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    Predefinito La Cittadella 40 - Omaggio a Pio Filippani Ronconi -

    Da oggi disponibile il numero 40 de 'La Cittadella'.

    La rivista può essere ordinata inviando un messaggio di posta elettronica a lacittadella@email.it.

    A seguire il sommario:



    LA CITTADELLA

    Quaderni di studi storici e tradizionali romano-italici

    Anno X, nuova serie, n° 40, MMDCCLXIII a.U.c., ottobre-dicembre 2010 e.v.



    Sommario

    Editoriale / Il Sapiente Pio, Sandro Consolato

    Auctores / Upanisad: Come comportarsi (a cura di Sandro Consolato)

    Testimone della memoria, Enrico Montanari

    Pio Filippani Ronconi, un unicum, Marco Allasia

    Pio Filippani: un ritratto, Alfonso Piscitelli

    Agní-Ignis. Metafisica del Fuoco Sacro, Pio Filippani Ronconi

    Zarathustra e la Via dell’anima cosciente nella lettura di Pio Filippani Ronconi, Stefano Arcella

    Così parlò Zarathustra secondo Pio Filippani Ronconi, Alfonso Piscitelli

    Tradizione e ‘tradizionalismi’. Le non-vie degli incapaci, Pio Filippani Ronconi

    Pio Filippani Ronconi e l’“Isola Iniziatica”. Memorie siciliane, Roberto Incardona

    Pio Filippani Ronconi, l’Italia e gli Italiani, Sandro Consolato

    Consigli per la vita militare di Pio Filippani Ronconi, a cura di Alfonso Piscitelli

    Le radici storiche e culturali dell’Arditismo, Pio Filippani Ronconi

    Rassegna libraria (a cura di Mario Giannitrapani)



    La Cittadella tradizione romano-italica • Leggi argomento - La Cittadella 40

  2. #2
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    Predefinito Rif: La Cittadella 40 - Omaggio a Pio Filippani Ronconi -

    Pio Filippani Ronconi: la via della spada e della penna.

  3. #3
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    Predefinito Rif: La Cittadella 40 - Omaggio a Pio Filippani Ronconi -

    ***** EDITORIALE *****

    IL SAPIENTE PIO


    L’11 febbraio del 2010, nella sua casa romana di un Viale che non poteva che chiamarsi Asia, Pio Filippani Ronconi, visitato dalla francescana “sora nostra Morte corporale”, giungeva al “compimento della [sua] vita perfetta” (la bella e veritiera espressione la dobbiamo ad Alfonso Piscitelli).
    Tale “vita perfetta” era iniziata a Madrid il 10 marzo del 1920 ed era stata una eccezionale vita di studi, avventure, viaggi, esperienze spirituali. Nel mentre, giovanissimo, si dedicava ad un personale cammino interiore sulla scia delle letture e degli incontri con personalità come quelle di Julius Evola prima e dell’antroposofo Giovanni Colazza poi, iniziava quello studio delle lingue e delle religioni orientali tanto intenso e vasto quanto facilitato da una straordinaria predisposizione, che, dopo la parentesi avventurosa e drammatica della partecipazione alla seconda guerra mondiale (fronte libico prima e ‘battaglia per Roma’, sul fronte di Anzio-Nettuno, dopo l’8 settembre), doveva portarlo ad una brillante carriera universitaria, onorando l’orientalistica italiana con il suo insegnamento di Storia del pensiero cinese, quindi di Religioni e filosofie dell’India, e anche di Sanscrito, presso l’Istituto Universitario Orientale di Napoli.
    Pio Filippani Ronconi è stato, nell’Italia del Novecento, una figura di uomo e di intellettuale in cui ben si sarebbe potuto riconoscere un Genio del nostro Rinascimento, con tutti i caratteri dell’‘uomo universale’. Era infatti un perfetto gentiluomo e lo era naturaliter; era un uomo d’arme e lo era con coraggio illuminato; era uno studioso e, benché avesse le sue precise specializzazioni, in cui eccelleva, mostrava una conoscenza sconfinata che copriva non solo tutte le religioni del globo ed un inverosimile numero di lingue, ma pure saperi molto lontani da tali domini; era, infine, ma in verità in primis, un ‘Sapiente’, un uomo che aveva cercato il proprio Sé e lo aveva trovato. Ma il conte Filippani, proprio perché era un vero Sapiente, era anche, era soprattutto, un uomo buono, un uomo pius.
    La bontà del professore Pio la ricordano ancora i suoi allievi dell’“Orientale”, cui, così leggiamo in un ricordo in internet, egli regalava cioccolatini prima delle lezioni ma poi seri e severi consigli quali li sanno dare solo le persone davvero buone, ovvero le persone che non ti lasciano mai così come ti hanno trovato, tacendoti per ‘buonismo’ i lati del tuo carattere e del tuo sapere che devi migliorare. E questa bontà, anche fuori dell’Università, la conobbero molti giovani, di diverse generazioni, che si rivolsero a lui per averne insegnamenti e suggerimenti per la propria vita spirituale, e a cui egli mai negò il suo tempo, mai rifiutò la sua illuminata parola. Tra questi ormai ex-giovani, anche coloro che hanno voluto realizzare il presente quaderno di omaggio a Pio Filippani Ronconi.
    Il Professore non solo volle onorare “La Cittadella” della sua collaborazione, acconsentendo a ripubblicare in essa (avendo egli negli anni del nuovo secolo iniziato ad avere difficoltà manuali nello scrivere) due suoi scritti apparsi in anni precedenti su altre pubblicazioni, ma ci disse espressamente – cosa che ci emozionò e ci emoziona ancora profondamente – che considerava la nostra rivista “la più importante degli ultimi tempi”, ammonendoci peraltro a conservare sempre uno stile sobrio e (così esattamente disse) “tacitiano”. Tale stile di sobrietà e di romanità “tacitiana” speriamo di averlo in effetti fino ad oggi realizzato, e crediamo che anche nel dare il nostro saluto al Maestro e all’Amico spirituale si potrà notare la volontà di tenersi lontani da eccessi retorici e da luoghi comuni, così come da qualsivoglia tentativo di ‘appropriazione’ di una figura che sfuggì sempre ad ogni conformismo, ad ogni scolasticismo, ad ogni dogmatismo (noi rammentiamo ad es. perfettamente quando, ad un convegno cristiano-islamico svoltosi a Trento nel 1989, il Professore, ben sapendo di essere udito in sala da islamici ultraortodossi, rese omaggio spirituale ad Alessandro Bausani, la cui traduzione italiana del Corano è a quelli sgradita poiché Bausani era di fede bahá’í).
    Ricordano qui il professor Pio Filippani Ronconi un suo collega, Enrico Montanari, storico delle religioni della “Sapienza” di Roma e, soprattutto, anch’egli un uomo libero e un ricercatore dello Spirito, oltre che un testimone diretto di tanta parte della storia degli studi tradizionali in Italia; poi, insieme a chi firma queste righe, altri quattro ‘ex-giovani’ studiosi e pellegrini sulle vie che portano alla conoscenza interiore, le cui vite si sono incrociate, con modalità e con interessi tra loro anche diversi, ma mai non significativamente, con l’Uomo e con le Opere che qui si onorano: Marco Allasia (che poté in gioventù incontrare e seguire anche Massimo Scaligero), Stefano Arcella, Roberto Incardona, Alfonso Piscitelli, tutti già collaboratori di questa rivista e comunque noti quali autori di libri, articoli, conferenze su temi tradizionali, esoterici, religiosi. Ognuno degli scriventi ha scelto in totale libertà il tema da trattare e lo ha svolto altrettanto liberamente: alla direzione della rivista interessava solo la qualità dei contributi e la certezza che essi fossero lontani dal ‘già letto’, unendo il momento del ricordo e dell’omaggio ad elementi dottrinali e ad exempla tali da favorire nuove conoscenze e adeguate riflessioni.
    Tutto ciò che di e su Filippani Ronconi è stato in precedenza pubblicato su “La Cittadella” viene ora pure riproposto, pensando di fare cosa utile e gradita a molti lettori. Gli scritti del Professore sono quattro (uno però proveniente da una testata ‘tradizionalista’ abbastanza nota negli anni 70/80: “Solstitium”) e ci paiono coprire bene l’arco delle sue esperienze, delle sue conoscenze, della sua vita interiore e pubblica.
    Vi è l’indologo e il mirabile traduttore dal sanscrito, con una scelta dalle sue Upanisad, e con uno studio sul vedico Agní, che però è anche un testo ‘sapienziale’ e ‘pagano’, di guida per “il ritorno del Fuoco sacro in Occidente”; vi è il discepolo-amico di Massimo Scaligero che, nel mentre rivela il profondo conoscitore della gnosi e della religione dell’Islam, porta una critica radicale al ‘tradizionalismo’ e ai seguaci di ogni approccio fideistico e consolatorio al mondo della ‘Tradizione’; vi è il soldato, il veterano dell’ultima guerra mondiale (ricordiamo che è stato l’unico italiano a poter portare la sua testimonianza di combattente nel servizio televisivo Anzio e la battaglia per Roma trasmesso da “History Channel”) che spiega origini e significati profondi dell’arditismo. Il filo comune che lega tutto è però la visione sub specie interioritatis di ogni realtà e di ogni creazione che abbia per protagonista l’uomo; tale visione era quella che dava senso pieno ad ogni parola, pronunciata o scritta, di Filippani.
    Il quale, in un memorabile incontro del 1986 a Capo d’Orlando, rievocato anche in questo quaderno, disse alla nostra siciliana “Compagnia della Buona Morte” questa verità terribile: “…perché al di fuori del fascio di luce dei vostri pensieri con cui illuminate lo schermo di tenebra che sta di fronte a voi… non c’è nulla!”. E questo nostro omaggio al Sapiente Pio è dedicato a tutti coloro che, qualsiasi nome si siano dati o vorranno darsi, si sono fatti e si faranno guerrieri della Luce e non sacerdoti e devoti del Nulla, ovvero dell’Irreale elevato a suprema realtà.

    Sandro Consolato

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  5. #5
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    Pio Filippani Ronconi: Román Fiodórovic von Ungern-Sternberg


    Sessantasei anni fa, all’alba del 17 settembre 1921, cadeva fucilato a Novonikolajevsk, secondo altri a Verkhne-Udinsk, presso il confine mongolo, il comandante della divisione asiatica di cavalleria, barone Román Fiodórovic von Ungern-Sternberg, ultimo difensore della Mongolia “esterna” indipendente e della Siberia “bianca”. Con la morte del “Barone pazzo” nulla piú si opponeva al dilagare dell’esercito bolscevico di Blücher nell’Estremo Oriente siberiano e la fase guerreggiata della Rivoluzione si concludeva.

    L’effimera meteora del Barone e le disperate imprese della sua divisione non ebbero, in fondo, un effetto determinante su quest’ultimo scorcio della Guerra Civile, specialmente dopo il crollo dell’esercito bianco di Kolcak che, battuto il 14 novembre 1919 ad Omsk, aveva praticamente cessato di esistere. Invece, l’importanza del barone Ungern e del suo variopinto esercito, formato da Cosacchi della Trans-baikalia, da Buriati, Mongoli, volontari Tibetani e Guardie Bianche di ogni provenienza, era soprattutto di natura spirituale. Il Barone, religiosamente affiliato ad una corrente tantrica facente capo allo Hutuktu di Ta-Kuré e suo braccio militare durante l’anno in cui fu padrone della Mongolia esterna, aveva sin dal principio, cioè sin dalla conferenza panmongola di Cita del 25 febbraio 1919, dichiarato la sua intenzione di ristabilire la teocrazia lamaista nel cuore dell’Asia, «affinché da lí partisse la vasta liberazione del mondo». La controrivoluzione era per lui solo un pretesto per evocare sul piano terreno una gerarchia già attuata su quello invisibile. Questa gerarchia doveva proiettarsi su un mandala, un mesocosmo simbolico, il cui centro sarebbe stata la “Grande Mongolia”, comprendente, oltre alle sue due parti geografiche, l’immenso spazio che dal Baikal giunge allo Hsin-Kiang e al Tibet. Ivi, pensava, si sarebbe attuata la rigenerazione del mondo sotto il segno del Sovrano dell’agarttha (“inafferrabile”) Shambala, la “Terra degli Iniziati”, ove Zla-ba Bzan-po e i suoi 24 successivi eredi perpetuavano il segreto insegnamento del Kalacakra, la “Ruota del Tempo”, loro impartito dal Risvegliato 2500 anni fa.

    2500 anni è esattamente la metà del ciclo di 5000 che, secondo la tradizione, separa l’apparizione dell’ultimo Buddha terrestre, Gautama Sakyamuni, dall’avvento del successivo Maitreya, figura probabilmente mutuata dallo zoroastriano Mithra Saosyant, “Mithra il Salvatore” (difatti l’iconografia buddhista lo rappresenta tradizionalmente come un principe “seduto al modo barbarico”, cioè assiso all’europea). Lo stesso Hutuktu di Urga, che Ungern, liberandolo dai Cinesi, aveva ristabilito sul trono, terza autorità nella gerarchia lamaista dopo il Dalai Lama di Lhasa e il Panc’en Lama di Tashi-lhumpo, era teologicamente considerato quale proiezione fisica (sprul-sku) di Maitreya, prefigurazione, quindi, del Buddha venturo. Ungern, consapevole nonostante questa vittoria della sua fine imminente, si rendeva conto di trovarsi in un istante “apicale” del divenire della storia, come se fosse nel cavo fra due onde, un attimo prima che rovinino in basso. Pertanto, nel suo breve periodo di governo ad Urga (dal 2 febbraio all’11 luglio 1921) cercò di tramutare questo istante in un “periodo senza tempo” che permettesse allo Hutuktu di compiere la sua opera spirituale, liberandolo dalla pressione esterna dei due poteri che incombevano: la Cina dei “Signori della Guerra” dal Sud, e la valanga bolscevica che muoveva inarrestabile dal Nord, dalla Siberia.

    Erano tempi terribili in cui, piú che dal potere delle armi, gli eventi sembravano determinati da forze promananti da una sorta di magia infera. Coloro che furono testimoni degli sconvolgimenti determinati dalla Rivoluzione di Ottobre ricordano la spaventevole automaticità medianica con cui le “forze rivoluzionarie” demolivano le strutture della vita civile cosiddetta “borghese” e le vestigia dell’ordine antico. Le masse si coagulavano in quegli strati della società in cui maggiormente era assente il principio dell’“Io” autocosciente, fra i miseri, i vagabondi, gli allucinati sopravvissuti dai Laghi Masuri e dalle battaglie della Galizia, i fanatici, i tarati e tutti coloro per i quali la ferocia belluina era alimento quotidiano dell’anima. Ai rivoluzionari non si scampava: mossa come da un’ispirazione demoniaca, la “giustizia del popolo” colpiva infallantemente i nemici della Rivoluzione un momento prima che si muovessero. Il Terrore era guidato da una occulta saggezza che nulla aveva a che fare con la brillante intelligenza di coloro (Trockij, Kamenev, Zinoviev ecc.) che lo avevano scatenato e pensavano di dirigerlo: una saggezza che realmente promanava dall’elemento preindividuale della “massa”, come le forze fisico-chimiche che provocano un terremoto o la fuoriuscita della lava da un vulcano.

    Ungern chiaramente si rendeva conto di tutto ciò e, dalle sue conversazioni con l’ingegnere Ossendowski, già ministro delle Finanze nel governo di Kolcak, risulta evidente come egli cercasse di evocare misticamente il principio opposto, quello solare, che segnava il suo stendardo, riferendosi ad una cultura, quella tantrico-buddhista, che da due millenni lo coltivava. Soltanto che la sua ascesi personale non poteva diventare il mezzo strategico di vittoria per i suoi cinquemila cosacchi, russi sí, mistici forse, ma fatalmente appartenenti ad un mondo orientato verso un’esperienza dello Spirito volta al mondo sensibile esteriore. Nel suo Uomini, Bestie e Dèi, che è la narrazione della sua fuga dalla Siberia alla Mongolia, Ossendowski ci ha lasciato un’impressionante descrizione degli eventi, ma, molto di piú, dell’allucinata atmosfera che regnava sulla ufficialità che attorniava il Barone e fra le sue truppe, sottomesse da anni a spaventose fatiche e ad una disciplina rigidissima e, per giunta, consapevoli del disastro imminente. La narrazione dell’Ossendowski verrà in seguito aspramente criticata (fra gli altri dallo stesso Sven Hedin) per la parte riguardante i suoi viaggi fra gli Altai e la Zungaria. Resta, però, intatta la sua testimonianza sulla figura e sulle avventure del Barone e, soprattutto, sul senso “magico” del destino che ivi si compiva.

    Ricordo perfettamente la straordinaria impressione che suscitò nell’Europa distratta e frenetica degli anni Venti, anche fra i lettori piú materialisti e intenti negli affari contingenti, la relazione sul collegamento mistico fra lo Hutuktu, il Bodhisattva incarnato, il Barone Ungern e il Re del Mondo, presenza invisibile ma concretamente percepibile che conferiva un significato trascendente al sacrificio a cui i Cosacchi, il fiore dei popoli russi, andavano incontro. Questo motivo del “Re del Mondo” dette fuoco alle polveri di innumerevoli discussioni, specialmente fra coloro che si accorgevano che non si trattava di una invenzione letteraria. Fra gli altri, lo stesso René Guénon lo sottopose ad una critica serrata nel suo Le Roi du Monde, dimostrandone la fondatezza, in un’epoca in cui la Scienza orientalistica praticamente nulla sapeva del mito di re Chandra-bhadra (tib. Zlâ-ba Bzan-po) depositario di una sentenza segreta comunicatagli dal Buddha, e soprattutto ignorava la saga del suo Regnum spirituale, una specie del Castello del Graal, che storici e geografi si sono in seguito affannati a ricercare in vari luoghi del Tibet e della valle del Tarim in Asia Centrale: regno visibile solo agli Eletti, che però si renderà manifesto a tutti sotto il ventiquattresimo erede di Chandra-bhadra, quando la sapienza del Kalacakra emergerà per illuminare gli uomini circa la coincidenza della loro interiorità purificata e l’Universo degli archetipi.

    La leggenda di questo Barone baltico, di stirpe germanico-magiara che, rivestito della tunica gialla del lama sotto il mantello di ufficiale imperiale, e spiegando davanti agli squadroni lo stendardo mongolo, procede “nella direzione sbagliata”, verso Ovest anziché verso Est, ove chiaramente si sarebbe salvato, è tipicamente russa, ricollegandosi al motivo sacrificale della zértvjennost’ (“l’offrirsi come vittima”) per l’istaurazione del Figlio della Benedizione sulla Terra Madre, che in veste poetica era stata enunciata dallo stesso Solovjèv.

    Nell’ultimo rapporto ufficiale, tenuto ai princípi di agosto 1921, quando la divisione asiatica di cavalleria si trovava sul fiume Selenga intenta ad interrompere la Transiberiana fra Cita e Kiakhta, egli impartí l’ordine apparentemente assurdo di compiere la conversione verso Ovest, indi verso Sud, avendo come meta gli Altai e la Zungaria. In quella occasione disse esplicitamente al generale Rjesusín che si proponeva di raggiungere, attraverso lo Hsin Kiang cinese, niente di meno che la “fortezza spirituale tibetana”, ove rigenerare se stesso e i laceri resti della sua divisione. Assassinato il suo amico Borís la sera stessa dagli ufficiali in rivolta e morti gli ultimi fedeli, egli mosse solitario verso una direzione che non aveva piú rapporto con la realtà geografica del luogo e militare della situazione, nel postremo tentativo, non di salvare la vita, bensí di ricollegarsi prima di morire con il proprio principio metafisico: il Re del Mondo.

    La sua disperata migrazione verso il Sole che tramonta era in realtà un ultimo atto di culto verso la Luce che aveva sorretto le sue imprese. Trascorse la sua ultima notte di libertà nella yurta del calmucco Ja lama. Il Barone si avvide, forse, del significato del nome del suo ospite: Ja, abbreviazione in dialetto khalka del mongolo Jayagha, “fato”, “esistenza”, “destino”, karma. E il “fato” lo consegnerà la mattina seguente alle Guardie Rosse di Shentikín, il fiduciario di Blücher. Era il 21 agosto. Regolarmente processato nel sovjet di Novonikolayevsk, senza che gli venissero toccate le spalline e la croce di San Giorgio, viene accusato di “complotto anti-sovietico per portare al trono Mikhail Romanov, efferatezze ed assassinio di masse di lavoratori russi e cinesi”. Condannato, viene fucilato due giorni piú tardi.

    Nello stesso tempo, in un angolo della lontanissima Europa, nella Germania sconquassata del primo dopoguerra, il mito del Re del Mondo giungeva per vie misteriose a gruppi di giovani intellettuali, corroborando con il suo simbolo solare i nuovi meditatori del “Vril” e le assisi della Thule-Gesellschaft.

    Pio Filippani-Ronconi
    Ultima modifica di Marco d'Antiochia; 11-12-10 alle 22:12

  6. #6
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    Un libro bellissimo di Pio Filippani Ronconi

    ISMAELITI E "ASSASSINI"

    Un altro Suo testo

    http://www.bollatiboringhieri.it/sch...=9788833917979
    Ultima modifica di Marco d'Antiochia; 12-12-10 alle 11:34

  7. #7
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    Marco, cosa ne pensi della conversione di PFR al cristianesimo ortodosso? E' vero, come sostengono non pochi, che egli realtà fosse rimasto - nel profondo - "pagano"?

  8. #8
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    Citazione Originariamente Scritto da Giò91 Visualizza Messaggio
    Marco, cosa ne pensi della conversione di PFR al cristianesimo ortodosso? E' vero, come sostengono non pochi, che egli realtà fosse rimasto - nel profondo - "pagano"?
    Consiglio di leggere quanto ha scritto sua figlia sul gruppo di facebook a lui intitolato...
    Gli Arya seggono ancora al picco dell'avvoltoio.

  9. #9
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    Citazione Originariamente Scritto da Malaparte Visualizza Messaggio
    Consiglio di leggere quanto ha scritto sua figlia sul gruppo di facebook a lui intitolato...
    "non ha mai rinnegato ciò che ha fatto..., ma mai ha visto un merito nelle sue scelte. sicuramente adesso non è a fianco di Zeus, ma speriamo lo sia accanto al Cristo, suo riferimento filosofico e religioso."
    Ultima modifica di Imperium; 12-12-10 alle 16:04
    Se vuoi farti buono, pratica queste tre cose e tutto andrà bene: allegria, studio, pietà. (San Giovanni Bosco)

  10. #10
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    Citazione Originariamente Scritto da Giò91 Visualizza Messaggio
    Marco, cosa ne pensi della conversione di PFR al cristianesimo ortodosso? E' vero, come sostengono non pochi, che egli realtà fosse rimasto - nel profondo - "pagano"?
    Credo che l'eccezionalità del personaggio trascenda le vie personali di realizzazione. In ogni caso, non ho titolo per giudicare le scelte di Pio Filippani Ronconi.

 

 
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