...per la rivoluzione!

Se Berlusconi tro*verà dieci piccoli indiani disposti a lasciare la Tri*bù dei Risentiti che vivo*no solo per vendicarsi e boicottare, riuscirà a go*vernare fino alla fine del*la legislatura.
I dieci ri*convertiti non lo fareb*bero né per idealismo né per corruzione, ma per ragionevole oppor*tunismo, come già fece*ro passando con Fini perché non erano più garantiti nel listino bloc*cato.
Se poi Casini capi*rà che non sposando il rancore dei black broc di Fini ma aprendo al centrodestra potrà ere*ditarne la guida, tanto meglio, soprattutto per lui.
Altrimenti toccherà governare così, senza escludere il ricorso anti*cipato alle urne.

Mesi fa previdi che nella miglio*re delle ipotesi Fini sa*rebbe passato da vice di Berlusconi a vice di Ca*sini, in un cartello etero*geneo coi numeri della vecchia An.
Una bella carriera: da leader a se*guace, da statista a stagi*sta di Bocchino. Non è riuscito a seppellire Ber*lusconi, in compenso ha sepolto la destra.
Una prece.

Ora, per il bene del**l’Italia, dobbiamo augu*r*arci che il governo rien*tri nella piena facoltà di guidare il Paese.
Ma poi lo guidi sul serio.
Augu*rando lunga vita al go*verno e non lunga de*genza, vorrei però spo*stare l’attenzione sul do*po, invocando una svol*ta.
La leadership di Ber*lusconi è stata ancora una volta vincente sui numerosi avversari.
Ma intorno, diciamolo pu*re, c’è il deserto.
Non mi riferisco al governo che nel complesso appare una buona compagine. Dico il Pdl e la classe di*rigente.
E dico la politi*ca e i suoi contenuti.
Non cito, per carità di patria, la cultura. Il Re Sole brilla sempre più nel suo splendido isola*mento, poi ci sono i suoi devoti con l’insolazio*ne da re, e intorno la de*solazione.
Dalla sua par*te resta, e non è poco, un gran consenso di po*polo.
Ad eccezione del*la Conferenza episcopa*le, larga parte dei poteri che contano sono anco*ra ostili, ora magari in modo soft .

C’è da aprire una nuo*va stagione politica.
Che non vuol dire la campagna acquisti con la promessa di posti al governo.
E non vuol di*re nemmeno legge elet*torale, di cui sono auspi*cabili modifiche, ma sal*v*ando il premio di mag*gioranza.
Ma nuova sta*gione vuol dire pensare una linea politica, avvia*re vere selezioni di una classe dirigente, punta*re su nuove leadership.
Una nuova fase della po**litica e un nuovo stile, più sereno e più rigoro*so, eticamente respon*sabile.
Anche nei gior*nali è tempo di aprire una nuova fase, più so*bria e meno gridata, più pensante e meno militante.
Non si può rispondere al conformismo della stampa allineata con la rozzezza delle semplificazioni brutali.

So di esprimere una voce in dissenso, e lo faccio ora che la bufera è passata e gli sfascisti di vetrine politiche hanno sfasciato la loro stessa immagine riflessa nei vetri.
Ma un Paese non può tirare avanti affidandosi solo a un leader e alla sua promessa di campare 120 anni.
Deve avere il coraggio di puntare sull’Italia, sulle idee, sui contenuti, sulla selezione delle élite e di nuove guide per il futuro.
Allora davanti al popolo di centrodestra si aprono due ipotesi.
Una è quella di pensare che dopo la democrazia plebiscitaria tornerà la democrazia cristiana, diversamente nominata e rappresentata.
E allora la soluzione più pratica, che non piace a nessuno ma non spaventa nessuno, è Casini o qualcosa che gli somigli.
Soluzione minimalista, che avrebbe il vantaggio di abbassare i toni, svelenire il clima, a prezzo di un moderato ritorno alla partitocrazia, ai compromessi e ai patronati economici (password: Caltagirone).
Un Casini che sposi il Pdl, releghi Fini e Rutelli al rango di baronetti, notabili o vecchie zie nubili, e si accordi per governare con i Tremonti, i Letta e i Formigoni, riconoscendo il patrocinio a Berlusconi, dialogando con l’opposizione e stabilendo un patto con Bossi.
Soluzione ragionevole ma esaltante come un brodino.

L’altra ipotesi più alta e più difficile è ridare carne, anima e vita al bipolarismo e alla politica.
E dunque ritentare la rivoluzione italiana, dico italiana, non la rivoluzione liberale.
Considerando concluso nel 2013 un ciclo al cui interno vi sono i protagonisti presenti, Berlusconi ma anche Fini e Casini, questa sinistra e Di Pietro.
Ovvero, prendere lo spunto dal compleanno d’Italia e dalla crisi economica globale per ripensare in modo originale lo Stato sociale, in una versione più agile e incisiva, meno statalismo e più comunità, meno tasse e più incentivi. Portare fino in fondo le grandi riforme strutturali, insieme a un grande progetto sull’Italia superpotenza mondiale della cultura e delle arti, rilanciando l’Italia come nazione culturale.
E insieme promuovere la rivoluzione del merito e la selezione delle classi dirigenti.
Magari usando anche la riforma federale, che personalmente non mi entusiasma, come elettrochoc alle istituzioni per avviare dal basso e dal territorio una democrazia responsabile che selezioni la sua classe dirigente con i criteri del merito e dell’efficacia.

Ci sono più di due anni per affrontare la crisi governando il Paese e sul piano politico per ripartire da una minoranza costituente con un progetto del genere, politico e sociale, etico e culturale.
Impresa quasi disperata, con questa penuria d’uomini, di senso civico e d’idee;
ma in mancanza di alternative, val la pena di tentare.
Quante probabilità di riuscirvi?
L’8 per mille, tanto per restare credenti.

di Marcello Veneziani pg.1 e pg.3 de ilgiornale.it 20 12 2010

saluti