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  1. #21
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    Predefinito Re: Ma chi ha bonificato le aree ora allagate?

    L'emerito dottore Gobbo ha la tessera piddina per caso?
    Che bella excusatio non petita!

    pamphlettino peraltro illeggibile dato che ogni tanto, riportandolo, si dovrebbe avere l'intelligenza di inserire qualche "a capo" per non creare una massa di inchiostro
    Possiamo concludere che tutto il peggio che succede in Italia e' dovuto alle elites PD ed al vaticano?
    Stupri, attentati, invasione, fallimenti, disoccupazione, emergenza sociale, denatalita',violenza verbale , suicidi, omicidi....

  2. #22
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    Predefinito Re: Ma chi ha bonificato le aree ora allagate?

    Citazione Originariamente Scritto da Analfabeta Non Funzionale Visualizza Messaggio
    Alberto Gobbi
    22 h
    ·
    CONSIDERAZIONI METEO-CLIMATOLOGICHE ED IDROLOGICHE SULLA GESTIONE DEI FIUMI NEI RECENTI EVENTI ALLUVIONALI IN EMILIA ROMAGNA – MAGGIO 2023
    Dopo la lettura di decine di post da parte di meteorologi, climatologi, ingegneri e geologi e delle persone coinvolte dal disastro, delle centinaia di commenti degli utenti (spesso intrisi di luoghi comuni) in risposta ai suddetti post, di svariati video e foto, idrogrammi, mappe radar, modellistica e quant'altro, ho voluto scrivere questo lungo resoconto che, per moltissimi aspetti, può ritenersi valido per qualunque evento alluvionale.
    Siamo ormai tutti a conoscenza della catastrofe che per ben due volte nell'arco temporale di un paio di settimane (1-2 maggio e 16-17 maggio) ha colpito vaste aree dell'Emilia Romagna tra le province di Ravenna, Forlì-Cesena, Bologna e Rimini. Ad oggi 26/5 si contano 15 morti, 21.000 sfollati (inizialmente oltre 36.000), 100 comuni coinvolti tra frane e allagamenti, 23 corsi d’acqua esondati (con oltre 50 punti di esondazione) e altri 13 che hanno visto superamenti del livello d’allarme, migliaia di frane (376 le principali in 57 comuni) tra collina e montagna, ma sono migliaia le micro-frane attive, 714 le strade chiuse (di cui 259 chiuse parzialmente e 455 totalmente). Si stima che, nel corso del secondo evento, nell’areale più colpito (800 chilometri quadrati di territorio) siano caduti 350 milioni di metri cubi d’acqua, per confronto si rammenti che la diga di Ridracoli può invasare fino a 33 milioni di metri cubi.
    Premesso che, in assenza di studi di attribuzione dei suddetti eventi meteorologici nel contesto del cambiamento climatico, non è possibile stabilire quale sia stato il contributo dei cambiamenti climatici antropogenici al caso in esame, è comunque noto che il "global warming" rende più probabili gli episodi di pioggia intensa attraverso una maggiore evaporazione dai mari divenuti più caldi e mediante una maggiore capacità dell'aria calda di contenere vapore acqueo. Infatti, per ogni grado di aumento di temperatura di una massa d'aria, questa può, secondo la legge di Clausius-Clapeyron, trattenere il 7% in più di vapore alla saturazione che a sua volta è disponibile a tradursi in precipitazioni più violente per via del maggior contenuto di acqua precipitabile. Inoltre, cosa di non poco conto, sembra che l'amplificazione artica (aumento della temperatura più marcato nelle regioni polari) riduca i gradienti orizzontali di temperatura tra latitudini polari e temperate incentivando gli scambi meridiani (nord-sud) e situazioni di blocco meteorologico con la persistenza della medesima configurazione sinottica, così come avvenuto nel caso in esame.
    Stiamo vivendo, nostro malgrado, con sempre maggior frequenza, episodi di eventi meteorologici estremi che ormai non rientrano più nella variabilità climatica naturale dell'area mediterranea, ormai riconosciuta come un "hot spot" del riscaldamento globale. I cambiamenti climatici di questa epoca storica sono repentini in quanto si esplicano nel giro di pochi decenni tanto da poter ormai parlare di una "nuova normalità" caratterizzata da un'estremizzazione meteoclimatica nel novero di una conclamata crisi climatica. È da rimarcare il fatto che i modelli di impatto del riscaldamento globale simulano lunghi periodi di siccità seguiti da eventi estremi di precipitazione non gestibili dalle nostre opere idrauliche, ovvero ciò che si sta realmente verificando. Il concetto stesso del "tempo di ritorno" perde sempre più di significato con il passare degli anni.
    Ad ogni modo, focalizzandoci sulle recenti alluvioni in Emilia Romagna, possiamo tranquillamente parlare di un evento epocale il quale mostra "gravi" indizi che collegano questo disastro con il cambiamento climatico, in particolare per l'intensità delle precipitazioni e per il fatto che queste sono avvenute al di fuori delle stagioni e delle regioni tipiche, con mari non certo caldi e in assenza di precedenti ondate di calore. In tal senso, non è corretto parlare di tropicalizzazione, poiché in Italia non si hanno le stagioni ben distinte tra secca e umida, piuttosto è in atto un'estremizzazione su scala giornaliera o settimanale, motivo per cui le alluvioni possono verificarsi in ogni mese dell'anno. L'atmosfera è un sistema non lineare, motivo per cui le variazioni climatiche non sono costanti né nel tempo né nello spazio.
    In soli due eventi ravvicinati, già nella fascia di bassa collina (tra 150 e 300 m circa di quota), si sono avute piogge cumulate tra 450 e 500 mm, ma localmente anche oltre, contro una piovosità media annua su base trentennale compresa tra 900 e 1000 mm. Dunque, in due eventi, è caduta circa la metà della pioggia che dovrebbe cadere in un anno. Valori molto elevati di precipitazione anche sulle pianure del ravennate (200-300 mm con massimi locali fino a 350 mm), corrispondenti a quasi la metà della precipitazione media annua. Per il primo evento di precipitazioni è stato stimato un tempo di ritorno di circa 100 anni, per il secondo un tempo di ritorno duecentennale. Precipitazioni che, racchiuse in 4 giorni (1-2-16-17 maggio), hanno superato persino il piovosissimo maggio 1939.
    I principali fattori meteorologici che hanno contribuito a una dinamica così severa in entrambi gli episodi sono identificabili in un "blocking" del cut-off (vortice in quota quasi stazionario in lento colmamento bloccato tra due anticicloni), in un fronte occluso semistazionario associato a confluenza bora-scirocco sul vento di barriera appenninico che ha generato precipitazioni persistenti ed estese che si sono sommate alle precipitazioni da stau (sbarramento orografico appenninico). Nell'evento di metà maggio, alle precipitazioni frontali e orografiche, si sono sommate anche precipitazioni di tipo convettivo con mesolinee di rovesci che hanno incrementato l'intensità di precipitazione rispetto all'evento di inizio mese. Tra l'altro, anche negli scenari peggiori, i modelli meteorologici hanno leggermente sottostimato i quantitativi di pioggia; tuttavia, le simulazioni già da qualche giorno indicavano accumuli assai severi in quelle aree con ingenti flussi di vapor acqueo provenienti anche dalle latitudini subequatoriali. Inoltre, i tesi flussi orientali dal mar Adriatico hanno rallentato il deflusso dei fiumi verso il mare sommandosi alla marea astronomica e a quella generata dalla depressione.
    Tutto ciò premesso, ci si chiede come poter quanto meno mitigare i devastanti effetti causati dagli eventi meteorologici estremi. Einstein affermava che "i problemi attuali non si possono risolvere perseverando con la stessa mentalità che ha contribuito a generarli". Se contestualizziamo questa frase nel fragile ambito idrogeologico del nostro paese, dovremmo ammettere che il territorio è stato modellato sulla base di un clima che non c'è più, ma va rimarcato che, ad ogni modo, molti centri abitati e infrastrutture sono sorte in aree depresse e in vicinanza ai fiumi i quali sono stati spesso canalizzati (se non tombati) in sezioni assai ridotte privando i corsi d'acqua di uno sfogo naturale in caso di piena. Il principio dell'invarianza idraulica è stato sistematicamente disatteso negli ultimi decenni: esso prevede che le portate massime di deflusso meteorico scaricate dalle aree urbanizzate nei ricettori naturali o artificiali di valle non devono essere maggiori di quelle preesistenti all'urbanizzazione. L'Emilia Romagna è la regione a maggior pericolosità idraulica per la geomorfologia del territorio (pianura alluvionale) e per l'elevata densità abitativa, ma l'adattamento però ha dei limiti, non è possibile alzare all'infinito gli argini per limiti strutturali, per i costi economici (anche in relazione alle vecchie quote dei ponti) e perché in caso di piena i danni potenzialmente sarebbero sempre più gravi.
    È invece necessario ragionare in maniera organica considerando il corso d'acqua nel suo complesso, evitando quindi interventi localizzati che avrebbero uno scarso effetto in termini di sicurezza idraulica. Oltre alle opere idrauliche "tradizionali" (difese in sasso, diaframmi plastici ecc.), dove possibile, andrà concesso più spazio laterale ai fiumi incrementando le aree perifluviali per allargare la sezione di deflusso ricorrendo, se necessario, anche a delocalizzazioni e alla revisione degli strumenti urbanistici; inevitabilmente, in certi contesti, si dovrà ricorrere anche all'esproprio per pubblica utilità o all'imposizione di servitù di allagamento (aree di laminazione). L'attuale configurazione unicursale di molti corsi d'acqua, caratterizzata da un canale singolo avente l'unico obiettivo di scolmare i volumi d'acqua nel più breve tempo possibile, comporta vari problemi, tra i quali l'aumento della velocità del flusso, l'incisione dell'alveo e una minor ricarica delle falde acquifere. Ne consegue che il fiume, di fatto, assume le vesti di asse drenante a causa della sempre più accentuata forma a V della sezione con la conseguente perdita delle fasce tampone, così importanti per la biodiversità, la fitodepurazione e la protezione dall'erosione.
    La configurazione ideale del fiume è quindi quella pluricursale (a canali intrecciati) in un alveo sufficientemente ampio, per concretizzarla potrà essere necessario l'arretramento degli argini esistenti (o loro demolizione) con l’eventuale trasformazione dell’attuale argine maestro in argine golenale nel rispetto del criterio, generalmente adottato a livello prescrittivo, in base al quale gli argini golenali debbano avere quote sommitali sempre inferiori di almeno un metro a quelle degli argini maestri. La costituzione di golene chiuse, di casse di espansione artificiali e l'abbassamento dei piani golenali esistenti nei tratti maggiormente pensili del corso d'acqua rappresentano altre efficaci soluzioni per ridurre il colmo di piena. Per la gestione degli eventi di piena al limite della prevedibilità (tempi di ritorno ultrasecolari) si dovrà contemplare anche la soluzione progettuale degli argini maestri tracimabili (inerodibili) per evitarne il collasso, il che corrisponderebbe in pratica ad un intervento di rivestimento e consolidamento del lato campagna di tutte le arginature maestre attualmente interessate dal fenomeno di sormonto, previa identificazione delle zone esterne a tali arginature più adatte ad accogliere i volumi di laminazione nell’ottica di minimizzare le condizioni di rischio idraulico.
    Gli eventi alluvionali verificatisi in Emilia Romagna sono stati generati, nella quasi totalità dei casi, da episodi di sormonto arginale a cui sono seguiti in breve tempo collassi arginali con l'apertura di brecce nel corpo arginale, in quanto l'intera sezione della sagoma arginale è stata sottoposta ad imbibizione completa in corrispondenza del tratto sormontato. Appare quindi trascurabile l'influenza degli animali fossori (volpi, tassi, istrici, nutrie), mentre si è palesata l'inadeguatezza delle sezioni di deflusso. Tuttavia, la persistenza di elevati livelli idrici nei corsi d'acqua può aver innescato, in un secondo tempo, fenomeni di sifonamento favoriti da cavità naturali, fontanazzi, tane o superfici di discontinuità nel corpo arginale. In ogni caso, l'elevazione progressiva degli argini nel corso degli anni ha sempre più confinato il deflusso delle acque, facendo quindi diminuire le naturali capacità di laminazione in alveo (significativa in fiumi con pendenze ridotte e per colmi di piena generatisi rapidamente) e aumentando progressivamente le portate nei tratti a valle. Non a caso, il grosso delle precipitazioni in Emilia Romagna è sceso in bassa collina, quindi in bacini idrografici assai "reattivi", generalmente caratterizzati da corsi d'acqua unicursali con alvei modesti privi di scolmatori, tutti fattori che hanno ridotto sensibilmente la laminazione in alveo e, quindi, inasprito l'onda di piena.
    La notevole severità delle onde di piena è stata indubbiamente favorita dall'estensione, persistenza e intensità delle piogge, ma anche dalle condizioni antecedenti di elevata umidità del suolo nelle aree collinari e montane, prova ne sia che molte frane erano già avvenute per saturazione dei suoli durante il primo evento di precipitazione. Nella fase di pre-evento del secondo episodio l'umidità del suolo era pure superiore a causa delle piogge di inizio mese ma anche per altre precipitazioni scese tra i due eventi in parola, per cui vi era abbondante acqua gravitazionale nei macropori già pronta ad essere mobilizzata dalle precipitazioni mediante percolazione (innesco di frane) o deflusso superficiale (formazione delle piene) con ulteriore riduzione dei tempi di corrivazione e portate al colmo più elevate. Tra l'altro, le frane del primo evento hanno probabilmente costituito vie di deflusso preferenziale in profondità con innesco di nuovi e più estesi dissesti nel corso del secondo episodio, mentre lo stato dei rilevati arginali ancora risentiva delle piene di inizio mese.
    In definitiva, si esclude che la precedente siccità abbia favorito l'alluvione mediante una presunta "impermeabilizzazione" dei terreni, in quanto i versanti non erano affatto secchi, in tal senso anche gli elevati volumi di invaso nei primi mesi del 2023 presso la diga di Ridracoli potrebbero costituire un segnale "integrato" di terreni prossimi alla saturazione. Ci si chiede, inoltre: in quale modo la siccità modificherebbe la capacità di infiltrazione dei terreni? In ambito urbanizzato non ci sarebbe alcun cambiamento, così come non si modificherebbe la conducibilità idraulica dei terreni ghiaiosi. I terreni argillosi addirittura tendono a fessurarsi con il caldo e quindi aumentano i volumi di invaso superficiali (non la capacità di infiltrazione). L'unico caso in condizioni siccitose in cui il coefficiente di deflusso potrebbe raggiungere valori elevati riguarda la compattazione in aree aride di terreni abbandonati da molto tempo che effettivamente potrebbero divenire quasi impermeabili, ma nel caso dell'Emilia Romagna tale condizione poteva al massimo riguardare piccoli appezzamenti, non certo a scala regionale sulla quale si è manifestata la coppia di eventi.
    Il vero problema del suolo siccitoso non riguarda la porosità ma gli effetti della sensibile riduzione del tasso di crescita della vegetazione, dovuta alla riduzione dell'assimilazione fotosintetica. Quello che si determina nelle aree montane siccitose soggette alla precipitazione è la perdita di capacità dello strato superficiale del suolo di attenuare l'aggressività della pioggia battente e l'erosione durante il ruscellamento diffuso (quello che precede la confluenza nelle aste fluviali di ordine 1) e il conseguente incremento della densità dell'acqua (torbida) raccolta nelle aste di ordine superiore che contribuisce, assieme all'onda di piena, già critica di suo, a demolire tratti arginali a causa della maggiore energia liberata quando perde quota. Si ritiene che l'incremento di densità delle acque fluviali sia stato particolarmente accentuato in occasione degli eventi romagnoli in quanto gli Appennini (geologicamente giovani e in continua evoluzione) sono formati da rocce molto tenere e fragili (argille, sabbie, arenarie friabili) che tendono a fratturarsi, questa precondizione spiega la comparsa di nuovi calanchi nonché gli innumerevoli episodi di erosione arginale e l'ingente quantitativo di fango depositatosi nelle aree pianeggianti.
    In occasione di ogni evento alluvionale il cittadino si lamenta per il fatto che "non sono stati dragati" i fiumi per aumentare la sezione di deflusso, questa credenza è dura a morire. Al di là degli impedimenti di legge, l’asportazione di materiale dagli alvei non comporta alcun considerevole beneficio in termini di minore rischio idraulico, dobbiamo piuttosto essere consapevoli che il fiume tende ad un suo profilo di equilibrio dalla sorgente alla foce che mira, per l'appunto, all'equilibrio tra processi di erosione, trasporto e sedimentazione. L'estrazione di sedimenti perturba tale equilibrio innescando un processo di incisione dell’alveo a causa dell'erosione che si manifesta sia in maniera regressiva (a monte del punto di prelievo dei sedimenti) che progressiva (a valle del punto di estrazione) con conseguente restringimento dell'alveo e passaggio da una configurazione pluricursale ad una unicursale. Ciò comporta un incremento della portata nei tratti a valle e problemi di vario genere legati alla minor disponibilità di sedimenti (quest'ultima accentuata anche dalle dighe e briglie a monte che trattengono il materiale), tra i quali sottoescavazione delle sponde arginali e delle eventuali opere di difesa longitudinali, scalzamenti strutturali dei ponti e degli attraversamenti in genere, abbassamento della falda freatica, erosione e subsidenza dei litorali (con necessità di successivo ripascimento delle spiagge), risalita del cuneo salino, disconnessione delle fasce tampone per l'innalzamento dei piani golenali soggetti a deposito, impossibilità a derivare acqua di numerose opere di presa per l'abbassamento dei livelli idrici di magra (a parità di portata).
    L’apparente contraddizione tra l’ingente quantità di sedimento fine scesa a valle in Emilia Romagna durante i deflussi di piena e la generale tendenza degli alvei ad incidersi per la scarsa disponibilità di sedimenti si spiega col fatto che nel primo caso siamo in presenza di eventi impulsivi ad elevata capacità erosiva nel brevissimo periodo, mentre l’incisione degli alvei si esplica con un deficit di trasporto solido nel medio-lungo periodo su scale temporali pluriennali.
    Gli "isolotti" che si formano al centro dei fiumi (in particolare nel Po) sembrano aumentare, ma non a causa del deposito di sedimenti bensì per l'abbassamento del letto che li fa emergere: tuttavia, in determinate circostanze (es. in corrispondenza di un ponte), potrebbe rendersi necessario il dragaggio quando questi "insabbiamenti" riducono eccessivamente la sezione liquida e, quindi, incrementano la velocità della corrente che potrebbe intaccare le scarpate degli argini in froldo con pericolo di franamento. L'asportazione di materiale è, inoltre, giustificata per garantire la navigabilità dei fiumi o all'interno dei centri abitati così come nei canali e nelle condotte artificiali di pianura, dove sono necessari periodici interventi di spurgo e sfangamento per assicurare le giuste pendenze e garantirne il regolare funzionamento di scolo delle acque. Nei corsi d’acqua naturali, in collina come in pianura, è assolutamente da evitare la rimozione del materiale dall'alveo, mentre la sola movimentazione delle terre, ghiaie e sabbie, senza asportazione, ma con risistemazione direttamente in alveo nel medesimo corso d’acqua, non deve preoccupare, purché i sedimenti siano lasciati mobili per le successive piene/morbide che li trasporteranno verso valle secondo la naturale dinamica fluviale.
    Un altro aspetto spesso evidenziato dall'opinione pubblica riguarda la mancata "pulizia dei fiumi"; in riferimento alle alluvioni nel territorio romagnolo, è plausibile che in certi tratti la vegetazione in alveo non sia stata gestita a dovere, tuttavia si ritiene che ciò non avrebbe ridotto in maniera apprezzabile le conseguenze negative dei deflussi di piena di fronte a una serie di eventi di tale intensità. Ad ogni modo, l'unica pulizia sensata consiste nella rimozione del legname morto che, trasportato dalle piene, potrebbe determinare degli sbarramenti nelle sezioni più critiche (effetto diga) con riduzione della luce in corrispondenza delle campate dei ponti. È noto che le sezioni fluviali più delicate sono quelle corrispondenti agli attraversamenti (in particolare ponti ferroviari e stradali) i quali, se troppo bassi, ostacolano il libero deflusso delle acque che quindi rigurgiteranno a monte dell'attraversamento stesso con innalzamento del tirante idrico e maggior pressione sulle sponde. Potrebbe essere stato questo il caso della rotta del Lamone immediatamente a monte di un ponte ferroviario a valle dell'abitato di Boncellino in provincia di Ravenna.
    La vegetazione arborea sui versanti è indispensabile per ridurre il deflusso superficiale (se del caso si procederà con rimboschimenti), mentre per i corsi d'acqua di pianura si elencano le linee guida relative alla gestione della vegetazione avente il duplice obiettivo di ridurre l'erosione spondale e di favorire il libero deflusso:
    - l'alveo attivo va sottoposto a taglio a raso con l'eliminazione delle piante morte e pericolanti per liberarlo da alberi di qualunque genere e dal materiale flottante;
    - nelle aree ripariali vanno rimosse le alberature secche o rovesciate, la vegetazione dev'essere mantenuta giovane e flessibile con fusti di piccolo diametro (massimo 20-25 cm) mediante l'attuazione di tagli periodici salvaguardando i corridoi ecologici. Gli alberi grossi adiacenti agli alvei incisi potrebbero crollare in acqua trascinandosi anche parte della scarpata arginale dove era inserito l'apparato radicale. Evitare tagli a raso che favorirebbero l’insediamento di specie invasive (es. Robinia). Il saliceto giovane offre una buona protezione delle sponde dall'erosione grazie al buon apparato radicale, all'elevata flessibilità e alla densità relativamente bassa (minore dei cespuglieti di Amorpha fruticosa o robinia), lo sviluppo prevalentemente verticale del salice garantisce il mantenimento del valore della scabrezza nel medio periodo, riducendo la necessità di interventi frequenti di gestione (diradamenti selvicolturali);
    - nelle aree golenali è sufficiente una piccola manutenzione per evitare il trasporto dei tronchi da parte delle piene, vanno quindi rimossi gli alberi secchi e rovesciati;
    - il corpo arginale dev'essere privo di alberature e cespugli di qualunque genere e sfalciato regolarmente anche nelle fasce di rispetto per una larghezza di almeno 4 m dall'unghia arginale (sia lato fiume sia lato campagna) per agevolare l'individuazione di eventuali criticità, quali dissesti, tane, fontanazzi o sortumazioni, e per intervenire rapidamente in caso di emergenza, per esempio con la posa di sacchi di sabbia sul ciglio a fiume o di telonate sulla scarpata a fiume.
    C'è da dire che la legislazione nazionale e regionale, in ambito ambientale-naturalistico e della gestione del territorio, è talmente vincolante da limitare o persino impedire gli interventi volti a migliorare la sicurezza idraulica, anche per via dei numerosi enti da coordinare per i procedimenti autorizzativi relativi alla progettazione e realizzazione delle opere. Inoltre, c'è la tendenza negli uffici dei geni civili ad esternalizzare la realizzazione delle nuove opere o le manutenzioni di quelle esistenti con rischio di errori sin dalle fasi progettuali e con frequenti ritardi nei relativi interventi. Gli uffici tecnici rischiano di "svuotarsi" delle competenze e della conoscenza del territorio con una grave perdita della memoria storica, in particolare sta scomparendo la figura del "sorvegliante idraulico" che, per l'appunto, garantiva una sistematica sorveglianza lungo fiumi e torrenti specialmente nei servizi di piena.
    Relativamente agli interventi non strutturali nell'ottica della sicurezza idraulica, è essenziale provvedere all'affinamento dei sistemi previsionali, all'aggiornamento dei piani territoriali, di assetto idrogeologico e di emergenza. È fondamentale agire direttamente sulla consapevolezza e sensibilizzazione della popolazione, promuovendo la cultura del rischio idraulico e idrogeologico e dell'autoprotezione e illustrando ai cittadini le modalità con le quali trovare e interpretare correttamente i contenuti delle varie tipologie di allerte ufficiali emesse dagli enti preposti. Considerato che questi eventi catastrofici sono in qualche modo collegati alla crisi climatica e all'innalzamento delle temperature medie globali, è importante trasmettere e insegnare valori di sostenibilità ambientale per modificare gli attuali stili di vita, ormai palesemente insostenibili.
    Tornando all'Emilia Romagna, le previsioni meteorologiche si sono dimostrate assai efficaci per definire gli stati di allerta in entrambi gli eventi e permettere così ai cittadini di prepararsi (per quanto possibile). Ai meteorologi non fa certo piacere avere tutta questa attenzione mediatica solo perché ci sono state delle vittime e danni per miliardi di euro: la meteorologia andrebbe valorizzata anche in “tempo di pace” quando è possibile accrescere, con i dovuti tempi e modi, la conoscenza dei fenomeni meteorologici e del territorio in cui si vive. Purtroppo i mass media, nel porsi con un pubblico "generalista", tendono a semplificare (per non dire banalizzare) quanto avvenuto in un determinato evento, ne deriva quindi anche una "semplificazione delle responsabilità", ma nell'alluvione in questione abbiamo compreso che le cause, le forzanti e gli errori sono molteplici e complessi nelle loro interazioni. L'utente, quindi, non è certo invitato a impegnarsi nel comprendere i vari perché di quanto accaduto... è più semplice prendersela con un unico (presunto) colpevole, coincidente in genere con gli amministratori pubblici, mentre i vari partiti politici ne approfittano per fare propaganda contro gli amministratori avversari.
    Molti negano a priori l'influenza del cambiamento climatico su eventi catastrofici di questo tipo, probabilmente per sfuggire ognuno alle proprie responsabilità (è ormai dimostrato che il riscaldamento globale è di origine antropica) e per evitare stati d'animo negativi (es. ansia), molto più comodo prendersela con presunti "gravi errori" di manutenzione tra i quali, come visto, il mancato dragaggio degli alvei o la mancata pulizia delle sponde. Tutto ciò va a costituire un fertile substrato per il sostentamento di bizzarre teorie secondo le quali l'alluvione è stata causata dolosamente mediante la geoingegneria o, più "semplicemente", dall'apertura volontaria della diga di Ridracoli (sic!), un chiaro segnale di profonda ignoranza ma, più verosimilmente, di un vero e proprio analfabetismo funzionale che, tra l’altro, favorisce la diffusione delle cosiddette "fake news", molto pericolose soprattutto durante un'emergenza come quella in atto in Emilia Romagna.
    Alberto Gobbi
    Dottore magistrale in Scienze Forestali e Ambientali e Dottore di ricerca in Idronomia Ambientale, Istruttore tecnico Agenzia Interregionale per il fiume Po

    MI spiace, non ho letto tutto, sembrava interessante, ma è troppo lungo per i miei gusti.

 

 
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