In tutti continenti del mondo è in corso un rapido riposizionamento geopolitico a seguito del confronto sempre più marcato tra Stati Uniti e Cina: molti paesi stanno scegliendo se stare con l'una o con l'altra delle due maggiori potenze mondiali. Una scelta che implica sempre più anche gli aspetti militari. Ecco un rapido giro d'orizzonte, dall'Indo-Pacifico al Sud America.
Il sito Zero Hedge ha reso noto che lunedì scorso «gli Stati Uniti e la Papua Nuova Guinea hanno firmato un nuovo patto militare e un accordo di sorveglianza. Inoltre, il segretario di Stato, Antony Blinken, ha visitato la nazione del Pacifico come parte della strategia dell'amministrazione Biden contro la Cina». La Papua Nuova Guinea, circa dieci milioni di abitanti, è una grande isola del Pacifico situata in una posizione strategica: si trova nell'oceano a nord dell'Australia e a ovest delle Isole Salomone, nazione quest'ultima composta da un centinaio di piccole isole, teatro di grandi battaglie nella Seconda guerra mondiale (la più nota fu a Guadalcanal), con poco più di settecentomila abitanti. Un anno fa (aprile 2022), le Isole Salomone hanno siglato un «patto di sicurezza» con la Cina di Xi Jinping, offrendo a Pechino un punto d'appoggio militare nel Pacifico meridionale di importanza strategica. Il che allarmò non poco gli Stati Uniti, che ora replicano con accordo militare di notevole portata.
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Tra pochi giorni, all'inizio di giugno, in Sudafrica si terrà una riunione dei ministri degli Esteri dei cinque paesi che fanno parte del Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) per preparare il vertice del gruppo in programma in agosto. Il tema dell'incontro, proposto dalla Cina, è l'allargamento del Brics ad altri 19 paesi, di cui due hanno già fatto richiesta (Arabia Saudita e Iran), mentre altre 17 hanno espresso l'interesse ad aderire, tra cui Argentina, Indonesia, Emirati Arabi Uniti, Algeria, Egitto e Barhain, più altre nazioni africane. Fin dall'inizio (2001), l'obiettivo dei Brics è di sfidare la supremazia Usa, creando un'area commerciale e monetaria alternativa al dollaro. I primi risultati concreti si sono visti sul mercato mondiale del petrolio dopo l'aggressione della Russia in Ucraina, quando Mosca ha accettato che il suo petrolio e gas venisse pagato da India e Cina con monete diverse dal dollaro. Anche l'Arabia Saudita, rotti i ponti con gli Usa, ha accettato dalla Cina pagamenti diversi dal dollaro per il suo petrolio. Un trend da non sottovalutare non solo per l'enorme indebitamento Usa, che induce perfino le autorità monetarie Usa a temere un default, ma soprattutto perché i Brics, con una popolazione di due miliardi 800 milioni (dati 2010), hanno il 42% della popolazione mondiale, contro gli 830 milioni di abitanti (12%) dei 18 paesi più industrializzati e ricchi della terra.
La contesa tra Usa e Cina sta assumendo un ruolo chiave anche in Sud America, soprattutto in paesi che finora non avevano voce in capitolo nella politica mondiale, coinvolgendo anche l'Europa. Ne avremo la conferma nella seconda settimana di giugno, quando Ursula von der Leyen si recherà in Cile, Brasile e Argentina. Il viaggio, previsto inizialmente in aprile, aveva in origine lo scopo di agevolare gli accordi commerciali sulle materie prime necessarie per la transizione green, ma poi ha incluso nell'agenda anche il Mercosur, mercato unico sudamericano con cui l'Ue negozia da 25 anni senza successo, e la geosicurezza.
Un tema delicato quest'ultimo, tutto da verificare, soprattutto dopo che il ministro degli Esteri britannico, James Cleverly, ha registrato una serie di risposte negative durante le visite in Cile, Brasile e Colombia, concluse l'altro ieri.
Cleverly, riferisce Politico, ha chiesto in modo esplicito ai tre paesi di unirsi all'Europa nel condannare l'aggressione militare russa contro l'Ucraina e di inviare armi a Kiev, in quanto Brasile, Cile e Colombia dispongono sia di armi occidentali come i carri armati Leopard, sia di armi di fabbricazione russa, elicotteri e missili anticarro, di uso più facile per l'esercito ucraino.
La risposta del Cile è stata netta: «Non accadrà, per niente», ha detto un funzionario al termine dei colloqui. Idem ha fatto il Brasile del presidente Ignazio Lula Da Silva, che al recente G7 in Giappone, dove è stato inviato insieme a Narendra Modi (India), non si è unito al coro dei sostenitori di Volodymyr Zelensky e non ha partecipato al bilaterale con lui, schierandosi con Cina e Russia.
Prima del ministro inglese Cleverly, due esponenti di spicco dell'Ue si erano recati in Sud America per perorare il sostegno a Kiev. Prima ci ha provato Charles Michel, presidente del Consiglio Ue, ma è stato ignorato. Poi è toccato al cancelliere Olaf Scholz, che in gennaio ha visitato Argentina, Cile e Brasile, con lo scopo precipuo di assicurare all'industria tedesca le forniture del litio del Cile, indispensabile per i chip. E fin quei gli è andata bene.
Ma, arrivato a Brasilia, Lula gli ha detto senza giri di parole che mai e poi mai avrebbe mandato armi o munizioni a Kiev. Tuttavia, la Germania non demorde: all'inizio di giugno anche Annalena Baerbock, ministro degli Esteri, volerà in Brasile. Con Lula, visto il carattere della signora, saranno scintille.
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