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    Predefinito Gli Arditi - Per l'Onore d'Italia






    Gli Arditi furono un corpo speciale del Regio Esercito durante la Prima guerra mondiale. Dal 1 ottobre 1975 la bandiera del X Reggimento Arditi (costituito nel 1942 su emulazione del IX Reparto d'Assalto della Prima guerra mondiale) viene tenuta in custodia dal 9º Reggimento d'Assalto Paracadutisti Col Moschin.



    Gli arditi nella prima guerra mondiale [modifica]
    Esperimenti anticipatori [modifica]
    Un'idea anticipatrice dell'Ardito può essere fatta lontanamente risalire al 1914, quando in ogni reggimento del Regio Esercito venne creato un gruppo di esploratori addestrati ad agire dietro le linee nemiche.[1]

    I primi nuclei di Arditi nacquero e si addestrarono a Manzano (Udine), in località "Sdricca", dove tuttora si celebra una commemorazione ed una rievocazione l'ultima domenica di luglio.

    La vulgata popolare vuole riconoscere come antesignani degli Arditi anche i componenti delle cosiddette "Compagnie della morte", pattuglie speciali di fanteria o del genio adibite al taglio o al brillamento dei reticolati nemici, facilmente riconoscibili per l'uso di corazze ed elmetti principalmente del tipo "Farina".[2] L'impiego della bombarda in questo ruolo rese del tutto inutili i sacrifici dei componenti queste unità.

    In seguito, gli Arditi divennero un corpo speciale d'assalto. Il loro compito non era più quello di aprire la strada alla fanteria verso le linee nemiche, ma la totale conquista di quest'ultima. Per fare ciò, venivano scelti i soldati più temerari, che ricevevano un addestramento molto realistico, con l'uso di granate e munizionamento reale, e con lo studio delle tecniche d'assalto e del combattimento corpo a corpo.

    Operativamente, gli Arditi agivano in piccole unità d'assalto, i cui membri erano dotati di "petardi Thevenot", granate e pugnali, utilizzati in assalti alle trincee nemiche. Le trincee venivano tenute occupate fino all'arrivo dei rincalzi di fanteria.

    Il tasso di perdite era estremamente elevato.

    Tra le battaglie più sanguinose, vi fu quella sul Piave. Quando ormai anche la Brigata Sassari (di cui era nota la determinazione) si era data per vinta, centinaia di Arditi vennero fatti sbarcare da una sponda all'altra del fiume. La maggior parte di loro non giunse all'altra riva. Il loro motto era "O la vittoria, o tutti accoppati".[senza fonte]

    Nel dopoguerra si volle sostenere che l'idea dell'Ardito fosse stata una creazione del capitano Cristoforo Baseggio che nell'ottobre 1915 venne posto al comando di una unità denominata "Compagnia volontari esploratori", che operava in Valsugana. Questa circostanza venne a più riprese e veementemente contestata dai vertici dell'associazione arditi e dai maggiori memorialisti. [3]. L'unità contava 13 ufficiali e 400 soldati di truppa scelti su base volontaria e provenienti da vari reparti del settore della 15ª Divisione. Il reparto fu completamente distrutto nell'attacco al Monte Osvaldo nell'aprile del 1916.

    Nel 1916 il Comando Supremo decise di premiare con la qualifica di militare ardito chi si fosse distinto per decisione e coraggio, con l'espresso divieto di creare unità speciali[4]. Il distintivo, da portarsi al braccio sinistro, era il monogramma reale VE, ed era pensato esclusivamente come premio e come indicazione del soldato da portare ad esempio. Questa fu tuttavia la genesi nell'immaginario del vocabolo "Ardito".



    Costituzione e impiego


    Nel 1917 a seguito di proposte e studi da parte di giovani ufficiali stanchi della stasi e dell'inutile massacro della vita di trincea, si arrivò alla sperimentazione di un'unità appositamente costituita presso la 48ª Divisione dell'VIII Corpo d'armata, comandata dal capitano Giuseppe Bassi, autore di una innovativa nota sull'impiego delle pistole mitragliatrici Fiat 15 /OVP - Officine Villar Perosa.[5] Va fatto presente che già nel marzo 1917 il Comando Supremo aveva inviato una circolare informativa circa la costituzione presso l'esercito austroungarico di unità speciali.[6]

    A seguito di valutazione positiva si decise di istituzionalizzare la nascita della nuova specialità[7], ma dissidi sull'equipaggiamento e sull'addestramento fecero slittare l'inizio dell'attività al 29 luglio 1917, quando lo stesso re Vittorio Emanuele sancì la nascita dei reparti d'assalto.

    I neonati reparti d'assalto si svilupparono quindi come corpo a sé stante, con una propria divisa ed un addestramento differenziato e superiore a quello dei normali soldati, da impiegarsi a livello di compagnia o di intero battaglione. L'esercito tedesco, mediamente molto meglio addestrato, era stato però il primo ad adottare il concetto di truppa di elite con le Stoss Truppen e poi con le Sturmtruppen. La sede della scuola d'addestramento venne fissata a Sdricca di Manzano (Udine) ed il comando affidato allo stesso maggiore Bassi. In seguito alla scuola di Sdricca (e alle altre create all'uopo) vennero brevettati anche gli arditi reggimentali (niente a che vedere con i "militari arditi" del 1916), la cui istituzione fu poi ufficializzata nel 1918 con apposita circolare.[8]

    I primi reparti vennero creati nella 2ª Armata, e al momento di Caporetto risultavano costituiti 27 reparti, anche se quelli effettivamente impiegabili in combattimento furono molti di meno. I primi sei reparti della 2ª Armata combatterono la battaglia di Udine e protessero la ritirata sui ponti di Vidor e della Priula, rimanendo le ultime unità a passare il Piave. Nell'inverno del 1917 vennero sciolti, ricostituiti e riaddestrati arrivando a 22 reparti operativi, per diventare al maggio 1918 di nuovo 27 (più un reparto di marcia per ogni armata), assegnati ai corpi d'armata.

    Gruppo di Arditi appena decorati dopo un'azione sul Monte CornoNel giugno del 1918 venne costituita una Divisione d'assalto con nove reparti al comando del Maggiore Generale Ottavio Zoppi, divenuta poi Corpo d'armata d'assalto con dodici reparti su due divisioni. Al Corpo d'armata d'assalto vennero assegnati anche sei battaglioni bersaglieri e due battaglioni bersaglieri ciclisti, nonché supporti tattici e logistici adeguati. I reparti prelevati dai corpi d'armata per costituire le divisioni vennero ricostituiti tanto che a fine guerra si contavano i dodici reparti d'assalto (più due di marcia) inquadrati nel Corpo d'armata d'assalto, e venticinque reparti indipendenti assegnati alle armate[9]

    Gli arditi furono tra gli artefici dello sfondamento della linea del Piave che permise nel novembre del 1918 la vittoria finale sugli eserciti austroungarici.

    Poco dopo il termine della guerra, nel gennaio del 1920, tutti i reparti furono sciolti per motivi di riorganizzazione e di politica interna al Regio Esercito.




    Addestramento


    I soldati di preferenza erano arruolati su base volontaria, ma col progredire del numero dei reparti iniziarono ad essere designati dai propri comandi tra i soldati più esperti e coraggiosi delle compagnie di linea, possibilmente scegliendoli tra i militari già decorati al valore (secondo la proporzione di un soldato ogni compagnia di fanteria, e di due per le compagnie di Alpini e Bersaglieri). Dopo un accertamento dell'idoneità militare come Arditi mediante prove di forza, destrezza e sangue freddo, venivano addestrati all'uso delle armi in dotazione, alle tattiche innovative di assalto, alla lotta corpo a corpo con o senza armi, il tutto supportato da una continua preparazione atletica.

    In particolare venivano impartite lezioni per il lancio delle bombe a mano, per il tiro col fucile, per l'utilizzo del lanciafiamme e della mitragliatrice. L'addestramento era particolarmente intensivo e realistico, e furono diversi gli Arditi deceduti durante le esercitazioni o l'addestramento di base (soprattutto colpiti da schegge di bomba a mano, perché la loro procedura operativa prevedeva un lancio molto corto dell'ordigno, subito seguito da un assalto diretto). L'elevato addestramento, lo spirito di corpo e lo sprezzo del pericolo, ma anche i vantaggi di cui godevano, fecero degli Arditi il corpo più temuto dagli eserciti avversari, ma crearono anche un clima di diffidenza e di invidia da parte di ufficiali appartenenti ad altri reparti. I militari di truppa, invece, portavano nei loro riguardi stima e rispetto, per la capacità di risolvere sul campo di battaglia situazioni tatticamente impossibili per i reparti di linea.

    Uniforme


    A differenza del resto dell'Esercito che indossava la giubba con bavero chiuso, gli Arditi avevano in dotazione una giubba a bavero aperto, più comoda e pratica, sotto la quale veniva portata una camicia bianca con cravatta nera o, più spesso in zona di operazioni, un maglione grigioverde.

    Al bavero della giubba erano cucite le mostrine: fiamme nere a due punte. Gli Arditi provenienti dai Bersaglieri e dagli Alpini conservavano le mostrine delle specialità d'origine, rispettivamente fiamme cremisi e fiamme verdi. Con il termine "Fiamme Nere" erano indicati gli stessi Arditi, così come per "Fiamme Cremisi" (o "Fiamme Rosse") si intendevano i Bersaglieri e per "Fiamme Verdi" gli Alpini. La "Fiamma Nera", oltre ad essere la mostrina, era anche l'insegna, in genere un gagliardetto nero, che precedeva il Reparto nell'assalto.

    Il copricapo caratteristico degli Arditi era il fez nero con fiocco nero. Gli Arditi provenienti dai Bersaglieri e dagli Alpini conservavano i loro tradizionali copricapo: fez rosso con fiocco blu per i primi, cappello alpino per i secondi. In operazioni veniva spesso portato l'elmetto metallico.

    Un simbolo ricorrente degli Arditi, che compariva sul gagliardetto di reparto, ma anche ricamato sulle giubbe o sottoforma di spilla metallica, era il teschio, talvolta con pugnale in bocca oppure sovrapposto a due tibie incrociate.

    Molti degli elementi distintivi degli Arditi furono in seguito ripresi dalle prime formazioni fasciste, tipicamente il fez nero, il teschio con il pugnale tra i denti, ma anche dalle formazioni degli Arditi del Popolo (teschio ma con pugnale ed occhi rossi) e da varie squadre di difesa antifascista, come la camicia nera col teschio in filo d'argento sul fianco utilizzato dalle squadre comuniste romane. Lo stesso saluto «A noi!» fu poi usato dagli Arditi del Popolo (col saluto a pugno chiuso) e come tale compare in alcuni loro inni.

    Equipaggiamento


    L'equipaggiamento tipico degli arditi era costituito dal pugnale per la lotta corpo a corpo e dalle bombe a mano. Queste ultime venivano utilizzate anche per creare panico e confusione oltre che per il loro effetto dirompente (il Petardo Thevenot, il tipo di bomba a mano più utilizzato dagli Arditi, era particolarmente adatto all'assalto in quanto dotato di una discreta anche se non eccessiva potenza, ma col vantaggio di essere molto rumoroso e quindi provocatore di timore negli avversari). Altre armi utilizzate furono le mitragliatrici e i lanciafiamme.

    Nel Museo del Risorgimento di Torino, nella sala dedicata alla resistenza sono conservati un pugnale ed un petardo appartenenti agli Arditi del Popolo.

    Gli arditi ed il fascismo


    Nel dopoguerra gli arditi si riunirono nell'Associazione Nazionale Arditi d'Italia (ANAI), fondata dal capitano Mario Carli, poi tra i membri del cosiddetto fascismo delle origini, lo stesso che scrisse assieme a Marinetti l'articolo Arditi non gendarmi[10]. La maggioranza degli arditi aderì al movimento fascista, anche se l'adesione non fu unanime, come risulta dall'esperienza degli Arditi del Popolo (frangia secessionista romana dell'ANAI, schierata politicamente sulle posizioni del socialismo massimalista)[11]. Venne fondata la FNAI (Federazione Nazionale Arditi D'Italia) il 23 ottobre 1922 da Mussolini che aveva sciolto l'ANAI considerata poco affidabile per il fascismo e nella FNAI confluirono un gran numero di Arditi.



    Gli arditi parteciparono attivamente all'impresa fiumana sotto la guida dell'ispiratore del colpo di mano che portò alla presa di Fiume, Gabriele d'Annunzio. Una volta conquistata la città, venne instaurata la "Repubblica del Carnaro" e D'Annunzio rivendicò apertamente l'italianità della città di Fiume. Venne promulgata, come carta costituzionale del nuovo stato, la Carta del Carnaro, in cui erano contenute proposte fortemente progressiste, che tuttavia, forse per la breve durata dell'impresa fiumana, non trovarono sostanziale applicazione. Tra i principali ispiratori del contenuto della Carta vi fu il sindacalista rivoluzionario Alceste De Ambris , anche lui con passato di Ardito. Il 25 dicembre 1920 (il cosiddetto Natale di Sangue) le truppe regolari dell'esercito italiano guidate dal generale Caviglia posero termine alla fugace esperienza della Repubblica del Carnaro dopo brevi scontri. Il Presidente del Consiglio Giolitti aveva ordinato l'operazione perché temeva i possibili risvolti internazionali negativi che sarebbero potuti scaturire dal prosieguo dell'impresa fiumana, nonché che il consolidarsi dello stato dannunziano avrebbe potuto comportare gravi conseguenze per il regime liberale italiano.




    Note -

    ^ Regolamento di esercizi per la fanteria, approvato il 30 giugno 1914.
    ^ Circolare Comando Supremo: n. 496 di P.RS. del 16 giugno 1915. Oggetto: Attacco di posizioni rafforzate
    ^ S. Farina. Le Truppe d'Assalto Italiane.
    ^ Circolare Comando Supremo n. 15810 del 15 luglio 1916. Oggetto: Norme per la concessione del distintivo per militari arditi
    ^ Costituzione ed impiego delle sezioni pistole mitragliatrici. Dal capitano Bassi (comandante III/150 Fanteria) al generale Giardino, comandante 48ª Div., 8 novembre 1916
    ^ Circolare Comando Supremo n. 6230 del 14 marzo 1917, da CS (UAVS) a C.di Armata e Zona Gorizia (fino a C.di Brigata). Oggetto: Riparti d'Assalto
    ^ Circolare Comando Supremo n. 111660 del 26 giugno 1917, da CS a C.di 1a, 2a, 3a ,4a, 6ª Armata. Oggetto: Riparti d'assalto
    ^ Circolare Comando Supremo n. 17000 del 26 giugno 1918. Oggetto: Arditi Reggimentali
    ^ A.L. Pirocchi e V. Vuksic. Italian Arditi. Elite Assault Troops 1917-1920. Oxford, Osprey, 2004.
    ^ Sintesi da Liparoto ANPI
    ^ Giordano Bruno Guerri, "Fascisti", Oscar Mondadori (Le scie), 1995 Milano pagg. 68-69: "La maggior parte si schierò con i fascisti mentre una minoranza dette vita ai non meno violenti Arditi del popolo, di sinistra. Fra i primi molti sarebbero diventati importanti capi fascisti, come Giuseppe Bottai e Italo Balbo".




    http://it.wikipedia.org/wiki/Arditi

  2. #2
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    Predefinito Rif: Gli Arditi - Per l'Onore d'Italia

    Arditi e Futuristi,due anticipazioni del Fascismo


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    Benito Mussolini nasce il 29 luglio del 1883 a Dovia di Predappio, in provincia di Forlì, da un fabbro di sentimenti anarchici, Alessandro, e da una maestra elementare devota al cattolicesimo, Rosa Maltoni. Per volontà materna fu battezzato, però con i nomi (Benito Amilcare Andrea) scelti dal padre in onore dei rivoluzionari Juarez (presidente e difensore della Repubblica del Messico), Cipriani (garibaldino e difensore della Comune di Parigi) e Costa (leader del socialismo italiano). Muore fucilato il 28 aprile 1945 a Giulino di Mezzegra, provincia di Como.




    La parola “fascismo” deriva dal fascio di verghe che erano portate nell’antica Roma da appositi addetti chiamati “littori”, (da qui la denominazione "fascio littorio"). I fascis littorii erano le guardie del corpo personali del magistrato e rappresentavano il potere che avevano di uccidere il re. Tra le verghe del Fascio, o lateralmente, vi era inserita una scure, che però in età repubblicana veniva tolta quando si era all’interno della città. Dopo la disfatta di Caporetto, il termine Fascio cominciò ad essere legato alla necessità di un'unione nazionale al di sopra degli interessi dei partiti. Come tale, ma accompagnato da rivendicazioni rivoluzionarie, l’emblema romano venne accolto da Benito Mussolini, divenendo il simbolo dei Fasci di Combattimento e in seguito del Partito Nazionale Fascista, per simboleggiare l’unione del popolo italiano e per volersi ispirare alla potenza e alla grandezza del popolo romano.

    Per i giovani la Prima Guerra Mondiale era stata un’avventura, un’esperienza vissuta con l’esaltazione dell’eroismo e del coraggio, ma il disastro morale sopraggiunse quando si scoprì che era una guerra nuova, lunga, di logoramento. Così si accusò il Parlamento e i partiti di disfare con vuote polemiche quello che i combattenti conquistavano col sangue. Queste accuse, anche se prive di fondamento, prepararono il terreno per i futuri semi dei movimenti combattentistici; vale a dire: arditismo, futurismo politico, fiumanesimo, fascismo. I movimenti combattentistici fecero della partecipazione alla guerra l’origine, legittima, del loro diritto al potere e alla guida del paese rinnovato. Dovevano, infatti, salvare la patria dal nemico interno, come l’avevano salvata da quello esterno, e rinnovarla, attraverso vari propositi: purificazione morale, lotta all’analfabetismo, giustizia per tutti, riconoscimento dei diritti delle donne, istituzione del divorzio, riforma del costume. Il movimento non presentò solo quest’aspetto, in alcuni nuclei di minoranza, dai quali sorse la prima classe dirigente fascista, fu la premessa di un'ideologia sovversiva, che voleva la distruzione degli istituti liberali e l’esaltazione del ruolo avuto dalle aristocrazie guerriere, in particolare gli arditi. Questi ultimi, che rifiutavano di riprendere un posto nel “sistema” una volta finita la guerra, furono guardati con sospetto o corteggiati, soprattutto dai partiti estremi, che tentarono di accaparrare per sé quel capitale d’energie e d’individui pronti a tutto, privi di scrupolo ed efficaci combattenti. Durante la guerra gli arditi avevano goduto, in compenso del rischio, particolari privilegi, senza dover subire la logorante vita di trincea. Essi quindi avevano vissuto la guerra soltanto come spettacolo del loro eroismo individuale, esibito sempre ai limiti della morte. N’era derivato un gusto per il temerario, una familiarità con la morte stessa, che diventava quasi un desiderio d’apparire tanto coraggiosi e superiori alla massa comune, da amare la morte e da assumerla a simbolo del loro valore. Gli arditi erano convinti di aver acquisito valori e qualità che li rendevano superiori alle masse. Sorsero così formazioni d’arditismo, corpi scelti destinati alle azioni più pericolose, con simboli che rispecchiavano il loro carattere e la loro esaltata psicologia; simboli “strani” in cui tornava sempre il colore, l’immagine, l’idea della morte (stendardi neri, teschi col pugnale fra i denti). Gli arditi furono certamente fra i primi a distinguere il combattentismo fra partecipazione attiva, aristocratica e partecipazione di massa, passiva e incosciente. L’istintiva neutralità delle masse era un fatto indiscutibile, comune sia alla borghesia sia al proletariato, ma dovuto più ad un naturale sentimento di evitare il peggio, che ad una convinta adesione a teorie pacifiste. L’aspetto più interessante della loro “ideologia”, fu l’esaltazione della giovinezza e dell’azione, ideologia efficace nell’attrarre i giovani, specialmente quelli che non avevano fatto la guerra. Al contatto con futuristi e fascisti, gli arditi aspirarono a formulare la loro dottrina sulla base dell’esperienza della guerra, dando vita a una contestazione verso la società borghese, rivolta soprattutto verso la sua mentalità, piuttosto che verso i suoi fondamenti. Sul piano politico chiedevano l’annessione delle terre italiane e delle terre necessarie alla grandezza della nazione, la riforma elettorale, la Costituente, la rappresentanza dei combattenti, la revisione dei contratti di guerra, l’incriminazione dei profittatori e infine, l’espropriazione dei capitali e nuove leggi sul lavoro.
    Attivismo, nazionalismo (esaltazione dello stato nazionale, considerato come ente indispensabile per la realizzazione delle aspirazioni sociali, economiche e culturali di un popolo) e giovinezza sono caratteri dell’arditismo che il fascismo fece suoi. Gli arditi fornirono alla forza nascente del fascismo quadri attivi, armati, esperti nelle azioni rapide, pronti alla violenza e allo scontro fisico, poco o per nulla rispettosi delle idee altrui. Inoltre l’arditismo fu il metodo di lotta del fascismo, che ne prese anche i simboli e lo stile (la camicia nera).
    All’interno dell’estremismo combattentista, l’unico gruppo che avesse un’ideologia, a cui attinsero arditi e fascisti, era quello futurista. Nato come movimento artistico nel 1909, il futurismo fu la prima avanguardia del Novecento che, per la sua polemica contro le radici dell’arte (no scuola classica, no città monumentali) e della cultura tradizionale, investiva tutto il mondo di valori, di abitudini, di istituzioni legato a quello della cultura stessa (Filippo Tommaso Martinetti). Al centro dell’ideologia futurista vi era la concezione della vita come movimento verso il futuro e la libertà assoluta dell’individuo come il valore fondamentale; perciò questa ideologia non ammetteva né leggi, né religione, né tradizioni. Per il futurismo parlare di solidarietà e di uguaglianza, in senso assoluto, era in linguaggio passatista. La lotta quotidiana, l’aggressività dei forti verso i deboli, erano considerate norme valide sia per gli individui e sia per i popoli, perché erano necessarie per eliminare gli elementi decadenti, deboli e corrotti. Da queste premesse di darwinismo sociale, i futuristi negarono la solidarietà fra gli esseri umani e fra i popoli, ed esaltarono le virtù della giovinezza, il coraggio, l’amore del rischio e dell’avventura, che servivano appunto per selezionare gli uomini nuovi dalla massa dei vecchi inerti. Anche la violenza era accettata, essendo vista come manifestazione dell’esuberanza e dell’insofferenza dei giovani per la politica delle parole e dei compromessi. I futuristi quindi accolsero con viva approvazione la decisione di Mussolini di fondare i Fasci di combattimento e ne furono i primi animatori ed organizzatori. La data di nascita ufficiale del Fascismo viene comunemente fatta coincidere con questa fondazione (23 marzo 1919). Mussolini però intendeva dar vita ad un movimento più che ad un partito, quest’ultimo, infatti, fu creato soltanto il 7 novembre 1921. Il tentativo di teorizzare il fascismo fu affrontato nel giugno del 1932, con la pubblicazione del XIV volume dell’Enciclopedia Italiana contenente la voce Fascismo a firma di Benito Mussolini. Il saggio si divideva in due parti ben distinte: le Idee fondamentali e la Dottrina politica e sociale; la prima, a carattere teorico e dottrinale, fu scritta, in realtà, da Giovanni Gentile (1875 – 1944), la seconda, più “politica” in senso stretto, da Mussolini. I punti che il filosofo sviluppò nel suo scritto sono: la coincidenza di prassi e pensiero, la polemica antiliberale e la differenziazione dai nazionalisti. Nel binomio pensiero e azione il filosofo siciliano vedeva, infatti, la più netta e decisa presa di posizione contro la tradizione italiana, di origine appunto rinascimentale, che mirava a separare l’uomo di pensiero dai problemi della società, cioè della politica. Nel suo testo Gentile analizza “che cos’è” il fascismo e a quali concezioni politiche esso si oppone. Il fascismo è prassi, in quanto è inserito in uno specifico momento storico, ma è anche pensiero poiché contiene in sé un ideale che lo eleva a formula di verità. E’ una concezione spiritualistica, ma non è scettica, né agnostica, né pessimistica, né passivamente ottimistica, come lo sono, in generale, le dottrine che pongono il centro della vita fuori dell’uomo. Il fascismo vuole un individuo attivo, che concepisca la vita come lotta e che capisca che solo lui può conquistarsi l’esistenza che vuole. Per questo viene data grandissima importanza alla cultura in tutte le sue forme (arte, religione, scienza) e all’educazione. Esso è anche una concezione religiosa, in cui l’uomo è visto in rapporto con una Volontà superiore e obiettiva che lo eleva a membro consapevole di una società spirituale. Inoltre è una concezione storica, nella quale l’uomo “esiste” solo in rapporto con la società, la famiglia, la nazione e la storia. Per questo motivo viene dato gran peso alle tradizioni, ai costumi, alle memorie e alle norme del vivere civile, contrariamente a quanto professava il futurismo politico. Ha una concezione antiindividualistica dello Stato, ed è quindi contro il socialismo poiché non esistono né individui, né partiti fuori dello Stato. Al tempo stesso però il fascismo è contro la democrazia, che “ragguaglia il popolo al maggior numero abbassandolo al livello dei più” (segue il darwinismo sociale dei futuristi). Per Gentile, e quindi per Mussolini, non è la nazione a generare lo Stato, ma il contrario, perché esso dà al popolo, consapevole della propria unità morale, una volontà e un’effettiva esistenza. Lo Stato disciplina tutti gli individui, ispirando con i suoi principi le personalità di ognuno; per questo il fascismo è educatore e promotore di una vita spirituale, volendo rifare l’uomo stesso, il suo carattere e la sua fede. La sua insegna è perciò il fascio littorio, simbolo dell’unità, della forza e della giustizia.



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    www.interware.it/..ercorsi/gaia/storia.htm

  3. #3
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    GLI ARDITI

    La parola Ardito, che comunemente attribuiamo ad una specialità sorta in conseguenza della ritirata di Caporetto, nel termine essenziale dell'incarico (mansione ) si fa risalire ad alcuni anni prima. Già all'inizio della guerra erano stati addestrati dei militari esploratori (fregio sulla manica: stella a sei punte) incaricati di precedere il reparto, prevenire attacchi nemici ed eseguire rilevazioni topografiche esatte. Ogni reggimento aveva quindi un Plotone esploratori ripartibile fra i Battaglioni. Con questa mansione o incarico, allo scoppio della guerra, gli esploratori si trovarono di fronte come novità il filo spinato e la necessità di aprirsi e aprire un varco per i compagni. I primi ad usare l'arma adatta a neutralizzare e superare i reticolati, furono i soldati del Genio che affiancarono la fanteria fino a che, anche questa, non fu in grado di dotarsi di propri plotoni. Queste compagnie provvisorie erano chiamate "della morte".

    Nell'autunno del 1915, dopo essere stato per qualche tempo aiutante di campo del generale Graziani, l'allora ten. Cristoforo Baseggio era riuscito a persuadere il comando della l a armata ad istituire ed affidargli un reparto di volontari destinato a scrivere con il proprio sangue pagine memorabili della guerra di Valsugana. Così si esprimeva in proposito l'ufficiale nel 1929: (...)L'idea che mi era tante volte balenata di formare una Compagnia Autonoma di Arditi, capace di eseguire azioni tattiche di una certa importanza e dotata di autonomia e di larghi mezzi materiali, fu da me esposta al generale Farisoglio e al capitano di s. m. Spiller e fu defìnitivamente approvata nel settembre 1915. Il 16 ottobre 1915 veniva ufficialmente costituita la "la Compagnia Volontari Esploratori "della 15a div. , che avrebbe dovuto" (...) eseguire operazioni ardite, compiti di avanguardia, esplorazioni, ricognizioni, prese di posizioni, sorprese, ecc. ". L'organico, composto esclusivamente da volontari, proveniva dai reggimenti di fanteria, dai battaglioni alpini e da quelli della Regia Guardia di Finanza dipendenti dalla 15a divisione. La forza reale della compagnia, a causa di licenze, cambi di destinazione, malattie, rientro ai reparti di provenienza, non fu comunque mai superiore ai 200 uomini.In base all'arma o alla specialità di provenienza erano stati organizzati sei plotoni: uno di alpini, uno di bersaglieri, due di fanti, uno di finanzieri ed uno misto, comprendente carabinieri, cavalleggeri appiedati, artiglieri, geni eri e persino veterinari. Proprio per la sua composizione, tutta di volontari, il reparto presentava uno spettacolo caratteristico e pittoresco: era in sostanza un'accolta svariata di militari di tutte le età e d'ogni classe sociale, dall'ex carcerato al nobile, dal figlio d'avvocato all'umile contadino; a peggiorare l'aspetto eterogeneo, i singoli militari avevano mantenuto la divisa del corpo di provenienza.
    Tra gennaio e marzo del 1916 quando la Compagnia Baseggio, con reparti di fanteria ed un battaglione alpino provvisorio formato dagli elementi non in licenza dei battaglioni Val Cismon e Val Brenta sposta più avanti la linea d’occupazione in fondovalle penetrando in Roncegno, Torcegno e Marter ed iniziando la salita del costone orientale del Panarotta. Proprio alle falde del Panarotta, attorno al cocuzzolo di q. 1450 dove sorge la chiesetta di Sant’Osvaldo, tra il 4 ed il 6 aprile 1916 si consuma il sacrificio della Compagnia Baseggio che esce dagli scontri letteralmente distrutta e con meno di 60 uomini ancora in grado di combattere sugli oltre 450 in organico. 4 - 5 Aprile: Massacro a Prà del Voto Tra il 12 ed il 13 aprile l’attacco italiano si sviluppa in grande stile, con l’impiego di oltre 7000 uomini, sia sul fondovalle, verso Novaledo, sia sui fianchi contro Monte Carbonile (in Val di Sella), Monte Broi e Sant’Osvaldo (a nord del Brenta). Fallita immediatamente in Valsugana, l’offensiva sembra avere inizialmente successo sui fianchi: la fanteria italiana occupa di slancio Monte Carbonile ed anche il Sant’Osvaldo è preso. Qui anzi, sull’onda del successo, le regie truppe iniziano addirittura, con la neve al ginocchio, la salita verso la sommità del Panarotta. Ma il contrattacco austroungarico smorza presto ogni velleità: il 14 aprile 300 Landesschützen riprendono il Carbonile e due giorni più tardi una violentissima e protratta azione a tenaglia travolge le neoconquistate posizioni italiane in sinistra Brenta: cadono Sant’Osvaldo e Monte Broi e gli italiani ripiegano anche da Marter, rischiarandosi su una linea che da monte Collo scende al torrente Larganza davanti a Roncegno.

    Con circolare del 15 luglio 1916 gli arditi vennero gratificati oltre che con licenze e premi, col brevetto di militare Ardito e il fregio V.E. sopra il nodo Savoia (vedi sotto). Alla fine di quell'anno il Capitano Bassi si fece avanti con una nuova idea. Dotare dei soldati di un armamento ad alto volume di fuoco, con grande mobilità (tipo sturmtruppen tedesche) per affrontare il nemico e infiltrandosi anche le retrovie. Nel maggio 1917 la proposta venne accettata e si costituì presso il Genio il primo Battaglione (Reparto) d'assalto. All'interno del reparto, gli assaltatori si alternavano agli specialisti (Mitraglieri, Guastatori, Segnalatori e Lanciafiamme). Gli uomini operavano su larga scala con l'unità minima che era la Squadra, e non dovevano mai essere soli (almeno due). Fu solamente nella Scuola Reparti d'Assalto, a Sdricca di San Giovanni di Manzano (luglio 1917), che i reparti in costituzione ebbero un completo addestramento.

    Paolo Giudici (1928) riferisce. "Oltre a tutti gli esercizi ginnastici fino ad oggi conosciuti, Manzano ebbe una scuola di lotta giapponese, scuola di scherma colla sciabola, con la baionetta, col pugnale, col bastone, col petardo, scuola di ciclismo, di equitazione, di nuoto, di alpinismo". Mario Carli (1919) invece ricorda. "Le loro esercitazioni avevano sopra tutto carattere di ginnastica di guerra. Li addestrava un ginnasta di vedute pratiche e moderne il capitano Racchi (autore di Ginnastica militare, Parma, 1896). La preparazione per il combattimento individuale comprendeva la difesa personale a mani libere, derivata dal ju-jitsu giapponese. Gli ufficiali (più per mantenere una certa distinzione che per effettiva utilità) praticavano la scherma di sciabola e di bastone a una mano".

    Presso tutte le grandi unità (divisione e c.d.a.) si andavano intanto addestrando dei militari per gli organici previsti. Il nuovo fregio assegnato era la daga con la sigla F.E.R.T (vedi sotto). La divisa di questi soldati (se mai ci fu una circolare applicabile), era generalmente costituita da giubba aperta da Bersagliere ciclista (1910) con maglione girocollo (oggi lo chiamano alla Dolce Vita), poi sostituito da una camicia di flanella a colletto rovesciato, quando i maglioni o per dire meglio la lana scarseggiò. Il colore era sempre il grigioverde, con cravatta grigioverde (ma l'usanza la faceva sempre nera). I pantaloni da truppa di montagna, con calzettoni e scarponcini. Fino a che il comando non autorizzò la costituzione di reparti separati dalla forza di provenienza, il copricapo era quello dell'arma e del corpo di provenienza come i segni distintivi. Uno di questi era Giovan Battista Palombo, originario di Villa S. Stefano (Frosinone), ma sbarcato dagli States per fare la sua guerra. Successivamente, nel più puro spirito anarchico possibile in guerra, gli Arditi vestiranno in mille modi diversi, in parte rilevabili dalle immagini. Molti di questi uomini erano Veneti, delle terre occupate dopo la ritirata di Caporetto per la pratica conoscenza dei luoghi. Una certa visione romantica e cavalleresca della guerra, ancora in auge all’epoca, se da un lato favorì questo genere d'operazioni, dall’altro ne rese difficile una razionalizzazione intesa come sviluppo coordinato dei reparti nella strategia generale. Questo, portò ad un proliferare d'azioni audaci, prive di una reale utilità militare, ma altisonanti dal punto di vista della propaganda. Erano di solito odiati dai commilitoni ed amati dalle donne (quelle che potevano frequentare), che vedevano in loro la forza e la bellezza. Al bavero avevano fiamme nere se provenienti dalla fanteria, verdi dagli alpini, rosse cremisi dai bersaglieri. Da queste formazioni si trassero anche squadre (commandos) per operare nelle retrovie nemiche, raccogliendo informazioni e scompaginando i rifornimenti. Tra le formazioni speciali impiegate dal Regio Esercito, una dal nome suggestivo, si distinse in modo particolare: “La Giovane Italia “. Altre furono "I Caimani del Piave" e "La legione Boema" (cecoslovacchi). La prima operazione, attuata dalla Giovane Italia, si ebbe il 4 maggio 1917, quando un commando del XXIII reparto d'assalto Fiamme Cremisi (Bersaglieri) sbarcò sulla costa settentrionale del Lago di Garda e attaccò, distruggendola, la centrale elettrica di Torbole, usata dagli Austriaci. Un anno dopo, nella notte del 29 e 30 maggio 1918 dal campo di Marcon, decollava un Voisin (aereo). Se un osservatore fosse stato presente, sarebbe rimasto stupefatto nel vedere cosa caricava questo aereo, pilotato dal capitano GELMETTI, con a bordo due Bersaglieri in borghese, vestiti da contadini: il tenente CAMILLO DE CARLO e il soldato Giovanni BOTTECCHIA, (fratello di Ottavio Bottecchia, Medaglia di bronzo, anche lui Bersagliere, campione di ciclismo in erba), tutti nativi del luogo. Ma era il carico come detto che era molto singolare; tante gabbie di volatili abituati a volare di notte e di giorno ovunque con le proprie ali; erano i piccioni viaggiatori che portavano i messaggi. Dopo una pericolosa trasvolata notturna oltre il Piave sulle linee nemiche, e con un'altrettanto pericolosa azione, il pilota atterrò in un prato nei pressi dei campi di Aviano su piste illuminate all'uopo da compatrioti. Il pilota scaricò i due avventurosi e il curioso carico, poi mentre lui decollava per ritornare alla base, i due attraversando campi e fossi con le gabbie in mano, superarono il Colle di Savarone, a Polcenigo guadarono la Livenza ed infine giunsero a Fregona, nella fattoria di De Carlo ove questi incontrò il suo anziano mezzadro che la gestiva. Trovato un nascondiglio sicuro, i due si mobilitarono per raccogliere notizie utilizzando vecchi, donne e bambini, sguinzagliati nei dintorni. Senza destare sospetto raccoglievano e annotavano notizie sugli assembramenti nelle linee e nelle retrovie predisposte dal nemico. Poi nella notte, di quando in quando, un piccione lasciava la gabbia per tornare alla colombaia dall'altra parte del Piave, portando dietro un foglietto arrotolato, denso di calligrafia minuta, con tutte le inestimabili informazioni per l'Ufficio "I" di Abano. Molti soldati ed ufficiali, rimasti nascosti dietro le linee nemiche nella ritirata di Caporetto, svolgevano di fatto azione partigiana supportando queste squadre di Arditi. Nel tentativo d'attraversare il Piave in piena Bottecchia (decorato poi con medaglia d'Argento), fu fatto prigioniero e De Carlo rientrò rocambolescamente, passando dalla laguna di Venezia. Il 29 luglio, una nuova coppia formata dai fratelli Giuseppe e Nicolò De Carli, dell’8° bersaglieri, era partita in idrovolante per la laguna di Caorle. Fatto prigioniero, Nicolò riesce a liberarsi avventurosamente ed a proseguire l'azione di spionaggio. La notte del 9 agosto 1918 il tenente degli arditi Alessandro Tandura fu paracadutato nella zona di Conegliano (Tandura Alessandro Tre mesi di spionaggio oltre il Piave Ag-Ott 918 Ed. 1934). Era quello uno dei primi lanci in assoluto e il primo per l'ufficiale. Gli inglesi che c'insegnavano questa nuova specialità, s'erano portati 4 paracadute in tutto. Ci si lanciava con denaro italiano e austriaco d'occupazione e la solita gabbietta di piccioni per i messaggi. Dietro le linee cercavano di sabotare ponti e ferrovie per far deragliare treni di munizioni e soldati o cambiare le segnaletiche stradali mettendo nel caos i trasporti.

    Le azioni corali erano organizzate con più coppie d'uomini, che distanziate di 10 km l’una dall’altra, dovevano raggiungere un obiettivo prefissato. Il fallimento di una coppia non comportava lo stop alla missione perché il Team successivo subentrava. Diverse colonne poi, su diverse direttrici, arrivavano a controllare ampie superfici e manufatti strategici. Il 20 ottobre, una coppia formata dal tenente Carturan e dal caporale Bertozzi atterrò nella laguna di Caorle installandosi in case di pescatori denominate in codice Cà Lealtà e Cà Libertà. Gli Austriaci, messi sul chi vive, circondarono le case facendo prigioniero l'elemento di un’altra coppia. Il Carturan spacciandosi per pescatore finì in un comando del genio Austriaco, e s'impadronì anche di segreti militari. Nella guerra che era ormai agli sgoccioli, il pericolo maggiore veniva dagli Austriaci in ritirata, e dalla possibilità che facessero il deserto alle spalle. Una coppia arrivata a Udine, meta della direttiva, convinse il Sindaco della città ad ottenere dagli Austriaci la creazione di una milizia civile per la protezione dagli sbandati. In tale milizia naturalmente confluirono tutti gli uomini dei commandos ed altri segretamente armati. Dopo i primi sabotaggi, quando la proporzione fra le nostre forze e l’avversario si rovesciò, questi passarono al contrattacco ed il 3 novembre riuscirono a consegnare alle avanguardie italiane di cavalleria una città quasi intatta. Verso la fine della guerra molti reparti erano stati raccolti in grandi unità, (Divisioni d'assalto) usate come arieti per la liberazione di Vittorio Veneto. I fatti seguiti alla fine della guerra, la spedizione di Fiume (con arditi fuoriusciti dall'esercito italiano) portarono allo scioglimento del corpo con la motivazione ufficiale dell'uniformità dell'addestramento. A D'annunzio, che degli Arditi era l'esteta primo, dobbiamo diverse definizioni fra le quali il " Me ne frego " di cui in seguito si largheggiò.

    Il copricapo pur nella rigidità deI regolamenti (fregio fiamma da bersaglieri volta a destra sormontante un gladio) si diversificava nelle tenute fuori ordinanza e non, che tali uomini si permettevano in barba alla disciplina. Fra i copricapi compare anche il fez (in versione nera). I reparti d'assalto, costituiti nell'ambito delle armate, si fregiavano nella bomba della fiamma di un numero romano solitamente derivante dai reparti di provenienza.









    1^ Divisione d'Assalto
    Si costituisce il 10 giugno 1918 come Divisione "A" ma subito dopo(25/6) si riordina su tre Gruppi d'Assalto, rispettivamente
    1° Gruppo coi reparti d'assalto X e XX ed il I btg bersaglieri del I° rgt. rientrato dalla libia
    2° Gruppo coi reparti XII e XIII ed il VII btg bersaglieri del I° rgt. rientrato dalla libia
    3° Gruppo coi reparti VIII e XXII ed il IX btg bersaglieri del I° rgt. rientrato dalla libia
    inquadrati nel I Raggruppamento d'Assalto.
    Completava il quadro il III btg. bersaglieri ciclisti, il V squadrone dei "Cavalleggeri di Piacenza" e reparti minori mitraglieri e dei servizi con il concorso di un gruppo artiglieria da montagna ed un battaglione zappatori (genio). L'unità viene impiegata nelle fasi conclusive della guerra e quindi, ridotta al solo I raggruppamento d'Assalto, viene trasferita in Libia, dove partecipa alla riconquista della colonia, per essere smobilitata e sciolta nel gennaio del 1920 per effetto dell'applicazione dell'ordinamento "Albricci" ad esclusione dei reparti XX e XXII che, con il IX Bersaglieri costituiscono un "Reggimento d'assalto" che opererà in Albania fra giugno ed agosto 1920. Tale reggimento al rientro in Italia viene stanziato in Veneto dove viene soppresso entro la fine dell'anno. fonte E.I http://www.esercito.difesa.it/root/s...ti_unita18.asp
    2^ Divisione d'Assalto
    Si costituisce il 27 giugno 1918 come 2^ Divisione d'assalto e prende il posto nel Corpo d'Armata d'Assalto della Divisione Cecoslovacca. Alla costituzione concorrono tre reparti già della Divisione "A" (V-XIV-XXX) ed altri tre reparti d'assalto prelevati dai rispettivi Corpi d'Armata. Assume quindi la formazione su tre Gruppi d'Assalto, rispettivamente:
    4° Gruppo coi reparti XIV e XXV ed il III btg bersaglieri ciclisti ?
    5° Gruppo coi reparti I e V ed il XV btg bersaglieri ord.
    6° Gruppo coi reparti VI e XXX ed il LV btg autonomo bersaglieri;
    inquadrati nel II Raggruppamento d'Assalto.
    Completava il quadro il IX battaglione bersaglieri ciclisti , il VI squadrone dei "Cavalleggeri di Piacenza" e reparti minori mitraglieri e dei servizi con un gruppo artiglieria da montagna ed un battaglione zappatori (genio). L'unità viene impiegata nelle fasi conclusive della guerra e quindi sciolta nel febbraio 1919. Parte del personale viene destinato a ripianare le perdite dei reparti della 1^ divisione.

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