Vengono già avvertite come pericolose l'elevata, autonoma spiritualità, la volontà di solitudine, la grande ragione; tutto ciò che innalza l'individuo al di sopra del gregge e provoca il timore del prossimo, prende da questo momento significato di "cattivo"; l'atteggiamento equo, modesto, dell'autoinserimento, dell'eguaglianza, la "mediocrità" dei desideri, vengono onorati e designati come morali. Infine, in condizioni molto pacifiche, viene a mancare sempre di più l'occasione e la necessità di educare i propri sentimenti al rigore e alla durezza; e ora ogni rigore, anche nella giustizia, comincia a disturbare le coscienze; un'elevata e dura nobiltà e autoresponsabilità diventa quasi offensiva e desta diffidenza, l' "agnello" e ancor più la "pecora" salgono in considerazione. C'è un momento nella storia della società in cui un morboso infiacchimento e spossatezza sono tali che la società stessa prende posizione a favore del suo danneggiatore, del delinquente, e con tutta serietà e onestà. Punire: questo le sembra in un certo senso ingiusto, è indubbio che l'idea della "punizione" e del "dover punire" la fa soffrire, le incute timore. "Non basta renderlo innocuo? A che scopo anche punirlo? Il punitore stesso una cosa terribile!". Con questa domanda la morale del gregge, la morale della pavidità, trae la sua ultima conseguenza. Posto che si potesse sopprimere il pericolo in generale, il motivo della paura, si sarebbe tolta di mezzo, al tempo stesso, anche questa morale: essa non sarebbe più necessaria, essa non si considererebbe più necessaria! Chi indaga la coscienza dell'europeo di oggi, dovrà estrarre dalle mille pieghe e dai mille nascondigli della morale sempre lo stesso imperativo, l'imperativo della pavidità del gregge: "Noi vogliamo che a un certo momento non ci sia più motivo di aver paura!". A un certo punto, la volontà e il cammino per giungervi sono quel che oggi, in Europa, si chiama dappertutto "progresso".
Nietzsche