Gli Arditi furono un corpo speciale del Regio Esercito durante la Prima guerra mondiale. Dal 1 ottobre 1975 la bandiera del X Reggimento Arditi (costituito nel 1942 su emulazione del IX Reparto d'Assalto della Prima guerra mondiale) viene tenuta in custodia dal 9º Reggimento d'Assalto Paracadutisti Col Moschin.
Gli arditi nella prima guerra mondiale [modifica]
Esperimenti anticipatori [modifica]
Un'idea anticipatrice dell'Ardito può essere fatta lontanamente risalire al 1914, quando in ogni reggimento del Regio Esercito venne creato un gruppo di esploratori addestrati ad agire dietro le linee nemiche.[1]
I primi nuclei di Arditi nacquero e si addestrarono a Manzano (Udine), in località "Sdricca", dove tuttora si celebra una commemorazione ed una rievocazione l'ultima domenica di luglio.
La vulgata popolare vuole riconoscere come antesignani degli Arditi anche i componenti delle cosiddette "Compagnie della morte", pattuglie speciali di fanteria o del genio adibite al taglio o al brillamento dei reticolati nemici, facilmente riconoscibili per l'uso di corazze ed elmetti principalmente del tipo "Farina".[2] L'impiego della bombarda in questo ruolo rese del tutto inutili i sacrifici dei componenti queste unità.
In seguito, gli Arditi divennero un corpo speciale d'assalto. Il loro compito non era più quello di aprire la strada alla fanteria verso le linee nemiche, ma la totale conquista di quest'ultima. Per fare ciò, venivano scelti i soldati più temerari, che ricevevano un addestramento molto realistico, con l'uso di granate e munizionamento reale, e con lo studio delle tecniche d'assalto e del combattimento corpo a corpo.
Operativamente, gli Arditi agivano in piccole unità d'assalto, i cui membri erano dotati di "petardi Thevenot", granate e pugnali, utilizzati in assalti alle trincee nemiche. Le trincee venivano tenute occupate fino all'arrivo dei rincalzi di fanteria.
Il tasso di perdite era estremamente elevato.
Tra le battaglie più sanguinose, vi fu quella sul Piave. Quando ormai anche la Brigata Sassari (di cui era nota la determinazione) si era data per vinta, centinaia di Arditi vennero fatti sbarcare da una sponda all'altra del fiume. La maggior parte di loro non giunse all'altra riva. Il loro motto era "O la vittoria, o tutti accoppati".[senza fonte]
Nel dopoguerra si volle sostenere che l'idea dell'Ardito fosse stata una creazione del capitano Cristoforo Baseggio che nell'ottobre 1915 venne posto al comando di una unità denominata "Compagnia volontari esploratori", che operava in Valsugana. Questa circostanza venne a più riprese e veementemente contestata dai vertici dell'associazione arditi e dai maggiori memorialisti. [3]. L'unità contava 13 ufficiali e 400 soldati di truppa scelti su base volontaria e provenienti da vari reparti del settore della 15ª Divisione. Il reparto fu completamente distrutto nell'attacco al Monte Osvaldo nell'aprile del 1916.
Nel 1916 il Comando Supremo decise di premiare con la qualifica di militare ardito chi si fosse distinto per decisione e coraggio, con l'espresso divieto di creare unità speciali[4]. Il distintivo, da portarsi al braccio sinistro, era il monogramma reale VE, ed era pensato esclusivamente come premio e come indicazione del soldato da portare ad esempio. Questa fu tuttavia la genesi nell'immaginario del vocabolo "Ardito".
Costituzione e impiego
Nel 1917 a seguito di proposte e studi da parte di giovani ufficiali stanchi della stasi e dell'inutile massacro della vita di trincea, si arrivò alla sperimentazione di un'unità appositamente costituita presso la 48ª Divisione dell'VIII Corpo d'armata, comandata dal capitano Giuseppe Bassi, autore di una innovativa nota sull'impiego delle pistole mitragliatrici Fiat 15 /OVP - Officine Villar Perosa.[5] Va fatto presente che già nel marzo 1917 il Comando Supremo aveva inviato una circolare informativa circa la costituzione presso l'esercito austroungarico di unità speciali.[6]
A seguito di valutazione positiva si decise di istituzionalizzare la nascita della nuova specialità[7], ma dissidi sull'equipaggiamento e sull'addestramento fecero slittare l'inizio dell'attività al 29 luglio 1917, quando lo stesso re Vittorio Emanuele sancì la nascita dei reparti d'assalto.
I neonati reparti d'assalto si svilupparono quindi come corpo a sé stante, con una propria divisa ed un addestramento differenziato e superiore a quello dei normali soldati, da impiegarsi a livello di compagnia o di intero battaglione. L'esercito tedesco, mediamente molto meglio addestrato, era stato però il primo ad adottare il concetto di truppa di elite con le Stoss Truppen e poi con le Sturmtruppen. La sede della scuola d'addestramento venne fissata a Sdricca di Manzano (Udine) ed il comando affidato allo stesso maggiore Bassi. In seguito alla scuola di Sdricca (e alle altre create all'uopo) vennero brevettati anche gli arditi reggimentali (niente a che vedere con i "militari arditi" del 1916), la cui istituzione fu poi ufficializzata nel 1918 con apposita circolare.[8]
I primi reparti vennero creati nella 2ª Armata, e al momento di Caporetto risultavano costituiti 27 reparti, anche se quelli effettivamente impiegabili in combattimento furono molti di meno. I primi sei reparti della 2ª Armata combatterono la battaglia di Udine e protessero la ritirata sui ponti di Vidor e della Priula, rimanendo le ultime unità a passare il Piave. Nell'inverno del 1917 vennero sciolti, ricostituiti e riaddestrati arrivando a 22 reparti operativi, per diventare al maggio 1918 di nuovo 27 (più un reparto di marcia per ogni armata), assegnati ai corpi d'armata.
Gruppo di Arditi appena decorati dopo un'azione sul Monte CornoNel giugno del 1918 venne costituita una Divisione d'assalto con nove reparti al comando del Maggiore Generale Ottavio Zoppi, divenuta poi Corpo d'armata d'assalto con dodici reparti su due divisioni. Al Corpo d'armata d'assalto vennero assegnati anche sei battaglioni bersaglieri e due battaglioni bersaglieri ciclisti, nonché supporti tattici e logistici adeguati. I reparti prelevati dai corpi d'armata per costituire le divisioni vennero ricostituiti tanto che a fine guerra si contavano i dodici reparti d'assalto (più due di marcia) inquadrati nel Corpo d'armata d'assalto, e venticinque reparti indipendenti assegnati alle armate[9]
Gli arditi furono tra gli artefici dello sfondamento della linea del Piave che permise nel novembre del 1918 la vittoria finale sugli eserciti austroungarici.
Poco dopo il termine della guerra, nel gennaio del 1920, tutti i reparti furono sciolti per motivi di riorganizzazione e di politica interna al Regio Esercito.
Addestramento
I soldati di preferenza erano arruolati su base volontaria, ma col progredire del numero dei reparti iniziarono ad essere designati dai propri comandi tra i soldati più esperti e coraggiosi delle compagnie di linea, possibilmente scegliendoli tra i militari già decorati al valore (secondo la proporzione di un soldato ogni compagnia di fanteria, e di due per le compagnie di Alpini e Bersaglieri). Dopo un accertamento dell'idoneità militare come Arditi mediante prove di forza, destrezza e sangue freddo, venivano addestrati all'uso delle armi in dotazione, alle tattiche innovative di assalto, alla lotta corpo a corpo con o senza armi, il tutto supportato da una continua preparazione atletica.
In particolare venivano impartite lezioni per il lancio delle bombe a mano, per il tiro col fucile, per l'utilizzo del lanciafiamme e della mitragliatrice. L'addestramento era particolarmente intensivo e realistico, e furono diversi gli Arditi deceduti durante le esercitazioni o l'addestramento di base (soprattutto colpiti da schegge di bomba a mano, perché la loro procedura operativa prevedeva un lancio molto corto dell'ordigno, subito seguito da un assalto diretto). L'elevato addestramento, lo spirito di corpo e lo sprezzo del pericolo, ma anche i vantaggi di cui godevano, fecero degli Arditi il corpo più temuto dagli eserciti avversari, ma crearono anche un clima di diffidenza e di invidia da parte di ufficiali appartenenti ad altri reparti. I militari di truppa, invece, portavano nei loro riguardi stima e rispetto, per la capacità di risolvere sul campo di battaglia situazioni tatticamente impossibili per i reparti di linea.
Uniforme
A differenza del resto dell'Esercito che indossava la giubba con bavero chiuso, gli Arditi avevano in dotazione una giubba a bavero aperto, più comoda e pratica, sotto la quale veniva portata una camicia bianca con cravatta nera o, più spesso in zona di operazioni, un maglione grigioverde.
Al bavero della giubba erano cucite le mostrine: fiamme nere a due punte. Gli Arditi provenienti dai Bersaglieri e dagli Alpini conservavano le mostrine delle specialità d'origine, rispettivamente fiamme cremisi e fiamme verdi. Con il termine "Fiamme Nere" erano indicati gli stessi Arditi, così come per "Fiamme Cremisi" (o "Fiamme Rosse") si intendevano i Bersaglieri e per "Fiamme Verdi" gli Alpini. La "Fiamma Nera", oltre ad essere la mostrina, era anche l'insegna, in genere un gagliardetto nero, che precedeva il Reparto nell'assalto.
Il copricapo caratteristico degli Arditi era il fez nero con fiocco nero. Gli Arditi provenienti dai Bersaglieri e dagli Alpini conservavano i loro tradizionali copricapo: fez rosso con fiocco blu per i primi, cappello alpino per i secondi. In operazioni veniva spesso portato l'elmetto metallico.
Un simbolo ricorrente degli Arditi, che compariva sul gagliardetto di reparto, ma anche ricamato sulle giubbe o sottoforma di spilla metallica, era il teschio, talvolta con pugnale in bocca oppure sovrapposto a due tibie incrociate.
Molti degli elementi distintivi degli Arditi furono in seguito ripresi dalle prime formazioni fasciste, tipicamente il fez nero, il teschio con il pugnale tra i denti, ma anche dalle formazioni degli Arditi del Popolo (teschio ma con pugnale ed occhi rossi) e da varie squadre di difesa antifascista, come la camicia nera col teschio in filo d'argento sul fianco utilizzato dalle squadre comuniste romane. Lo stesso saluto «A noi!» fu poi usato dagli Arditi del Popolo (col saluto a pugno chiuso) e come tale compare in alcuni loro inni.
Equipaggiamento
L'equipaggiamento tipico degli arditi era costituito dal pugnale per la lotta corpo a corpo e dalle bombe a mano. Queste ultime venivano utilizzate anche per creare panico e confusione oltre che per il loro effetto dirompente (il Petardo Thevenot, il tipo di bomba a mano più utilizzato dagli Arditi, era particolarmente adatto all'assalto in quanto dotato di una discreta anche se non eccessiva potenza, ma col vantaggio di essere molto rumoroso e quindi provocatore di timore negli avversari). Altre armi utilizzate furono le mitragliatrici e i lanciafiamme.
Nel Museo del Risorgimento di Torino, nella sala dedicata alla resistenza sono conservati un pugnale ed un petardo appartenenti agli Arditi del Popolo.
Gli arditi ed il fascismo
Nel dopoguerra gli arditi si riunirono nell'Associazione Nazionale Arditi d'Italia (ANAI), fondata dal capitano Mario Carli, poi tra i membri del cosiddetto fascismo delle origini, lo stesso che scrisse assieme a Marinetti l'articolo Arditi non gendarmi[10]. La maggioranza degli arditi aderì al movimento fascista, anche se l'adesione non fu unanime, come risulta dall'esperienza degli Arditi del Popolo (frangia secessionista romana dell'ANAI, schierata politicamente sulle posizioni del socialismo massimalista)[11]. Venne fondata la FNAI (Federazione Nazionale Arditi D'Italia) il 23 ottobre 1922 da Mussolini che aveva sciolto l'ANAI considerata poco affidabile per il fascismo e nella FNAI confluirono un gran numero di Arditi.
Gli arditi parteciparono attivamente all'impresa fiumana sotto la guida dell'ispiratore del colpo di mano che portò alla presa di Fiume, Gabriele d'Annunzio. Una volta conquistata la città, venne instaurata la "Repubblica del Carnaro" e D'Annunzio rivendicò apertamente l'italianità della città di Fiume. Venne promulgata, come carta costituzionale del nuovo stato, la Carta del Carnaro, in cui erano contenute proposte fortemente progressiste, che tuttavia, forse per la breve durata dell'impresa fiumana, non trovarono sostanziale applicazione. Tra i principali ispiratori del contenuto della Carta vi fu il sindacalista rivoluzionario Alceste De Ambris , anche lui con passato di Ardito. Il 25 dicembre 1920 (il cosiddetto Natale di Sangue) le truppe regolari dell'esercito italiano guidate dal generale Caviglia posero termine alla fugace esperienza della Repubblica del Carnaro dopo brevi scontri. Il Presidente del Consiglio Giolitti aveva ordinato l'operazione perché temeva i possibili risvolti internazionali negativi che sarebbero potuti scaturire dal prosieguo dell'impresa fiumana, nonché che il consolidarsi dello stato dannunziano avrebbe potuto comportare gravi conseguenze per il regime liberale italiano.
Note -
^ Regolamento di esercizi per la fanteria, approvato il 30 giugno 1914.
^ Circolare Comando Supremo: n. 496 di P.RS. del 16 giugno 1915. Oggetto: Attacco di posizioni rafforzate
^ S. Farina. Le Truppe d'Assalto Italiane.
^ Circolare Comando Supremo n. 15810 del 15 luglio 1916. Oggetto: Norme per la concessione del distintivo per militari arditi
^ Costituzione ed impiego delle sezioni pistole mitragliatrici. Dal capitano Bassi (comandante III/150 Fanteria) al generale Giardino, comandante 48ª Div., 8 novembre 1916
^ Circolare Comando Supremo n. 6230 del 14 marzo 1917, da CS (UAVS) a C.di Armata e Zona Gorizia (fino a C.di Brigata). Oggetto: Riparti d'Assalto
^ Circolare Comando Supremo n. 111660 del 26 giugno 1917, da CS a C.di 1a, 2a, 3a ,4a, 6ª Armata. Oggetto: Riparti d'assalto
^ Circolare Comando Supremo n. 17000 del 26 giugno 1918. Oggetto: Arditi Reggimentali
^ A.L. Pirocchi e V. Vuksic. Italian Arditi. Elite Assault Troops 1917-1920. Oxford, Osprey, 2004.
^ Sintesi da Liparoto ANPI
^ Giordano Bruno Guerri, "Fascisti", Oscar Mondadori (Le scie), 1995 Milano pagg. 68-69: "La maggior parte si schierò con i fascisti mentre una minoranza dette vita ai non meno violenti Arditi del popolo, di sinistra. Fra i primi molti sarebbero diventati importanti capi fascisti, come Giuseppe Bottai e Italo Balbo".
http://it.wikipedia.org/wiki/Arditi