A Mussolini anche prima del '37-'38 era ascrivibile un razzismo generico, dai tratti un po' paternalisti. Fatto comune a tanti uomini della sua epoca, peraltro. Non si trattava ovviamente di un razzismo delineato ideologicamente come quello del nazionalsocialismo tedesco, che ne aveva fatto il cardine della sua concezione del mondo. La conquista d'Etiopia però lo pose di fronte alla possibilità della diffusione del meticciato, prospettiva che gli faceva orrore, e questo sicuramente lo indusse - assieme agli altri fattori che ho prima menzionato - a prendere una posizione esplicitamente razzista, seppur in un senso diverso da quella hitleriana e dei teorici tedeschi della razza. Se in una primissima fase nel dibattito fascista sulla razza prevalse l'impostazione più marcatamente "biologica" (sostenuta da Interlandi, ad es.), poco dopo prevalse quella che alcuni studiosi hanno definito l'impostazione "nazional-razzista", sostenuta ad es. da uomini come Giacomo Acerbo (che Preziosi criticava aspramente). Evola ebbe un ruolo nella pubblicistica razzista del regime, perché il suo "Sintesi di dottrina della razza", proponendo una visione "spiritualista" del razzismo, che si distingueva da quello prevalente nel Terzo Reich, fu apprezzato da Mussolini (stando almeno a quanto Evola ci ha testimoniato riguardo al colloquio che ebbe a palazzo Venezia, in presenza di Pavolini). Tuttavia, anche qui non bisogna esagerare oltremisura l'influenza di Evola: certi progetti evoliani in materia alla fine furono cassati.