Scritto da Silvia Quaranta
giovedì 23 dicembre 2010
Qualche considerazione sui “moti” di questi giorni
Negli ultimi giorni abbiamo assistito ad episodi di insensata violenza che rimarranno a lungo nella memoria collettiva. Strade bloccate, auto incendiate, cassonetti bruciati, vetrine rotte, cariche, vetrine infrante, occupazioni: le notizie relative a questi fatti sono rimbalzate tra le prime pagine di giornali nazionali e locali, su internet, in televisione, alla radio. Il gioco “attribuisci il violento di turno ad una fazione politica” sembrava l’ultima moda approdata nel mondo telematico. Il “ragazzo con la pala” ha raggiunto una celebrità sconosciuta a tanti, certamente più autorevoli, letterati o filosofi. Il tutto, come quasi sempre accade, è stato ridotto ad un caso mediatico.
Prima che qualcuno si chieda se questa critica è un modo per legittimare l’accaduto, specifico che condanno la violenza, in ogni sua manifestazione. La condanno perché è una forma di regresso, perché è un atto di inciviltà, perché dove inizia la violenza finisce il dialogo. Ma non voglio chiudermi nella disquisizione su “buoni e cattivi”. Credo che tra i manifestanti ci sia una frangia violenta e la condanno. Non condanno il movimentismo studentesco, non condanno tutti coloro che hanno semplicemente scelto di manifestare pacificamente le proprie opinioni. E non condanno nemmeno le forze dell’ordine come categoria, perché confido nel fatto che chi ha scelto una determinata strada sia una persona che crede nella giustizia e nella legalità. Condanno gli abusi di potere, quando e se ci sono stati, che è una cosa molto diversa. Condanno il meccanismo della folla manzoniana, in cui tutti agiscono e nessuno pensa. Condanno i tentativi di manipolare l’informazione, e li condanno tanto quando vengono dalla stampa ufficiale quanto quando provengono da chi si professa paladino di una informazione “alternativa”.
Ma credo che il punto non sia questo. Credo che il punto sia chiedersi quali siano le cause del fenomeno, dove siano le ragioni di ciò che è accaduto.
Ho provato a rispondere prendendo spunto da una statistica presentata lo scorso aprile da Renato Mannheimer, presidente dell’Ispo, il quale ha cercato di misurare il grado di informazione e di interesse provato dai giovani nei confronti della politica. I dati sull’informazione sono quanto di più deludente si possa immaginare. Senza dilungarsi inutilmente, risulta che siamo più o meno delle capre. Un dato a mio giudizio significativo, però, è che un ragazzo su tre non ricorda nessun personaggio politico (storico o attuale) italiano con ammirazione. Potremmo pensare che sia così perché non ne conosce alcuno, né con stima né con disistima, ma il dato su cui vorrei soffermarmi è che il politico più amato risulta essere Pertini (seguito con distanza da Berlinguer, De Gasperi, Mussolini e Garibaldi). Un nome non attuale, come quelli che lo seguono. Un nome che, forse, a molti 18enni “disinteressati” ed “indifferenti” risulta pressoché sconosciuto. Non è tutto. A coloro che hanno partecipato al sondaggio, tra le altre domande, è stato chiesto di scegliere, da un elenco di parole, quale venisse associata, per prima, alla politica.
Al primo posto, nei risultati, c’è la rabbia, seguita a ruota da diffidenza e disgusto. Parole che sembrerebbero aver poco a che fare con il disinteresse, cui forse sarebbe più vicina la noia. Eppure, la “noia” si attesta al terzultimo posto, incastonata tra l’impegno (che la precede) e la passione (subito dopo). Il disinteresse c’è, ed è pienamente confermato dalle statistiche. Ma non l’indifferenza. La passione si defila in ultima posizione. Perché? Perché questa politica non può generare passione. Credo che il più grande movente della passione politica sia la forza delle idee, ed uno dei grandi problemi della politica contemporanea risiede proprio nell’incapacità (non sempre, ma tante, troppe volte) di comunicare idee e di ripiegarsi, a causa della propria stessa inettitudine, sulle opinioni (nel migliore dei casi) o sulle ideologie (nel peggiore). Bene, un’idea non è un’opinione. Un’opinione può cambiare nel tempo o a seconda delle circostanze, un’opinione nasce su una base ideologica, ma si costruisce sull’informazione, sullo studio, sull’esperienza. Un’idea, invece, non transige. Un’idea non si discute. Un’idea può difficilmente cambiare, perché abbandonare un’idea per un’altra significa cambiare il proprio modo di essere, il proprio modo di vedere, di intendere il mondo e di approcciarsi ad esso. Un’opinione è solo la conseguenza di una serie di variabili e, in quanto tale, destinata a rimanere qualcosa di mutevole. Eppure è quanto di meglio riesca ad esprimere, nella maggior parte dei casi, la nostra società. La debolezza ideale della politica, unita alla consapevolezza del fatto che corruzione, clientelismo, caste e privilegi sono radicati ovunque, è una secchiata d’acqua gelida su tutto ciò che potrebbe accendere la passione. Ma genera rabbia.
Viviamo in un mondo di privilegi e di bugie, di immagini e di parole. Probabilmente false. Assistiamo ad una politica che genera rabbia senza saper comunicare passione, né trasmettere sogni. È una rabbia che fa fatica, una fatica incredibile a tradursi in una reazione positiva e propositiva. E quando attecchisce sulle persone sbagliate, forse è proprio questa rabbia a generare quella violenza, cieca ed insensata, a cui abbiamo assistito.
La Testata - idee che colpiscono! - La rabbia degli studenti, la debolezza della politica.