RIPRISTINO DELLA SOVRANITA’ NAZIONALE - ULTIMO ATTO
Il vero significato dell’affare Yukos
L’evento determinante nella geopolitica energetica della Russia sotto Putin risale al 2003; Washington, incurante dei movimenti mondiali di protesta e dei richiami delle Nazioni Unite aveva da poco fatto chiarezza sul fatto che avrebbe militarizzato l’Iraq ed il Medio Oriente.
Per meglio capire la geopolitica energetica russa è necessario risalire all’Ottobre del 2003, ossia allo spettacolare arresto del miliardario Mikhail Khodorkovsky, “l’Oligarca Russo”, ed alla conseguente confisca della sua compagnia petrolifera, il gigante Yukos.
Khodorkovsky fu arrestato all’aeroporto di Novosibirsk il 25 Ottobre 2003 dalla Procura Generale russa con l’accusa di evasione fiscale. Immediatamente il governo Putin bloccò le quote della Yukos Oil, e successivamente prese dei provvedimenti estremi che portarono al collasso il prezzo delle sue azioni. Il solo spunto che fu riportato dai media occidentali sottolineava l’unica differenza che, secondo gli analisti occidentali, intercorre tra i metodi del governo Putin e quelli dell’era Sovietica, e cioè la rapidità d’azione. Khodorkovsky fu arrestato appena quattro settimane prima di una decisiva votazione alla camera bassa della Duma, votazione che Khodorkovsky aveva cercato di pilotare sfruttando le sue ingenti ricchezze. Il controllo della Duma era il primo passo del piano per correre contro Putin alle elezioni presidenziali dell’anno successivo. La votazione favorevole della Duma avrebbe permesso a Khodorkovsky di cambiare la legge elettorale in suo favore, ed anche di bloccare la controversa legge sulle risorse del sottosuolo, che avrebbe impedito alla Yukos e ad altre compagnie private di ottenere il controllo delle materie prime del sottosuolo e di sviluppare oleodotti e gasdotti privati indipendenti da quelli nazionali.
Khodorkovsky violò la promessa degli oligarchi fatta a Putin, e cioè che a loro sarebbe stato permesso di continuare a mantenere le proprie attività – di fatto sottratte allo stato attraverso le dismissioni volute da Yeltsin – se fossero rimasti estranei agli affari politici russi ed avessero riportato in patria parte dei loro capitali. Khodorkovsky, il più potente oligarca di quel periodo, era il veicolo di quello che stava diventando un ovvio ‘putsch’ di Washington contro Putin.
L’arresto di Khodorkovsky avveniva a seguito di un incontro informale tenutosi il 14 Luglio dello stesso anno tra lui e Dick Cheney.
A seguito dell’incontro con Cheney, Khodorkovsky iniziò i suoi colloqui con la ExxonMobil e con la ChevronTexaco, la vecchia società di Condi Rice, per concedere un maggior controllo della Yukos, tra il 25% ed il 40%. Ciò allo scopo di rendere Khodorkovsky immune da ogni possibile interferenza da parte del governo di Putin grazie alla forte partnership della Yukos con le grandi compagnie petrolifere statunitensi e, quindi, con Washington. Ciò avrebbe inoltre di fatto dato a Washington, tramite le Big Oil, un potere di veto sulle future operazioni commerciali riguardanti il petrolio ed i condotti russi. Alcuni giorni prima del suo arresto nell’ottobre 2003 per frode fiscale, Khodorkovsky aveva ospitato George H.W. Bush, il rappresentante del potente e segreto gruppo Carlyle di Washington a Mosca. Discutevano gli ultimi dettagli per l’acquisto da parte della compagnia petrolifera statunitense di quote della Yukos.
La Yukos inoltre aveva anche presentato una grande offerta per acquistare la rivale Sibneft da Boris Berezovsky, un altro oligarca dell’era Yeltsin. La YukosSibneft, con i suoi 19,5 miliardi di barili tra gas e petrolio, avrebbe detenuto la seconda maggiore riserva mondiale dopo la ExxonMobil. La YukosSibneft sarebbe stata la quarta compagnia mondiale in termini di produzione, con un regime di estrazione di 2.3 milioni di barili di petrolio al giorno. L’acquisizione della Yukos Sibneft da parte dell’Exxon o della Chevron sarebbe stato un vero e proprio colpo di stato energetico. Cheney lo sapeva; Bush lo sapeva; e Khodorkovsky anche.
Ma soprattutto lo sapeva Vladimir Putin, ed agì decisamente per fermarla.
Khodorkovsky aveva tessuto dei legami molto forti con il potere anglo-americano. Creò una fondazione filantropica, la Open Russia Foundation, basata sul modello della fondazione Open Society del suo stretto amico George Soros. Al consiglio direttivo della fondazione sedevano Henry Kissinger, un suo amico, il rampollo londinese della famiglia di banchieri Lord Jacob Rotschild ed il precedente ambasciatore degli Stati Uniti a Mosca, Arthur Hartman.
Dopo l’arresto di Khodorkovsky il Washington Post scrisse che il miliardario russo si era assicurato i servigi di Stuart Eizenstat – rappresentante del Ministero del Tesoro, Sottosegretario di Stato, Sottosegretario al Commercio durante l’amministrazione Clinton – per fare pressioni su Washington per la sua liberazione. Khodorkovsky era profondamente legato all’establishment anglo-americano.
La successiva protesta dei media occidentali sul ritorno della Russia ai metodi comunisti ed alla gretta politica di potere, ignorò coscientemente il fatto che Khodorkovsky stesso non era certo un esempio di purezza. Tempo prima infatti aveva annullato unilateralmente il contratto con la British Petroleum. La BP era stata un partner della Yukos, e aveva investito circa 300 milioni di dollari perforando il promettente giacimento di Priobskoye in Siberia.
Una volta portata a termine la perforazione, Khodorkovsky avrebbe fatto fuori la BP con metodi da gangster che in gran parte del mondo civilizzato sarebbero stati considerati fuori legge. Alla fine del 2003 la produzione di petrolio dal giacimento di Priobskoye raggiungeva i 129 milioni di barili, con un valore di mercato di circa 8 miliardi di dollari.
Ancora, per quanto riguarda la sua reputazione, c’è da dire che nel 1998, dopo che il FMI aveva elargito un prestito miliardario alla Russia al fine di prevenire il collasso del Rublo, la banca Menatep di proprietà dello stesso Khodorkovsky trasferì l’esorbitante cifra di 4,8 miliardi di dollari dai fondi del FMI ai suoi stretti amici banchieri, tra cui qualche americano.
A questo punto risulta chiaro come le grida di protesta di Washington all’arresto di Khodorkovsky furono alquanto insincere, se non addirittura ipocrite: Washington era stata scoperta con le mani nella marmellata russa.
Il finale della storia segnò un punto a favore del governo Putin che mirava alla ricostruzione della Russia e ad erigere una strategia difensiva nei confronti degli attacchi stranieri guidati da Cheney e dal suo amico Blair in Gran Bretagna. Il tutto avvenne sullo sfondo dello sfrontato accaparramento dell’Iraq da parte degli Stati Uniti nel 2003 e dell’annuncio unilaterale di Bush dell’abrogazione del solenne trattato con la Russia, l’ABM (il trattato contro le testate balistiche), con l’obiettivo di continuare lo sviluppo del sistema missilistico difensivo USA, un atto che da Mosca poteva essere interpretato solo come una minaccia alla propria sicurezza.
Infatti, siamo alla fine del 2003, non ci voleva un grande acume strategico-militare per capire che i falchi del Pentagono ed i loro alleati dell’industria militare e petrolifera avevano maturato una visione degli USA, priva dei bavagli imposti dai trattati internazionali, così da poter agire in modo unilaterale secondo i propri interessi.
Nel gennaio 2001 il National Institute for Public Policy (NIPP) aveva pubblicato il Rationale and Requirements for U.S. Nuclear Forces and Arms Control (Fondamenti e Requisiti per il Controllo Statunitense delle Armi Nucleari), poco prima che iniziasse l’esperienza dell’amministrazione Bush-Cheney. Il rapporto, chiedendo una riduzione unilaterale delle forze nucleari, era stato firmato da 27 veterani delle amministrazioni passate e presenti. La lista comprendeva anche l’uomo che è oggi il consigliere di Bush sulla Sicurezza Nazionale, Stephen Hadley; comprendeva inoltre l’assistente speciale al Segretario della Difesa, Stephen Cambone, ed anche l’Ammiraglio James Woosly, il precedente capo della CIA e presidente della ONG Freedom House a Washington. La Freedom House aveva giocato un ruolo centrale nella Rivoluzione dei Colori in Ucraina ed in tutte le altre nazioni ex-Sovietiche.
Questi eventi furono subito seguiti da una serie di destabilizzazioni, finanziate da Washington, dei governi periferici alla Russia che in un certo modo erano vicini a Mosca, tra cui la “Rivoluzione delle Rose” in Georgia che spodestò Edouard Shevardnadze in favore di un giovane Presidente filo-americano e pro-NATO di nome Mikheil Saakashvili. Il trentasettenne Saakashvili saggiamente ripristinò il vecchio oleodotto Baku-Tblisi-Ceyhan che avrebbe impedito a Mosca il controllo del petrolio del Caspio. Gli Stati Uniti mantennero stretti rapporti con la Georgia fin dall’inizio della Presidenza Saakashvili. Esperti militari statunitensi istruirono a dovere le truppe georgiane e Washington versò milioni di dollari al fine di preparare la Georgia al suo ingresso nella NATO.
A seguito della Rivoluzione delle Rose in Georgia, la Freedom House di Woolsey, la National Endowment for Democracy, la Fondazione Soros ed altre ONG di Washington organizzarono la provocatoria “Rivoluzione Arancione” in Ucraina nel Novembre 2004. Lo scopo di tale rivoluzione era quello di installare un regime pro-NATO sotto la contestata presidenza di Victor Yushchenko, in un paese strategico per tagliare la Russia fuori dalla rotta dei maggiori flussi di combustibili verso l’Europa Occidentale. I movimenti di ‘opposizione democratica’ della vicina Bielorussia iniziarono a ricevere milioni di dollari dall’Amministrazione Bush, dal Kirghizistan, dall’Uzbekistan e da molti altri staterelli ex-sovietici che formarono una barriera tra i potenziali condotti energetici che avrebbero collegato Cina, Russia ed il Kazakhistan.
Ancora una volta il controllo dei gasdotti e degli oleodotti era il cuore delle strategie USA. Non ci dobbiamo quindi sorprendere se qualcuno nel Cremlino iniziò a chiedersi se George W. Bush, il rinato partner Texano di Putin, stesse parlandogli con la lingua biforcuta, come direbbero gli Indiani.
Alla fine del 2004 era chiaro a Mosca che una nuova Guerra Fredda, questa volta riguardante la supremazia nucleare ed il controllo strategico dell’energia, era pienamente in atto.
Era altrettanto chiaro il filo conduttore delle azioni apparentemente incomprensibili portate avanti da Washington, azioni iniziate a partire dalla dissoluzione dell’Unione-Sovietica nel 1991… era chiaro l’obiettivo finale della politica USA, non la Cina, tanto meno l’Iraq o l’Iran… era l’Eurasia!
L’obiettivo ultimo dei giochi geopolitici era per Washington la completa de-costruzione della Russia, l’unico stato dell’Eurasia capace di organizzare una efficace combinazione di alleanze usando le sue immense risorse energetiche. Ciò, naturalmente, non sarebbe mai stato possibile dichiararlo.
Dopo che nel 2003 Putin e la politica estera russa, ed in particolare la politica energetica, erano ritornati ai principi base della geopolitica della “Heartland” (letteralmente il ‘Cuore della Terra’ per indicare la zona centrale del continente Eurasia) di Sir Halford Mackinder, politica che era stata il fondamento della strategia della Guerra Fredda Sovietica dal 1946, Putin iniziò a portare avanti una serie di mosse difensive al fine di restaurare una sorta di equilibrio sostenibile in conseguenza della crescente politica di isolamento della Russia da parte di Washington. I successivi errori strategici statunitensi hanno reso più facile il compito della Russia. Ora, con la posta che è aumentata per entrambi gli attori – NATO e Russia – quest’ultima ha trasformato la sua strategia da semplicemente difensiva ad offensiva, in modo da assicurarsi una posizione geopolitica più proficua, facendo leva sulle sue risorse energetiche.
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