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    Siciliano
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    Predefinito Che vuol dire 'AnTuDo'?

    In determinati ambienti politico-culturali, in Sicilia, viene spesso menzionata la parola 'AnTuDo', e molti, giustamente, si domandano il suo significato. Essa viene oggi utilizzata certamente in situazioni del tutto risemantizzate rispetto all'ambiente storico-politico-culturale in cui venne coniata, nell'ormai lontano 1282. Sì, perché è proprio durante una rivolta come quella del Vespro che essa venne ideata. I francesi angioini erano coloro che erano considerati nemici dai siciliani, quando scoppiò, alla fine del XIII secolo, quella che non fu semplicemente una 'rivolta', come riferiscono quei pochi libri di storia che ancora ne parlano (e sono veramente pochi), ma una vera e propria guerra durata ben 90 anni, ovvero ben oltre la cosiddetta 'Pace di Caltabellotta' del 1302.

    Per inquadrare meglio la situazione storica di cui stiamo parlando, posto qui di seguito un sottoparagrafo della mia tesi di laurea che chiarisce alcuni punti fondamentali, così che chi ne voglia sapere di più possa consultare anche le apposite fonti riportate. Buona lettura.


    II.2.1 – Il simbolo del Vespro Siciliano


    Con la guerra del Vespro (1282-1302), la Sicilia si solleva contro i francesi angioini di Carlo I d’Angiò – fratello del re di Francia Luigi IX il Santo – posto dal papato di Clemente IV a regnare in Sicilia dopo la sconfitta e la morte di Manfredi di Svevia, figlio di Federico II, a Benevento. Il malgoverno francese determina «una reazione a catena in tutte le classi sociali»[1], per cui «la scintilla della rivoluzione si [diffonde] per tutta l’isola e nel giro di poco tempo la maggior parte dei francesi residenti in Sicilia [viene] trucidata»[2]. Secondo lo storico Francesco Giunta, le cause di una così consistente insurrezione popolare, le cui vicissitudini si sarebbero protratte per diversi anni, sono da ricercare «in una violenza fatta alla coscienza dei Siciliani. L’abisso fra Re e popolo [...] affonda le sue ragioni non nell’eccessivo fiscalismo angioino, non peggiore del fiscalismo federiciano, ma in quell’atteggiamento di prepotenza, in quell’offesa continuata ai sentimenti di libertà, di onore e di maturità politica dei Siciliani, i quali soltanto possono spiegarci un moto rivoluzionario, quale [è] quello del Vespro»[3]. Secondo un’antica tradizione mai smentita, sebbene non avvalorata da fonti storiche, soltanto a Palermo, il giorno dello scoppio dei tumulti – lunedì di Pasqua del 30 marzo 1282, sul farsi del tramonto (da ciò ‘Vespro’) –, vengono uccisi circa duemila francesi[4]: «causa occasionale l’insulto dei soldati francesi alle donne siciliane»[5]. Da questo momento ha inizio «l’esperienza comunale di Palermo [...]: Ruggero di Mastrangelo [viene] eletto capitano della città insieme ad Arrigo Baverio, Niccoloso d’Ortoleva e Niccolò di Ebdemonia, uomini stimati e tratti quasi tutti fra gente agiata e dedicata al commercio»[6]. La città che immediatamente si solleva dopo Palermo è la ‘lombarda’ Corleone: essa si eleva a sua volta a comune e la reggenza cittadina «si rivolge a Palermo per stringere una lega di mutuo soccorso [...]. Il mutuo impegno dei due comuni di darsi ‘auxilium consilium et iuvamen cum armis pecunia et personis’ [è] il primo anello di quella ‘Communitas Siciliae’ che avrebbe sperato di sopravvivere con la protezione del Pontefice. Il capitano di Corleone, Bonifacio di Camerana, diviene col Mastrangelo l’animatore della lotta senza quartiere al nemico angioino e della resistenza ad oltranza»[7]. L’unione dei due comuni siciliani dà quindi il via a qualcosa di ben più vasto, che coinvolgerà il territorio dell’intera Isola: «soltanto Messina, legata per la sua posizione geo-economica alla parte continentale del Regno, [tentenna] dinnanzi ad una precisa sollecitazione dei Palermitani. Ma alla fine anche la città dello Stretto si [sottrae] al potere del governatore Eriberto d’Orléans ed [aderisce] alla sollevazione. [...] E con la sollevazione di Messina, che [viene] a completare il quadro delle adesioni all’insurrezione (la defezione di Sperlinga non può essere assunta a testimonianza dell’esistenza di una cospicua corrente filoangioina), veniva a costituirsi quella ‘Communitas Siciliae’ con la speciosa formula della protezione della Santa Sede: ‘tempore dominii sacrosanctae Romanae Ecclesae’»[8]. Vi è dunque la volontà delle reggenze insurrezionali siciliane di specificare chi esattamente sia il nemico: la sollevazione è nei confronti di un oppressore politico, non della guida religiosa che pure aveva designato quell’oppressore come legittimo sovrano di Sicilia. Michele Amari, in proposito, specifica: «il giogo che la Sicilia [spezza] nel 1282 [è] stato fabbricato a corte di Roma; così io la chiamerò piuttosto che ‘Chiesa’, la quale significa propriamente l'universalità dei fedeli; e non dirò sempre ‘il papa’ poiché l'uomo che tien quel seggio ubbidisce più spesso che non comandi»[9].
    Giunta continua dicendo che «è indubbio il fatto che in questo primo momento prevale la base popolare che [sorregge] il reggimento comunale»[10], ed è proprio in momenti come questo che i simboli assumono una valenza fondamentale per la collettività, in cui essa si riconosce e su cui fonda o ricostituisce una sua identità socio-culturale. «Una diagonale costituita dalla dicotomia ‘identità vs alterità’ attraversa a livello profondo l’orizzonte ideologico dell’uomo. [...] L’identità è un modello ideale fondante. L’insieme dei connotati che la definiscono è il referente ideologico e psicologico nel quale e attraverso il quale i singoli e le collettività si conoscono e si riconoscono»[11]. Dunque, per far sì che la Communitas Siciliae vespertina possa riconoscersi in ideali comuni – politici, prima di tutto –, ecco che diventa fondamentale costituire un simbolo in grado di rappresentare l’intera popolazione insorta, ma ancor più che possa radunarla entro gli stessi ‘limiti’ identitari, di contro ad una realtà che si avverte estranea, ostile, da combattere, cioè ‘altra’: gli angioini. Con questo intento, viene istituzionalmente creato un vessillo – se di ‘bandiera’, alla fine del XIII secolo, non si può ancora parlare – recante diagonalmente, senza che sia specificato un ordine preciso, i colori comunali di Palermo (giallo) e Corleone (rosso), «inaugurata il 3 aprile 1282, con atto pubblico rogato dal notaio Benedetto da Palermo»[12], con il triskelés posto al centro . Inoltre, secondo Santi Correnti , «per riconoscersi tra di loro i congiurati siciliani [hanno] una loro parola d’ordine che [suona] ‘AnTuDo’; e che [viene scritta], a Vespro avvenuto, anche sulla bandiera giallo-rossa degli insorti»[13]. AnTuDo è l’acronimo di tre parole latine: Animus Tuus Dominus, ovvero ‘Il coraggio è il tuo signore’, implicando il misconoscimento dei francesi come sovrani[14].
    Il vessillo composto durante il Vespro, proprio per l’importanza che ebbe il conflitto e la forza con cui esso divampò e si diffuse, è oggi, per i separatisti siciliani, simbolo della Sicilia stessa, della sua ‘unità identitaria’ e del suo ‘orgoglio’, anche se di esso, nei secoli successivi alla guerra, si perdono le tracce documentarie che possano confermare una continuità reale della sua utilizzazione. In forma di vera e propria bandiera, esso verrà riproposto solo durante le manifestazioni e i comizi separatisti degli anni ’40 del XX secolo. Mentre il triskelés siciliano è un elemento che continuerà a persistere nell’araldica nobiliare e civica isolana e che verrà utilizzato anche al centro del Tricolore rivoluzionario del 1848 (oltre che su elmi e uniformi militari di allora), i soli colori giallo e rosso – che rappresentano anche il casato d’Aragona – persisteranno nelle insegne, sia istituzionali che non, fino ai nostri giorni.

    BIGLIOGRAFIA

    [1] Giunta F., Il Vespro e l’esperienza della “Communitas Siciliae”. Il baronaggio e la soluzione catalano-aragonese dalla fine dell’indipendenza al viceregno spagnolo, in “Storia della Sicilia”, vol. III, Società editrice Storia di Napoli e della Sicilia, 1980, Napoli

    [2] Ibidem

    [3] Ivi, p. 311

    [4] Cfr. La Duca R., Alla scoperta della tua città, Edizioni Ristampe Siciliane, 1979, Palermo

    [5] Giunta F., 1980, p. 312

    [6] Ivi, p. 313

    [7] Ibidem

    [8] Ivi, p. 314

    [9] Amari M., Racconto popolare del Vespro siciliano, L'Epos, 2006, Palermo

    [10] Buttitta A., Dei Segni e dei miti, Sellerio, 1996, Palermo

    [11] Correnti S., La parola segreta del Vespro siciliano, in 'L'Isola', anno IX, n. 1, p. 6

    [12] Cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Vespri_siciliani

    [13] Correnti S., 2007, p. 6

    [14] Cfr. ibidem


    Ricostruzione del vessillo della ‘Communitas Siciliae’ o del Vespro (1282)
    Ultima modifica di Laurentius AnthroposLogos; 07-11-10 alle 16:04

 

 

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