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    Amerikana & Atlantista: la “Destra” che piace alla gente che piace. Ma non è quella vera

    Recentemente, parlando della posizione di Fratelli d’Italia riguardo agli schieramenti internazionali, con Giorgia Meloni in pellegrinaggio ad limina a Washington a porgere omaggio e ricevere conforto e indicazioni sulla strategia da tenere, si è fatto ricorso ad espressioni come: “Il tradizionale atlantismo della Destra” oppure “la Destra da sempre occidentalista” o simili.

    Poiché Fratelli d’Italia non ha ripudiato, almeno non ancora, quello storico simbolo che, seppur mutilato, ancora fiammeggia nel suo emblema e quindi ne accetta, almeno in parte, l’eredità, sia pure con qualche abiura non sempre ben vista da tutti i suoi esponenti, militanti e simpatizzanti, è lecito chiedersi se questo richiamato “tradizionale” schieramento atlantista e filoamericano sia storicamente vero, lo sia stato da sempre, lo sia stato senza dubbi o spaccature. Per essere più espliciti: è vero che il MSI, nella sua storia, è sempre stato entusiasticamente filo-americano e graniticamente atlantista? E quali furono le posizioni di quel mondo complesso, cangiante e articolato che possiamo definire, in taluni casi con qualche forzatura contestata da alcuni con qualche ragione, Destra, che ovviamente non si esaurisce nel MSI?

    Il MSI venne fondato il 26 dicembre 1946, a Roma, nello studio di Arturo Michelini. Tra i fondatori, Pino Romualdi (che, ancorché ricercato dalla polizia del neonato regime democratico, fu il grande tessitore della nascita del nuovo partito), Giorgio Almirante, Giulio Cesco Baghino e altri. Aderirono testate giornalistiche, piccoli partiti, esponenti di gruppi clandestini fascisti che avevano operato nel Sud occupato dagli Alleati, ma il nerbo dei dirigenti era costituito da reduci della RSI, molti dei quali provenienti dai campi di concentramento dove i vincitori ammassarono, vessarono, torturarono e affamarono i vinti che non rinnegarono la scelta della Repubblica di Salò, come il famigerato campo di Hereford in Texas, quello di Algeri, quello inglese di Yol in Himalaya, in Italia quello di Certosa di Padula, di Coltano con i suoi sottocampi vicino a Pisa, in uno dei quali fu rinchiuso, in una gabbia a cielo aperto, anche Ezra Pound.

    È ovvio come in quell’ambiente e in quei gruppi umani non ci potesse essere nessuna simpatia per gli USA e poi per il Patto Atlantico da cui originò la NATO, anche se lo storico Giuseppe Parlato avanza l’ipotesi, mai documentalmente dimostrata, di contatti, immediatamente dopo la guerra, tra i servizi USA e Junio Valerio Borghese e forse lo stesso Romualdi. Nei dieci punti programmatici del neonato MSI, l’accenno alla posizione internazionale è piuttosto sobrio: “Politica estera ispirata agli interessi concreti e contingenti della Nazione, auspicando la formazione di una unione europea su piede di parità e giustizia”.

    Quando, nel luglio 1949, si trattò di votare alla Camera (ove il MSI aveva sei deputati) la ratifica dell’adesione dell’Italia al Patto Atlantico, il partito decise di votare per il no, decisione che venne rispettata da tutti i deputati tranne che da Guido Russo Perez, che proveniva dalle file dei qualunquisti, che votò a favore, dando vita a un incidente che la dice lunga sul comune sentire all’interno del partito: un gruppo di dirigenti giovanili, Giulio Caradonna, Gianfranco Finaldi, Marcello Perina, Mario Tedeschi (futuro direttore de Il Borghese) ed Enrico de Boccard affrontò Russo Perez in piazza e l’ex qualunquista si beccò due sonori schiaffoni: Caradonna e Tedeschi si contesero poi l’onore di questi schiaffi.

    Uno degli organi neofascisti, La Sfida, lo bollò come “traditore”. Il partito, anche a seguito della condanna di De Gasperi e di Gronchi dell’accaduto, sospese il direttivo giovanile, di cui gli schiaffeggiatori facevano parte. Russo Perez, per evitare l’espulsione per indisciplina, diede le dimissioni dal gruppo parlamentare e passò a quello della DC.

    Nelle votazioni successive sulla NATO il MSI, sempre tra accese polemiche interne, si astenne. Per protesta, Roberto Mielville, un apprezzatissimo giovane dirigente e segretario del Raggruppamento giovanile, già combattente in Africa, prigioniero degli americani sopravvissuto alle feroci condizioni del campo di Hereford e popolarissimo tra i giovani missini (sua la frase:“Il peggio del Fascismo è meglio del meglio dell’antifascismo”) si dimise per protesta.

    Su questa discussa decisione per l’astensione pesava la concreta minaccia internazionale comunista sull’Europa, ma anche l’illusione, dimostratasi poi ingenua, di poter contrattare l’adesione italiana con l’ammorbidimento delle terribili clausole vessatorie del Trattato di pace: la perdita di parte della Venezia Giulia, di Trieste, dell’Istria, della Dalmazia, delle colonie e altre umilianti condizioni. Era questa l’idea di uno dei fondatori del MSI, Ezio Maria Gray. Ovviamente questo “ammorbidimento” non avverrà mai. Poi, con il “moderato” Augusto De Marsanich, eletto nuovo segretario al posto di Almirante, la scelta atlantista diverrà più palese, anche se lo stesso De Marsanich prenderà le distanze dal concetto di “Occidente”, dichiarando questa scelta “una lotta per la difesa e lo sviluppo di una civiltà che non è rappresentata dalla vaga nozione di Occidente, ma dall’Europa: insieme di valori umani, storici, sociali e religiosi”. È un “Occidente” ben distante da quello atlantista.

    Scrive la storica Elisabetta Cassina Wolf: “Nell’interpretazione neofascista degli anni Quaranta e Cinquanta, il concetto di Occidente non coincideva affatto con i valori e la cultura degli Stati Uniti d’America e neppure con i valori della democrazia rappresentativa oppure del capitalismo”. L’equidistanza tra i due blocchi fu la base della politica missina di quegli anni, come conferma un altro storico, Pietro Neglie: “Il terzaforzismo […] si presentava nel nostro paese come una peculiare caratteristica del neofascismo organizzatosi nel MSI.”

    Rimane il fatto che la scelta atlantista, sia pure compiuta con molte riserve, sarà sempre vivacemente discussa all’interno del partito. Contrari a questa scelta erano i gruppi giovanili: nel settembre del 1950 nell’assemblea del Raggruppamento giovanile studenti e lavoratori prevalse la tesi, sostenuta da una mozione firmata, tra gli altri, da Pino Rauti, Silvio Vitale e Mirko Tremaglia, dell’opposizione integrale a comunismo e capitalismo e, ovviamente, al Patto atlantico. Nel terzo congresso nazionale dell’Aquila sia la corrente della “sinistra sociale”, di cui faceva parte anche Giorgio Almirante, sia la “destra spiritualista” dei cosiddetti “Figli del sole” di Pino Rauti ed Enzo Erra, che raggruppava tradizionalisti evoliani e cattolici, chiesero con forza l’opposizione radicale al Patto Atlantico.

    La maggioranza degli intellettuali d’area era fortemente contraria al Patto Atlantico e all’alleanza con gli USA: lo era Ernesto Massi, docente universitario e fondatore della scuola italiana di geopolitica, lo era Concetto Pettinato, brillante giornalista già direttore de La Stampa, condannato e poi amnistiato, dai vincitori a 14 anni per la sua adesione alla R.S.I., che definì l’adesione al Patto: “un atto di servizio nei confronti dei nemici” e che nel 1952 si dimetterà dal partito lamentando “una deriva reazionaria, conservatrice e filoatlantica”. Contrario l’intellettuale e scrittore cattolico, all’epoca dirigente giovanile, Fausto Gianfranceschi che scriverà anni dopo: “Eravamo contrari al Patto atlantico perché condannavamo l’americanismo, la visione utilitarista e materialista di cui gli stati uniti erano portatori”. Contrario Giorgio Pini, direttore del Resto del Carlino e poi sottosegretario al Ministero dell’Interno nella RSI, ovviamente incarcerato dai vincitori al termine delle ostilità. Il figlio sedicenne venne assassinato dai partigiani, colpevole di aver fatto visita al padre nelle galere dei “liberatori”. Pure lui uscirà dal MSI per protesta anche, ma non solo, per la scelta atlantista.

    Interessante anche la testimonianza di Sergio Gozzoli, militante del MSI. poi uscitone negli anni ‘60, autore di diversi testi e animatore della rivista L’Uomo Libero: “Ho sempre considerato l’America la nostra peggior nemica e non ho cambiato idea. Lasciai il MSI proprio perché, accettando il sistema, si era convertito al filoamericanismo”. E Gaetano Rasi, tra i fondatori del MSI in Veneto, poi ideatore ed animatore dell’Istituto di Studi Corporativi, di cui fu presidente Ernesto Massi: “Sul Patto atlantico eravamo critici, perché credevamo nella sovranità della nazione”, anche se poi ne accettò, per la situazione internazionale, l’adesione dell’Italia. Assai duro invece il giudizio di Enzo Erra, uno degli intellettuali storici della Destra, autore di testi critici “da destra” delle tesi di De Felice sul Fascismo: definì il Patto atlantico una “mostruosa costruzione imperialista nella quale nessuno dei nostri vitali interessi viene salvaguardato.”

    Tra gli anni ’60 e ’70 nel mondo della cultura di destra primeggiò la figura di Adriano Romualdi, figlio di Pino, morto prematuramente per un incidente nel 1973 che, nonostante il cripto-atlantismo del padre, si schierò per un’Europa Nazione anche quale superamento del patriottismo piccolo borghese del MSI che si limitava, come scrisse, alla “guardia del bidone di benzina”. Anche in Adriano troviamo il sogno di un’Europa quale terza forza, autonoma e indipendente da America e URSS: “Cos’è mai questo antifascismo se non il tentativo di nascondere Yalta, di nascondere agli europei che nel 1945 non sono stati liberati, ma venduti e spartiti?”

    Coerentemente con le posizioni dei principali intellettuali d’area, anche la vivace stampa neo-fascista, attiva fin dal primissimo dopoguerra e che spesso sfidava le chiusure e le sospensioni del regime democratico, fu concordemente, quasi senza eccezioni, ostile all’alleanza con gli USA e con i vecchi nemici. Questa la posizione di Rivolta Ideale, fondato nell’aprile del 1946, del Meridiano d’Italia diretto da Franco de Agazio e, dopo l’assassinio di questi per mano della Volante Rossa, da Franco Servello che, dopo il 1948 scelse il fronte dell’antiamericanismo, come ammise lo stesso Servello in un libro intervista del 2006 a cura di Aldo Di Lello. Anche Rosso e Nero, vicina alla sinistra del neofascismo, soppresso dalle autorità e poi riammesso nelle edicole, è decisamente antiamericano, così come lo sono La Sfida, diretto da Enzo Erra, Asso di Bastoni di Pietro e Domenico Caporilli e Pagine Libere, forse la migliore rivista d’area di quel periodo, fondato da Vito Panunzio che poteva contare sulla collaborazione di penne prestigiose come, tra le altre, quelle di Ugo Spirito, Gioacchino Volpe, Adolfo Oxilia, Francesco Carnelutti, Attilio Mordini e poi i “giovani” Primo Siena, Giano Accame, Fausto Gianfranceschi.

    La politica atlantista del MSI fu poi duramente avversata da Nazione Sociale di Ernesto Massi e dal centro studi omonimo collegato a questa rivista. Ed è anche da citare la rivista Imperium, nata nel 1950, diretta da Enzo Erra, che annoverò tra i suoi collaboratori anche Julius Evola, oltre a nomi di spicco quali quelli di Clemente Graziani e Fausto Gianfranceschi, che fu poi costretta a sospendere le pubblicazioni per l’arresto di Erra, Gianfranceschi e altri, tra cui anche il futuro giornalista e poi deputato liberale, poi in Forza Italia, Egidio Sterpa, per l’accusa, montata dalla polizia del regime, di alcuni attentati con cariche esplosive da petardi che fecero pochissimi danni. Anche Julius Evola fu arrestato, accusato di essere l’ispiratore e l’ideologo del gruppo, e portato in tribunale in barella, perché rimasto paralizzato sotto un bombardamento alleato a Vienna, che venne difeso, con una memorabile arringa, dal più grande penalista dell’epoca, Francesco Carnelutti, che abbiamo già trovato tra i collaboratori di Pagine Libere. La linea della rivista era l’esaltazione del potenziale ruolo dell’Europa contro il duopolio USA-URSS.

    È da citare anche il Pensiero Nazionale di Stanis Ruinas, organo informale di quegli ambienti di reduci di Salò che, in nome dell’indipendenza nazionale e di un radicale antiamericanismo, giunsero persino a strizzare l’occhio ai comunisti.

    Una menzione particolare merita L’Orologio, una rivista uscita nel 1963 e diretta da Luciano Lucci Chiarissi, che sostenne una posizione apertamente anti-conservatrice e apertamente terzomondista, oltre che, ovviamente, ferocemente antiamericana. Uno dei più lucidi storici “dal di dentro” del mondo della Destra, Adalberto Baldoni, scriverà che “Il gruppo de L’Orologio, nel corso degli anni, diventerà la casa comune di intellettuali critici. Una vera e propria palestra di consapevolezza etica […]. Sarà una fucina culturale e creativa che in molti lascerà profonde tracce. Nel ’68 si schiererà decisamente a favore della contestazione.”

    In nome dell’antiatlantismo e dell’antiamericanismo, L’Orologio individuò nell’imperialismo americano un pericolo maggiore di quello sovietico per la civiltà europea. Compare qui un tema che ebbe ampia diffusione nella cultura “di destra” non solo italiana ma anche europea, quella degli USA come “nemico principale”. Fu questo uno degli argomenti di punta di Jeune Europe, movimento nazional-europeo fondato dal belga Jean Thiriart e che chiedeva lo scioglimento simultaneo del Patto atlantico e di quello di Varsavia, allo scopo di unire il continente europeo in unica grande nazione “da Dublino a Vladivostock”.

    Jeune Europe ebbe un buon seguito tra i giovani di destra di molti paesi europei delusi dalle politiche moderate e non sufficientemente antiamericane delle destre classiche. Anche un giovanissimo Franco Cardini, uscito nel 1965 dal MSI in cui aveva militato per qualche anno, si avvicinò a Jeune Europe, grazie a un incontro con Jean Thiriart, invitato a Firenze da Attilio Mordini, al cui “cenacolo” Cardini partecipava.

    La formula degli USA “nemico principale” ebbe una certa fortuna nell’ambito della Destra, della Nouvelle Droite francese, nella Nuova Destra italiana e in genere in molti ambienti definibili “non conformisti”. Alain de Benoist scrisse un saggio “Il nemico principale” contro il liberalismo, l’americanismo e l’occupazione dell’Europa. Significativi i titoli di alcuni capitoli: “L’Europa non può essere confusa con l’Occidente”, “Noi apparteniamo alla potenza continentale”. Una frase emblematica: “L’America non è una nuova Roma, ma una nuova Cartagine. Noi saremo sempre per Roma, contro Cartagine”. Il saggio venne pubblicato in Italia da La roccia di Erec, casa editrice vicina alla Nuova Destra di Marco Tarchi (definizione a cui Tarchi preferì quella successiva di “Nuove sintesi”). Con Giorgio Locchi, de Benoist aveva scritto, anni prima, Il male americano, in cui esaminava il substrato imperialista e para-religioso della “ideologia americana”: “Dato che Dio ci ha favoriti, abbiamo il diritto di cercare di fare in modo che le altre nazioni si sottomettano alla nostra volontà”, scrisse un pubblicista conservatore U.S.A.

    A sua volta, Marco Tarchi pubblicò, nel 2004, un saggio, convincente e documentato anche sul piano delle argomentazioni, con il titolo Contro l’americanismo. D’altronde, questo è uno dei temi di fondo della sua rivista, Diorama, una delle più longeve dell’area “non conforme” italiana. Sempre in tempi più recenti, è da ricordare la rivista del mondo rautiano Linea, che ebbe un notevole successo nell’ambito dei militanti missini. Anch’essa su posizioni assai critiche verso il liberalismo USA e a favore di un’Europa sciolta dai blocchi. Merita poi di essere ricordato Orion, originale e coraggioso foglio di Maurizio Murelli, Marco Battarra e Carlo Terracciano che si oppose all’inquinamento liberal-conservatore e atlantista della Destra e che esibì senza alcun problema le sue venature nazional-bolsceviche.

    Per tornare ai gruppi politici, pare superfluo ricordare il fermo anti-atlantismo dei vari, variegati e diversificati movimenti extraparlamentari della destra radicale: il Centro studi Ordine Nuovo, poi Movimento Politico, Avanguardia Nazionale, Lotta di Popolo, Terza Posizione, e altri succedutisi nei decenni fino ad arrivare ai nostri giorni, come Casa Pound e Forza Nuova.

    Infine, la Destra giovanile, nelle sue varie sigle storiche: Raggruppamento giovanile studenti e lavoratori, Giovane Italia, Fronte della Gioventù: in migliaia di manifesti, convegni, comizi, manifestazione non è mai emersa una posizione atlantista. La stragrande maggioranza dei giovani “nazionali” è sempre stata ostile agli USA e alla NATO. Sempre. Si può citare, come esempio tra molti altri, uno striscione comparso in una manifestazione del FdG a Padova nel 1985: “Non sarà oggi, sarà domani, butteremo a mare russi e americani”. Chi scrive si ricorda, sempre negli anni ’80, un goliardico slogan a una manifestazione a Milano: “Russi e americconi, fuori dai coglioni”.

    Infine, come non ricordare che il 28 maggio 1989 a Nettuno centinaia di giovani del FdG e del MSI cercarono di dimostrare contro la visita del presidente Bush e contro gli USA? Furono duramente caricati dalla polizia, con numerosi feriti per le percosse ricevute dai poliziotti. Tra i feriti, poi arrestati con decine di altri militanti, anche il segretario nazionale del Fronte della Gioventù, Gianni Alemanno e il segretario provinciale, Fabio Rampelli, oggi felicemente vice-presidente della Camera dei Deputati.

    Torniamo alla domanda iniziale: si può impunemente affermare che la Destra, intesa come “campo largo” è sempre stata atlantista? Che l’atlantismo e il filoamericanismo è nel suo DNA? No, decisamente no. Quando, in nome dell’anticomunismo e della situazione internazionale, il principale attore della Destra, il MSI, accettò il Patto atlantico obtorto collo, con molte riserve e talvolta pagando il prezzo di qualche dissidente fuoriuscito, non lo fece mai in modo unanime: ci furono sempre consistenti minoranze (che erano maggioranza tra i giovani, la base, gli intellettuali e la stampa d’area) ostili al Patto e all’alleanza con gli USA. E anche quando i vertici missini le accettarono, lo fecero tutti con dignità e senza servilismi. Diceva Giorgio Almirante: “alleati sì, servi mai”. E non andò mai a Washington a prendere ordini.
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia dell'Europa del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

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    https://www.ricognizioni.it/amerikana-atlantista-la-destra-che-piace-alla-gente-che-piace-ma-non-e-quella-vera/
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    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia dell'Europa del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

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    L’OPINIONE | La destra italiana e Israele, un rapporto ambiguo
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    di Davide Cucciati



    Recentemente, il Presidente del Senato Ignazio La Russa si è recato in Israele e, pur lungi dal poter essere definito antisemita o antisionista, ha evitato di esprimere una condanna tout court del fascismo. Questo fatto comprova l’ambiguità della destra italiana nei confronti non solo del mondo ebraico, ma anche dell’Occidente e dell’atlantismo.

    Fratelli d’Italia rappresenta un unicum tra i partiti di destra che, in Europa occidentale, sono giunti a ricoprire ruoli governativi. Incasellare il partito di Giorgia Meloni nell’alveo dei Conservatori sarebbe quantomeno ingeneroso nei confronti della sua variopinta e caleidoscopica storia anche, e non solo, in relazione al contesto mediorientale.



    Le origini e l’MSI

    In molti ricordano ancora il 2003, quando il Presidente di Alleanza Nazionale Gianfranco Fini, durante una visita allo Yad Vashem, condannò il fascismo, le leggi razziali e la Repubblica Sociale Italiana. Trattasi del periodo in cui l’azione governativa della destra italiana era caratterizzata da atlantismo e da vicinanza allo Stato di Israele; il contesto interno ad Alleanza Nazionale era, tuttavia, più eterogeneo di quel che sembrava visto dall’esterno. Così come lo è, attualmente, quello di Fratelli d’Italia.

    Fin dagli anni ’50 e ’60, in tutti gli ambienti missini e neofascisti si svilupparono ferventi dibattiti anche in merito alla politica estera, generando spesso opposte fazioni. Il Medioriente non fu esente dall’essere oggetto di accesi confronti interni. Da un lato, vi era la linea dei dirigenti del MSI e dei quadri intermedi che si dichiaravano filo israeliani (vedendo in Israele un baluardo dell’Occidente che si opponeva agli Stati arabi sostenuti dall’Unione Sovietica); dall’altro, molti giovani di destra (interni o esterni al Movimento Sociale Italiano) si schieravano per la causa araba.

    Basti ricordare che, secondo Stefano Delle Chiaie (fondatore negli anni ’60 dell’organizzazione neofascista Avanguardia Nazionale), nel 1967 alcuni di loro si recarono presso l’ambasciata d’Egitto a Roma chiedendo di arruolarsi nell’esercito egiziano per supportare Nasser, non solo in funzione anti-israeliana ma anche alla luce del passato del Presidente egiziano il quale, durante la seconda guerra mondiale in cui era un giovane ufficiale, nutriva sentimenti fortemente anti-inglesi.

    Come esempio opposto nel medesimo periodo storico (1967) si segnala Giulio Caradonna, all’epoca segretario dell’associazione giovanile RGSL del Movimento Sociale Italiano: come scrive il giornalista Nicola Rao nel suo libro La fiamma e la celtica, offriva “alle autorità israelitiche romane la protezione dei suoi militanti contro eventuali attacchi da parte dell’estrema sinistra”. Inoltre, durante la Guerra del Kippur, il quotidiano Il Secolo d’Italia, organo ufficiale del Movimento Sociale Italiano, si scagliava contro l’equidistanza di Aldo Moro tacciata come “antiisraeliana”.



    Dalla svolta di Fiuggi al governo

    Nonostante la “svolta di Fiuggi” del 1995, nel corso della quale l’MSI venne sciolto dopo che ne vennero pubblicamente ripudiate le radici fasciste, le contraddizioni non sono cessate. Il partito che gli succedette, Alleanza Nazionale, ha continuato a porsi sia come destra conservatrice (fortemente atlantista e filo-israeliana) sia come “destra sociale” dai toni anti-americani e anti-sionisti.

    Un esempio tra tanti è rappresentato da Marcello De Angelis, senatore e deputato prima con Alleanza Nazionale e poi con il Popolo della Libertà, nonché fondatore del gruppo musicale 270bis. Tra la fine del ‘900 e i primi anni del nuovo millennio, cantava parole antisemite: “i nostri figli preferiscono il fucile, l’odio che han sorbito con il latte delle madri ora esplode negli aerei della El Al, troppo ci pesava portare sulla schiena il dominio di una razza di mercanti”.

    Come non ricordare anche il 1998, quando, nel corso della seduta parlamentare n. 457 del 17 dicembre 1998 (Informativa urgente del Governo sulla crisi irachena), il deputato Teodoro Buontempo (Alleanza Nazionale) rispolverava una retorica dal retrogusto neofascista: “Agli americani, infatti, fa comodo che si crei incertezza: solo in questo modo possono tenere sotto ricatto tutti i paesi confinanti in nome del dio petrolio, in nome dei guadagni sporchi e di una sporca politica internazionale”.

    Una figura di spicco nel MSI che ebbe un ruolo importante nel diffondere, soprattutto in ambito giovanile, tesi anti-israeliane fu Pino Rauti, segretario del partito nei primi anni ’90 e teorico dello “sfondamento a sinistra”. Per farsene un’idea, è sufficiente leggere questo breve estratto di un’intervista, del 2006, che rilasciò a La Stampa: “Il vecchio Pino Rauti ripeteva al telefono che «ufficialmente una critica a Israele ormai è scomparsa anche dentro An, anche se ufficiosamente una vocazione anti-israeliana resiste alla base, o tra i giovani, anche quelli di Azione giovani»; e assicurava che lui resta «della stessa idea di trent’anni fa: finché Israele viola il diritto internazionale, non ci sarà mai pace duratura»”.

    Non a caso, il 7 settembre 2017, una delle “allieve politiche” di Pino Rauti, la deputata di Fratelli d’Italia Paola Frassinetti (oggi Sottosegretario al Ministero dell’istruzione e del merito nel Governo Meloni), scriveva sul proprio profilo Facebook: “Come mai Israele fa un raid aereo in Siria proprio ora che l’esercito siriano ha sconfitto l’ISIS a Deir Az Zour?? Che strane coincidenze…”. Sempre sullo stesso profilo, nel medesimo periodo, si leggevano post in supporto a Bashar al-Assad e criticabili considerazioni di geopolitica come quella di far assurgere l’Iran al ruolo di oppositore al “terrorismo islamico”.

    Nel 2014, Giorgia Meloni, ora inattaccabile in quanto ad atlantismo e “occidentalismo”, in un suo tweet rispolverava una tendenziosa retorica dal retrogusto anti-israeliano: “Un’altra strage di bambini a #Gaza. Nessuna causa è giusta quando sparge il sangue degli innocenti. #Israele e #Palestina #duepopoliduestati”.

    Quindi, non deve sorprendere la scelta di Gioventù Nazionale (il gruppo giovanile di Fratelli d’Italia) di affiggere degli striscioni per onorare il Generale del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche Qasem Soleimani dopo la sua neutralizzazione compiuta, nel mese di gennaio 2020, da un drone statunitense per precisa scelta di Donald Trump.

    D’altro canto, non si può invece dimenticare che, con il nuovo esecutivo, l’Italia sia stata (finalmente) tra i pochi Stati, in sede ONU, a opporsi a tesi politiche volte e negare la legittimità del controllo israeliano sulla parte orientale di Gerusalemme.

    Altrettanto apprezzabili sono state le parole di Giorgia Meloni prima dell’accensione del secondo lume di Chanukkah. La Presidente del Consiglio ha provato a valorizzare qualche particolarità ebraica evitando di pronunciare concetti banali: “Senza quello che ci definisce e che dà profondità alle nostre esistenze, non possiamo avere né la forza né la consapevolezza né le ragioni giuste per affrontare adeguatamente le sfide…il popolo ebraico l’ha sempre saputo, più di tanti altri e questa è la ragione per cui la sua identità e le sue tradizioni sono ancora così vive ed è stata proprio questa capacità che ha reso il popolo ebraico così resiliente, pur avendo attraversato tante difficoltà atrocità, compresa l’ignominia delle leggi razziali, per quello che ci riguarda questo significa che l’identità non esclude ma è qualcosa che aggiunge, che rafforza tutti…In fondo la parola rispetto deriva dal latino “respicere” che significa guardare in profondità: solamente quando sono consapevole di chi sono, guardo senza paura a quello che ho intorno”.



    La cultura

    Se, invece, si volge lo sguardo al pantheon intellettuale della destra, cito almeno Marcello Veneziani e Pietrangelo Buttafuoco. Il primo ha definito Israele quale “l’unico paese che ha inserito oggi una clausola razzista nel suo ordinamento costituzionale”. Il secondo, invece, peraltro convertitosi all’Islam, ha all’attivo libri quali Le uova del drago, ambientato durante la Seconda guerra mondiale e che vede una spia nazista “buona” combattere gli americani “cattivi”.

    In conclusione, sono convinto che in Fratelli d’Italia convivranno sempre anime contrastanti; starà a noi saper costruire ponti con coloro che si dimostreranno sinceramente vicini ad Am Israel e allo Stato di Israele.
    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia dell'Europa del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

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    https://www.ugei.it/opinione-destra-italiana-e-israele-rapporto-ambiguo
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    Der Wehrwolf

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    Predefinito Re: Amerikana & Atlantista: la “Destra” che piace alla gente che piace.

    Il papà della Meloni


    "Sarà qualcun'altro a ballare, ma sono io che ho scritto la musica. Io avrò influenzato la storia dell'Europa del XXI secolo più di qualunque altro europeo".

    Der Wehrwolf

 

 

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