I “protocolli di Reichorn” – qui riproposti in versione integrale a titolo di studio – apparvero per la prima volta nel 1868 nel romanzo “Biarritz” di Sir John Retcliffe, pseudonimo dello scrittore tedesco Hermann Goedsche, il quale – come afferma un testo del 1938 – «rielaborò il contenuto» di una riunione segreta di ebrei svoltasi nel cimitero di Praga «facendolo figurare come il discorso tenuto in un’adunanza fantastica di rabbini e di cabalisti», anche se è stato «esaurientemente dimostrato che Goedsche non ha inventato, ma adattato il contenuto del discorso», che fu «effettivamente tenuto a Praga dal rabbino Reichorn presso la tomba di Simeon-Ben-Jihuda», in data non precisata. In seguito, i protocolli apparvero sul giornale Le Contemporain del 1° luglio 1886 (col titolo “Resoconto degli avvenimenti storico-politici avvenuti negli ultimi anni dieci anni”), che però fece risalire la riunione degli ebrei di Praga al 1869, ossia un anno dopo la pubblicazione del romanzo “Biarritz”, nel quale i protocolli erano già presenti, benché presentati dall’autore come fantastici. Pertanto, la precisa datazione dei “protocolli di Reichorn” è sconosciuta, anche se – a rigor di logica – essi possono essere datati intorno ai primi anni della seconda metà del XIX secolo, ossia circa cinquant’anni prima dalla pubblicazione dei celebri Protocolli dei Savi Anziani di Sion, coi quali condividono moltissimi particolari. Buona lettura!

Protocollo I

I nostri padri hanno imposto agli eletti di Israele il dovere di riunirsi una volta ogni cento anni attorno alla tomba del Gran Maestro “Caleb”, il santo rabbino Simeon-Ben-Jihuda, la cui dottrina insegna agli eletti di ogni generazione il potere e l’autorità da esercitare su tutta la terra e su tutti i discendenti di Israele. È da diciotto secoli che dura la guerra di Israele per impossessarsi di quel potere promesso ad Abramo, che oggi invece è stato carpito dalla Croce.

Calpestato, umiliato dai suoi nemici, costantemente minacciato di morte, il popolo di Israele non è perito, e si è disperso su tutta la faccia della terra, poiché tutta la terra gli deve appartenere.

Da diversi secoli i nostri sapienti lottano coraggiosamente contro la Croce con una perseveranza che mai può esaurirsi. Il nostro popolo s’innalza grado per grado, e la sua potenza s’ingrandisce sempre di più. A noi appartiene quel Dio che Aronne innalzò nel deserto, quel “vitello d’oro” che è la divinità dell’epoca nostra.

Quando saremo divenuti gli unici possessori di tutto l’oro della terra, il vero potere passerà nelle mani nostre, e allora si compiranno quelle promesse che sono state fatte ad Abramo. L’oro, la più grande potenza della terra; l’oro, che è la forza, la ricompensa, lo strumento di ogni potenza; l’oro, quel tutto che l’uomo teme e desidera: esso è il solo mistero, la più profonda scienza, lo spirito che regge il mondo. Esso è l’avvenire.

Diciotto secoli sono appartenuti ai nostri nemici; il secolo presente e i secoli futuri dovranno invece essere nostri! A noi, popolo di Israele, dovrà appartenere l’avvenire, e a noi senza dubbio apparterrà.

Questa è la decima volta che, nella lotta millenaria ed incessante contro i nostri nemici, gli eletti di ogni generazione del popolo di Israele si riuniscono in questo cimitero [ebraico di Praga], al fine di discutere su come far prevalere la propria causa e sugli sbagli e le nefandezze che continuano a commettere i nostri nemici, i cristiani. Ogni volta, il Gran Sinedrio ha proclamato e predicato la lotta senza tregua contro i nostri nemici, ma in passato nessuno dei nostri antenati era riuscito a concentrare nelle nostre mani così tanto oro e, di conseguenza, così tanta potenza come il XIX secolo ha potuto darci.

Possiamo dunque sentirci lusingati, senza temerità, di raggiungere ben presto il nostro obiettivo, gettando uno sguardo sicuro sul nostro avvenire. Diamo infatti un’occhiata allo stato materiale dell’Europa ed analizziamo l’influenza che, dall’inizio del secolo presente, si sono procurati gli israeliti con la sola concentrazione nelle loro mani degli immensi capitali dei quali dispongono in questo momento. A Parigi, a Londra, a Vienna, a Berlino, ad Amsterdam, ad Amburgo, a Roma e a Napoli, gli israeliti possiedono moltissimi miliardi e sono dappertutto padroni della situazione finanziaria (come i Rothschild), senza tener conto che, anche nelle località secondarie e di terz’ordine, essi sono detentori dei fondi in circolazione e che, dappertutto, senza l’influenza dei figliuoli di Israele, nessuna operazione finanziaria, nessun lavoro importante potrebbe essere eseguito.

Al giorno d’oggi, tutti gli imperatori, i re, i principi regnanti sono oppressi dai debiti, poiché devono tenere in piedi eserciti numerosi e permanenti, necessari a sostenere i loro troni barcollanti. La Borsa regola quei debiti e noi siamo padroni di gran parte di essa, in tutte le piazze. Conviene quindi cercare di moltiplicare i prestiti per rendere gli israeliti “regolatori” di tutti i valori e, infine, per prendere possesso – come garanzia dei capitali che noi forniamo ai vari paesi – delle ferrovie, delle miniere, delle foreste, delle grandi officine e delle grandi fabbriche, nonché di tutti gli immobili e della riscossione delle imposte.

Protocollo II

L’agricoltura sarà sempre la grande ricchezza di ogni paese, mentre il possesso delle grandi proprietà terriere apporterà sempre in ogni epoca grandi onori e grande influenza ai loro titolari. Di conseguenza, i nostri sforzi sono da indirizzare in questa direzione, mentre i nostri fratelli in Israele devono svolgere importanti acquisti terrieri. Per quanto sia possibile, dunque, noi dobbiamo secondare il frazionamento delle grandi proprietà, affinché sia più facile farle nostre. Con il pretesto di venire in aiuto delle classi lavoratrici, conviene far sopportare ai grandi proprietari di terre tutto il peso delle imposte. Quando poi quelle proprietà saranno finalmente nelle nostre mani, il lavoro dei proletari cristiani diverrà per noi una sorgente di immense ricchezze.

Noi dobbiamo operare con perseveranza al fine di limitare l’influenza della Chiesa cristiano-cattolica, la quale è uno dei nostri più pericolosi nemici. Conviene quindi lavorare con determinazione per diffondere fra i cristiani idee di libero pensiero, di scetticismo, di scisma e provocare dispute religiose, le quali portano a divisioni e a settarismo. Inizialmente, a rigor di logica, conviene cominciare a disprezzare i ministri della religione cristiana, dichiarando loro guerra aperta e provocando poi sospetti sulla loro devozione e sulla loro condotta privata; ridicolizzandoli e utilizzando l’arma della satira, verrà distrutto quel rispetto di cui godono da tempo.

Ogni guerra, ogni rivoluzione, ogni scuotimento politico o religioso avvicina il momento in cui raggiungeremo lo scopo che ci siamo prefissati.

Il commercio e la speculazione – due rami fecondi di benefici – non devono mai svincolarsi dalle mani israelite, e innanzitutto conviene accaparrarsi il commercio dell’alcol, del burro, del pane e del vino, giacché con essi diverremo padroni assoluti di tutta l’agricoltura e, in generale, di tutta l’economia rurale. Noi saremo i dispensatori delle granaglie e, se sopravvengono malcontenti provocati dalla miseria, non sarà difficile far ricadere la responsabilità su qualche governo.

Tutti gli impieghi pubblici devono essere accessibili agli israeliti, e una volta che ne saremo divenuti titolari, noi sapremo – con ossequiosità e perspicacia, che sono da sempre nostre doti – penetrare fino alla sorgente del vero potere. Ci riferiamo naturalmente a quegli impieghi ai quali vanno congiunti onori, potenza e privilegi, mentre gli impieghi che esigono pena e fatica possono e debbono essere lasciati ai cristiani. La magistratura, ad esempio, è per noi un’istituzione di prima importanza, poiché per mezzo di essa possiamo immischiarci negli affari dei cristiani, tenendoli letteralmente in pugno. E perché gli israeliti non divengono pure ministri dell’istruzione pubblica, dal momento che essi ottengono così di frequente il portafoglio delle finanze? Gli israeliti devono aspirare anche a divenire legislatori, al fine di abrogare le leggi fatte dai goym (ossia i non ebrei) contro i figliuoli di Israele, i veri fedeli alle sante leggi di Abramo.

Del resto, per quanto riguarda quest’ultima considerazione, il nostro piano è quasi vicino al perfetto compimento, poiché il progresso ha quasi dappertutto migliorato le nostre condizioni, concedendoci gli stessi diritti dei non ebrei; ma ciò che importa davvero, ciò che deve essere l’oggetto dei nostri incessanti sforzi, è ottenere una legge meno severa sulla bancarotta. Creeremo per noi una miniera d’oro molto più ricca di quanto non lo furono quelle della California!

Il popolo di Israele deve dirigere la sua ambizione verso quell’alto grado di potere dal quale sorgono il prestigio e gli onori. Pertanto, dobbiamo avere in pugno tutte le operazioni industriali, finanziarie e commerciali, tenendoci lontani da tranelli o seduzioni che potrebbero esporci al pericolo di processi dinanzi ai tribunali. Si userà quindi grande prudenza e tatto, che sono le caratteristiche della nostra attitudine atavica agli affari. Noi non dobbiamo essere estranei da tutto ciò che ricopre posti distinti nella società: filosofia, medicina, diritto, economia politica e, in breve, tutti i rami della scienza, dell’arte e delle lettere, rappresentano un vasto campo in cui i nostri successi debbono condurci in prima fila, mettendo in mostra la nostra attitudine. Così, ad esempio, la produzione di una composizione musicale, fosse pure mediocre, rappresenterà un’occasione per innalzare sopra un piedistallo, circondandolo di aureola, l’israelita che ne sarà l’autore. Quanto alle scienze, alla medicina e alla filosofia, esse debbono fare ugualmente parte del nostro dominio intellettuale.

Protocollo III

Noi dobbiamo incoraggiare le unioni matrimoniali fra israeliti e cristiani, giacché il popolo di Israele – senza rischio di perdere nulla da un simile contatto – non può che approfittare da tali unioni: l’introduzione di una certa quantità di sangue impuro nella nostra razza, eletta da Dio, non può corromperla, e le nostre figliuole forniranno, attraverso questi maritaggi, alleanze con le famiglie cristiane che possiedono ascendenza e potere. In cambio della moneta che noi daremo, è giusto che noi otteniamo l’equivalente in influenza.

I parentadi con i cristiani, perciò, non rappresentano una deviazione dalla via che ci siamo prefissati; al contrario, con un po’ di astuzia, essi [i cristiani] ci renderanno arbitri dei loro destini. Gli israeliti dovrebbero astenersi dall’avere per amante donne della nostra stessa religione, scegliendo invece delle vergini cristiane. Supplire al sacramento del matrimonio in chiesa con un semplice contratto davanti ad un’autorità civile qualsiasi, sarebbe quindi per noi molto importante, poiché allora le donne cristiane pioverebbero nel campo nostro.

Protocollo IV

Se l’oro è la prima potenza di questo mondo, la seconda è senza dubbio la stampa. Ma che cosa può la seconda senza la prima? Siccome noi non possiamo ottenere tutto ciò di cui abbiamo parlato senza l’utilizzo della stampa, occorre che nostri agenti presiedano la direzione di tutti i giornali quotidiani in tutti i paesi. Il possesso dell’oro e la sagacia nella scelta dei mezzi necessari a far nostre le capacità venali, ci renderanno gli arbitri dell’opinione pubblica, dandoci in mano le masse.

Continuando, grado per grado, su questa strada, con quella perseveranza che è la nostra grande virtù, noi respingeremo i cristiani e renderemo nullo il loro potere. Noi detteremo al mondo i postulati a cui [il cristiano] dovrà credere, ciò che dovrà onorare e ciò che dovrà maledire. Forse alcune personalità si leveranno contro di noi, ma le masse docili e ignoranti ci ascolteranno e prenderanno le nostre difese. Una volta che saremo padroni assoluti della stampa, potremo mutare quelle idee legate all’onore, alla virtù, alla rettitudine del carattere, tirando il primo colpo a quell’istituzione, considerata fino ad oggi sacrosanta, che chiamiamo famiglia, e ne compiremo la distruzione. Noi potremo estirpare tutte quelle credenze e la fede che i nostri nemici, i cristiani, hanno fino ad oggi venerato; facendo della forza delle passioni una vera e propria arma, noi dichiareremo guerra aperta a tutto ciò loro rispettano e venerano.

Tutto ciò deve essere ben compreso, e che tutti i figliuoli di Israele compenetrino in questi principi. Allora la nostra potenza crescerà come un albero gigantesco, i cui rami faranno crescere quei buonissimi frutti che si chiamano ricchezza, godimento e potere, in compenso a quella “condizione inferiore” che per secoli fu l’eredità del popolo di Israele.

Quando uno dei nostri fa un passo in avanti, l’altro lo deve seguire; e se il suo piede scivola, egli sia soccorso e rialzato dai suoi consanguinei. Se un israelita è citato dinanzi un tribunale del paese che abita, i suoi fratelli nella fede devono dargli, con sollecitudine, supporto e assistenza, ma solo se l’accusato ha agito secondo le antiche leggi di Israele.

Il nostro popolo è conservatore fedele delle cerimonie religiose e degli usi e costumi che ci tramandarono i nostri antenati. Il nostro interesse ci impone di simulare zelo per le attuali questioni sociali, quelle soprattutto che riguardano il miglioramento della sorte dei lavoratori; ma, in realtà, i nostri sforzi debbono tendere a renderci padroni del movimento dell’opinione pubblica e a dirigerlo. La cecità della massa e, soprattutto, la sua disposizione a mettersi in balia dell’eloquenza, ne fanno una preda facile, e diviene per noi un doppio strumento di popolarità e di credito. Noi troveremo senza difficoltà fra i nostri l’espressione dei sentimenti fittizi e tanta eloquenza quanta ne trovano i cristiani nel loro entusiasmo. Conviene, per quanto è possibile, occuparci del proletariato e sottometterlo a quelli che maneggiano il denaro. In questo modo noi solleveremo le masse a nostro piacimento. Noi le spingeremo agli sconvolgimenti, alle rivoluzioni, ed ognuna di queste catastrofi farà avanzare sempre di più la nostra causa e ci ravvicinerà all’unico nostro fine, quello cioè di regnare su tutta la terra, come ci era stato promesso dal nostro padre Abramo.

di Rabbi Reichorn