Renato Guttuso, Crocifissione, olio su tela, (200×200 cm), 1941, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna.

In questo dipinto l’artista volle rappresentare non solo l’episodio evangelico della crocifissione di Gesù ma anche il dramma della seconda guerra mondiale, l’universalità e l’attualità del dolore.

L’intento di Guttuso non fu quello di raffigurare Cristo che muore per i peccati quotidiani, ma di simboleggiare l’umanità dolente.

Il quadro fu esposto nel 1942 al “Premio Bergamo” suscitando le ire del clero, perché considerato blasfemo e indecente.

Critiche arrivarono anche dal regime fascista , perché la scena allude alla guerra.

Questa provocatoria Crocifissione è significativa nella produzione dell'artista poiché riassume in sé sia la drammaticità del momento storico, sia l'anticipazione della componente ideologica che caratterizzerà la sua pittura, e più in generale il Realismo Sociale, negli anni seguenti.

In merito il pittore siciliano scrisse:

La nudità dei personaggi non voleva avere intenzione di scandalo. Era così perché non riuscivo a vederli, a fissarli in un tempo: né antichi né moderni, un conflitto di tutta una storia che arrivava fino a noi. Mi pareva banale vestirli come ogni tentativo di recitare Shakespeare in frac, frutto di una visione decadente. Ma, d'altra parte, non volevo soldati vestiti da romani: doveva essere un quadro non un melodramma. Li dipinsi nudi per sottrarli a una collocazione temporale: questa, mi veniva da dire, è una tragedia di oggi, il giusto perseguitato è cosa che soprattutto oggi ci riguarda. Nel fondo del quadro c'è il paesaggio di una città bombardata: il cataclisma che seguì la morte di Cristo era trasposto in città distrutta dalle bombe”.

Ed aggiunse: “La crocifissione deve essere il dramma di tutti gli esseri umani e in questo senso una scena comune. Questo è tempo di guerra e di massacri: gas, forche, decapitazioni, voglio dipingere questo supplizio del Cristo come una scena di oggi. Non certo nel senso che Cristo muore ogni giorno sulla croce per i nostri peccati ma come simbolo di tutti coloro che subiscono oltraggio, carcere, supplizio per le loro idee”.

La scena è ambientata in un paesaggio collinare, le case sono accennate, squadrate secondo lo stile cubista. L’abitato è vicino ad un fiume.

I vivaci colori danno una forte carica espressiva ai corpi dei personaggi e all’opera stessa.

La tela raffigura più persone.

Le tre croci con Gesù e i due ladroni non sono una di fianco all’altra e frontali come da secolare tradizione, ma disposte in diagonale, simile allo schema seguito da Rembrandt nel disegno “Cristo in croce tra i due ladroni”.

Il volto di Gesù non è visibile, perché coperto dalla croce antistante, ma è riconoscibile dal drappo bianco nel girovita e dalla corona di spine sul capo.

Un particolare interessante riguarda la figura di Cristo e di uno dei due ladroni: hanno i pugni chiusi, simbolo dei comunisti (Guttuso era iscritto al partito comunista), fu un espediente per manifestare il suo dissenso politico e culturale al regime fascista.

Ai piedi della croce di Gesù c’è la madre, nuda, con le mani alzate, mentre tenta di asciugare il sangue che esce dalla ferita nel costato del Figlio.

Dietro Maria c’è Maria di Magdala (la Maddalena), con l’abito giallo abbassato, le copre soltanto la parte inferiore del corpo: è inginocchiata davanti la croce con le braccia spalancate.

Vicino la madre di Gesù, un’altra pia donna con vestito celeste, con le mani si copre il volto piangente, tra l’indifferenza dei due nudi carnefici:

uno, raffigurato di spalle, è in groppa al cavallo con il manto di colore blu. Nella mano destra sorregge un bastone tipo manganello.

In primo piano, sulla sinistra, si vede l’altro carnefice a petto nudo, a fianco del cavallo con il manto bianco, la copertina sottosella di colore rosso; l’animale è raffigurato con il collo torto, come nel famoso quadro “Guernica” di Picasso.

nel palmo della mano destra l’uomo ha due dadi;

con la mano sinistra sorregge l’asta con in cima la spugna bagnata con la posca (?): bevanda dissetante, leggermente acida, poco costosa, usata in epoca romana. Veniva prodotta miscelando acqua e aceto di vino.

Quando a Gesù agonizzante sulla croce, gli venne offerto l’aceto dai soldati romani, forse era la posca. Se fosse vero indurrebbe a pensare che essi abbiano compiuto un atto misericordioso e non lo scherno verso di lui: “Dopo questo, Gesù, sapendo che ogni cosa era stata ormai compiuta, disse per adempiere la Scrittura: ‘Ho sete’. Vi era lì un vaso pieno d'aceto; posero perciò una spugna imbevuta di aceto in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. E dopo aver ricevuto l'aceto, Gesù disse: ‘Tutto è compiuto!’. E, chinato il capo, spirò” (dal Vangelo di Giovanni 19, 28 -30).

Ancora in primo piano, sulla destra, è raffigurata una natura morta non casuale: sul tavolo ci sono i chiodi e il martello, strumenti tradizionali per il martirio di Cristo, accanto ad altri oggetti della vita quotidiana: un coltello da cucina, un paio di forbici, una tazza, due bottiglie, una tovaglietta. Presentati in questo contesto divengono simbolo dei soprusi e della violenza che l’umanità è costretta a subìre.