Pensate che un giorno, per strada a Parigi, incrociai Alice (o Ellen) Kessler – dovete perdonarmi è successo tanti anni fa, e, almeno in quell’occasione, non ricordo quale fosse delle due - e mi venne spontaneo rivolgermi simpaticamente a lei con un: “Cosa fai stasera?” Naturalmente lei si mise a ridere e mi disse “Guarda che l’italiano lo capisco bene”, come se glielo avessi domandato pensando che lei non capisse.
“Lo so” le risposi sfacciatamente, “apposta te l’ho chiesto …” e la guardai dritto negli occhi.
La mia spregiudicatezza le piacque. Era più alta di me: con i tacchi faceva 188 centimetri. Mi resi subito conto che le sarei arrivato giusto, giusto ai capezzoli, allungando bene la lingua. Ma in Italia si era abituata a don Lurio e le sembrai un gigante.
Camminammo lungo le Tuileries. Mentre lei mi raccontava delle sue calze, che si rompevano spesso durante gli spettacoli televisivi ed io insistevo perché mi facesse vedere esattamente dove, raggiungemmo Chez Maxime.
“Stasera sono qui a cena con amici” mi disse. “Vanni” continuò prima di entrare nel locale, “tu mi piaci molto come tipo, però c’è anche mia sorella Ellen (o Alice). Come la mettiamo?”
Quella domanda mi mise in imbarazzo. Come si poteva mettere Alice (o Ellen) ? Troppo complicato. Due sorelle uguali insieme…Io sono cattolico, come si fa ?! Non avevo proprio voglia di starci a pensare. Mi liberai con una scusa.
Più tardi in un bistrò lungo la “rive gauche”, di quelli frequentati da Sartre e Simenon, conobbi Edith Piaf. Aveva già una certa età, puzzava di calvados ed era fissata con l’attore Montand e il pugile Marcel Cerdan, ma quella sera loro non c’erano e non aveva sorelle uguali.
Trascorremmo insieme la notte in una piccola cameretta d’albergo di fianco alla Madeleine.
La mattina successiva, quando si rialzò dal letto cantò solo per me, e senza accompagnamento musicale, “Je ne regrette rien”.