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    Predefinito *** CONOSCERE IL CONSERVATORISMO ***

    CONOSCERE IL CONSERVATORISMO
    Saggi, schede, bibliografie


    * * *



    La voce Conservatorismo nell'Enciclopedia Britannica, di Kenneth Minogue, Peter Viereck
    La voce Conservatorismo nell'Enciclopedia Treccani, di Noël O'Sullivan
    Il Conservatorismo ne Le ideologie del Novecento (Rubbettino), di Augusto Cavadi
    Tutto il Conservatorismo su Wikipedia, l'enciclopedia libera

    Edmund Burke (1729-1797) in Voci per un Dizionario del Pensiero Forte (I.D.I.S.), di Marco Respinti
    Riflessioni sulla Rivoluzione francese, di Edmund Burke

    Alexis de Tocqueville, di Maurizio Schoepflin
    Tocqueville. Democrazia in America e libertà della persona, di Luca Pesenti
    Ultima modifica di Florian; 23-05-10 alle 15:42

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    Predefinito Riferimento: CONOSCERE IL CONSERVATORISMO - Saggi, schede bibliografie

    La voce CONSERVATORISMO nell'Enciclopedia Britannica



    Conservatorismo
    Filosofia politica





    Linee principali

    Filosofia politica che sottolinea il valore delle istituzioni e delle consuetudini tradizionali


    Conservatorismo è preferire quanto storicamente ereditato rispetto a ciò che è astratto e ideale. I conservatori preferiscono le istituzioni e le consuetudini che hanno subìto un'evoluzione graduale e sono manifestazioni di continuità e di stabilità. In risposta alla domanda "Quale dovrebbe essere il campo di azione del governo?" i conservatori sostengono che il governo deve essere il servitore, non il padrone, degli attuali modi di vivere e deve resistere alla tentazione di trasformare la società e la politica. I conservatori sono in genere, anche se non sempre, sospettosi dell’attività del governo. Il conservatorismo è quindi in netto contrasto con il liberalismo, che è un movimento modernizzante, antitradizionalista, volto alla correzione dei mali e degli abusi derivanti dal cattivo uso del potere. In The Devil's Dictionary (1906), lo scrittore americano Ambrose Bierce cinicamente (ma non impropriamente) ha definito il conservatore come "uno statista che è innamorato dei mali esistenti, a differenza del liberale, che aspira a rimpiazziarli con altri." Il conservatorismo deve anche essere distinto dalla prospettiva reazionaria, che è a favore del ripristino di un precedente e, solitamente obsoleto, ordine politico o sociale.

    Dalle sue origini il pensiero politico ha contenuto varie tendenze che possono essere qualificate a posteriori conservatrici, ma fu non prima della fine del XVIII secolo, in reazione agli sconvolgimenti della Rivoluzione francese (1789), che il conservatorismo cominciò a svilupparsi come una chiara tendenza e come movimento politico. Il termine conservatore venne introdotto dopo il 1815 in Francia dai sostenitori della monarchia borbonica da poco restaurata, tra i quali lo scrittore e diplomatico Francois-Auguste-René, visconte di Chateaubriand. Nel 1830 il politico e scrittore britannico John Wilson Croker utilizzò il termine per descrivere il Partito Tory Britannico (cfr. Whig e Tory) e negli anni 1830 è stato utilizzato anche negli USA da John Calhoun, un ardente difensore dei diritti degli Stati. Capostipite del moderno, articolato conservatorismo (anche se non usò mai il termine in questione) è generalmente riconosciuto essere il parlamentare e scrittore politico britannico Edmund Burke, le cui Riflessioni sulla rivoluzione in Francia (1790) sono state una vigorosa espressione del rifiuto conservatore della rivoluzione francese e una delle maggiori fonti di ispirazione per i teorici controrivoluzionari nel secolo XIX. Per Burke e altri conservatori sostenitori del parlamento i metodi violenti, antitradizionali, e di sradicamento della rivoluzione avevano superato e corrotto i suoi ideali di liberazione. La repulsione generale verso il corso violento della rivoluzione procurò ai conservatori l'opportunità di ripristinare le tradizioni pre-rivoluzionarie e determinò inoltre un rapido sviluppo di diversi tipi di filosofia conservatrice.


    Atteggiamenti conservatori

    Un modo comune di distinguere il conservatorismo dal liberalismo e dal radicalismo è affermare che i conservatori negano la perfettibilità dell'umanità. In altre parole, essi negano la visione ottimistica secondo la quale gli esseri umani possono essere migliorati moralmente dal cambiamento sociale e politico. I conservatori che sono cristiani a volte esprimono questa convinzione affermando che gli esseri umani sono colpevoli del peccato originale. I conservatori scettici osservano semplicemente che la storia umana, in quasi tutte le circostanze sociali e politiche immaginabili è pregna di malvagità. Lungi dal credere che la natura umana sia essenzialmente buona, i conservatori tendono a ritenere che gli esseri umani sono naturalmente inclini all’egoismo, all'anarchia, all'irrazionalità e alla violenza. Di conseguenza, essi guardano alle politiche tradizionali e alle istituzioni culturali per dominare le meschinità umane e gli istinti distruttivi. A differenza del filosofo illuminista francese Jean-Jacques Rousseau, il quale affermava che le istituzioni politiche del suo tempo fossero tante "catene" che ostacolavano la bontà naturale dell'uomo, i conservatori consideravano queste necessarie per il bene degli esseri umani. Senza il potere frenante di tali istituzioni, credevano, non avrebbe potuto esserci un comportamento etico e un uso responsabile della libertà.

    Il temperamento conservatore può essere associato, ma non ha bisogno di esserlo, a una politica o a un’economia conservatrice. Talvolta può anche accompagnare una politica o un’economia di sinistra - come è successo, ad esempio, alla fine degli anni 1980, quando i comunisti della linea dura in Unione Sovietica sono stati spesso definiti come "conservatori". Comunque, indipendentemente dalla politica, il temperamento conservatore presenta due caratteristiche degne di nota: la diffidenza verso la natura umana, la mancanza di radici, le innovazioni non sperimentate, e una corrispondente fiducia in un’ininterrotta continuità storica e nelle tradizionali strutture poste alla guida delle vicende umane. Tali strutture possono essere politiche, culturali o religiose, o possono non avere per nulla un’espressione astratta o istituzionale.

    Una caratteristica strettamente connessa al temperamento conservatore è l’avversione per gli argomenti e le teorie astratte e un corrispondente rifiuto del tentativo di "pianificare la società in anticipo" utilizzando principi derivati dalla sola ragione. A questo proposito il temperamento conservatore contrasta marcatamente con quello del liberale. Laddove il liberale articola consapevolmente teorie astratte, il conservatore abbraccia istintivamente tradizioni concrete. Proprio per questo motivo, varie autorità in materia di conservatorismo si sono persuase a negare che esso corrisponda ad una vera e propria ideologia, considerandolo invece come uno stato d'animo relativamente inespresso. Qualunque sia la fondatezza di questo punto di vista, resta vero che le migliori intuizioni del conservatorismo quasi mai sono state sviluppate in opere teoriche confermative comparabili a quelle del liberalismo e del radicalismo.

    In contrapposizione ai "progetti razionalisti" di liberali e radicali, i conservatori spesso sottolineano che, proprio in quanto le società sono estremamente complesse, non vi è alcuna attendibile e prevedibile connessione tra ciò che i governi cercano di fare e quello che effettivamente succede. E’ quindi inutile e pericoloso, a loro parere, che i governi interferiscano con le realtà sociali o economiche - come avviene, ad esempio, nel tentativo di controllo da parte del governo dei salari, dei prezzi, o degli affitti.

    Se la società è troppo complessa per essere migliorata attraverso l'ingegneria sociale, la domanda successiva è: "Che genere di comprensione della società è possibile?" La risposta conservatrice più comune sottolinea l'idea di tradizione. Noi siamo ciò che siamo perché abbiamo ereditato le competenze, i comportamenti, la moralità e altre risorse culturali dai nostri antenati. Una comprensione della tradizione - più specificamente, una conoscenza della storia della propria società o nazione - è pertanto la più preziosa delle risorse cognitive a disposizione di un leader politico, non perché è una fonte di lezioni astratte, ma perché pone il leader direttamente a contatto con la società le cui regole può andare modificando.

    Influenze conservatrici operano indirettamente - vale a dire diversamente dai programmi dei partiti politici - in gran parte in virtù del fatto che vi è molto nel generale temperamento umano che è naturalmente o istintivamente conservatore, come ad esempio la paura del cambiamento improvviso e la tendenza ad agire ordinariamente. Tali caratteristiche possono trovare espressione collettiva in una resistenza, ad esempio, al cambiamento politico imposto e in tutta la gamma di valori e di preferenze che contribuiscono alla stabilità di una particolare cultura. In tutte le società l'esistenza di tali freni culturali all’innovazione politica costituisce un fondamentale pregiudizio conservatore, le implicazioni del quale sono state espresse aprioristicamente dal Visconte Falkland, statista inglese del secolo XVII: "Se non è necessario cambiare, è necessario non cambiare." La mera inerzia, tuttavia, raramente è sufficiente a proteggere i valori conservatori in un'epoca dominata dal dogma razionalista e dal cambiamento sociale connesso al continuo progresso tecnologico.

    Il conservatorismo è stato spesso associato a forme di religione tradizionali e istituite. Dopo il 1789 l'interesse verso la religione si accrebbe considerevolmente, in parte a causa di una voglia di sicurezza in un'epoca di caos. La Chiesa Cattolica Romana, in virtù delle sue radici medievali, attrasse i conservatori più di qualsiasi altra religione. Sebbene non fosse cattolico, Burke elogiò il cattolicesimo come "la più efficace barriera" contro il radicalismo. Tuttavia il conservatorismo non ha avuto mancanza di aderenti protestanti o fortemente anticlericali.


    Le radici intellettuali del conservatorismo

    I fondamenti burkeani

    Il conservatorismo viene fatto risalire generalmente alla risposta di Edmund Burke alle rivendicazioni universalistiche della Rivoluzione francese. Nel 1790, al tempo in cui la rivoluzione sembrava ancora promettere una utopia incruenta, Burke previde la sua successiva fase di terrore e di dittatura e non per mezzo di una cieca, fortunata congettura, ma attraverso un'analisi del rifiuto di questa della tradizione e dei valori ereditati. Più di ogni altro pensatore, Burke fu in grado di spostare la tendenza intellettuale del suo tempo dal disprezzo razionalista per il passato verso una riverenza tradizionalista per esso. Le sue Riflessioni sulla rivoluzione in Francia (1790) utilizzarono una brillante retorica politica per rilanciare l'idea del potere politico come una responsabilità per i cristiani consapevoli del valore di ciò che hanno ereditato e dei doveri verso i loro eredi. Burke estese il concetto di eredità ben oltre la proprietà di includere la lingua, i costumi, i principi morali e le risposte adeguate alla condizione umana. In quanto esseri umani sono eredi di una cultura e la politica non potrebbe essere intesa al di fuori di tale cultura. Al contrario di Rousseau, che prevedeva una società ideale basata su un contratto sociale tra i viventi (Contratto sociale, 1762), Burke affermò che la società è sì un contratto, ma non solo tra coloro che sono in vita, ma tra coloro che vivono, quelli che sono morti, e quelli che devono ancora nascere...

    Affinché il contratto di Burke leghi le generazioni future a quelle presenti e passate, egli sollecitò che il miglioramento avvenisse attraverso il cambiamento politico, ma solo fintanto che questo fosse stato il prodotto dell’evoluzione: "Una disposizione a preservare e una capacità di migliorare, messe insieme, costituirebbero il mio modello di statista".

    Burke stava difendendo non un conservatorismo astratto, ma piuttosto il particolare conservatorismo della costituzione non scritta britannica. Nella politica del suo tempo Burke fu un Whig e lasciò ai conservatori successivi la fede Whig nel governo limitato. Questa fede fu in parte il motivo per cui Burke difese la rivoluzione americana (1775-83), che riteneva fosse giustificata in quanto rappresentava una difesa delle libertà tradizionali contro la tirannia antitradizionale di re Georgio III.

    Burke sconvolse i suoi contemporanei insistendo con brutale franchezza sul fatto che le "illusioni" e i "pregiudizi" sono socialmente necessari. Egli credeva che la maggior parte degli esseri umani fossero depravati dalla nascita, macchiati dal peccato originale e incapaci di migliorarsi da sè con la loro debole ragione. Burke chiamò gli aristocratici terrieri le "grandi querce" e i "giusti capi" della società, a condizione che temperassero le loro leggi con uno spirito di riforma tempestivo e rimanessero all’interno del quadro costituzionale.

    Negli scritti di Burke tutta la saggezza politica dell'Europa è formulata in un nuovo idioma, volto a far emergere la follia dei rivoluzionari francesi intossicati dall’improvviso potere e dalle astratte idee di una società perfetta. Per Burke gli Stati moderni sono così complessi che qualsiasi tentativo di riforma sulla base di dottrine solo metafisiche è destinato a finire in dispotismo. La sua eloquenza è stata influente nello stimolare potenti reazioni conservatrici in tutta Europa alla fine del XVIII e agli inizi del secolo XIX.


    - Fine prima parte –
    Ultima modifica di Florian; 23-05-10 alle 15:01

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    Predefinito Riferimento: CONOSCERE IL CONSERVATORISMO - Saggi, schede bibliografie

    Maistre e il conservatorismo latino

    Tra i pensatori influenzati da Burke il diplomatico e polemista francese Joseph de Maistre sviluppò una sua personale forma, più estrema, di conservatorismo all'inizio del secolo XIX. Laddove il conservatorismo burkeano era il prodotto dell’evoluzione, il conservatorismo di Maistre era controrivoluzionario. Entrambi protessero la tradizione dalle innovazioni radicali della rivoluzione, ma le tradizioni protette erano molto differenti: Burke respinse la rivoluzione per il bene delle libertà tradizionali, Maistre per il bene dell’autorità tradizionale. Burke non fu autoritario, ma costituzionalista - e sempre parlamentarista - mentre Maistre, nel sottolineare l'autorità delle élites tradizionali, è spesso chiamato giustamente non conservatore ma reazionario. Definire la sua posizione totalitaria, tuttavia, sarebbe andare troppo lontano, perché egli non si propose di subordinare tutti gli aspetti della vita dei singoli alle autorità dello Stato, ma solo la sua fedeltà politica e talvolta religiosa. Questa distinzione tra l'autoritario e il totalitario distingue il conservatore più reazionario da gruppi come i nazisti.

    Maistre respinse l'intero patrimonio dei Lumi e attribuì i disordini rivoluzionari dell'Europa all'influenza di quelle perniciose idee. Egli tratteggiò un quadro degli esseri umani come essenzialmente emotivi e tendenti al disordine e al male se non controllati all'interno di una struttura politica strettamente dominata da governanti, sacerdoti, religiosi, e dalla minaccia del carnefice. Contro lo slogan "Libertà, uguaglianza, fraternità" dei francesi rivoluzionari, Maistre sembrò quasi personalmente incarnare lo slogan "trono e altare." Il suo programma chiamò ad un ripristino della monarchia assoluta ed ereditaria in Francia, anche se avrebbe dovuto essere una monarchia più religiosa e meno frivola rispetto a prima. La restaurazione dei Borbone, avvenuta in Francia dopo il 1815, tentò effettivamente di creare una versione modificata dell’ancien régime simile a quella suggerita da Maistre, ma i Borboni furono rovesciati nel 1830.

    Gli scritti di Maistre costituirono una fonte importante del pensiero conservatore in Spagna, Italia e Francia nella prima metà del secolo XIX. Ma nessuna opera di Maistre o di qualsiasi altro anti-giacobino ebbe l’influenza del classico saggio di Burke, che divenne la base di tutte le successive argomentazioni conservatrici contro la rivoluzione francese. Mentre il conservatorismo rigido e gerarchico di Maistre si è oggi estinto, quello più flessibile di Burke è più forte che mai, permeando tutti i partiti politici d'Occidente che tendono ad un cambiamento graduale, piuttosto che radicale o rivoluzionario.


    Il conservatorismo nel secolo XIX

    Il secolo XIX fu in molti modi antitetico al conservatorismo, sia come filosofia politica che come programma di specifici partiti identificati con gli interessi conservatori. L'Illuminismo aveva generato la convinzione diffusa nelle possibilità di migliorare la condizione umana - un credo insito nell'idea di progresso - e la disposizione razionalista a modificare o abbandonare le istituzioni e le consuetudini esistenti nel perseguimento di tale obiettivo. Questo credo alimentò la rivoluzione francese e si rafforzò grazie alla rivoluzione industriale e ai progressi scientifici. La conseguente politica razionalista abbracciò un ampio segmento dello spettro politico, compresi il riformismo liberale, il socialismo sindacalista (o social-democrazia) e, infine, il marxismo. I cambiamenti maturati sotto il vessillo della politica razionalista sono stati immensi e hanno evidenziato il dilemma del conservatorismo moderno: di fronte alla costante innovazione razionalista, i conservatori sono stati spesso costretti ad adottare un ruolo meramente difensivo, cosicché l'iniziativa politica è rimasta il più delle volte nel campo avverso.

    Metternich e il Concerto Europeo

    I pesanti sconvolgimenti sociali dei periodi rivoluzionari e napoleonici provocarono una reazione dalle conseguenze più immediate e di ampia portata degli scritti dei teorici conservatori. Durante il periodo 1815-48, lo statista austriaco Principe di Metternich, che esercitò una grande influenza in Austria e in generale in Europa, dedicò le sue energie alla formazione di una catena antirivoluzionaria di alleanze internazionali in tutta Europa.

    Metternich fu una figura dominante al Congresso di Vienna, la conferenza internazionale di pace convocata nel 1814 quasi al termine delle guerre napoleoniche. La risoluzione di pace, siglata a Vienna nel 1815, si basò sui principi condivisi dal delegato austriaco conservatore Metternich, dal delegato britannico Visconte Castlereagh, dal delegato francese Talleyrand, e dallo zar russo, in passato liberale, Alessandro I. Questi principi erano il tradizionalismo, in reazione a 25 anni di rapido cambiamento; il legittimismo (la monarchia ereditaria come unica regola lecita), e la restaurazione dei monarchi rimossi dopo il 1789.

    Le grandi potenze europee tentarono anche di far rispettare la pace attraverso conferenze periodiche tra i governi che diedero origine ad un periodo di cooperazione internazionale noto come il Concerto Europeo. Il Sistema del Concerto, pari ad una rudimentale forma di governance internazionale, venne utilizzato per arbitrare pacificamente varie controversie internazionali e per favorire la cooperazione tra gli Stati membri nel reprimere le insurrezioni liberali e la conservazione dello status quo all'interno dei propri confini. Anche se i tentativi di arbitrato istituirono un importante e positivo precedente, il Sistema del Concerto era viziato dalla sua restrittiva base aristocratica e dalla sua fanatica opposizione a un progressivo cambiamento sociale.

    Secondo Metternich, le rivoluzioni liberali degli anni 1820 e 1830 in Spagna e in parti d'Italia e di Germania erano state "antistoriche" e irrealistiche. I liberali si erano impegnati in un inutile tentativo di imporre le istituzioni del governo parlamentare inglese e la monarchia costituzionale in luoghi in cui queste non avevano radici storiche. Utilizzando argomenti presi in prestito da Burke, insistette sulla necessità di continuità con il passato e su di un ordinato, organico sviluppo. Da qui, il suo commento sarcastico sulle rivoluzioni liberali a Napoli e altrove: Un popolo che non è in grado né leggere né scrivere, la cui ultima parola è il pugnale - materiale eccellente per i principi costituzionali! … La Costituzione Inglese è opera di secoli.… Non vi è alcuna ricetta universale per le costituzioni.


    La ritirata del conservatorismo vecchio stampo

    La soluzione architettata da Metternich al Congresso di Vienna fu reazionaria, in quanto volta a ripristinare l’ordine politico e sociale che esisteva prima della Rivoluzione. Tuttavia, le monarchie restaurate in Francia, Austria-Ungheria e Spagna ritennero prudente dar vita alla formazione di istituzioni parlamentari quale concessione al sentimento liberale. I partiti politici non erano affatto necessari in questi Stati, dato il limitato potere concesso ai nuovi parlamenti e la limitatezza del diritto di voto. Come risultato, i più affidabili sostenitori delle monarchie, i proprietari terrieri, gli aristocratici e il clero, furono in grado di garantire la fedeltà della popolazione generale. Erano particolarmente influenti nelle aree rurali, dove i contadini intrinsecamente conservatori erano ancora piuttosto insensibili all’industrializzazione e alle altre innovazioni moderne.

    Questa soluzione politica si dimostrò insostenibile nel giro di pochi decenni dalla Restaurazione, soprattutto a causa del crescente malcontento dei liberali urbani. Gli abitanti delle città tendono ad essere più attivi politicamente di quelli delle campagne e come le popolazioni urbane crebbero di numero in seguito alla rivoluzione industriale, il loro aspro scontento cominciò a minacciare il sistema della Restaurazione. Di fronte alle loro agitazioni e rivolte, i conservatori persero progressivamente terreno, e dopo le rivoluzioni del 1848 - che provocarono l'esilio di Metternich dall’Austria e del re Luigi Filippo dalla Francia – le fazioni conservatrici avevano smarrito sia il potere a vantaggio dei liberali e dei nazionalisti sia l’aggancio a coalizioni con altri gruppi.

    I conservatori francesi rimasero fedeli alla monarchia restaurata, ma le rivoluzioni del 1830 e del 1848 diedero successivi colpi a quella istituzione e prima della fine del secolo XIX i realisti in Francia affrontarono lo sconcertante fatto che c’erano non meno di tre famiglie che rivendicavano un inesistente trono francese. I sostenitori del conservatorismo francese tra il clero cattolico, gli ufficiali della classe militare e l’aristocrazia terriera rimasero ossessionati dalla nostalgia per l'ancien régime, e quindi in collisione con le aspirazioni della crescente e potente borghesia.

    Conservatorismo e nazionalismo

    L’industrializzazione accelerò il declino del conservatorismo vecchio stile perché tese a rafforzare la mentalità commerciante della borghesia e a creare una nuova classe industriale operaia con sentimenti di minore lealtà nei confronti delle vecchie istituzioni. Tra il 1830 e il 1880 il liberalismo conseguì ripetute vittorie nei confronti del sistema conservatore dell’Europa occidentale. I conservatori, come altri gruppi politici, dovevano formare maggioranze in parlamento se volevano mantenere il potere, e la progressiva espansione del diritto di voto aveva fatto sì che essi dovessero coltivare il sostegno di un ampio elettorato. Tuttavia, la loro principale fonte di forza, i contadini rurali, declinò nei numeri rispetto ad altri gruppi sociali e fu in ogni caso, troppo esigua per sostenere un efficace partito nazionale.

    I partiti conservatori risolsero infine il problema identificandosi con i sentimenti nazionalistici. Tale strategia venne perseguita con il massimo vigore in Germania, dove la questione dell’unificazione degli Stati tedeschi in una singola nazione divenne una preoccupazione centrale sia dei liberali che dei conservatori a partire dalla metà del secolo XIX. L’illustre ma ambiguo cancelliere prussiano Otto von Bismarck utilizzò il sentimento nazionalista suscitato dai successi militari della Prussia contro la Danimarca (1864), l’Austria (1866), e la Francia (1870-71) per creare nel 1871 una Germania unita sotto la monarchia prussiana. I governi conservatori che diresse come cancelliere della Germania per i successivi 20 anni ha istituirono varie misure di assistenza sociale - come ad esempio le pensioni e l’indennità di disoccupazione - per togliere il sostegno della classe operaia alla sinistra del partito socialdemocratico. Sebbene Bismarck proteggesse la posizione dominante delle classi sociali dei proprietari terrieri e degli ufficiali prussiani, le sue misure di assistenza sociale mitigarono i conflitti di classe e facilitarono una coesione sociale che si protrasse in Germania fino alla fine della Prima Guerra Mondiale.

    Alla fine del secolo XIX la strategia nazionalista era stata adottata dai partiti conservatori in tutta Europa. Questa ha conferito loro maggior seguito popolare in un'epoca di intensificati sentimenti patriottici, ma ha anche contribuito al clima di rivalità internazionale culminante con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale nel 1914. I partiti conservatori furono quasi sempre i sostenitori più fermi e intrattabili di quella guerra.

    Gran Bretagna

    Nei secoli XVII e XVIII le cause politiche conservatrici in Gran Bretagna vennero difese dai tories, una fazione parlamentare che rappresentava la gentry, le classi mercantili e il clero. Questa fazione diventò il Partito Tory nel 1784 e adottò definitivamente il marchio "conservatore" dopo il 1831. Come Partito Conservatore ha avuto grande forza in tutto il secolo XIX, ricevendo consistentemente il sostegno di circa la metà dell'elettorato. Anche se il partito venne indebolito dalla riforma di legge Whig del 1832 e da altre misure di Whig e liberali che compromisero il potere della gentry, riuscì a salvarsi grazie alla fertile immaginazione e all’astuta gestione di Benjamin Disraeli, che fu primo ministro nel 1868 e di nuovo dal 1874 al 1880. Mostrando di avere notevole lungimiranza, Disraeli alimentò il sostegno al partito della classe operaia estendendo il diritto di voto agli operai delle industrie con la legge di riforma del 1867. Disraeli combinò il desiderio di mitigare le dure condizioni dei lavoratori sotto un capitalismo sfrenato con la fede nel valore del sistema di classe e di istituzioni come la Monarchia e la Chiesa. Sotto Disraeli il partito fu in grado di ampliare il suo sostegno elettorale e, di conseguenza, di aggirare il Partito Liberale e la nuova classe commerciale da esso rappresentato. Il successore di Disraeli come leader di partito, Lord Salisbury, fu primo ministro nel 1885 e nuovamente dal 1886 al 1892 e dal 1895 al 1902; Arthur Balfour guidò un altro governo conservatore dal 1902 al 1905. La più lunga era di dominio conservatore fu segnata dall’imperialismo, da tariffe elevate e dalla progressiva erosione del voto operaio del partito.
    Dai tempi di Disraeli, il conservatorismo in Gran Bretagna si è mosso tra una passiva e rassegnata accettazione di gran parte delle modifiche introdotte dai suoi oppositori liberali e (più tardi) laburisti e un più "positivo" conservatorismo, il cui obiettivo fu quello di favorire le condizioni sociali in cui l’individuo potesse curare i propri interessi senza l’indebito ostacolo o la dipendenza da parte dello Stato. Ironia della sorte, questa politica derivava dall’individualismo liberale del secolo XIX ed era associata in special modo al Partito Liberale.

    La Democrazia Cristiana

    Alla fine del secolo XIX, l'industrializzazione aveva creato un’ampia e turbolenta classe operaia il cui crescente coinvolgimento in politica diede una potente voce. Tutte le chiese cristiane, ma soprattutto la Chiesa Cattolica Romana, si trovarono a fronteggiare da un lato gli attacchi anticlericali dei riformatori liberali e dall’altro quelli di classe dei socialisti. La Chiesa Cattolica rispose con lo sviluppo di dottrine sociali e di movimenti politici che combinarono la protezione degli interessi istituzionali della Chiesa con le politiche della giustizia sociale destinate a riportare alla fede i lavoratori delle industrie. Questo movimento, che venne chiamato Democrazia Cristiana, ha ottenuto diversi successi in Francia, Germania e Italia tra i secoli XIX e XX. I democratici cristiani erano conservatori nell’affermazione del diritto della proprietà privata quale base di una società cristiana, ma insistevano anche sul fatto che il ricco dovesse badare ai bisogni del povero. La Democrazia Cristiana, in altre parole, riconobbe tanto una struttura giuridica che proteggesse la proprietà privata quanto l’imperativo morale di utilizzare la proprietà in un modo compassionevole. Nella pratica politica, i cristiano-democratici tesero a schierarsi opportunisticamente con il centro ideologico.


    - Fine seconda parte -
    Ultima modifica di Florian; 23-05-10 alle 14:55

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    Predefinito Riferimento: CONOSCERE IL CONSERVATORISMO - Saggi, schede bibliografie

    Il conservatorismo nel secolo XX

    La vittoria alleata nella Prima Guerra Mondiale portò alla caduta di quattro grandi dinastie imperiali - quelle in Russia, Austria-Ungheria, Germania e nell’ottomana Turchia - che erano state l'ultimo grande bastione del conservatorismo basato sulla monarchia, sull’aristocrazia terriera e su di una Chiesa di Stato. Dopo la guerra, i partiti conservatori divennero i portabandiera di un nazionalismo frustrato in Germania, in Italia e in altri paesi ex alleati. In un processo che ebbe inizio nel 1930 e si intensificò durante la Seconda Guerra Mondiale, i partiti conservatori in Europa centrale e orientale furono distrutti o cooptati dal regime totalitario della Germania nazista.

    I partiti conservatori europei cominciarono a recuperare la loro forza solo dopo il 1946, e solo in Europa occidentale, dal momento che il potere sovietico aveva distrutto tutte le organizzazioni politiche conservatrici nell’Europa orientale. Per la disperazione dei socialisti europei occidentali, i partiti conservatori - o più comunemente cristiano-democratici, in cui coesistevano elementi moderati e conservatori - iniziarono a ottenere vittorie nella Germania occidentale e in altre nazioni. Dopo il fallimento dei regimi fascisti e data la manifesta incapacità del socialismo di ricostruire rapidamente le disastrate economie del dopoguerra, molti europei si volsero ancora una volta alle politiche conservatrici, che sembravano promettere tanto la crescita economica quanto le libertà democratiche. Questo rianimato conservatorismo era ora completamente privato delle sue antiche connotazioni di classe. Piuttosto, inseguiva l'innalzamento del tenore di vita attraverso un’economia di libero mercato e la fornitura di una vasta gamma di servizi sociali per mezzo dello Stato. Così l'individualismo liberale, permeato da un forte senso di coscienza sociale, caratterizzerà i partiti conservatori in quasi tutte la nazioni sviluppate per i successivi quarant’anni.

    Gran Bretagna

    All'inizio del secolo XX, il Partito Conservatore in Gran Bretagna sembrava essere all’apice della sua popolarità. Questa ascesa venne temporaneamente interrotta dalla vittoria dei liberali nelle elezioni generali del 1906. Da questo momento, tuttavia, i liberali iniziarono a perdere i loro sostenitori provenienti dal sindacato e dalla classe operaia a vantaggio del Partito Laburista, e la vittoria di quest’ultimo nel 1924 segnò la fine del Partito Liberale quale efficace forza politica. Nei quattro decenni successivi a formare il governo sono stati il più delle volte i conservatori. Il loro successo è stato in parte il risultato dell’aver assorbito larghi strati dell’elettorato borghese ex liberale. Il Partito Conservatore è così diventato un unione di interessi fra i vecchi tories e i liberali contro il laburismo.

    Nel periodo tra le due guerre, il conservatorismo in Gran Bretagna venne identificato strettamente con la difesa dei privilegi della classe medio-alta, con un’opposizione poco costruttiva al socialismo e, nel corso degli anni ‘30, dall’appeasement nei confronti della crescente minaccia nazista. Tuttavia, dopo il 1945, in seguito all'introduzione di una economia mista e alla grande estensione dei servizi del welfare state sotto il governo laburista di Clement Attlee, i conservatori quando tornarono al potere nel 1951 rovesciarono pochissime innovazioni dei loro predecessori. Sostennero invece di essere maggiormente in grado di amministrare uno stato sociale efficiente. Infatti, entro certi limiti, cercarono persino di superare i loro avversari con i programmi di spesa sociale, inclusi i provvedimenti volti a incoraggiare la costruzione di nuove case. Tre decenni dopo questa epoca di compromesso liberal-conservatore è giunta a una drammatica fine sotto il governo di Margaret Thatcher, la cui forma energica di conservatorismo sosteneva l’iniziativa individuale, un feroce anticomunismo e un’economia di libero mercato.

    Europa continentale

    Ovunque nell’Europa Occidentale il conservatorismo è stato generalmente rappresentato da due o più partiti, schierati dal centro liberale alla destra moderata ed estrema. I tre tipi di partito conservatore sono stati quello agrario (in particolare in Scandinavia), il cristiano-democratico, e quei partiti strettamente connessi alla grande impresa. Queste categorie sono molto generiche e non si escludono a vicenda.

    I partiti cristiano-democratici hanno avuto storia più antica dei loro predecessori, in quanto erano emersi nel secolo XIX per difendere della Chiesa e della Monarchia dal contagio di elementi liberali e radicali. Dopo la Prima Guerra Mondiale i sostenitori del mondo degli affari diventarono l'elemento predominante in questi partiti. In Italia gli interessi clericali rimasero fortemente rappresentati nel partito della Democrazia Cristiana (dal 1993, il Partito Popolare Italiano), che dal 1945 ha dominato per quarant’anni i governi di quella nazione. Questo partito, tuttavia, non ha mai posseduto una politica coerente, perché era poco più di un disparata alleanza di conservatori moderati e di gruppi di interesse. I democratici cristiani rimasero ancorati a una lunga serie di coalizioni di governo con altri più piccoli partiti di centro e il Partito Socialista Italiano. Tali coalizioni, mentre si rivelavano spesso politicamente inefficaci e sempre più corrotte, servirono ad escludere il grande Partito Comunista Italiano (dal 1991, il Partito Democratico della Sinistra) dal potere per tutta la Guerra Fredda. Quando l'Unione Sovietica crollò nel 1991 e il comunismo non venne più percepito come una minaccia per l'Europa, i democratici cristiani persero gran parte del loro sostegno. La loro eclissi coincise con la crescita di altri gruppi conservatori e nazionalisti rimasti precedentemente esclusi dalla corrente principale della politica italiana, come ad esempio la Lega Nord, che chiedeva la creazione di una Repubblica Italiana Federale, e Alleanza Nazionale (fino al 1994, il Movimento Sociale Italiano), da molti considerata ancora neofascista.

    In Germania, una nazione divisa tra cattolici e protestanti, la Chiesa ha svolto un ruolo molto meno importante nella causa del principale partito conservatore, la CDU (Unione Cristiano-Democratica). Dopo il 1950, a seguito di un dibattito interno su questioni economiche e sociali, il partito ha adottato un programma che includeva il sostegno ad una economia di libero mercato e un forte impegno a mantenere e migliorare la previdenza sociale e altri programmi di welfare. A illustrare il carattere conservatore del clima politico tedesco dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, l'opposizione del Partito Socialdemocratico ha progressivamente eliminato il contenuto socialista dal suo programma, arrivando a battersi per il profitto in un congresso di partito a Bad Godesberg nel 1959. Ininterrottamente al potere dal 1982 al 1998, i cristiano-democratici hanno presieduto l'unificazione della Germania Est e della Germania Ovest dopo il crollo del sostegno sovietico ai regimi comunisti in tutta l'Europa orientale nel 1989-90.

    Diversamente che in Italia e in Germania, l’opinione conservatrice moderata in Francia non è stata rappresentata da un partito cristiano-democratico. Al contrario, gran parte dei conservatori francesi ha sostenuto partiti come il Rassemblement pour la Rèpublic, che ha sposato un conservatorismo nazionalista basato su l'eredità di Charles de Gaulle, presidente della Francia dal 1958 al 1969, o gruppi anti-immigrazione come il Fronte Nazionale; questi ultimi per alcuni sarebbero più neofascisti o reazionari che conservatori. Il conservatorismo gollista sottolinea la tradizione e l'ordine e mira a una Europa unita politicamente sotto la guida francese. I gollisti sposano comunque opinioni divergenti riguardo le questioni sociali. Il gran numero di partiti conservatori gollisti e non gollisti, la loro mancanza di stabilità politica e la loro tendenza a identificarsi con le questioni locali rendono difficile classificarli in termini semplici.

    In generale, il conservatorismo in Europa è stato una pervasiva influenza politica, che ha trovato espressione in partiti dal carattere molto diverso. Questi partiti rappresentano i valori tradizionali della classe media e non necessariamente si oppongono alla partecipazione dello Stato negli affari economici e ai tentativi radicali di ridistribuzione del reddito. Sono inoltre caratterizzati da un'assenza di ideologia e spesso dalla mancanza di qualsiasi ben articolata filosofia politica.

    Giappone

    I cambiamenti politici e sociali che ebbero luogo in Giappone dopo la Restaurazione Meiji (1868) furono ampi e significativi, coinvolgendo l'abolizione delle istituzioni feudali e l'introduzione di idee politiche occidentali, come ad esempio il governo costituzionale. Tuttavia, nonostante le innovazioni istituzionali e la dislocazione derivante dalla rapida industrializzazione, gli sviluppi politici continuarono ad essere modellati in primo luogo sui comportamenti e le lealtà tradizionali. Fatta eccezione per il periodo di governo militare nel corso degli anni 1930 e '40, il Giappone è stato governato dai conservatori fin dall'inizio della politica di partito nel 1880. I partiti conservatori - i due più importanti dei quali si sono uniti per formare nel 1955 il Partito Liberal-Democratico – sono stati dominati dalle personalità piuttosto che dalle ideologie e dai dogmi; e sono state le fedeltà personali ai leader delle fazioni interne al partito, più che l’impegno per la politica, a determinare l’alleanza dei conservatori membri della Dieta. Secondo uno studioso americano, Nathaniel B. Thayer, “...le fazioni hanno adottato i valori sociali, gli usi e le relazioni del vecchio Giappone.… Gli antichi concetti di lealtà, gerarchia e di dovere regnano in loro. E il membro della Dieta (o qualsiasi altro giapponese) si sente molto a suo agio quando si muove in questo mondo.”

    Il Partito Liberal-Democratico è intimamente legato alla grande impresa e le sue politiche sono guidate principalmente dall'obiettivo di promuovere un ambiente stabile per lo sviluppo dell’economia di libero mercato. A tal fine, il partito funziona principalmente come un mediatore tra interessi commerciali in conflitto tra loro.

    Stati Uniti

    La politica negli Stati Uniti non si è mai conformata ai modelli dottrinali presenti nell’Europa continentale, o anche in Gran Bretagna, soprattutto perché non è mai esistita una Monarchia, un'aristocrazia, o una Chiesa da difendere per i conservatori e da attaccare per i liberali. I federalisti della fine del XVIII e degli inizi del secolo XIX furono conservatori nel loro accento sull'ordine e la sicurezza, ma furono liberali classici in molti altri aspetti. La cosa più vicina a un’aristocrazia americana è stata la ricca classe di proprietari di piantagioni nel Sud prima della Guerra Civile. I membri di questa classe in generale erano a favore dei diritti degli Stati contro il potere del governo federale e un difensore di rilievo di tali diritti, come ad esempio John Calhoun, è stato considerato propriamente come un pensatore conservatore. Questo particolare tipo di conservatorismo ha infine ha preso un tono antimodernista, come dimostra l'ascesa dei Southern Agrarians, il cui manifesto del 1930, I'll take my stand, continua ad ispirare oggi i tradizionalisti che negli Stati Uniti si ispirano a loro.

    Ma se negli USA un conservatorismo esplicito non è esistito fino al secolo XX, la storia politica del paese ha resistito però decisamente al radicalismo rivoluzionario. La classe operaia americana in generale, ha condiviso la speranza dell’individualismo della classe media. Di conseguenza, la visione comune è stata che gli Stati Uniti fossero un paese con un’unica tradizione politica di base: il liberalismo. Per lungo tempo è sembrato che il conservatorismo non potesse prendere piede in una nazione fondata sulla dottrina liberale dei padri fondatori.

    Questa percezione cominciò a cambiare in seguito al New Deal, il programma di soccorso economico intrapreso dal presidente democratico Franklin D. Roosevelt nel 1933 per contribuire a sollevare fuori gli Stati Uniti dalla Grande Depressione. Questo programma ha notevolmente ampliato il coinvolgimento del governo federale nell’economia attraverso la regolamentazione delle imprese private, la riscossione di tasse più alte per le corporations e i più facoltosi, e l'espansione dei programmi sociali di welfare. Il New Deal è stato ostinatamente contrastato da parte del Partito Repubblicano, i cui principali sostenitori sono stati le grandi imprese, i ricchi, e gli agricoltori prosperosi.

    Come i democratici liberal si erano spostati a sinistra nel sostenere un ruolo più ampio per il governo, i repubblicani aderirono generalmente a una versione di liberalismo ottocentesca che chiedeva al governo di evitare di interferire nel libero mercato. Questa politica si rivelò di poco successo per i repubblicani alle elezioni. In materia di politica estera, tuttavia, la Old Right, come questi convinti conservatori erano conosciuti, è stata popolare e abbastanza forte da impedire agli Stati Uniti di entrare nella Seconda Guerra Mondiale fino a quando i giapponesi non attaccarono la base navale americana a Pearl Harbor, Hawaii, nel 1941. Con il tempo i repubblicani, riconquistata la presidenza nel 1953, accettarono la maggior parte delle riforme del New Deal e si preoccuparono di combattere i comunisti in patria e all'estero.

    Nei primi decenni dopo la guerra gli Stati Uniti, come la Gran Bretagna, estesero gradualmente i servizi sociali e incrementarono la regolamentazione dell'economia da parte del governo. Negli anni ‘70, tuttavia, la crescita economica del dopoguerra - che gli Stati Uniti e altri governi occidentali avevano invocato per finanziare programmi di assistenza sociale - ha cominciato a ridursi, così come il Giappone e le altre nazioni dell’est asiatico riuscirono infine a raggiungere i livelli di prosperità delle nazioni occidentali. Qualunque fosse stata la causa della stagnazione economica occidentale, era divenuto chiaro che le politiche liberali di attivismo governativo si erano rivelate incapaci di risolvere il problema.

    A questo punto un nuovo gruppo di conservatori americani, i cosiddetti "neoconservatori", si levò per sostenere che i principali fattori che scoraggiavano la crescita economica erano gli elevati livelli di imposizione fiscale e l’intrusiva regolamentazione da parte del governo delle imprese private. Ispirati dalle tesi di economisti del libero mercato come Friedrich von Hayek e Milton Friedman, costoro hanno generalmente accettato un livello minimo di stato sociale - cosa che un conservatore della vecchia scuola non avrebbe mai fatto - e combattuto semplicemente per la riduzione delle prestazioni sociali e della spesa pubblica (ad eccezione della spesa per i militari), meno tasse e meno regolamentazione governativa delle imprese. Inoltre essi non hanno condiviso le tendenze isolazioniste e gli impulsi protezionistici dei vecchi conservatori. Anzi, molti di loro hanno sostenuto che gli Stati Uniti avevano il diritto di intervenire negli affari interni di altre nazioni al fine di combattere l'influenza del comunismo sovietico e per far progredire i propri interessi nazionali; alcuni hanno addirittura affermato che gli Stati Uniti avevano il dovere di ridisegnare il mondo non occidentale sul modello del capitalismo democratico americano. In materia economica, i neoconservatori sono stati spesso difficili da distinguere dai liberali classici del XX secolo, che similmente avevano sollecitato un minimo di intervento del governo nella vita economica delle nazioni. Tra i leader politici americani, i principali rappresentanti del neoconservatorismo sono stati presidenti repubblicani Ronald Reagan e George W. Bush.


    Il conservatorismo alle soglie del secolo XXI

    La divisione, non l'unità, ha segnato in tutto il mondo il conservatorismo alla fine del secolo XX - questo nonostante la sconfitta della sua principale nemesi durante i precedenti 50 anni, il comunismo sovietico. Ma forse questa spaccatura non è sorprendente. L’anticomunismo è stato il collante che ha mantenuto insieme il movimento conservatore e senza il comune nemico le varie differenze tra i conservatori sono diventate dolorosamente visibili. In Europa, ad esempio, i conservatori si sono divisi su questioni come l'opportunità di un'Europa unita, i vantaggi di una moneta unica europea (l'euro, introdotto nei paesi dell'Unione europea nel 2002) e il proprio ruolo nel proteggere regioni travagliate in settori come i Balcani e il Medio Oriente. Il conservatorismo è stato ancora più divisivo negli Stati Uniti. L'aborto, l'immigrazione, la sovranità nazionale e i "valori familiari" sono stati tra i temi che hanno mobilitato i sostenitori del partito, ma diviso gli aderenti in diverse fazioni: i neoconservatori, i paleoconservatori (discendenti della Old Right che giudicano i neoconservatori liberal sul piano sociale e imperialisti in politica estera) e i tradizionalisti culturali, separati al loro interno tra la Christian Coalition e la Moral Majority. Le parti si sono combattute le une contro le altre percependosi come nemiche nelle cosiddette "guerre culturali" degli anni ‘90 e, attraverso queste, ogni fazione si è convinta che essa sola indosserà il vero manto del conservatorismo nel prossimo millennio.


    Kenneth Minogue
    Peter Viereck
    Ed.


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    Predefinito Riferimento: CONOSCERE IL CONSERVATORISMO - Saggi, schede bibliografie

    Ulteriori letture

    Opere classiche

    La sorgente del pensiero conservatore è Edmund Burke, Riflessioni sulla rivoluzione in Francia (1790); significativo anche il suo An Appeal from the New to the Old Whigs (1791).

    Molte idee conservatrici possono trovarsi in Richard Hooker, Of the Lavves of Ecclesiasticall Politie (1594–97); George Savile Halifax, The Character of a Trimmer (1688); Jonathan Swift, Travels into Several Remote Nations of the World (conosciuto anche come I viaggi di Gulliver,1726); e Henry St. John Bolingbroke, The Idea of a Patriot King (1738; pubblicato con modifiche e altro materiale in Letters on the Spirit of Patriotism: on the Idea of a Patriot King: and on the State of Parties, at the Accession of King George the First, 1749). Vedere anche S. T. Coleridge, On the Constitution of Church and State According to the Idea of Each (1830); e Henry Sumner Maine, Popular Government (1885). Lord Hugh Cecil, Conservatism (1912), è un’esposizione all’antica di principi conservatori.


    Studi generali

    Utili antologie includono Peter Witonski (curatore), The Wisdom of Conservatism, 4 vol. (1971, 1981); e Peter Viereck, Conservatism: From John Adams to Churchill (1956, 1978).

    Opere moderne nella tradizione burkeana includono Roger Scruton, The Meaning of Conservatism, 2nd ed. (1984); Peter Viereck, Conservatism Revisited, rev. and enlarged ed. (1962, 1978); Robert A. Nisbet, The Quest for Community (1953, 1990; pubblicato anche come Community and Power, 1962); Henry A. Kissinger, A World Restored (1957, 1977); Eric Voegelin, Order and History, 5 vol. (1956–87); Thomas I. Cook e Malcolm Moos, Power Through Purpose (1954); Leo Strauss, Natural Right and History (1953, 1971), e What Is Political Philosophy?: And Other Studies (1959, 1988); Francis Graham Wilson, The Case for Conservatism (1951, 1990); Ross J.S. Hoffman e Paul Levack (eds.), Burke’s Politics (1949, 1967); e Walter Lippmann, The Cold War (1947, 1972).

    Altre vedute conservatrici possono trovarsi in Kenneth Minogue (ed.), Conservative Realism (1996); Russell Kirk, The Conservative Mind: From Burke to Eliot, 7th rev. ed. (1986, 1995), Prospects for Conservatives (1956, 1989), and Enemies of the Permanent Things, rev. ed. (1984); Nellie D. Kendall (ed.), Willmoore Kendall contra mundum (1971, 1994); Thomas Molnar, The Counter-Revolution (1969); J. Enoch Powell, Freedom and Reality (1969); Ronald Reagan, The Creative Society (1968); Milton Friedman e Rose D. Freidman, Capitalism and Freedom (1962, 1982); Frank S. Meyer, In Defense of Freedom (1962), e The Conservative Mainstream (1969); Barry Goldwater, Conscience of a Conservative (1960, 1990); Erik von Kuehnelt-Leddihn, Liberty or Equality (1952, 1993); e William F. Buckley, God and Man at Yale: The Superstitions of Academic Freedom (1951, 1986), e Up from Liberalism (1959, 1984).

    Studi nazionali e regionali

    Il conservatorismo in Gran Bretagna è discusso in James J. Sack, From Jacobite to Conservative: Reaction and Orthodoxy in Britain, c. 1760–1832 (1993); Arthur Aughey, Greta Jones, and W.T.M. Riches, The Conservative Political Tradition in Britain and the United States (1992); Shirley Robin Letwin, The Anatomy of Thatcherism (1993); Michael Oakeshott, Rationalism in Politics and Other Essays, new and expanded ed. (1991); Peregrine Worsthorne, The Socialist Myth (1971); Henry Fairlie, The Life of Politics (1968); Quintin Hogg, The Conservative Case, rev. ed. (1959); L.S. Amery, The Forward View (1935, 1971); F.J.C. Hearnshaw, Conservatism in England (1933, 1968); Arthur Bryant, The Spirit of Conservatism, 2nd ed. (1932); and Hugh Cecil, Conservatism (1912, 1937).

    Il conservatorismo negli Stati Uniti è trattato in Harvey C. Mansfield, Jr., America’s Constitutional Soul (1991); Clinton Rossiter, Conservatism in America, 2nd ed., rev. (1962, 1982); George H. Nash, The Conservative Intellectual Movement in America, since 1945, updated ed. (1996); Jeffrey Hart, The American Dissent (1966); James Burnham, Congress and the American Tradition (1959, 1996), e Suicide of the West (1964, 1985); Daniel J. Boorstin, The Genius of American Politics (1953, 1973); e Reinhold Niebuhr, The Irony of American History (1952, 1984); Richard Viguerie, The New Right (1980); e Alan Crawford, Thunder on the Right (1980).

    Il conservatorismo in altre nazioni è considerato in Cameron Hazlehurst (ed.), Australian Conservatism: Essays in Twentieth Century Political History (1979); Katharine West, The Revolution in Australian Politics (1984); Malcolm Anderson, Conservative Politics in France (1974); Larry Eugene Jones e James Retallack (eds.), Between Reform, Reaction, and Resistance: Studies in the History of German Conservatism from 1789 to 1945 (1993); John Weiss, Conservatism in Europe, 1770–1945: Traditionalism, Reaction, and Counter-Revolution (1977); T.J. Pempel, Policy and Politics in Japan: Creative Conservatism (1982); Paul Gifford, The New Crusaders: Christianity and the New Right in Southern Africa, rev. ed. (1991); e Martin E. Marty e R. Scott Appleby (eds.), Fundamentalisms Observed (1991), uno studio universale.

    Conservatorismo contemporaneo

    Burton Yale Pines, Back to Basics (1982), racconta della rinascita conservatrice degli anni 1970 negli Stati Uniti. Irving Kristol, Reflections of a Neoconservative: Looking Back, Looking Ahead (1983), è un’autobiografia politica di uno dei fondatori del movimento neoconservatore. Prospettive post-Keynesiane possono trovarsi in Bruce Frohnen, Virtue and the Promise of Conservatism (1993); Peter H. Merkl e Leonard Weinberg (eds.), Encounters with the Contemporary Radical Right (1993); e Paul Hainsworth (ed.), The Extreme Right in Europe and the USA (1992). Michael Lienesch, Redeeming America: Piety and Politics in the New Christian Right (1993), discute del rapporto tra conservatorismo e religione.

    Kenneth Minogue
    Peter Viereck



    La versione originale in lingua inglese del testo in questione è disponibile su Internet all’indirizzo:
    http://www.britannica.com/EBchecked/...5/conservatism


    La traduzione in lingua italiana è di Florian.


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    Predefinito Riferimento: CONOSCERE IL CONSERVATORISMO - Saggi, schede bibliografie

    La voce CONSERVATORISMO nell'Enciclopedia Treccani



    Conservatorismo

    di Noël O'Sullivan.



    1. Definizione di conservatorismo: il conservatorismo come difesa di una 'politica limitata'.

    Volendo dare una definizione di conservatorismo, possiamo attribuire a questo termine il significato di atteggiamento soggettivo di ostilità verso il cambiamento; si tratta allora di una tendenza che può essere riscontrata in ogni tempo e in ogni luogo. Ma se gli attribuiamo il senso di filosofia ben definita che si basa su un'esplicita teoria dell'uomo e della società, allora il conservatorismo è un fenomeno prettamente moderno. Poiché il nostro articolo verterà sul conservatorismo in questa sua seconda accezione, è importante individuare il momento preciso in cui si è manifestato. Esso è apparso negli anni immediatamente successivi al 1789, come critica del nuovo modo rivoluzionario di fare politica che era stato introdotto nel mondo occidentale dalla Rivoluzione francese. Il termine 'conservatore' è stato usato per la prima volta in questo senso moderno - come sinonimo, cioè, di opposizione al nuovo modo di fare politica - allorché Chateaubriand chiamò "Le Conservateur" il giornale da lui pubblicato per propagandare la causa della Restaurazione clericale e politica in Francia. Questo termine venne ben presto adottato da molti altri gruppi che si opponevano al progresso rivoluzionario. Negli Stati Uniti, ad esempio, gli American National Republicans già nel 1830 si definivano 'conservatori', e nel 1832 anche il partito tory in Gran Bretagna assunse questo nome.

    Le ragioni per le quali i conservatori si opponevano alla nuova politica rivoluzionaria verranno spiegate più in dettaglio in seguito, ma per definire il termine conservatorismo con maggior precisione può essere utile delineare brevemente la situazione. Il principale assunto sostenuto dai fautori del nuovo modo di fare politica era che solo un radicale cambiamento sociale e politico avrebbe reso possibile la totale liberazione dell'uomo. I conservatori, invece, hanno sempre insistito sul fatto che la libertà e la felicità dell'uomo si possono preservare solo grazie a un modo di fare politica 'limitato', mentre i mutamenti radicali causano immancabilmente la distruzione della 'politica limitata'. Più in generale, i conservatori hanno tentato di difendere la 'politica limitata' rifiutando come utopistica la fiducia nella perfettibilità umana su cui si basa il sogno di liberazione dei radicali. A loro avviso, una filosofia politica realistica deve per prima cosa accettare l'idea che l'imperfezione o il conflitto sono componenti ineliminabili della condizione umana. Il conservatorismo può pertanto essere definito come un modo per tutelare la politica limitata sulla base di una filosofia che mette l'accento sull'imperfezione umana.

    Quest'ultima definizione ha diversi meriti. In primo luogo si adatta al concetto di conservatorismo quale è stato sviluppato da Edmund Burke (cfr., ad esempio, Reflections on the revolution in France, 1790), che viene generalmente ritenuto il padre del conservatorismo moderno. In particolare, è stato Burke a identificare le sei caratteristiche principali della politica limitata, e cioè: 1) una costituzione mista o bilanciata; 2) il principio di legalità; 3) una magistratura indipendente; 4) un sistema di governo rappresentativo; 5) l'istituto della proprietà privata; 6) una politica estera diretta a promuovere l'indipendenza politica attraverso il mantenimento dell'equilibrio del potere a livello internazionale.

    In secondo luogo, questa definizione distingue il conservatorismo dalla 'reazione', che è caratterizzata invece dall'avversione per il mutamento in quanto tale, e che implica sempre il richiamo a una situazione utopica (passata o futura) in cui si gode di perfetta stabilità. Il conservatorismo, al contrario, non si oppone al mutamento in quanto tale, ma solo a quel tipo di mutamento che è incompatibile con la tutela della politica limitata. Dato che le condizioni necessarie all'attuazione di una politica limitata ovviamente variano a seconda dei tempi, la posizione conservatrice implica un buon grado di flessibilità. Ciò che viene comunque escluso, tuttavia, è proprio quel tipo di utopia alla quale aspirano i reazionari: la convinzione dei conservatori che la natura umana è imperfetta è incompatibile con brame distruttive per ciò che è impossibile.

    In terzo luogo, definendo il conservatorismo in termini di politica limitata e imperfezione umana, si riconosce la parziale sovrapposizione tra conservatorismo e liberalismo, e allo stesso tempo si mette in evidenza la differenza tra questi due concetti. Per ciò che riguarda la loro sovrapposizione, bisogna ricordare che Burke stesso era strettamente legato all'ideologia classica liberale connessa alla riforma costituzionale del 1688 (cfr. Appeal from the new to the old Whigs, 1791). Egli si discostava invece da questa tradizione in quanto respingeva il razionalismo che ne era la caratteristica principale. In seguito il conservatorismo respinse anche l'ottimistica fede nel progresso che gradualmente aveva permeato la filosofia liberale nel XIX secolo, data la sua incompatibilità con la concezione conservatrice relativa alla ineliminabile imperfezione umana.

    In quarto luogo, questa definizione permette di effettuare una chiara distinzione tra conservatorismo da una parte, e movimenti politici estremistici come il nazismo e il fascismo dall'altra; molto spesso, infatti, tali movimenti sono confusi col conservatorismo. Nazismo e fascismo, contrariamente al conservatorismo, rifiutano la politica limitata, e inoltre attribuiscono alla volontà umana una certa capacità di plasmare la storia, idea che, come vedremo, è del tutto estranea alla filosofia conservatrice.


    2. La critica conservatrice della politica rivoluzionaria.

    Ciò che dobbiamo ancora spiegare in modo più dettagliato è la natura precisa della critica conservatrice del nuovo modo rivoluzionario di fare politica affermatosi col 1789. Le caratteristiche essenziali di tale critica vengono messe in luce nella maniera più chiara se si individuano i principali assunti intellettuali relativi all'uomo e alla società che avevano contrassegnato la modalità d'azione rivoluzionaria.

    Il primo assunto è il razionalismo, ossia il convincimento che le consuetudini e le istituzioni possono venire legittimate solo tramite l'uso consapevole della ragione umana. Il conservatorismo considera empio il razionalismo perché fa sì che qualsiasi ordine sociale esistente possa venir completamente sovvertito, indipendentemente dal fatto che coloro che vi sono soggetti l'abbiano trovato insoddisfacente, solo perché il riformatore razionalista considera che tale ordine sociale non corrisponde a ideali astratti quali i diritti dell'uomo o l'utopia comunista. I filosofi conservatori, da Burke a Michael Oakeshott (v., 1962), hanno sempre sostenuto che questo genere di ideologia politica attribuisce alla ragione una funzione che essa in realtà non può adempiere. In particolare, essi sostengono che gli schemi ideologici sono sempre un 'compendio' (abridgment, per usare la terminologia di Oakeshott) di una tradizione storica preesistente, e che la ragione non è assolutamente in grado di definire dei programmi prescindendo da tale tradizione, come invece asseriscono i razionalisti. Qualunque tentativo di imporre alla società un programma astratto, secondo i conservatori, sarà soltanto una formula per l'esercizio di un potere arbitrario. Il risultato sarà la distruzione dei legami sociali volontari creati dal costume e dalla tradizione e l'insorgere della coercizione come unico mezzo per tenere unita la società. A sostegno di questo punto di vista i conservatori sottolineano il fatto che tutte le rivoluzioni dal 1789 in poi sono sfociate nel dispotismo.

    Il secondo assunto dello stile politico rivoluzionario è una nuova teoria del male, che il conservatorismo contesta. Secondo questa teoria, che fu formulata per la prima volta con chiarezza negli scritti di Rousseau e in particolare nel Contratto sociale, il male ha origine nell'ingiusta organizzazione della società, e può pertanto essere eliminato, almeno in teoria, attraverso un appropriato mutamento sociale e politico. Secondo la filosofia conservatrice, invece, il male è una componente ineliminabile della condizione umana, e la politica ha solo il compito di cercare dei palliativi, non delle soluzioni radicali.

    La teoria radicale del male è intimamente connessa con il terzo assunto dello stile rivoluzionario, che consiste in una certa tendenza a trasformare la politica in una crociata quasi religiosa contro quelle che vengono considerate le forze dell'oscurantismo. La politica, in altre parole, viene tramutata in una faccenda in cui tutti i partecipanti sono o santi o peccatori e in cui tutte le questioni sono o bianche o nere. Il conservatorismo rifiuta l'inflessibilità e il dogmatismo della politica ideologica, nella quale non c'è spazio per una pragmatica conciliazione dei conflitti di interesse e delle passioni.

    Il quarto assunto è uno sconfinato ottimismo riguardo al fatto che l'uomo sia capace con la sua volontà di plasmare il proprio futuro conformandolo a qualunque programma ideologico egli possa aver elaborato. Il culto della volontà e l'estremismo politico che questo determina sono invece essenzialmente estranei alla filosofia conservatrice, che sottolinea i limiti obiettivi che le ineluttabili tensioni dell'esistenza umana pongono alla volontà.

    L'ingenua fede nella sovranità popolare è l'ultimo assunto che caratterizza il nuovo modo rivoluzionario di fare politica: l'autogoverno, si sostiene, è di per sé garanzia di buon governo. Il conservatorismo rifiuta questa equazione in quanto fa sì che i governi possano portare avanti qualsiasi tipo di politica, per quanto in contrasto con la libertà e la felicità essa possa essere, semplicemente sulla base del fatto che agiscono in rappresentanza del popolo o in adempimento di un mandato elettorale.

    Dal 1789 fino alla fine della seconda guerra mondiale, la principale preoccupazione che ha assillato il pensiero conservatore è stata la paura che il nuovo modo rivoluzionario di fare politica potesse avviare un'era contrassegnata da anarchia morale, sterilità culturale e forme dispotiche di governo. Nell'ambito di questa generale preoccupazione dei conservatori, è possibile individuare tre diverse scuole di pensiero; benché nessuna di queste sia specificamente riconducibile a una particolare nazione, tuttavia esse riflettono, rispettivamente, le diverse tradizioni intellettuali di Francia, Germania e Gran Bretagna.


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    Predefinito Riferimento: CONOSCERE IL CONSERVATORISMO - Saggi, schede bibliografie

    3. Tradizioni nazionali nel pensiero conservatore

    La caratteristica che distingue la tradizione conservatrice in Francia è l'uso che essa ha fatto della più antica fonte dell'ispirazione conservatrice, cioè la visione cristiana dell'universo. Secondo questa visione, i limiti posti all'azione umana sono dovuti al fatto che il mondo costituisce un insieme ordinato e organizzato gerarchicamente nel quale qualunque cosa, incluso l'uomo, occupa il posto specifico che gli è stato assegnato da Dio, creatore dell'universo. Nella visione cristiana viene data particolare rilevanza alla capacità dell'uomo di commettere deliberatamente il male, che si spiega con la 'caduta' causata dal peccato di Adamo. È proprio questo pessimismo a caratterizzare la tradizione reazionaria francese che fa capo a Joseph de Maistre (cfr. Considérations sur la France, 1796) e a Louis de Bonald (cfr. Théorie du pouvoir politique et réligieux dans la société civile, 1796), i quali ritenevano che l'avvento della moderna democrazia di massa fosse un totale disastro dal quale l'uomo poteva esser salvato solo grazie alla restaurazione del potere monarchico ed ecclesiastico. In forma secolarizzata, questo stesso tipo di pessimismo si riscontra in alcuni pensatori reazionari del XX secolo come Charles Maurras (cfr. L'enquête sur la monarchie, 1900), il fondatore dell'Action Française. Il cristianesimo ha avuto un ruolo rilevante anche nel pensiero di conservatori moderati come Burke, ma ciò che contraddistingue la posizione reazionaria è l'ossessiva insistenza sull'estrema fragilità di qualsiasi ordine unita a una concezione del tutto statica dell'armonia sociale, un'armonia così pura che nessuna società storica potrebbe mai soddisfare le condizioni della sua realizzazione. Ne risulta non solo un'utopia di tipo conservatore, ma anche una certa tendenza a impiegare dei mezzi di azione politica al di fuori della costituzione, dato che il rispetto delle forme costituzionali viene scartato dai reazionari (come dai rivoluzionari) perché ritenuto un mezzo per perpetuare un ordine sociale illegittimo. Di conseguenza, benché il reazionario spesso dichiari di essere un difensore della 'politica limitata', il suo concetto di politica tende in realtà a sovvertire profondamente proprio quel modo di fare politica.

    In Germania la caratteristica peculiare del pensiero conservatore è di aver sostituito l'interpretazione teologica della condizione umana con un metodo totalmente diverso di stabilire la realtà dell'imperfezione. Invece di far ricorso a un mondo creato da Dio di valori assoluti e sopra-storici come origine dei limiti posti alla volontà umana, la filosofia conservatrice si è basata sulla tesi che nella storia possono essere individuate delle leggi obiettive di mutamento e di sviluppo. Lo scrittore che ha esercitato la maggiore influenza sul conservatorismo tedesco negli anni immediatamente precedenti e successivi alla Rivoluzione francese è stato Johann Gottfried Herder (cfr. Sämtliche Werke, 1877-1913), anche se i suoi interessi non possono essere considerati di tipo specificamente conservatore. Furono pensatori come Friedrich Schleiermacher che utilizzarono il metodo storico a fini più direttamente polemici. Il preciso punto di connessione tra filosofia della storia e conservatorismo viene chiaramente spiegato da Schleiermacher in questi termini:

    "Poiché lo Stato [...] è una creazione dell'uomo stesso, si è pensato [...] che l'uomo avrebbe potuto creare lo Stato perfetto in conformità con un modello teorico. Dobbiamo subito dichiarare che questa è un'illusione; perché ciò che viene realizzato attraverso la natura umana viene spesso erroneamente inteso come ciò che l'uomo fa. Mai è stato fatto uno Stato, neppure il più imperfetto [...]. Questa illusione, tuttavia, è stata la ragione per la quale gli Stati sono stati considerati di gran lunga troppo poco come formazioni storiche naturali, e sempre, invece, come oggetti sui quali l'uomo deve esercitare la propria ingegnosità" (da una conferenza del 1814, in Sämtliche Werke, 1834-1864, vol. III, t. 2, pp. 246-286).

    Una teoria di questo tipo era senz'altro implicita già in Burke, ma essa divenne un tema centrale della discussione filosofica solo nel pensiero conservatore tedesco. Schleiermacher sviluppò inoltre una fenomenologia della coscienza politica basata su ciò che egli definì 'metodo genetico'. Tale metodo ha assunto oggi un particolare interesse, poiché può essere considerato un diretto precursore delle obiezioni mosse attualmente alla scienza sociale positivista nella letteratura in certo qual modo esoterica sull'ermeneutica. Il nuovo metodo storico, tuttavia, fin dall'inizio ha rappresentato un'arma a doppio taglio per la teoria conservatrice; infatti, stabilendo una connessione tra conservatorismo e filosofia della storia, i filosofi tedeschi hanno reso i principî conservatori ambigui, mutevoli e instabili quanto il flusso della storia stesso. Come un conservatorismo di questo tipo possa ritorcersi contro se stesso risulta evidente dal fatto che un modo di pensare orientato in senso storicistico fu ben presto strettamente collegato col marxismo. L'ambiguità della tradizione conservatrice tedesca divenne ancora maggiore per il fatto che fu subito associata a una dottrina nazionalista che poneva i requisiti necessari per una società organica al di sopra di quelli della 'politica limitata' (cfr. J.G. Fichte, Reden an die deutsche Nation, 1808, e Adam Müller, Die Elemente der Staatskunst, 1809). Ma il fatto più deleterio è stato che la filosofia conservatrice tedesca è sembrata talvolta fondarsi in definitiva su un ideale di libertà o di autonomia così estremo da essere incompatibile con qualsiasi limite posto dall'esterno (cfr. George Santayana, Egotism in German philosophy, 1916). Pertanto la tradizione conservatrice tedesca, analogamente a quella francese, si è prestata a interpretazioni estremistiche che spesso non erano assolutamente nelle intenzioni dei suoi principali esponenti. Per metterla in termini un po' diversi, il problema è sempre stato che le aspirazioni a una società organica, all'unità nazionale, alla libertà assoluta, quando sono state messe tutte insieme, hanno talmente estraniato i conservatori tedeschi dalla situazione reale da renderli poco critici nei confronti delle promesse di chiunque si sia offerto di 'pulire le stalle di Augia'. Gli elementi che giocarono a favore di Hitler, ad esempio, furono la conseguenza di questo ingenuo idealismo, più che di una calcolata perversità.

    Per ciò che riguarda la tradizione culturale conservatrice in Gran Bretagna, solo in pochi casi i suoi esponenti si sono rivelati all'altezza dei colleghi continentali. In genere, la ricerca di razionalizzazioni teologiche e di sistemi filosofici è stata qui sostituita da un atteggiamento scettico e pragmatico il cui grande merito è stato quello di voler porre ordine nella inevitabile confusione, tensione e in definitiva incoerenza della vita politica. Solo raramente, tuttavia, il pragmatismo britannico è degenerato in mero opportunismo privo di principî. Anzi, l'elemento comune a tutta la tradizione britannica è stato (fino a tempi relativamente recenti) l'impegno volto a mantenere una costituzione mista o bilanciata. Senza dubbio vi sono sempre stati pensatori conservatori inglesi, come Thomas Carlyle (cfr. On heroes, hero-worship and the heroic in history, 1841, e Latter-day pamphlets, 1850), che hanno respinto questo ideale come un assurdo residuo medievale, del tutto inadeguato alle esigenze della moderna società industriale di massa; ma l'orientamento prevalente, da Burke a Samuel Taylor Coleridge (cfr. On the constitution of the Church and State according to the idea of each, 1830), attraverso Benjamin Disraeli (cfr. Vindication of the English Constitution, 1835), e lord Salisbury (cfr. Disintegration, 1883, in Smith, 1972), fino a filosofi del XX secolo come Michael Oakeshott, è stato quello che considerava il mantenimento della costituzione mista il principale obiettivo della vita politica britannica. Tuttavia i pensatori conservatori già molto prima della prima guerra mondiale avevano riconosciuto quali difficoltà si incontrino nel perseguire questo ideale. Lord Salisbury, ad esempio, sosteneva che l'avvento della democrazia di massa e la richiesta di riforme di tipo socialista determinavano tre pericoli quasi insuperabili. Il primo era il trionfo della dottrina della sovranità popolare, che si manifestava nella concentrazione dell'autorità suprema nella Camera dei Comuni, a spese della tradizionale eguaglianza di status che la Costituzione riconosceva a monarchia e aristocrazia. Il secondo pericolo derivava dal nuovo sistema di governo delle moderne democrazie, basato su partiti politici di massa. Se ogni governo doveva assicurarsi il supporto delle masse attraverso i partiti politici, allora era molto probabile che gli affari della nazione in generale, e in particolare le questioni relative alla Costituzione, avrebbero dovuto essere sacrificati agli interessi dei partiti. Il terzo pericolo era di natura sia sociale che politica. Salisbury, al pari di Alexis de Tocqueville (cfr. De la démocratie en Amérique, 1835-1840), sottolineava il fatto che la moderna democrazia si preoccupava più dell'eguaglianza che della libertà. Eguaglianza significa dissoluzione delle classi sociali, ma il risultato finale di tale dissoluzione sarà non la società senza classi sognata dai radicali, quanto piuttosto un ritorno al conflitto primario che ha distrutto le democrazie dell'antichità, il conflitto, cioè, tra abbienti e non abbienti. Il riformista radicale si presenta come il difensore del povero contro il ricco, ma egli "non dice ai suoi seguaci come faranno a vivere se l'industria langue, o come le industrie e le imprese possano prosperare se gli uomini sono presi dal timore che la messe di ricchezze seminata, mietuta e messa da parte da loro stessi o dai loro congiunti possa per avventura essergli strappata dai politici. [...] Per coloro che hanno il dono dell'eloquenza in politica, è facile dipingere la spoliazione coi colori della filantropia" (cfr. Disintegration, 1883, in Smith, 1972, p. 352). Durante il XX secolo dubbi come quelli espressi da Salisbury dovevano ulteriormente acuirsi a causa di una serie di eventi che modificarono la natura della politica conservatrice in tutto il mondo occidentale.


    4. La crisi del conservatorismo nel XX secolo

    Durante il XX secolo il corso del conservatorismo doveva venir alterato da due nuovi avvenimenti. In primo luogo, lo scoppio delle due guerre mondiali determinò un livello di accentramento e di 'collettivizzazione' nella politica degli Stati europei che sarebbe stato ritenuto impensabile prima d'allora. Il secondo avvenimento fu la nascita di un nuovo nemico per i conservatori. Prima della prima guerra mondiale il conservatorismo era stato definito principalmente in contrapposizione al liberalismo, mentre dopo di allora esso fu essenzialmente contrapposto al socialismo. Dovendo cercare il sostegno delle masse contro questo nuovo nemico, il conservatorismo gradualmente cedette alla tentazione di ottenere voti vestendosi, almeno in parte, dei panni del nemico. Questa strategia, naturalmente, produsse una spinta ancora maggiore verso il 'collettivismo'.

    Durante gli anni trenta la tendenza conservatrice verso il 'collettivismo' fu favorita da chi, come Harold Macmillan, lo considerò come l'unico mezzo per evitare da un lato i problemi economici della società capitalista, e dall'altro il tipo di vita rigidamente ordinata necessario a una società completamente pianificata. In un saggio intitolato The middle way, del 1938, Macmillan tentò di dare una forma teorica coerente a questo compromesso conservatore. Purtroppo egli affrontò alla leggera, senza riuscire quindi a eliminarlo, il problema della conflittualità tra la politica limitata e il tipo di governo manageriale che questo tipo di 'collettivismo' avrebbe richiesto.

    Anche se l'ideale di una "via intermedia" fu condiviso solo da una piccola minoranza, tuttavia i conservatori ebbero grandi difficoltà a proporre un'alternativa credibile. Numerose voci si levarono per lamentare i molti difetti della società di massa, e tra queste una delle più notevoli fu quella di T.S. Eliot, che individuava nel declino della religione e della cultura la causa che aveva determinato una "terra desolata" (cfr. The waste land, 1922); egli sosteneva inoltre (cfr. The idea of a Christian society, 1939) che l'ethos materialista delle democrazie occidentali le rendeva meno spirituali dei loro antagonisti totalitari, le cui ideologie almeno si ponevano dei fini ideali anche se - come Eliot ammetteva - distorti. In Germania Oswald Spengler (cfr. Der Untergang des Abendlandes, 1918-1922) manifestava sentimenti analoghi e profetizzava "il tramonto dell'Occidente" e l'avvento del cesarismo. In Spagna Ortega y Gasset ridusse ai suoi termini minimi la risposta elitaria alla democrazia moderna, annunciando che era vicino il tempo "in cui la società, dalla politica all'arte, si [sarebbe riorganizzata] in due ordini o livelli: gli illustri e i volgari" (cfr. La deshumanización del arte, 1925). In Francia Jacques Maritain (cfr. Humanisme intégral, 1936) elaborò l'idea di un "umanesimo integrale", individuando il problema della moderna società di massa in un falso "umanesimo antropocentrico" che ha estraniato l'uomo da Dio e che si manifesta in modo particolare nel totalitarismo. Anche se Maritain aveva mostrato una qualche propensione per il socialismo, la sua insistenza sulla necessità di autorità e guida e il suo desiderio di ripristinare i tradizionali valori cristiani della civiltà europea lo pongono tra gli intellettuali conservatori.

    Comunque, fu proprio il compromesso della 'via intermedia' a dominare la politica conservatrice per circa tre decenni dopo la seconda guerra mondiale. Questo deciso spostamento in direzione 'collettivista' si spiega in base a tre motivi. Il primo fu l'apparente successo ottenuto in tempo di guerra dalle autorità nel porre fine alla massiccia disoccupazione degli anni trenta, un successo che incoraggiò una acritica fiducia nell'efficacia politica di una programmazione economica generale. Il secondo fu l'introduzione del Welfare State e il successivo impegno di tutti i governi del periodo postbellico ad adottare la politica economica detta di 'perfetta sintonia' (fine tuning) così da assicurare la piena occupazione. Tale impegno trovava la sua legittimazione nella stretta osservanza di una teoria economica postbellica, ispirata dall'opera di John Maynard Keynes General theory of employment, interest and money (1936), imperniata sull'accettazione incondizionata del disavanzo pubblico come tecnica base della politica finanziaria del governo. Il terzo motivo fu il fatto che la via intermedia risultò un metodo efficace per ottenere il successo elettorale.

    Questi tre motivi furono così efficaci nel fugare qualsiasi dubbio, che coloro, come Friedrich von Hayek (cfr. The servile State, 1944), che ritenevano la via intermedia solo un mezzo per istituzionalizzare la pressione inflattiva e tale da favorire l'incontrollato aumento del potere esecutivo furono del tutto ignorati o considerati degli eccentrici.

    Questa situazione si mantenne immutata fino agli anni sessanta, allorché divenne chiaro che il conservatorismo si era spostato tanto a sinistra che gli elettori trovavano sempre più difficile capire se esisteva ancora una precisa identità 'conservatrice'. Nel 1973 un autorevole politico laburista inglese, Anthony Wedgwood Benn, esaltava le scelte politiche del primo ministro conservatore Edward Heath, che rimase in carica dal 1970 al 1974, in quanto avevano creato "il più ampio apparato di controlli statali sull'industria privata mai escogitato, di gran lunga superiore a quello ritenuto necessario dall'ultimo governo laburista" ("The Sunday Times", 25 marzo 1973). Ma ciò che risultò ancor più dannoso fu l'opinione che il risultato principale del compromesso della via intermedia dei conservatori fosse la graduale creazione di uno Stato di tipo corporativo. Alcuni commentatori, giocando deliberatamente sulle connotazioni fasciste di quel concetto, arrivarono a suggerire che si trattava di un "fascismo dal volto umano" (cfr. R.E. Pahl e J.T. Winkler, The coming corporatism, in "New society", 10 ottobre 1974). Anche se un linguaggio vago ed emotivo di questo tipo può essere ignorato, è tuttavia chiaro che l'ideale della 'politica limitata', che rappresentava un punto focale nella tradizione occidentale del governo parlamentare, veniva rimpiazzato da un nuovo sistema di governo nel quale le vecchie istituzioni rimanevano sì in piedi ma con funzioni completamente diverse. In Inghilterra un ben noto pubblicista conservatore, Samuel Brittan, chiarì la natura di questo cambiamento in un articolo intitolato Dangers of the corporate State, pubblicato sul "Financial Times" del 19 ottobre 1972. L'articolo, che attaccava il sistema di governo che si veniva affermando, basato su incontri trilaterali informali tra governo, rappresentanti sindacali e rappresentanti del mondo industriale, si chiedeva: "È davvero compito dei sindacati contenere i salari, o dei datori di lavoro tener bassi i prezzi? Questo è il compito dei sindacati nel blocco sovietico".


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    Predefinito CONOSCERE IL CONSERVATORISMO - Il Conservatorismo come ideologia politica

    5. La ricerca di una nuova identità conservatrice

    All'inizio degli anni settanta i conservatori non potevano ormai nascondersi il fatto che il compromesso della via intermedia era risultato fallimentare, e proprio in questo decennio, in tutto il mondo occidentale, si cercò una nuova identità conservatrice. L'elemento che accomunava tutti coloro che si erano impegnati in questa ricerca era soprattutto la violenta critica del 'collettivismo' postbellico. A ispirare questa critica fu soprattutto un'affermata dottrina politica liberale, sostenuta a livello internazionale da intellettuali quali gli economisti della Scuola di Chicago diretta da Milton Friedman (cfr. Capitalism and freedom, 1962) e dalla Società Mont Pèlerin in Svizzera, di cui è stato presidente Friedrich von Hayek (che è stato anche il suo più autorevole rappresentante inglese). Una caratteristica interessante degli anni settanta è stata lo sviluppo di un forte legame tra i conservatori britannici e quelli americani, dopo che Anthony Lejeune nel 1970 aveva richiamato l'attenzione degli intellettuali inglesi (nella rivista "Solon") sull'analoga ricerca condotta dai loro colleghi negli Stati Uniti. La ricerca degli americani, condotta in riviste quali "The national review", "The new republic" e "The public interest", era stata originariamente stimolata dall'ideale proclamato dal presidente Johnson di una 'grande società', dai movimenti per i diritti civili e di liberazione delle donne e dai provvedimenti contro qualsiasi tipo di discriminazione sul posto di lavoro. Tra gli appartenenti al movimento americano ricordiamo William F. Buckley jr. (direttore della rivista "The national review" e autore di libri quale Up from liberalism, del 1959), Russell Kirk (v., 1953), Ayn Rand (v., 1961), Clinton Rossiter (v., 1955), e Peter Viereck (v., 1949). Da un'analisi della letteratura internazionale, i principali argomenti sostenuti dalla critica al 'collettivismo' possono essere raccolti in sei gruppi.

    1. In primo luogo, era opinione comune che i governi democratici del periodo postbellico avessero alimentato l'illusione che praticamente tutti i mali discendessero da una causa politica e che pertanto potessero trovare una soluzione politica. Di conseguenza, lo Stato moderno risultava gravato in modo quasi intollerabile dalla responsabilità di soddisfare delle aspettative assolutamente non realistiche. A posteriori questa tesi non risulta del tutto convincente, perché i dati a disposizione possono essere interpretati come dimostrazione di una tendenza dei cittadini moderni sia verso un eccessivo stoicismo sia verso eccessive aspettative, di fronte ai progetti e alle richieste dei loro politici.

    2. Veniva sostenuto anche, e questo è più credibile, che il successo ottenuto dal 'collettivismo' nel periodo postbellico era determinato dall'ingenuo convincimento che la crescita economica si sarebbe verificata d'ora in avanti in modo quasi automatico, e che pertanto sarebbe stata una caratteristica costante della vita moderna; si trattava soltanto di trovare una soluzione a problemi di distribuzione. Ci si dimenticava, però, fra le altre cose, la possibilità che la ricerca di giustizia sociale uccidesse inavvertitamente la gallina dalle uova d'oro.

    3. Strettamente connessa con questa ingenua convinzione era, secondo la critica, un'altra convinzione, altrettanto ingenua, secondo cui la prosperità generale avrebbe automaticamente garantito la felicità generale. Non veniva neppure presa in considerazione la possibilità che la prosperità portasse invece noia, uso di droghe, aumento dei divorzi e delle nascite illegittime, pornografia, violenza.

    4. I critici si spinsero ancora oltre sostenendo, sulla base di un gran numero di ricerche empiriche, che anche i programmi assistenziali elaborati con le migliori intenzioni spesso si rivelavano in pratica controproducenti. Si affermava, ad esempio, che invece di creare una società senza classi i governi stavano creando una nuova sottoclasse, la cui mentalità servile rischiava di ridurla in una condizione di perpetua dipendenza.

    5. Tuttavia, quello che fornì alla critica la sua arma più appuntita fu l'affermazione che l'ideale della via intermedia, cioè di una posizione di equilibrio tra il capitalismo e il socialismo, era stato fin dall'inizio frutto di pura fantasia. In Gran Bretagna, per esempio, Hayek (v., 1960), sostenne che la programmazione non può terminare a un teorico punto intermedio, ma deve procedere costantemente così da assicurare l'attuazione dei piani che sono stati elaborati. La via intermedia, pertanto, non può essere considerata come una situazione di stabilità, bensì come un fiume impetuoso la cui corrente travolge chiunque vi si immetta (per riprendere l'analogia usata nell'articolo di fondo del "Times" del 10 luglio 1985, The middle way or muddle way). Mentre si può considerare con un certo scetticismo l'affermazione di Hayek che la programmazione conduce inesorabilmente al totalitarismo, non sembra esagerato sostenere che essa possa compromettere l'affidabilità politica rendendo le scelte del governo una questione riservata a esperti non soggetti a interferenze politiche di qualsiasi genere.

    6. Infine la critica ha sottolineato il fatto che l'inflazione ha origini più morali e politiche che economiche. In un sistema elettorale democratico, si è sostenuto, si determina inevitabilmente una preferenza dei politici per misure finanziarie 'morbide' piuttosto che 'rigide': una volta ottenuto il controllo delle risorse monetarie, cioè, quasi sempre essi cedono alla tentazione di manipolare la politica economica per guadagnare il favore degli elettori con offerte 'disinteressate'.

    Questa è, per grandi linee, la critica che ha demolito l'ortodossia 'collettivista' postbellica. Tuttavia una critica è ben altra cosa che una concezione alternativa e praticabile relativa al modo di governare. Il più importante sviluppo che si è verificato all'interno del conservatorismo durante l'ultimo decennio è stato il tentativo della cosiddetta Nuova Destra di mettere a punto un'alternativa adeguata.


    6. La Nuova Destra

    Va detto subito che la Nuova Destra non rappresenta assolutamente un movimento omogeneo che condivide un'unica dottrina. Al suo interno esistono tre diverse (e in ultima analisi incompatibili) scuole di pensiero che, ai fini della nostra analisi, possiamo definire scuola economica, radicale e politica. La tesi sostenuta dalla scuola economica è che una società libera richiede un libero mercato. La tesi della scuola radicale è che nelle attuali condizioni di decadenza della società non si può stabilire un ordine politico senza che vi sia stata prima una rigenerazione spirituale. La scuola politica, infine, mette l'accento sui problemi costituzionali, anche se al suo interno i suoi esponenti si dividono in convinti sostenitori del pluralismo, da un lato, e fautori della necessità di creare innanzitutto un ordine sociale organico, dall'altro. Non si tratta naturalmente di temi nuovi; la novità consiste semmai nel fatto che vengono per la prima volta associati al pensiero conservatore, e anche nel contesto nel quale essi tornano a essere attuali. Sembra opportuno prendere adesso in considerazione in maniera più dettagliata la dottrina di ognuna di queste scuole, facendo riferimento in particolare alle conseguenze che esse hanno determinato su quel modo di far politica che abbiamo definito 'limitato' e che è stato tradizionalmente proprio del conservatorismo moderato.

    Prenderemo in considerazione per prima la scuola economica, dato che essa rappresenta non solo la parte più nota della Nuova Destra, ma anche quella che ha maggiormente influenzato la politica dello scorso decennio. L'argomento centrale sostenuto da questa scuola è, come abbiamo detto, che una società libera richiede un libero mercato. Per dirla in altre parole, la 'politica limitata' è possibile solo in un sistema capitalista, ossia, per usare un'espressione ancora più concisa, la libertà non è divisibile. Nel presente articolo ci limiteremo a esaminare il pensiero di Friedrich von Hayek, nei cui scritti questa tesi viene sostenuta nella maniera più sistematica. Non ci soffermeremo sul modo paradossale in cui l'originario asserto marxista del primato dell'ordine economico su quello politico è stato trasformato dalla Nuova Destra in un'arma per combattere il marxismo stesso; ciò che ha maggiore importanza è l'ambiguità diffusa, evidente negli scritti di Hayek, con cui la scuola economica porta avanti la sua difesa della 'politica limitata'. Questa ambiguità - che consiste nel fatto che non è mai chiaro se Hayek sostenga la 'politica limitata' perché intrinsecamente valida o perché serve a promuovere la prosperità e il progresso - risulta particolarmente evidente, per esempio, nel modo in cui egli cerca di giustificare l'importanza data al principio di legalità. Sotto il profilo etico, il principio di legalità deve garantire la libertà e la dignità dell'uomo abolendo il potere arbitrario; ma Hayek purtroppo nasconde il fondamento etico di questo principio cercando invece di sostenerlo in base a due argomentazioni, nessuna delle quali è in grado di conferirgli un valore intrinseco. Una di queste argomentazioni è di tipo naturalistico, e anzi in realtà non è tanto un'argomentazione quanto un richiamo costante ad analogie tra l'adattamento organico al proprio ambiente, riscontrabile in tutti gli animali, e il tipo di adattamento spontaneo che Hayek ritiene sia determinato negli uomini da un mercato regolato esclusivamente dal principio di legalità. L'altra argomentazione è un richiamo estremamente sofisticato al valore epistemologico del libero mercato, inteso non tanto come puro sistema economico che favorisce l'efficienza degli scambi, quanto piuttosto come delicato sistema per memorizzare e trasmettere informazioni. Secondo Hayek, il merito di queste argomentazioni consiste in quella che egli ritiene essere la loro natura scientifica; tuttavia è proprio la loro pretesa natura 'scientifica' che toglie a queste argomentazioni qualsiasi connotazione etica. In generale, quindi, il punto debole della scuola economica è che, anche se essa riuscisse a fornire un'analisi convincente del rapporto tra capitalismo e 'politica limitata', il tipo di conservatorismo da essa sostenuto non conferirebbe comunque alcuna base logica agli ideali etici a cui implicitamente o esplicitamente si richiama.

    Mentre la scuola economica della Nuova Destra ha avuto un certo seguito a livello internazionale, la scuola radicale è rimasta un fenomeno esclusivamente continentale. In Germania i suoi esponenti sono gli ultimi fautori della 'rivoluzione conservatrice' originariamente propugnata da Moeller van den Bruch nel libro Das Dritte Reich, del 1923. In Italia essa è rappresentata dalla Nuova Destra. Il suo più noto rappresentante, tuttavia, è forse il pensatore francese Alain de Benoist, che ha divulgato le idee della scuola radicale attraverso due giornali, "Éléments" e "Nouvelle école". De Benoist, come quasi tutti gli esponenti della scuola radicale, parte dalla convinzione che il mondo occidentale moderno sia entrato in uno stato di profonda decadenza, di cui la cultura e la politica degli Stati Uniti forniscono l'esempio più chiaro. La scuola radicale, però, sarebbe disposta a tutto pur di porre termine a questa decadenza, poiché - per usare le parole di de Benoist - "qualunque dittatura è un male, ma qualunque decadenza è un male ancora peggiore". Questa propensione all'estremismo viene tuttavia nascosta dietro una strategia che distingue immediatamente la Nuova Destra dalla destra reazionaria tradizionale, mentre allo stesso tempo la lega ai metodi rivoluzionari sostenuti da teorici di sinistra come Antonio Gramsci (cfr. Quaderni del carcere, 1929-1935). Secondo questa strategia bisogna rinunciare a qualsiasi aspirazione politica diretta per concentrarsi invece sulla rigenerazione culturale, senza la quale è naturalmente impossibile por fine alla decadenza.

    Altre tre caratteristiche distinguono in modo rilevante la scuola radicale dalla vecchia destra. In primo luogo, la scuola radicale rifiuta l'eredità cristiana dell'Occidente, e cerca invece di far rivivere e di preservare l'eredità 'pagana'. Non sorprende il fatto che questo 'nuovo paganesimo', che si esprime nelle note aspirazioni romantiche all'atto eroico, implichi notevole simpatia per Nietzsche e, più in generale, per una concezione dell'uomo di tipo 'esistenziale', in base alla quale la natura umana non è definita o fissa, ma è soggetta a un continuo processo di creazione. In secondo luogo, la scuola radicale ricerca una identità europea che sia transnazionale, considerata l'unico modo di proteggere la civiltà occidentale dalla minaccia americana da una parte e russa dall'altra. Tale identità transnazionale viene in genere teorizzata in termini di razza, in particolare facendo riferimento alle origini indoeuropee. In terzo luogo, la Nuova Destra radicale ha trovato un elemento di unità nel sostegno a quelli che sono considerati i popoli oppressi del Terzo Mondo, non tanto per bontà d'animo quanto per procurarsi un eventuale appoggio per rovesciare l'ordine capitalista internazionale che favorisce la decadenza. Anche in questo caso è sorprendente come i temi della Nuova Destra radicale e quelli della Nuova Sinistra finiscano paradossalmente per convergere.

    La scuola politica cerca di svincolare il conservatorismo sia dalla 'politica economica' della prima scuola, sia dai programmi globali di rigenerazione spirituale della seconda. Lo scopo della scuola, i cui esponenti sono prevalentemente americani e inglesi, è stato delineato con chiarezza da uno dei principali accademici inglesi, Maurice Cowling (v., 1978): la scuola si propone di creare una forma di conservatorismo che sia allo stesso tempo 'meno liberale e più populista' della via intermedia, e 'meno liberale e più politico' del liberalismo economico perseguito dal governo Thatcher. All'interno dell'unità di intenti relativa al perseguimento di tale obiettivo, tuttavia, possono essere individuati due modi molto diversi di affrontare i principî fondamentali della filosofia conservatrice. Uno è la scettica versione libertaria del conservatorismo costituzionale di Michael Oakeshott; anche se la sua opera è precedente alla nascita della Nuova Destra, il rifiuto del 'collettivismo' le ha conferito ai nostri giorni una nuova importanza. Per Oakeshott, la politica è essenzialmente una questione poco importante, che ha a che fare con il mantenimento di una struttura formale di norme all'interno delle quali il cittadino può perseguire l'obiettivo che meglio gli aggrada. Pertanto, come rileva Oakeshott, "non è assolutamente incoerente essere conservatore per ciò che riguarda il governo e radicale per ciò che riguarda quasi ogni altro tipo di attività" (v. Oakeshott, 1962, p. 195). Mentre l'idea generale all'origine di questo tipo di conservatorismo, secondo Oakeshott, si desume nella maniera migliore da pensatori come Montaigne, Pascal e Hume, la sua essenza politica è data da una concezione del ruolo del governo come artefice e custode del diritto non strumentale. Nell'adempiere questo compito il governo può intervenire attivamente nella vita della società, così da promuovere quella separazione dei poteri dalla quale dipende la politica limitata. Esso può anche promuovere attivamente delle misure assistenziali, purché siano a beneficio di coloro che sono realmente bisognosi. Ciò che non è consentito al governo è di abbandonare il proprio ruolo non finalizzato, per divenire un provvidenziale dispensatore di benefici alla società. Anzi, se al governo vengono assegnate delle funzioni manageriali, queste devono essere chiaramente distinte e tenute ben separate dalle attività che gli sono proprie in quanto governo. Anche se il governo nell'esercizio delle proprie funzioni può a buon diritto reclamare una funzione che è in qualche modo economica, tuttavia Oakeshott la caratterizza in termini negativi: in nessun caso deve compromettere la stabilità monetaria.

    La seconda linea di pensiero presente all'interno della scuola politica ha il suo rappresentante più autorevole in Roger Scruton, direttore di "The Salisbury review". Secondo Scruton, lo scopo dell'attività politica va ben oltre quello stabilito da Oakeshott. In un saggio del 1980, The meaning of conservatism, egli auspicava la creazione di una società organica in grado di porre termine all'alienazione dell'uomo moderno. Oltre che da questa esigenza neo-hegeliana di 'totalità' e comunità, il pensiero di Scruton è connotato da un lato dall'adesione all'ideale nazionalista e dall'altro dall'affermazione della validità di un ordine civile pluralista basato su istituzioni autonome. Ciò che rendeva ancor più conflittuali gli elementi di questa sintesi proposta da Scruton, era il suo insistere sull'idea che la società civile si basa su una unità prepolitica in cui l'identità razziale ha un ruolo essenziale. Inoltre, si può individuare un'ambigua tendenza potenzialmente anticostituzionale nell'affermazione di Scruton che la costituzione, e in particolare il parlamento, sono solo uno strumento per raggiungere "gli scopi opportunistici di una limitata classe di professionisti - la classe dei politici" (v. Scruton, 1980, p. 24): da ciò si può dedurre che la "fondamentale unità sociale" della nazione può esser messa in luce nella maniera migliore da portavoce privi di posizione o responsabilità nel sistema politico vigente. Benché Scruton si sia sempre dichiarato assolutamente favorevole a certe condizioni necessarie per la 'politica limitata' quali il principio di legalità e l'autonomia delle istituzioni sociali, egli non è finora riuscito a conferire alla Nuova Destra inglese quella identità coerente che essa talvolta sostiene di possedere.

    Negli Stati Uniti influenti esponenti di queste linee di pensiero interne alla Nuova Destra sono Irving Kristol (v., 1972) e Robert Nisbet (v., 1986).


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    Predefinito Rif: CONOSCERE IL CONSERVATORISMO - Saggi, schede, bibliografie

    7. Conclusioni

    Nell'ultimo decennio abbiamo assistito a una notevole rinascita del conservatorismo, che ha fatto seguito all'insuccesso del 'collettivismo' socialdemocratico dei decenni successivi alla fine della guerra. L'aspetto più positivo di questa rinascita consiste nell'aver determinato la fine di quella tendenza verso una programmazione sempre più accentuata che era sembrata quasi inevitabile e irreversibile durante gli anni settanta. Alla fine degli anni ottanta il successo del thatcherismo aveva obbligato persino gli ideologi socialisti ad adottare la retorica dell'economia di mercato. Ma una volta che si sia riconosciuto questo successo, cominciano a sorgere dei dubbi sulla reale natura e la portata dei risultati ottenuti dal conservatorismo. È fuor di dubbio che il rifiuto dell'esagerata fiducia riposta nella programmazione come soluzione di tutti i mali, e della conseguente convinzione della maggiore razionalità dell'attività pianificata rispetto a quella non pianificata, non ha portato con sé quel nuovo spirito di individualismo a cui aspiravano i fautori del libero mercato. Anzi, le analisi non solo dimostrano che si continua a credere nel Welfare State, ma indicano altresì un crescente livello di indebitamento del consumatore che mal si concilia con i discorsi ottimistici sulla nascita di una classe media dalla mentalità indipendente, generata dalla proprietà privata e dall'attività imprenditoriale in un libero mercato. Non meno preoccupanti sono le statistiche che cominciano a essere pubblicate in Gran Bretagna e negli Stati Uniti sulla crescita di una nuova sottoclasse che sembra destinata a dipendere perpetuamente dall'assistenza pubblica. E adesso che la Nuova Destra sta per concludere il primo decennio della sua esistenza, si dubita addirittura che esista davvero quella crescita economica che avrebbe dovuto essere il risultato più consistente e tangibile del nuovo conservatorismo. In Gran Bretagna, almeno, si comincia a sospettare che la 'rivoluzione thatcheriana' non sia altro che una vuota formula che nasconde una riduzione disastrosa della capacità produttiva e che ha determinato un bilancio commerciale deficitario come mai in precedenza nonostante un avanzo di bilancio. Il dilemma che pesa adesso sull'ideologia del libero mercato della Nuova Destra è se, di fronte a questi risultati, la fiducia nel libero mercato sarà sostituita da un ritorno a un interventismo del tipo di quello della via intermedia, adottato a malincuore da un governo conservatore o entusiasticamente da uno socialista.

    Più in generale, le ipotesi su quale corso potrà seguire il conservatorismo in futuro devono prendere in considerazione il fatto che l'influenza esercitata dalla Nuova Destra negli anni ottanta non è riuscita ad arrestare la principale tendenza politica presente nel mondo occidentale, e cioè quella verso una società manageriale in cui si considera tutto in termini esclusivamente strumentali. Questa tendenza è particolarmente pronunciata in Gran Bretagna, dove un decennio di thatcherismo ha visto la rapida dissoluzione dell'indipendenza (o, per esser più precisi, di ciò che ne rimaneva) di autorità locali, giuristi, sindacati, scuola, università. È stata minacciata anche la libertà dei mezzi di comunicazione, col pretesto della difesa della sicurezza nazionale, e l'indipendenza della Chiesa d'Inghilterra, che si era eretta a tutore (secondo molti impropriamente) della coscienza sociale. Vi è stato, infine, un tipo di leadership che, unito all'assenza di una reale opposizione politica, ha reso praticamente inesistenti i vincoli imposti dalle consultazioni di gabinetto e dal governo parlamentare. Sono proprio considerazioni di questo tipo - che mettono in evidenza l'acuirsi della tendenza manageriale in politica e la concomitante crescita del potere dell'esecutivo, anche se non si tratta più di un potere direttamente interventista - che spiegano l'aspetto più incoraggiante della politica inglese attuale (1989), che consiste nella generale convinzione, espressa oggi sia dalla destra che dalla sinistra, della necessità di riconsiderare alcune questioni costituzionali essenziali o forse addirittura di introdurre una costituzione scritta. Se questo recente risveglio di interesse per i problemi costituzionali trova espressione adeguata nell'attuale gestione politica, allora forse potrà essere mantenuto il tradizionale legame tra conservatorismo moderato e difesa della politica limitata. Ma se il conservatorismo non riuscirà a impedire il progresso incontrollato della tendenza manageriale - e questo, purtroppo, è quello che è successo finora - allora la nuova identità conservatrice potrebbe esprimersi in termini che hanno poco a che fare con la preservazione di una società libera. Questo pessimismo non è fuor di luogo, in particolare se serve a rievocare i timori di Alexis de Tocqueville riguardo al futuro delle moderne democrazie di massa. Egli riteneva infatti che le democrazie di massa, amando l'eguaglianza, la sicurezza e la prosperità più della libertà, offrissero ben poca resistenza a ciò che oggi definiamo come governo manageriale; ed essendo indifferenti alle forme procedurali che rappresentano l'unico mezzo che l'uomo ha a disposizione per proteggersi dal potere arbitrario, realizzassero quando è ormai troppo tardi di non aver più niente che li difenda. Noi non dovremmo, rilevava Tocqueville, consolarci troppo col pensiero che una condizione servile al giorno d'oggi può essere comoda e offrire protezione, perché sono proprio queste condizioni che renderanno più facile ridurre l'uomo in schiavitù.


    Bibliografia

    Barry, N. P., The new right, London 1987.
    Benoist, A. de, Les idées à l'endroit, Paris 1979.
    Carlyle, T., Past and present, London 1843 (tr. it.: Passato e presente, Torino 1905).
    Cowling, M. (a cura di), Conservative essays, London 1978.
    Hayek, F. A. von, The road of serfdom, London 1944 (tr. it.: Verso la schiavitù, Milano-Roma 1948).
    Hayek, F.A. von, The constitution of liberty, London 1960 (tr. it.: La società libera, Firenze 1969).
    Herf, J., Reactionary modernism, Cambridge 1984 (tr. it.: Il modernismo reazionario, Bologna 1988).
    Kirk, R., The conservative mind, Chicago 1953.
    Kristol, I., On the democratic idea in America, New York 1972.
    McClelland, J. S. (a cura di), The French right, London 1970.
    Macmillan, H., The middle way, London 1938.
    Nash, G. H., The conservative intellectual movement in America since 1945, New York 1976.
    Nisbet, R., Conservatism: dream and reality, Minneapolis 1986.
    Oakeshott, M., Rationalism in politics, London 1962.
    O'Sullivan, N., Conservatism, London 1976.
    Quinton, A., The politics of imperfection, London 1978.
    Rand, A., For the new intellectual, New York 1961.
    Röpke, W., Jenseits von Angebot und Nachfrage, Erlenbach-Zürich 1958 (tr. it.: Al di là dell'offerta e della domanda, Milano 1965).
    Rossiter, C., Conservatism in America, New York 1955.
    Scruton, R., The meaning of conservatism, London 1980.
    Smith, P. (a cura di), Lord Salisbury on politics: a selection from his articles in the "Quarterly review", 1860-1883, Cambridge-New York 1972.
    Viereck, P., Conservatism revisited, New York 1949



    Noël O'Sullivan, Professore di Filosofia Politica all’University di Hull, Regno Unito


    Treccani - Portale - Treccani Portale


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    Predefinito Rif: CONOSCERE IL CONSERVATORISMO

    IL CONSERVATORISMO ne Le Ideologie del Novecento, di Augusto Cavadi



    Il Conservatorismo



    Il nucleo generatore

    Tutte le ideologie che abbiamo sinora esaminato propongono dei progetti di mutamento sociale più o meno condizionato dall’iniziativa degli uomini. Ma siamo sicuri che influenzare la storia sia possibile e, se possibile, auspicabile? Non pochi – cittadini, politici, pensatori – sono stati, e sono, convinti che sia meglio «preferire ciò che è noto all’ignoto, preferire il tentato all’intentato, il fatto al mistero, il reale al possibile, il limitato all’illimitato, il vicino al distante, il sufficiente al sovrabbondante, il conveniente al perfetto, la risata di oggi alla felicità dell’utopia» (1). Questa preferenza per lo status quo, o più ancora questa diffidenza per ogni cambiamento “artificiale”, è il nucleo generatore del conservatorismo. Un’ideologia difficile da osservare in forma «bella e pronta»: chi la condivide difficilmente ammette di avere un’ideologia e ancor più difficilmente si sbraccia per convincere altri delle proprie concezioni. Come è stato più volte osservato, l’«elemento conservatore non è originariamente creativo, bensì “reattivo”, nel senso che diviene cosciente di sé solo come antitesi (e cioè come antitesi al nuovo), ed è creativo solo in questa forma» (2).


    Concezione dell’uomo

    Una conferma del fatto che il conservatorismo sia, più che un movimento, un “contromovimento” la troviamo già a proposito della concezione antropologica: «I conservatori ritengono che la natura umana non sia perfettibile (in questo senso si differenziano da vari socialisti) e che non sia assolutamente in grado di evolversi (e qui prendono le distanze dalla maggioranza dei liberali) poiché non esistono linee guida che indichino alla gente quale direzione prendere. La storia è un processo di accumulazione che non fornisce alcuna chiave per il futuro, e può essere interpretata solo retrospettivamente» (3).
    Impercettibilità e staticità dell’uomo, quindi; destinato a restare quello che lo sguardo “realista”, senza illusioni retoriche né moralistiche, dovrebbe francamente ammettere: egoista, condizionato da impulsi irrazionali, intraprendente, competitivo.


    Concezione della società

    Coerentemente con la concezione antropologica, la società viene considerata come un insieme gerarchico di individui differenti ed ineguali: la sua struttura è sostanzialmente immodificabile perché dipende non dalle scelte degli uomini, quanto piuttosto da fattori (la volontà di Dio, le leggi della biologia, le forze anonime della storia…) che le precedono e le trascendono.
    Tra queste leggi particolare rilevanza è stata riconosciuta al darwinismo sociale e all’evoluzionismo di Spencer: «Sia chiaro che siamo di fronte a due alternative: libertà, disuguaglianza, sopravvivenza del più adatto. La prima fa progredire la società e ne favorisce i suoi membri migliori» (4).
    L’individualismo tendenziale viene corretto da due categorie ritenute imprescindibili: la famiglia (all’interno della quale vige una precisa differenziazione di ruoli tra genitori e figli e tra maschi e femmine) e la Patria (di cui salvaguardare l’ordine rispetto ai possibili sovvertitori interni e la sicurezza rispetto a reali o presunti nemici esterni).


    Concezione dello Stato

    Sin dai tempi di Burke (fine del Settecento) si può riscontrare nel filone conservatore la tendenza a considerare lo Stato non come un sistema di istituzioni finite e cangianti, bensì come un organismo “misterioso” la cui essenza trascende le decisioni mutevoli delle generazioni di cittadini che si succedono.
    Coerentemente, l’orientamento più frequente nella prospettiva conservatrice è di rispettare lo Stato come forma concreta di autorità, garanzia di continuità storica e freno nei confronti delle innovazioni sociali. Ma neppure su questo punto i conservatori cedono alla tentazione del dogmatismo o della semplice fedeltà ai principi acquisiti: come osservava nel 1978 un politologo, «in passato, i conservatori “complottavano” a favore dello stato e contro il laissez faire; oggi “complottano” contro lo stato e a favore dell’individuo. Tanto ieri quanto oggi lo scopo del loro “complottare” è raggiungere un equilibrio» (5).


    Concezione dell’economia

    Questo equilibrio in economia significa preservare da ogni ribaltamento la differenza – ritenuta naturale e dunque raccomandabile – fra chi possiede (ed è dunque anche incline a governare con saggezza e prudenza) e chi non possiede (ed è dunque tendenzialmente irresponsabile nelle scelte di carattere pubblico): «la sorte dei poveri non è, in quanto tale, un oggetto conveniente di commiserazione, ma è la forma normale dell’esistenza umana» (6).
    In termini equivalenti questo significa salvaguardare il diritto alla proprietà privata ritenuto sacro ed inviolabile come il diritto alla vita e alla procreazione. Sui dettagli tecnici il conservatorismo dimostra elasticità e pragmatismo, ma un filo conduttore costante è ravvisabile nell’assoluta separazione dell’economia da qualsivoglia considerazione etica: la legge della domanda e dell’offerta regola i guadagni al punto che «l’etica è del tutto ininfluente; il merito è insignificante; il valore pecuniario degli sforzi è determinato da cause economiche che non hanno niente a che vedere con l’etica» (7). E’ dunque assurdo appellarsi a ragioni etiche per una politica redistributiva della ricchezza su base di servizi sociali prestati o di sofferenze patite: «Rifiutarsi di prestare aiuto ai meritevoli o a coloro che soffrono, per quanto crudele o comunque ingrato non è ingiusto» (8).
    In questa logica, i conservatori abitualmente si battono per una riduzione al minimo delle tasse, per l’ereditarietà della proprietà, per l’incentivazione dei profitti (specie sotto forma di azionariato), per la privatizzazione delle industrie e dei servizi. Un discorso a parte va fatto per il giudizio sul Welfare State (Stato sociale): da promuovere nei periodi in cui può assopire la lotta sociale e spuntare le armi ai sindacati e alle forze progressiste, da combattere come burocratico ed inefficiente nei periodi in cui il quadro internazionale pone i capitalisti in posizione di forza rispetto ai lavoratori.


    Concezione dell’educazione

    Educare ai valori della libera iniziativa, della competizione e della tradizione (religiosa e civile) non è tanto un’opera di condizionamento, quanto di de-condizionamento: non si tratta, in altri termini, di modificare con la cultura la natura umana, ma di lasciare emergere quest’ultima nella sua struttura immutabile preservandola da illusioni rivoluzionarie.
    La pedagogia conservatrice è orientata al “concreto”, nel doppio senso di privilegiamento dell’«ambiente immediato nel quale si è posti» (la famiglia, la comunità locale, il contesto socio-economico) e di «rifiuto radicale del regno del “possibile” e dello “speculativo”» (9). Questo appello al “concreto” acquista spesso i connotati del relativismo scettico: come ha spiegato un pensatore italiano nel tentativo di fondare la legittimità dell’autorità su basi realistiche, «lo scetticismo non è […] “la filosofia della rivoluzione” ma piuttosto “la filosofia della conservazione”, sebbene conservazione di qualunque ordine e introduzione di qualunque autorità”» (10).
    Proprio quest’ultima considerazione chiarisce perché la pedagogia conservatrice sia anche, essenzialmente, “autoritaria”: non punta sulla creatività e sul senso critico degli alunni (che, se si illudessero di capire nuove verità, finirebbero con l’introdurre conflitti interpersonali e con lo scompaginare l’ordine sociale), ma sulle virtù etiche (diligenza, lealtà, laboriosità, puntualità… e, soprattutto, obbedienza come accettazione grata e convinta di un principio-guida al di sopra delle oscurità e delle incertezze della ragione umana).


    Concezione della religione

    Le religioni in generale, e quella cristiana in particolare, sono state storicamente ambivalenti: per certi versi innovative e pericolose dal punto di vista dei poteri costituiti e degli interessi consolidati, per altri versi alleate del trono e fattori di assopimento delle rivendicazioni sociali da parte degli sfruttati. Ovviamente il conservatorismo come ideologia politica cerca di reprimere le manifestazioni religiose quando si orientano nel primo senso e di interagire collaborativamente in caso contrario. Nell’Occidente – in prevalenza, almeno ufficialmente, cristiano -, in concreto, questa interazione implica sia una richiesta di aiuto che un’offerta di favori. Da una parte, infatti, i conservatori ricorrono ad argomenti «telogico-mistici, o comunque trascendenti» per legittimare il loro potere sociale e politico (11); in cambio, poi, assicurano protezione alle istituzioni ecclesiali più “ortodosse” che possano contrastare le “eresie” e i “pruriti di novità”; incrementare una lettura “fondamentalista” della Bibbia che si attiene alla “lettera” dei Testi – ritenendola vincolante anche in campo scientifico – ed evita le attualizzazioni interpretative; favorire una spiritualità intimistica e soprannaturalistica centrata sulla “salvezza delle anime” individuali più che sull’instaurazione del “regno di Dio” in terra.



    Note:

    (1) M. Oakeshott, Rationalism in Politics, London 1967, p. 169, cit. in M. Freeden, Ideologie, cit., pp. 432-433.
    (2) K. Mannheim, Conservatorismo. Nascita e sviluppo del pensiero conservatore, Laterza, Roma-Bari 1989, p.99.
    (3) M. Freeden, Ideologie, cit., p. 435.
    (4) La frase, molto citata, di G.M. Sumner è riportata anche in M. Freeden, Ideologie, cit., p. 475.
    (5) I. Gilmour, Inside Right: A Study of Conservatorism, London 1978, p. 109, cit. in M. Freeden, Ideologie, cit., p. 445.
    (6) W.H. Mallock, Classes and Masses, London 1986, p. 40, cit. in M. Freeden, Ideologie, cit., p. 457.
    (7) H. Cecil, Conservatorism, London 1912, p. 124, cit. in M. Freeden, Ideologie, cit., p. 466.
    (8) H. Cecil, Conservatorism, London 1912, pp. 174 - 175, cit. in M. Freeden, Ideologie, cit., p. 468. «Non è vero che il diritto di un uomo povero di ricevere l’aiuto statale per sottrarsi ad una condizione di necessità possa essere messo sullo stesso piano del diritto che l’uomo ricco ha di poter godere indisturbato delle proprie fortune». (H. Cecil, Conservatorism, London 1912, pp. 196 - 197, cit. in M. Freeden, Ideologie, cit., p. 468).
    (9) K. Mannheim, Conservatorismo, cit., p. 106.
    (10) G. Rensi, La filosofia dell’autorità, Sandron, Palermo 1920, p. 235.
    (11) K. Mannheim, Conservatorismo, cit., p. 68. Subito dopo si legge: «L’argomento del “potere per grazia di Dio” appartiene al patrimonio costante del pensiero conservatore, anche quando esso è diventato panteistico».



    Tratto da: Le ideologie del Novecento, di Augusto Cavadi, Rubbettino, pp. 61 - 64
    Ultima modifica di Florian; 23-05-10 alle 15:11
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