Il passaggio al bosco (Der Waldgang) è un celebre concetto di Ernst Jünger, discusso nel suo saggio omonimo del 1952, tradotto in italiano da Adelphi con il titolo “Trattato del ribelle”. Esso è l’atto sovrano con cui l’uomo libero si separa da una comunità in cui non gli è più possibile riconoscersi, per farsi legge a se stesso. Nel suo significato letterale di “darsi alla macchia”, rappresenta la sola contromisura possibile di fronte all’avanzata della tirannia, che ai tempi di Jünger si manifestava nella forma del totalitarismo politico, mentre oggi assume le sembianze della dittatura tecno-sanitaria e dello stato emergenziale permanente. In senso metaforico, esso si riferisce a quello spazio di sovranità interiore disposto a resistere a qualsiasi costo alle lusinghe come alle minacce del potere.

Va da sé che il “passaggio al bosco” non ha nulla di idilliaco, corrispondendo invece a un’assunzione di responsabilità, parallela ad una presa di coscienza, che strappa il ribelle alla falsa sicurezza del recinto per proiettarlo verso l’ignoto, esponendolo a pericoli d’ogni genere. Ma si tratta di una scelta obbligata, quando l’alternativa è la schiavitù. E l’imposizione del siero genico sperimentale è stata senza alcun dubbio una forma di schiavitù: la perfida, derisoria finzione del “consenso informato”, con cui la vittima era costretta ad assumersi la responsabilità di una scelta che le veniva imposta sotto coercizione, richiama alla mente i paragrafi dedicati da Jünger alla passione delle burocrazie totalitarie per i questionari e i formulari, ossia la raccolta sistematica dei dati personali finalizzata alla schedatura dei sudditi:

Il lettore saprà, per sua stessa esperienza, che la natura dell’interrogazione è cambiata. Nell’epoca in cui viviamo gli organi del potere ci interrogano senza posa, e certo non si può dire che siano animati esclusivamente da un ideale bisogno di conoscenza. Quando ci interpellano con le loro domande, non cercano il nostro contributo alla verità oggettiva né, tanto meno, alla soluzione di questo o quel problema particolare. Ciò che gli importa non è la nostra soluzione, bensì la nostra risposta. (…)
Il nostro contemporaneo, che si vede costretto a riempire un questionario, è ben lontano da quella sicurezza (si riferisce all’anonimato del voto). Le sue risposte sono gravide di conseguenza; spesso decidono il suo destino. L’essere umano è ridotto al punto che da lui si pretendono le pezze d’appoggio destinate a mandarlo in rovina. E oggi bastano delle inezie a decidere la sua rovina.

Il Ribelle (der Waldgänger nella terminologia di Jünger, “colui che passa al bosco”) è costretto dalle circostanze a prendere atto di non avere più una patria né delle istituzioni in cui riconoscersi, e di non potere più attendersi giustizia né protezione dalle leggi dello stato. Posto di fronte alla drammatica alternativa di sottomettersi o diventare un paria, quando non un fuorilegge, egli prende partito per se stesso, ed abbandona il gregge e i suoi pastori per internarsi nel bosco: la sua però non è una fuga, ma solo una ritirata, poiché si riserva il diritto al contrattacco:

Questi stati armati fino ai denti, che si vantano di possedere il monopolio del potere, e al tempo stesso appaiono tanto vulnerabili, offrono davvero uno strano spettacolo. La cura e l’attenzione che devono dedicare alle forze di polizia minano la loro politica estera. La polizia erode il bilancio dell’esercito, e non quello soltanto. Se le grandi masse fossero così trasparenti, così compatte fin nei singoli atomi come sostiene la propaganda dello Stato, basterebbero tanti poliziotti quanti sono i cani che servono a un pastore per le sue greggi. Ma le cose stanno diversamente, poiché tra il grigio delle pecore si celano i lupi, vale a dire quegli esseri che non hanno dimenticato che cos’è la libertà. E non soltanto quegli esseri sono forti in se stessi, c’è anche il rischio che, un brutto giorno, essi trasmettano le loro qualità alla massa e che il gregge si trasformi in branco. È questo l’incubo dei potenti.

Mi sembra che queste parole rimangano pienamente attuali in tempi di database, telecamere e tecnologia biometrica.

Infine, ritengo opportuno ricordare che il bosco rappresenta un archetipo fortemente evocativo per i popoli europei – si è detto che le cattedrali gotiche, coi loro giochi di luce, costituissero delle foreste pietrificate, in cui si venerava il Sacro riproducendo inconsciamente i riti pagani celebrati anticamente presso radure e sorgenti, nelle profondità delle foreste d’abeti, di querce o di betulle. Il bosco ha costituito infatti il paesaggio primordiale dei nostri antenati, e non è priva di suggestione l'ipotesi che il deserto, all'opposto, potrebbe essere l'ambiente originario delle forze che vogliono distruggerci.