L’assassinio di Yara, la strage dei ciclisti e il diritto.
Vi è certezza per il delitto, ma il castigo non c’è perché la sanzione e il suo significato sono piombati nella manipolazione


La cronaca è sempre maestra di vita. I fatti comandano e guidano la nostra agenda, ci offrono spesso impietosamente la fotografia dell’Italia presente e proiettano l'immagine di quel che sarà in futuro. Prendiamo un paio di eventi tragici, apparentemente scollegati, proviamo a unire i puntini di queste storie, e cerchiamo il filo rosso che emerge dalla quotidianità, il senso e soprattutto il controsenso di ciò che viviamo. È uno snodarsi di storie che si può riassumere con il titolo «Delitto e castigo». Dove il delitto è quello che la cronaca ci mette davanti agli occhi nella sua scarna e assurda verità e il castigo è un insieme di desideri, norme e comportamenti che sempre più spesso non si realizzano o addirittura entrano in rotta di collisione. Vi è certezza per il delitto, ma il castigo non c’è perché la sanzione e il suo significato sono piombati nell’incertezza, nella manipolazione e - va detto, a costo anche di esser ruvidi - nella cattiva coscienza di tanti che la vogliono applicata solo per gli altri.


Primo fatto
Una ragazzina di tredici anni, Yara Gambirasio, scompare a Brembate di Sopra, in provincia di Bergamo il 26 novembre scorso. Poco più che una bimba, buoni voti a scuola, successi nella ginnastica artistica, ottima famiglia e nessun reale motivo per sparire. Dopo poche ore si capisce che può esser accaduto quel che nessuno vuole pensare come destino del proprio figlio. L’altro ieri notte le indagini ci scaraventano in faccia una realtà durissima: Yara è stata uccisa. Il sospettato numero uno è un marocchino fermato su una nave diretta a Tangeri. Stava scappando.


Nega di esser stato lui a uccidere Yara, «che Allah mi perdoni, ma non l’ho uccisa io» ha detto quando l’hanno arrestato. Forse ha un complice. Vedremo l’epilogo di questa storia da brivido che viene raccontata alla pagina 4 del nostro giornale da Giuseppe Sanzotta. Qui registro solo che a Brembate nel frattempo spuntano come funghi cartelli contro gli stranieri: «Marocchini fuori da Bergamo»; «Occhio per occhio dente per dente», «Fuori marocchini e albanesi dalla Padania». Disintegrazione totale. Tutto questo accade mentre il Palazzo è chiuso per inspiegabili motivi e i cittadini si chiedono semplicemente come si possa predicare l’apertura delle frontiere senza una visione dell’immigrazione che sposi l’accoglienza, il lavoro e il rispetto della legge?


Secondo fatto
Un gruppo di ciclisti sta compiendo la sua corsa domenicale per le strade vicino a Lamezia Terme. Improvvisamente un’auto travolge il gruppo. Crash. Una carneficina. Vite spezzate. Alla guida dell’auto c’è un marocchino di 21 anni. Al suo fianco c’è un bimbo di 8 anni, il nipotino. L’uomo al volante è un immigrato regolare, residente a Gizzera, in provincia di Catanzaro. Drogato e con la patente sospesa da sette mesi a causa di un sorpasso azzardato. Ma era ugualmente alla guida di una Mercedes. Come racconta il nostro Federico Guiglia a pagina 4, siamo di fronte a una regola calpestata e a una conseguenza immediata. Siamo al cospetto di un altro fatto che semina sfiducia e rabbia. Altra disintegrazione.


Terzo fatto
A Montesilvano, in provincia di Pescara, una cittadina di oltre 50mila abitanti con un tasso di immigrazione elevatissimo, dove è forte la presenza di cinesi e i problemi con il racket della prostituzione sono crescenti, l’esponente politico di un partito di estrema destra, Forza Nuova, ha deciso di distribuire aiuti ai poveri. Ma solo agli italiani e non agli stranieri, non importa se comunitari o meno. La sua iniziativa è stata commentata negativamente dalle istituzioni, ma il motto «ognuno regala da mangiare a chi vuole» è diventato popolare. Invece di indignarsi e strillare, occorre chiedersi dove si è sbagliato finora, perché a Montesilvano s’è creata una simile situazione, come mai la convivenza sociale è a rischio e quali sono le soluzioni possibili. Pratiche e non voli pindarici che forse vanno bene per fare sociologia ma non per mettere al sicuro la pace di una comunità.


Quarto fatto
Roma, prima domenica di dicembre. Le vie del centro sono piene di cittadini in giro per lo shopping. Se la crisi c’è, qui non si vede. Le file nei negozi sono già imponenti. La caccia ai regali si è aperta con almeno una settimana di anticipo rispetto alla tradizionale scadenza del ponte dell’Immacolata. La Capitale offre un’immagine di benessere che parla da sola. Bastano le immagini che pubblichiamo qui in cronaca su Il Tempo. Il rito del dono ai propri cari e agli amici è partito. Sono gli stessi italiani che guardano con apprensione quanto accade nel Paese, osservano i fatti. Alcuni fanno spallucce e non si curano troppo del presente, altri - soprattutto chi ha figli - si interrogano sul futuro, sul modello di Paese, sulle regole infrante, sui suoi egoismi, sull’immigrazione trattata come terreno di lotta politica e non invece problema da governare, sulla classe dirigente che apre crisi di governo inspiegabili, sull’assenza di visione dell’Italia per i prossimi vent’anni e sul delitto che sempre più resta senza castigo.


Prima lezione
La paura dello straniero nel nostro Paese è grande e questi fatti la moltiplicano. Le reazioni innescate dall’omicidio della piccola Yara sono il picco sismosgrafico di una convivenza sempre più difficile tra immigrati (regolari e non) e italiani. La competizione globale sul mercato del lavoro, le condizioni materiali della nostra esistenza in un’Europa percorsa dalla crisi del debito sovrano si faranno sentire. La politica di integrazione mostra dei limiti. Eppure nel Vecchio Continente l’Italia è uno degli Stati che non svetta per numero di immigrati. Ma queste cifre sono destinate a salire per gli eventi storici inarrestabili e per la nostra crescita demografica pari a zero. Gli italiani non fanno figli e e soprattutto non vogliono più fare certi lavori. Questo almeno fino a oggi, probabilmente molti lavoratori espulsi dal mercato più ricco presto cercheranno occupazione anche nei settori fino a ieri non desiderati. La tensione senza un disegno concreto è destinata a salire.


Seconda lezione
Il rispetto delle regole in Italia è calpestato fin dal basso. E gli immigrati non fanno eccezione, anzi. Per le strade del Paese continuano a circolare uomini e donne che non potrebbero stare al volante di un’auto, non rispettano i limiti di velocità, non si rendono conto che possono spezzare la vita di persone inermi, distruggere famiglie, creare lutto e dolore. Un fatto tragico e semplice nella sua atrocità, mette in evidenza come l’integrazione dello straniero non può che partire dal rispetto della legge dello Stato e dei suoi usi e costumi. Gli italiani non sono xenofobi, noi stessi nella storia siamo stati immigrati e sappiamo cosa significhi uscire dalla miseria e andare a cercare lavoro. Gli italiani per primi devono cambiare marcia e cominciare a rendersi conto che la legalità - sopratttutto nel Meridione - è il primo requisito da onorare quando si fa parte di una comunità.


Terza lezione
L’esempio di Montesilvano è minuscolo, ma dipinge bene cosa sta accadendo in gran parte del Paese. E non è solo un problema che riguarda il rapporto tra italiani e stranieri. Quando nell’ottobre del 2009 un intero paese, Giampielieri, in provincia di Messina venne travolto dalla frana di una montagna, i meccanismi di aiuto che spesso scattano di fronte a queste tragedie non si mossero. Il Nord aveva deciso che quegli italiani non meritavano solidarietà perché l’intero paese era stato costruito abusivamente. Nessuno aveva rispettato la legge e questa realtà diffusa nel Paese sta spezzando il patto di solidarietà tra cittadino e Stato e tra gli stessi italiani che vivono e condividono le sorti del Paese.


Quarta lezione
Si sta avvicinando il Santo Natale. Le nostre radici - anche quelle dei laicisti più duri e puri - sono quelle cristiane dell’Europa e Roma è la culla di quella cultura e civiltà. Dobbiamo ricordare che questo è il momento in cui bisogna guardarsi dentro, cercare un senso non solo materiale per la nostra esistenza. La Chiesa resta un punto di riferimento imprescindibile, un esempio che funziona ancora, come spiega Raffaele Iannuzzi in queste pagine.
Delitto e castigo all'italiana



A dispetto di quel che predicano i catastrofisti a senso unico, l’Italia è un Paese ricco. Non so per quanto lo saremo ancora, dobbiamo esser capaci di cogliere le sfide della modernità, ma il nostro risparmio privato è forte e perfino quel male che è l’evasione fiscale - cosa che nessuno dichiara apertamente ma questa è la realtà - ci ha aiutato finora a sostenere i consumi, fattore necessario per mandare avanti la baracca. Tutto questo però non è eterno, i segnali di erosione ci sono tutti e il sistema sociale basato sulla creazione di debito pubblico è finito. Milioni di uomini e donne premono alle frontiere dell’Occidente. L’Europa è a un punto di svolta. L’Italia deve decidere se stare nel gruppo dei Paesi che guidano la corsa, rispettare e far rispettare le regole, oppure pensare di continuare così e arrendersi. Quei fatti, prima o poi, senza una soluzione e un disegno del futuro, saranno un macigno per tutti, un altro delitto senza castigo.

Mario Sechi

06/12/2010


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