa pensare alla nascita della Prussia sui territori colonizzati e ai suoi rapporti con il vecchio Impero.

    Forse lì si manifesterà un imperialismo slavo-asiatico, molto cosciente, pronto ad aspettare l'ora che verrà. Lo sviluppo tecnico-industriale del Paese è l'ordine di mobilitazione più urgente. La forma di vita urbana pone l'intero popolo in questo stato psicologico permettendogli di intraprendere una mobilitazione più rapida, agevole e con la massima efficacia. È possibile che una forma di vita urbana fosse effettivamente il mezzo più sicuro per raggiungere i propri fini da parte di un imperialismo slavo-asiatico.

    Adesso, l'operaio mette un ardore combattivo nel suo lavoro. Ogni fabbrica diventa un'unità di combattimento. Lasciare il proprio posto di lavoro è vergognoso quanto disertare. Il personale delle fabbriche è animato da uno spirito bellicoso. Oggi l'arma deve ancora essere stabilita, domani è meglio sia pronto a imbracciare il suo fucile. Da operaio a soldato dell’Armata Rossa il passo è breve. Niente è più facile che trasformare queste truppe di operai in un esercito rivoluzionario che, invece di impegnarsi nel lavoro, lotta per la propria vita. La forma di vita urbana della gente può, da un giorno all'altro, trasformarsi in vita di caserma. Lo Stato operaio, a misura del lavoratore, può diventare uno Stato militare, atto al servizio armato. La Russia è un enigma che nessuno può risolvere. Non è detto che la forma sotto la quale si presenta oggi sia durevole e definitiva. Essa rimane un elemento di trasformazione del mondo. Si afferma sotto le forme dell'esistenza che le permettono di scuotere il mondo nelle sue profondità, di cambiarlo e corromperlo dall'interno.

    Una restaurazione del vecchio ordine è impossibile in Russia. Non c'è più alcuna classe dirigente da restaurare. La Russia non ha nulla da temere dalla reazione di cui è vittima la Germania. La sua scelta è semplice: o persevererà e avrà quindi la forza sufficiente per resistere durante gli anni di sviluppo, pieni di privazioni, o crollerà e diverrà preda dei suoi rivali capitalisti. Sicuramente la Germania la seguirà nella caduta. Senza la possibilità di trovare un appoggio nella Russia, la Germania non sfuggirà più al destino di essere integrata nel più grande impero francese.

    La volontà russa di vivere è molto forte. Si manifesta nella politicizzazione dell'intera popolazione – a partire dai primi anni di vita – nell'uniformità di uno stile di vita, nell'ottimismo e nella fiducia esagerata nel progresso e nella forza che sostiene le tensioni tra realtà e idee, che vengono trasformate in obiettivi da raggiungere. Con vigorosi principi morali che danno il loro colore particolare a tutte le manifestazioni della vita pubblica, essi percepiscono che il Paese è consapevole della sua missione storica di condurre il mondo. Quando, venendo in Russia, attraversiamo il confine tedesco, ci accorgiamo tristemente che la Germania è certamente più prospera, più assettata e più ricca, ma rimane ugualmente una Nazione che non ha una missione nel mondo e una concezione morale.

    Ernst Niekisch, 1932
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia dell'Europa del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

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    Predefinito Re: Nazionalbolscevismo

    Il Wehrwolf e il possedismo (Fritz Kloppe)
    Der Wehrwolf Fritz Kloppe

    “Sradicare un capitalismo rapace – Possedismo!” L'ideologia economica della lega paramilitare nazional-rivoluzionaria di Fritz Kloppe, il Wehrwolf


    Il "Wehrwolf - Lega degli uomini tedeschi e combattenti del fronte" era probabilmente uno dei più caratteristici gruppi paramilitari attivi all'interno del campo nazional-rivoluzionario della Germania di Weimar. Fondato dall'insegnante e veterano dei Freikorps Fritz Kloppe nel maggio 1923 come braccio della lega giovanile dello Stahlhelm, il Wehrwolf si staccò presto dallo Stahlhelm considerato eccessivamente "borghese" e sviluppò rapidamente il proprio stile e la propria sottocultura nazionalista: uniformi grigio-verde, bracciali bianco-rossi, bandiere nere blasonate con simboli d'argento (una "W"; una testa di morto; una runa Wolfsangel) e un apparato organizzativo ragionevolmente esteso. Il gruppo stabilì anche la propria ideologia radicale, chiedendo un rovesciamento rivoluzionario del sistema di Weimar e la sua sostituzione con un Grande Terzo Reich "aristocratico" libero dalle tradizionali distinzioni di classe e dallo sfruttamento capitalista. A complemento di questa visione politica era l'ideale economico del gruppo ossia il "Possedismus" (dal latino Possedere), introdotto per la prima volta da Kloppe nel 1931.


    Il possedismo al suo interno ruotava attorno a una riorganizzazione dei rapporti di proprietà: Kloppe sosteneva che nel capitalismo la concentrazione della proprietà in mani private causava un egoismo sfrenato e un disprezzo egoistico per il Volk, eppure sotto il marxismo la concentrazione della proprietà nelle mani dello stato ha portato a un malsano livellamento sociale e a una neutralizzazione degli impulsi e delle ambizioni delle persone. La soluzione di Kloppe era la nazionalizzazione di massa di tutte le terre e le proprietà nelle mani dello Stato, con lo Stato che le ripartiva per il "possesso" privato il più ampiamente possibile in modo che praticamente ogni tedesco possedesse una partecipazione ereditaria nella terra o negli affari. Questo sistema "possedista", sosteneva Kloppe, quando accoppiato con l'autarchia, gli elementi corporativi e il controllo statale sul commercio estero, creerebbe naturalmente il perfetto equilibrio tra egoismo ed egualitarismo e la perfetta alternativa al socialismo e al capitalismo. I due testi tradotti di seguito costituiscono due dei primi esempi in cui Kloppe delinea il suo ideale possedista: un breve discorso dalle celebrazioni della Pentecoste del 1931 del Wehrwolf e un pezzo composto da estratti dall'opuscolo di Kloppe “Der Possedismus” (vedi sotto le note del traduttore per maggiori informazioni) . Entrambi sono stati tradotti da una ristampa retrospettiva di Kloppe del 1938 sul der Wehrwolf, “Kamerad, weißt du noch?” (cioè compagno, ti ricordi?), libro che probabilmente meriterebbe un articolo a sé stante, poiché la sua pubblicazione portò Kloppe (che nel 1933 aveva accettato di fondere il Wehrwolf nelle SA) ad essere arrestato e interrogato dalla Gestapo per sospetti di attività sediziosa.


    Kloppe, Wehrwolf, Wolfsangel

    Sul "Possedismo"

    La teoria economica di Fritz Kloppe e la sua "Wehrwolf - Lega degli uomini tedeschi e combattenti del fronte"
    Discorso sul “possedismo” alle celebrazioni della Pentecoste, 23-25 ​​maggio 1931:
    Pubblicato per la prima volta su Der Wehrwolf, 1 giugno 1931.


    Noi Wehrwolf non siamo solo rivoluzionari rispetto a condizioni puramente sociali. Siamo soprattutto rivoluzionari anche nel campo della cultura e dell'economia. È assolutamente inutile tentare di creare una Nuova Germania semplicemente ponendo nuovi uomini a capo della nazione. Né ha alcun significato se una nuova forma di Stato viene semplicemente imposta al Volk tedesco. Dobbiamo dare alla nazione stessa una sostanza nuova!

    Questa nostra nuova, rivoluzionaria volontà si riflette economicamente all'interno di un nuovo ordine di possesso, quello che abbiamo chiamato “possedismo” per dargli la più netta differenziazione dagli altri. Per un secolo abbiamo visto come il capitalismo ha economicamente minando il nostro Volk trasformandolo in schiavi salariati, in proletari, in un popolo sradicato ai quali i concetti del Volk e la comunità-di-sangue(1) sono diventati qualcosa di estraneo. Lo sfruttamento delle persone produttive da parte del capitalismo è stato riconosciuto molto presto. Un contromovimento contro di esso è emerso altrettanto rapidamente. Le masse schiavizzate hanno cercato una via d'uscita nel marxismo, attraverso il quale speravano di essere liberate dalle catene dell'alta finanza internazionale.

    Di diritto, un orrore grigio cenere dovrebbe riempire quelle persone che hanno dovuto testimoniare più volte che il marxismo è davvero una reazione contro il capitalismo, ma una reazione che non può più portare la libertà perché è sulla strada sbagliata. Ma i combattenti per il proletariato sono già troppo assuefatti ai loro decenni di schiavitù per riconoscere di essere sulla strada sbagliata. Sono troppo disconnessi dalla natura per avere la forza di mettere insieme qualcosa di più di un'insurrezione impotente. L'asfalto ha risucchiato il loro midollo.

    Il marxismo è quindi incapace di liberare il nostro Volk dalle grinfie dell'alta finanza internazionale. Noi Wehrwolf ora ci presentiamo al pubblico con un nuovo sistema economico che dovrebbe soddisfare questo scopo. Abbiamo ritenuto essenziale che l'economia sia guidata dai seguenti due principi:

    In primo luogo, l'economia deve soddisfare la condizione di soddisfare la domanda di beni della nazione.

    In secondo luogo, la sua struttura deve essere determinata in modo tale che a ogni persona capace sia offerta la massima opportunità di avanzamento, che può essere raggiunta solo attraverso un'intensa selezione.

    Inoltre, ci stiamo sforzando il più possibile verso l'obiettivo ideale dell'autarchia, che raggiungeremo attraverso il monopolio del commercio estero in combinazione con una moneta separata dall'oro; possiamo così liberarci dall'Alta Finanza internazionale, che oggi domina sia il mercato mondiale che l'economia. Solo allora ci verrà offerta una base economica per la liberazione del Volk tedesco.




    Estratti dall'opuscolo di Fritz Kloppe, “Der Possedismus”2)
    Manifesto Nazional Bolscevico di paetel
    Il nostro primo libro


    Contro capitalismo e marxismo.
    Contro la reazione e il liberalismo.

    Lo slogan per il profilo di un nuovo ordine economico tedesco.

    Wehrwolfverlag, Halle, 1931.

    Dal testo:

    L'ordine capitalista conferisce all'individuo il diritto assoluto e incondizionato di disporre della sua proprietà. Non si chiede dove e come se ne sia guadagnato il possesso; invece lo stato a orientamento capitalistico protegge ogni proprietà, sia essa ottenuta con la frode o con il lavoro produttivo, con il profitto o con la frugalità scrupolosa. Inoltre, lascia al proprietario della proprietà il diritto di fare ciò che vuole con i suoi beni, indipendentemente dal fatto che li utilizzi a beneficio del Volk o meno. Sì, deve persino tollerare quando il denaro dei capitalisti viene rivolto contro lo stato stesso, anche se la sua legislazione e le sue istituzioni sono ciò che ha reso possibile ai capitalisti di accumulare il proprio capitale.

    Anche il titolo di possesso è sufficiente a garantire al “capitalista” un potere di disposizione illimitato. Che molte persone che sono esse stesse orientate al capitalismo non abbiano più una grande fiducia in questo "ordine" è evidente dalla richiesta, articolata da molti circoli diversi, che lo stato debba possedere una supervisione sull'economia. Questa richiesta, tuttavia, rimane illusoria finché la prospettiva capitalista costituisce il fondamento generale del sistema politico.

    *

    Se considero un prodotto economico o costoso dipende molto dal mio reddito. Pertanto, se il reddito e la proprietà posseduta dell'intero Volk aumentano, i prezzi elevati a un acquirente appariranno molto più ragionevoli di quelli più bassi attualmente con gli attuali salari da fame. Inoltre, riteniamo che sia del tutto preferibile anche un certo mix di grandi e piccole imprese.

    A sostegno dell'argomento contro l'attuazione monopolistica delle grandi imprese in tutti i settori, che possono sì portare benefici materiali immediati ma che non possono essere culturalmente vantaggiosi per il Volk nel suo insieme, c'è anche il fatto che con questo mezzo la forza motrice dell'egoismo, che è la forza più forte nella vita umana, verrebbe neutralizzata. È chiaro che un funzionario a retribuzione fissa o un dipendente di un'impresa statale non deve preoccuparsi del ritorno economico sulle finanze statali, ecc., purché non ricopra una posizione di responsabilità manageriale. Qualunque cosa accada, riceverà costantemente il suo stipendio. Se, d'altra parte, una mente capace possiede qualche tipo di impresa, si sforzerà di portarla avanti, specialmente in termini materiali, e di conseguenza il suo zelo e la sua spinta aumenteranno la produzione, porterà più lavoro e andrà a beneficio del Volk. L'egoismo è solo dannoso se, come nel sistema liberale e capitalistico, esercita effetti incontrollabili e si trasforma in puro egoismo. È perfettamente valido se impiegato nella giusta forma all'interno dell'economia, e lì determina il massimo sviluppo della forza lavoro.

    *

    Il riconoscimento della persona capace all'interno di un'azienda dipende dalle autorità di gestione, dai capisquadra, dai preposti, dai capomastri, dai capi reparto, ecc. quelli attualmente stabiliti in una posizione più elevata con la potenziale perdita del proprio posto. Oppure l'operaio stesso deve anche preoccuparsi che un altro individuo veramente capace possa essere promosso su di lui, impedendo così il suo stesso avanzamento. E poiché siamo per sempre umani, l'attuazione delle teorie è sempre condizionata dai fallimenti umani. Finora, la realtà ha quasi sempre dimostrato quanto segue: non appena una persona più giovane, più ambiziosa e più capace sembra pericolosa per la posizione di qualcuno al di sopra di lui, i suoi successi vengono sminuiti oppure si trovano ragioni per pubblicizzare le sue mancanze. Chiunque può constatarlo da sé, non solo nelle grandi aziende ma anche all'interno di ogni organizzazione al di sopra di una certa dimensione. Non sembra possibile spegnere questo istinto di autoconservazione condizionato naturalmente.

    *

    Il marxismo afferma di lottare per l'uguaglianza di tutte le persone. Eppure chiunque lo conosca può facilmente stabilire che si tratta di un'assurdità, che le parole "uguaglianza per tutti" possono essere classificate come nient'altro che una frase adatta solo a creare confusione concettuale. D'altra parte, è corretto che tutte le persone abbiano eguale diritto. Affermiamo questa uguaglianza di diritti, e diciamo che lo stato e l'economia devono fornire ai competenti, qualificati e dotati tra gli uomini uguali la necessaria opportunità di avanzamento, cosa che non è loro garantita né oggi né in passato.

    *

    In altre parole, non vogliamo una lotta di ceti occupazionali, sfruttati o minacciati dall'Alta Finanza, contro un altro, ma una rivolta comune di tutti i contadini, operai e soldati, l'ultimo dei quali è un riferimento a tutte quelle persone di altre classi professionali che considerano la lotta contro i nemici del Volk tedesco come il loro scopo più importante nella vita.

    *

    Il Volk nella sua totalità, la Nazione, deve avere il diritto di proprietà su tutto il possesso. In qualità di titolare, la Nazione può quindi esercitare il diritto di intervento in qualsiasi momento e, appunto, contro chiunque.(3)

    *

    Con il riordino dello Stato, che verrà descritto più dettagliatamente in un altro lavoro, verranno istituite(4) Camere economiche speciali per ogni provincia o regione. Queste saranno composte da rappresentanti eletti dei vari gruppi professionali di ciascun territorio. Devono essere l'autorità suprema di controllo per la proprietà aggregata della Nazione all'interno della regione interessata (provincia, stato). Poiché tutte le classi professionali [Berufsstände] sono rappresentate all'interno della Camera economica, nessuna di loro deve temere di essere ingannata o trascurata dalla burocrazia statale del servizio civile. Sono responsabili esclusivamente verso i membri della propria professione.

    *

    La Camera dell'Economia si occuperà anche dei beni ereditati, delle imprese, ecc., dei figli minorenni, fino a quando non si potrà dimostrare, al raggiungimento della maggiore età, se abbiano o meno la predisposizione e le qualifiche necessarie per esercitare la stessa professione. Può essere disposta anche l'amministrazione coatta se, come non è raro, il patrimonio familiare viene sperperato da un padre immeritevole e i figli rischiano di essere privati ​​dell'eredità non per colpa loro. Il possedismo significherebbe quindi anche una forte protezione per la famiglia tedesca.

    *

    Sarà abbastanza facile per le Camere economiche effettuare questo controllo dell'economia e stabilire il necessario equilibrio. Saranno inoltre in grado, attraverso l'opportuna concessione di crediti, di consentire ai possessori di continuare a lavorare, durante quei periodi di disagio che si verificano non per loro colpa.

    *

    In sede di assegnazione del posto vacante, le Camere economiche assumano i lavoratori più capaci, che abbiano fornito evidenza della loro idoneità e che siano adeguatamente formati. A differenza del sistema capitalista, una persona non ha bisogno di denaro per essere nominata. Semplicemente ne assume il possesso e, per cominciare, occupa la posizione di amministratore. Inoltre, non è tenuto a pagare immediatamente un tasso di interesse fisso stabilito, cosa che potrebbe rendergli difficile o addirittura impossibile per lui avanzare con successo nei primi anni. Naturalmente, è ancora tenuto anche a cedere qualcosa in cambio alla collettività – come, ad esempio, far defluire alla Camera dell'economia una certa percentuale del reddito netto dell'immobile che gli è stato consegnato per l'amministrazione. Nel primo anno questo importo può essere facilmente ridotto.

    *

    Anche se le Camere economiche e lo Stato concedono prestiti – cosa che non si può evitare, soprattutto quando si assume un nuovo possesso – questi devono essere offerti sempre e solo come prestiti rimborsabili, le cui rate vengono imposte al debitore come rimborsi senza il riscossione di qualsiasi interesse usurario.

    *

    La Camera dell'Economia di una provincia (o territorio, o Gau) stessa ha sotto di sé la banca principale dell'area economica della regione come impresa statale, controllando così i finanziamenti ecc. La Camera istituisce sportelli bancari in tutte le città più grandi affinché le transazioni monetarie rimangono gli stessi di oggi; il solo utilizzo del denaro a fini di sfruttamento è reso impossibile.

    *

    La posizione dei dipendenti e dei lavoratori in quelle preoccupazioni puramente commerciali ancora esistenti dovrà quindi essere regolamentata di nuovo. Di conseguenza, ci aspettiamo una riorganizzazione del diritto delle società per azioni in modo tale che circa un terzo di tutte le azioni di una società debba essere messo nelle mani dello Stato, mentre un altro terzo sia trasferito in possesso della sua forza lavoro. L'entità delle singole partecipazioni, nonché le modalità di conferimento, saranno disciplinate da apposito regolamento attuativo. Se i dividendi delle azioni possedute dalla forza lavoro debbano essere distribuiti, i proventi destinati a misure di assistenza sociale o i fondi altrimenti investiti (le possibilità sono molte), sono questione secondaria.

    Lo scopo di questo è eliminare la possibilità che le imprese tedesche vengano acquistate o vendute a fini speculativi. Nessuno è in grado di acquisire la maggioranza assoluta di una società per azioni acquistando blocchi di azioni contro la forza lavoro e lo Stato.

    *

    Per quanto riguarda i grandi magazzini, esiste un metodo semplice per prevenire l'espansione indesiderata di tali attività. In effetti, desideriamo consentire all'abile commerciante di espandere la sua attività e, attraverso la sua diligenza ed efficienza, di trasformare infine il suo piccolo negozio in un grande emporio, ma solo entro certi limiti. I grandi magazzini nella maggior parte dei casi sono dannosi solo perché combinano merci di ogni settore e possono quindi compensare le perdite in un gruppo dai profitti in un altro. Grazie a questo sono in grado, quando gli conviene, di sminuire gli uomini d'affari indipendenti in un particolare mestiere. Le perdite che subiscono a causa di tale vendita sottocosto vengono rimborsate tramite le merci provenienti da altri dipartimenti i cui prezzi attualmente non hanno bisogno di ridurre. I grandi magazzini possono quindi, se gestiti in questo modo, portare a un punto morto un ramo dell'economia dopo l'altro.

    La legge che lo impedisce: ogni negozio aperto può immagazzinare solo prodotti di un ramo dell'economia. Quali merci appartengono a quale particolare industria è ancora da definire ulteriormente. Quindi in un grande magazzino, ad esempio, possono esserci solo tessuti e capi confezionati, in un altro solo giocattoli, in un terzo solo porcellane, ecc. ecc. Il titolare di un grande magazzino di abbigliamento, ad esempio, non potrebbe mai concorrere con una macelleria o simili allo stesso tempo.

    *

    Quando si tratta di remunerazione per il lavoro svolto, operiamo sotto una prospettiva completamente diversa da quella dell'attuale sistema capitalista. Siamo anche contrari alla visione marxista, poiché l'esempio di ogni impresa precedentemente socializzata ha dimostrato che anche in loro è stato adottato il metodo capitalista: in termini di retribuzione, prima specificano ciò che i superiori dovrebbero ricevere e poi graduano la figura su verso il basso. Riteniamo invece che il livello minimo di sussistenza culturale [Existenzminimum] debba prima essere conferito a ogni persona produttiva sotto forma di un salario minimo, che viene poi scalato verso l'alto. È quindi abbastanza semplice calcolare quanti fondi ci sono ancora per gli alti funzionari e dipendenti.

    *

    Inoltre, chiediamo anche che ad ogni tedesco produttivo sia concessa l'opportunità di poter vivere fino a un'età avanzata, e di poter vivere senza preoccupazioni in caso di malattia o incidente. Ciò si ottiene trasferendo una certa percentuale minima del reddito di ogni individuo in un fondo pensione amministrato dalla Camera dell'Economia. Quando una persona entra in una determinata fascia di età, è affetta da incapacità al lavoro, ecc., deve ricevere una pensione permanente e confortevole dal fondo pensione fino alla fine della sua vita. Questo regime pensionistico obbligatorio è vincolante per tutti i tedeschi senza eccezioni. Occorre fissare un'aliquota minima per i contributi e per le pensioni da concedere. Ma affinché coloro che sono in grado di guadagnare di più nella loro vita frenetica, possano anche procurarsi una migliore "pensione", la classe di interesse di base può essere aggiornata a un secondo livello, terzo livello, quarto livello, ecc., ognuno dei quali, ovviamente, richiede contributi maggiori. Ognuno è libero di decidere in quale classe desidera essere incluso. Più alta è la classe che sceglie, più alto è il contributo che deve pagare, ma tanto maggiore è il suo diritto alla pensione in qualsiasi momento.

    Gli attuali diritti pensionistici legittimamente acquisiti dei dipendenti pubblici saranno quindi assunti senza ulteriori indugi. In futuro, il loro stipendio d'attesa(5) e le rendite di vecchiaia saranno integrati nel quadro generale senza alcuna difficoltà.

    *

    Attraverso l'imposta per i fondi pensione (assicurazione nazionale), una consistente quantità di denaro affluirà continuamente allo Stato; allo stato non è permesso avere una disposizione completa su questo, perché ciò gli darebbe un enorme potere economico.

    *

    La quarta fonte di reddito per le Camere economiche deriva dal monopolio dello Stato sul commercio estero.

    *

    Inoltre, chiediamo anche l'autarchia statale, cioè il ripristino dell'indipendenza economica e dell'autosufficienza del Volk tedesco. Pertanto desideriamo uno stato di cose in cui il Volk tedesco, in sostanza, produca da sé tutti i beni di cui ha bisogno per vivere e che diventi il ​​più indipendente possibile nell'approvvigionamento di merci dall'estero.

    *

    Non saremo in grado di rendere nuovamente libero il nostro Paese se non promuoviamo le rivoluzioni economiche necessarie per svincolare questo nostro Paese dal dominio dell'Alta Finanza Internazionale e per riportare l'economia nei possedimenti produttivi tedeschi.


    Kloppe, Wehrwolf, WolfsangelNote di ARPLAN

    1) “Comunità di sangue” – in tedesco, “Blutsgemeinschaft”. Una Blutsgemeinschaft è molto simile sia foneticamente che concettualmente all'ideale di una "Volksgemeinschaft" ("comunità popolare" o "comunità di popolo") ed era un concetto popolare all'interno della letteratura Wehrwolf. La differenza tra una Blutsgemeinschaft e una Volksgemeinschaft deriva dal fatto che una Blutsgemeinschaft è più specificamente razziale, poiché invoca direttamente il "sangue" come sostanza spirituale e culturale che lega strettamente una comunità e la sua identità. Una Volksgemeinschaft, in confronto, è incentrata sul 'Volk', e il 'Volk' non deve necessariamente essere definito da legami razziali (di sangue). Il termine Volksgemeinschaft è stato usato dai nazionalsocialisti e da altri gruppi nazionalisti (incluso il Wehrwolf), ma non è per definizione un concetto völkisch, ed era usato occasionalmente all'interno di scritti socialdemocratici e di sinistra. La frequente invocazione del termine Blutsgemeinschaft da parte del Wehrwolf rappresenta il modo modo di indicare al pubblico il fatto di essere un'organizzazione völkisch particolarmente radicale.

    2) Il libro da cui è stato tradotto questo testo (Kamerad, weißt du noch?, ovvero “Compagno, ti ricordi?”) è stato pubblicato nel 1938 e inteso come una retrospettiva per gli ex membri di Wehrwolf, contenente innumerevoli discorsi, articoli, opere d'arte, ecc. dalle varie pubblicazioni del gruppo tra il 1923-1933. Il Wehrwolf, come la maggior parte dei movimenti politici nella Germania di Weimar, aveva posseduto una propria casa editrice (la Wehrwolfverlag) e l'aveva usata per diffondere i propri opuscoli di propaganda che delineavano la specifica ideologia politica. Questo particolare testo è stato originariamente pubblicato in forma di opuscolo con il titolo “Der Possedismus: Gegen Kapitalismus und marxistische Sozialismus; Gegen Reaktion und Liberalismus; Die neue deutsche Wirtschaftsordnung” ("Possedismo: contro il capitalismo e il socialismo marxista; contro la reazione e il liberalismo; il nuovo ordine economico tedesco"). Era lungo 40 pagine, quindi la versione riprodotta in “Kamerad, weißt du noch?” e qui tradotta non è ovviamente una riproduzione integrale della pubblicazione originale. Considerando la natura un po' sconnessa del testo qui presente (sembra che viri piuttosto bruscamente da un argomento all'altro tra ogni paragrafo), sospetto che Kloppe abbia scelto una selezione di paragrafi "tipici" dall'opuscolo per la riproduzione all'interno di “Kamerad, weißt du noch?”, piuttosto che un corpo di testo unico e contiguo. In quanto tale, non dovrebbe essere trattato come una panoramica "completa" del possedismo di Kloppe, ma piuttosto come una rapida introduzione ad alcune delle sue idee chiave.

    3) In altre parole, la Nazione (cioè lo Stato, che rappresenta il Volk) deve avere il diritto di gestire tutte le proprietà tedesche e di controllarne l'uso come "possesso". Il "diritto di intervento" (Eingriffsrecht) garantisce allo Stato la possibilità di intervenire in qualsiasi momento sul modo in cui la proprietà (come "possesso") viene gestita, conferendo allo Stato il pieno diritto di confiscare la proprietà a coloro che si ritiene ne facciano un uso improprio. Questa non era in realtà una proposta insolita tra i gruppi nazional-rivoluzionari, inclusi i nazionalsocialisti. Il Partito socialista tedesco aveva chiesto che la terra fosse gestita in modo simile, e Goebbels in The Nazi-Sozi (1931) osservò che: “Tutto ciò che la natura ha dato alla gente: terra, fiumi, montagne, foreste, le risorse naturali sia sopra che sotto terra, l'aria - tutto questo in linea di principio appartiene alla gente nel suo insieme. Se qualcuno li possiede, è in effetti il ​​fiduciario dei beni del popolo e deve considerarsi responsabile nei confronti dello Stato e della nazione. Se gestisce male i beni affidatigli o in modo lesivo del bene dell'insieme, allora lo Stato ha il diritto di porre fine alla sua proprietà e di restituire i suoi beni all'insieme del popolo”.

    4) Nel 1932 il Wehrwolfverlag avrebbe pubblicato un opuscolo che avrebbe delineato la struttura statale ideale del Wehrwolf, come promesso qui da Kloppe: “Der aristokratische Einheitstaat” ("Lo Stato unitario aristocratico"). Non ne possiedo una copia, ma “Kamerad, weißt du noch?” include alcuni estratti che tradurrò e metterò su ARPLAN ad un certo punto. In sostanza, il Wehrwolf voleva ridisegnare i confini dei Reichsländer secondo linee 'tribali', con un'autorità statale centrale più forte; un reinsediamento della popolazione per dare ai tedeschi legami più stretti con le campagne; un potente Reichsführer supportato da strutture corporative; divieto di partiti politici di qualsiasi tipo; e uno stato tipicamente germanico, privo di influenze da Oriente e Occidente, che favorisse lo sviluppo di una nuova aristocrazia di "sangue e successo" attinta da tutte le classi sociali.

    5) In attesa di paga – in tedesco, Wartegeld. La "paga di attesa" era una forma di retribuzione pagata alle persone impiegate nel governo (principalmente ufficiali militari e dipendenti pubblici) che dovevano essere pensionate anticipatamente o temporaneamente a causa di condizioni al di fuori del loro controllo. L'importo della paga di attesa che ricevevano era basato sul loro stipendio precedente e pagato in proporzione, ma in alcune circostanze poteva essere dall'80 al 100% del loro stipendio originale. I funzionari pubblici in Germania tendevano ad avere privilegi aggiuntivi come la retribuzione di attesa (anche in termini di indennità di pensionamento, ecc.) A causa del loro ruolo speciale di servitori della politica statale apparentemente incolori, leali e incondizionatamente obbedienti.
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia dell'Europa del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

 

 
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