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    Predefinito Come le drag queen sono diventate il nemico pubblico numero uno negli Stati Uniti

    L'annuncio è fresco fresco: Drag Race Italia, lo spin-off italiano del talent per drag queen ideato da RuPaul, avrà una terza edizione nel nostro paese. Dopo due stagioni su Discovery+ (che a dire il vero hanno attirato non poche critiche per alcuni problemi di realizzazione, soprattutto in confronto agli standard internazionali), i nuovi episodi saranno diffusi da Paramount+ in una mossa che fa pensare a una più ampia e coerente strategia globale. Paramount è del resto il partner principale di World of Wonder, la casa di produzione di RuPaul ed è sui suoi vari network che negli Stati Uniti vanno in onda gli innumerevoli programmi che compongono questo impero mediatico. RuPaul's Drag Race ha fatto il suo debutto infatti nel 2009, giungendo quest'anno alla sua quindicesima stagione (sempre più vista in termini di ascolti e premiata agli Emmy) e generando numerosi spin-off e versioni in tutto il mondo: le prossime saranno in Brasile, Germania e Messico, dopo edizioni che sono andate in onda in Regno Unito, Canada, Australia e Nuova Zelanda, Olanda, Spagna, Francia, Thailandia, Filippine, Belgio e Svezia.

    Non stiamo parlando solo di un rodatissimo format televisivo - che tra l'altro ha trovato il suo successo in una formula ben precisa, riconoscibile e replicabile, che si traduce in segmentazioni e pillole perfette anche per la viralità web - ma di un fenomeno che ha avuto nell'ultimo decennio i suoi ingenti risolti sociali: da outsider della società e del mondo dello spettacolo, le drag queen sono diventate il simbolo di un grimaldello coloratissimo ed efficace per superare i pregiudizi e la discriminazione. In Drag Race si è parlato di abusi, abbandono delle famiglie, Hiv, transessualità e non-binarismo, bullismo, problemi alimentari e moltissimo altro. I mascheroni di chili di trucco e ciglia finte garantiscono un'autenticità narrativa che buca lo schermo e arriva dritto al cuore del pubblico, anche quello più scettico. Il potere trasformativo dell'arte drag è divenuto sempre più popolare negli ultimi anni facendo fare grandissimi passi in avanti alla rappresentazione LGBTQ+ sullo schermo e negli ambiti più disparati della società.

    Persino in paesi come il nostro, in cui sappiamo come sia altalenante la disponibilità a trattare e accettare la comunità LGBTQ+, negli ultimi anni si sono moltiplicati gli spettacoli drag (è stato persino progettato un programma di make over drag, Non sono una signora, destinato a Rai 2 e condotto da Alba Parietti, le cui tracce nei palinsesti si sono però perse dopo l'avvento del governo Meloni). Ma è forse questo exploit continuo e trasversale a destare preoccupazione negli ambienti più conservatori, tanto che negli Stati Uniti ormai da mesi non si fa che parlare delle drag queen come uno dei pericoli più grandi per l'incolumità e l'educazione dei minori. Da tempo ormai su alcuni media è stata lanciata una campagna ossessiva soprattutto contro le cosiddette Drag Story Hours, eventi in cui drag queen leggono favole e storielle a un pubblico di bimbi avvinti dalla loro presenza appariscente. Questo avviene ovviamente nei cosiddetti Red state, gli stati che si trovano nelle zone interne della federazione e sono quasi tutti a maggioranza repubblicana.

    Diversi di questi stati, tra cui Kentucky, North Dakota, Montana, Oklahoma e Utah, hanno approvato o stanno approvando disegni di legge che limitano la possibilità dei performer drag di esibirsi liberamente. L'esempio più lampante è quello del Tennessee, dove lo scorso 2 marzo il governatore Bill Lee ha firmato una legge che proibisce a “ballerini in topless, go-go dancer, danzatori esotici, spogliarellisti e trasformisti maschi e femmine" di esibirsi in locali in cui potrebbe esserci la presenza di minori. In queste definizioni tanto variegate ma anche vaghe sono finiti ovviamente le e i performer drag, messi nel mucchio assieme a performer le cui esibizioni sono più sessualmente connotate. Ma nella maggior parte dei casi l'arte drag non ha nulla a che vedere con il sesso, anzi l'apparenza estremamente sessualizzata è un modo per disinnescare o ironizzare sul tema. La propaganda repubblicana, invece, li tratta alla stregua di possibili predatori sessuali.

    A rispondere a questi attacchi è sceso in campo lo stesso RuPaul, il quale in un post su Instagram ha detto in modo piuttosto duro che queste leggi non sono altro che dei diversivi per distrarre le persone dai “veri problemi che che erano stati chiamati a risolvere una volta eletti", come il lavoro, la sanità o la protezione dei bambini dalle scuole dalle armi da fuoco: “Cercano degli obiettivi facili in modo da dare l'impressione di essere efficienti”. Nello stesso momento RuPaul ha lanciato con World of Wonder e con Mtv il Drag Defense Fund, una raccolta fondi per proteggere la libertà di espressione di ogni drag performer e tantissime star uscite dal programma in questi giorni stanno facendo sentire la propria voce per dimostrare che l'arte drag è lontanissima della minaccia brandita come uno spauracchio dai politici conservatori.

    Le drag queen sembrano dunque essere al centro di un altro risvolto paradossale dei nostri tempi così polarizzati: da una parte fanno parte di un'industria dell'intrattenimento che, da Drag Race ai tour mondiali passando per le scuole di vogueing, non è mai stata così fiorente; dall'altra sono il capro espiatorio su cui si scatena la più pervicace e strumentale delle campagne politiche, assurte a rappresentazione di tutto ciò è deviante e ambiguo nella comunità LGBTQ+. Del resto l'appariscenza e la popolarità di qualsiasi cosa sia drag è un diversivo perfetto: nello stesso Tennessee negli ultimi mesi è passata anche una legge che interrompe e vieta qualsiasi tipo di terapia medica per la transizione o il blocco ormonale dei minori. Ancora una volta le drag queen sono usate come fumo (o cipria) negli occhi. Ma, come dice RuPaul, “le drag queen sono i marines della comunità queer”: esattamente come mezzo secolo fa, quando persone transgender e en travesti furono tra le prime a lanciare i propri tacchi contro la polizia di New York scatenando i celeberrimi moti di Stonewall del 1969, continueranno a lottare. Un tacco e una favola alla volta.

    https://www.wired.it/article/drag-qu...ource=facebook

  2. #2
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    Predefinito Re: Come le drag queen sono diventate il nemico pubblico numero uno negli Stati Uniti

    Sono un cavallo di Troia che la destra USA ha saputo riconoscere
    Derjenige, welcher dem Feinde statt des Pfeiles ein Schimpfwort entgegenschleuderte, war der Begründer der Civilisation
    S. F.

    It is no measure of health to be well adjusted to a profoundly sick society.
    Krishnarmurti

 

 

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