Wikileaks, la verità americana
"Silvio, un leader inaffidabile"
Mai avevamo saputo così tanto e così presto quello che gli Stati Uniti pensano di noi. L'ambasciata descrive Letta e Frattini "sgomenti davanti alla raffica di berlusconismi...". "È il portavoce di Vladimir. Il suo desiderio è rimanere nelle grazie del russo". L'avvertimento a Obama: "È inetto, vanitoso, incapace come statista europeo moderno"
dal nostro corrispondente FEDERICO RAMPINI

Wikileaks, la verità americana "Silvio, un leader inaffidabile" Uno dei cablo era indirizzato al presidente Usa Barack Obama
NEW YORK - Due Amministrazioni Usa, George Bush e Barack Obama, due ambasciatori in Italia, un repubblicano e un democratico. Cinque anni di comunicazioni dall'Ambasciata americana di Roma al Dipartimento di Stato. Mai avevamo saputo così tanto e così presto, su quello che l'America pensa di noi. A una settimana dall'avvio del ciclone WikiLeaks, i rapporti Italia-Usa e soprattutto la posizione di Washington su Silvio Berlusconi sono messi a nudo da 3.012 dispacci confidenziali. Un pezzo di storia contemporanea disvelato senza censure, senza il velo delle cortesie diplomatiche.

Il linguaggio è così crudo che questa settimana Hillary Clinton ha già fatto opera di ricucitura, elogiando l'alleanza tra i due paesi al vertice nel Kazakistan. È la stessa attenzione per un'amicizia strategica dimostrata dal precedente ambasciatore, Ronald Spogli ("la relazione tra Stati Uniti e Italia è eccellente, una cooperazione formidabile su molti fronti") prima di aggiungere: "Sfortunatamente gli sforzi di Berlusconi per aggiustare in proprio le relazioni tra Occidente e Russia minano la sua credibilità e sono un vero disturbo per i nostri rapporti".

Spogli è l'uomo di Bush a Roma per ben quattro anni. Viene dall'alta finanza (è co-fondatore di una società di private equity), solido conservatore, al suo insediamento nel 2005 parte con un opinione favorevole su Berlusconi. Al punto da appoggiare presso la Casa Bianca l'insistente richiesta del premier italiano
che vuole un supporto da Washington in vista delle elezioni del 2006 (poi vinte da Romano Prodi). In un dispaccio "secret" del 26 ottobre 2005 dal titolo lusinghiero ("Il più forte alleato dell'Europa continentale") l'ambasciatore Usa riferisce che Berlusconi vuole essere ricevuto da Bush e poi fare un discorso al Congresso americano "per aumentare le sue chance di essere rieletto". A Washington, spiega Spogli, Berlusconi vuole andare ad accreditarsi come più filo-americano di Prodi "in una fase in cui il premier è sotto di otto punti nei sondaggi e con il suo governo l'economia ristagna".

Il tono è irriconoscibile nel dispaccio che lo stesso Spogli invia due anni e dieci mesi dopo. È il 12 agosto 2008, l'ambasciatore prepara la visita in Italia del vicepresidente Dick Cheney. Un altro superconservatore, pregiudizialmente favorevole a un leader di destra come Berlusconi (nel frattempo tornato al governo). Spogli ora sente di dover mettere in guardia Cheney. Anzitutto sull'Iran dove "l'aderenza dell'Italia alle sanzioni Onu è complicata dagli interessi commerciali". Ma soprattutto c'è nel dialogo tra Washington e Roma il macigno-Putin. "Se in passato l'esistenza di un forte partito comunista in Italia ha dato alla Russia un livello d'influenza mai visto in altri paesi dell'Europa occidentale - scrive l'ambasciatore al vicepresidente - di recente il motore della relazione è il rapporto personale tra Berlusconi e Putin, basato su rispettivi interessi commerciali e la preferenza che Berlusconi ha per i leader dal polso duro". Sul dossier del gas: "Le azioni dell'Eni - avverte Spogli - stanno rafforzando la presa della Russia sugli approvvigionamenti energetici di tutta l'Europa occidentale".

La situazione si distende nei dispacci successivi, grazie all'invio di carabinieri italiani in Afghanistan, e alle uscite filo-israeliane del ministro degli Esteri Franco Frattini, registrate dall'ambasciata Usa con toni compiaciuti.
Poi la diffidenza riesplode, in maniera ancora più acuta. La ragione è sempre Putin. Stavolta i sospetti diventano gravi. E fanno la comparsa le "gole profonde" nell'entourage di Berlusconi. E' il 15 novembre 2008, quando dall'ambasciata di Via Veneto parte un rapporto allarmato. Tre giorni prima il premier italiano ha dato spettacolo a una conferenza stampa in Turchia. "Ha accusato gli Stati Uniti di avere provocato la Russia con il riconoscimento del Kosovo, lo scudo anti-missili, l'invito a Ucraina e Georgia ad avvicinarsi alla Nato".

Il rapporto al Dipartimento di Stato indica che siamo "al culmine di un'escalation di commenti incendiari e dannosi a favore della Russia da quando Berlusconi è tornato al governo". L'ambasciata descrive Gianni Letta e Frattini "sgomenti davanti all'ultima raffica di berlusconismi (sic)". I fedelissimi del premier confidano alla diplomazia americana: "Non ci ascolta, sulla Russia fa da solo". Il dispaccio segreto raccoglie per la prima volta questo elemento nuovo: "Molti suoi collaboratori sospettano che Berlusconi e i suoi accoliti abbiano rapporti di guadagno personale con l'interlocutore russo".

Le ragioni della profonda sfiducia americana vengono ricapitolate in una lunga relazione a firma Spogli. E' il rapporto più approfondito di tutti, un bilancio finale prima che l'ambasciatore repubblicano lasci la sede di Roma. Data: 26 gennaio 2009. Le imprevedibili uscite di Berlusconi vengono spiegate col fatto che il premier italiano "desidera essere visto come un attore importante nella politica estera europea". L'ambasciatore torna a insistere sul tema della "torbida connection Berlusconi-Putin" e le fonti su "profitti personali". Appare Valentino Valentini come agente nell'ombra, che a Mosca cura gli interessi personali del premier. Spogli avverte il nuovo presidente degli Stati Uniti, Obama, che Berlusconi vorrebbe addirittura "educare il giovane ed inesperto leader americano" sui rapporti con la Russia. Che Obama stia in guardia, scrive l'ambasciatore: "Berlusconi cercherà di promuovere gli interessi della Russia". Qui spunta quella definizione feroce: "E' il portavoce di Putin. Il suo desiderio dominante è rimanere nelle grazie del russo".

Nell'interregno tra i due ambasciatori americani, la sede di Via Veneto è guidata da Elizabeth Dibble, la più alta diplomatica di carriera (oggi promossa a Washington come capo di tutta la sezione europea al Dipartimento di Stato). È quella che Berlusconi definirà "funzionaria di terzo grado" dopo il ciclone-WikiLeaks. La Dibble viene sollecitata direttamente da Hillary Clinton, che il 9 giugno 2009 sull'asse preferenziale con Putin le manda a chiedere: "Cambierebbero le cose se Berlusconi non fosse più il premier?".

E' la Dibble a preparare l'arrivo di Obama in Italia per il G8 dell'Aquila. L'ambasciatrice vicaria mette in guardia il suo presidente: Berlusconi è "inetto, vanitoso, incapace come leader europeo moderno". Avere a che fare con lui, ammonisce l'alta diplomatica, "richiede molta prudenza". Nessuno a Via Veneto né tantomeno a Washington ha dato importanza alla celebre gaffe di Berlusconi su Obama "abbronzato". I problemi sono più seri. Gli americani sospettano che dietro la sistematica azione filo-russa del presidente del Consiglio ci siano motivazioni extra-politiche. Di un alleato storico come l'Italia, preoccupa questa gigantesca zona d'ombra su ciò che guida la nostra politica estera.

E' datato il 27 ottobre 2009 il primo rapporto importante a firma del nuovo ambasciatore, il democratico David Thorne. Bostoniano, legato alla tradizione liberal kennedyana, cognato di John Kerry che presiede la commissione Esteri del Senato. Thorne dipinge una fase che ha tutti i sintomi del disfacimento. Il titolo del suo rapporto segreto al Dipartimento di Stato è esplicito: "Gli scandali pesano sulla salute fisica e sulla forza politica di Berlusconi". E' ancora Gianni Letta, stavolta insieme a Giampiero Cantoni, a descrivere a Thorne un premier "fiaccato dai party notturni, senza energie, con esami medici disastrosi". (L'ambasciatore lo vedrà poi assopirsi durante un loro incontro). E' preoccupato di dover restituire 750 milioni per la sentenza sul Lodo Mondadori. E' assillato dal costo del divorzio da Veronica Lario. Lo preoccupa la sentenza del processo per mafia a Dell'Utri.

Thorne descrive "la paranoia dei complotti, l'idea che contro di lui stiano congiurando Confindustria, servizi segreti, Vaticano, Stati Uniti". Racconta l'offesa del vertice cancellato col re di Giordania perché Berlusconi "è andato a un party privato nella dacia di Putin, a festeggiare il suo compleanno, forse per sfuggire alla curiosità dei paparazzi attorno ai suoi party italiani". E' un quadro da Basso Impero, che Thorne completa però con un'avvertenza a Washington: non bisogna mai sottovalutare la capacità di sopravvivenza politica di Berlusconi. All'inizio di quest'anno (28 gennaio 2010) è la Clinton a tornare alla carica, stavolta premendo sulle due ambasciate Usa di Roma e Mosca: su Berlusconi e Putin chiede più indagini, vuole sapere "quali investimenti personali hanno, che possono guidare le loro scelte politiche".

Nel dopo-WikiLeaks è la diplomazia americana sulla difensiva. La Clinton è impegnata nel defatigante "apology tour", la tournée mondiale per chiedere scusa a tutti. Ma per nessun altro capo di governo di una democrazia occidentale, partner della Nato, i messaggi segreti della diplomazia americana hanno un carattere così esplosivo. Per Nicolas Sarkozy o Angela Merkel, sia pure oggetti di ritratti personali graffianti, non c'è ombra di quel sospetto gigantesco che incombe su tutta la politica estera italiana: di essere stata catturata nel rapporto ambiguo e inquietante fra una coppia di leader molto speciali.

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