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    Predefinito Il modello Germania, la FIAT, il nuovo Patto Sociale

    Il modello Germania, la FIAT e il nuovo Patto Sociale

    Il modello Germania, la FIAT e il nuovo patto sociale - Lega dei Socialisti Lombardia

    Pierluigi Camagni, PSI Lombardia


    Da quando ho pubblicato questa nota, nell’agosto scorso, poco è cambiato. O forse molto, e in peggio.


    Marchionne dice che occorre un nuovo patto sociale, che occorre dire basta alla lotta operai-padrone.
    Premesso che la "lotta" - e lo dice principalmente l'indice di disuguaglianza dei redditi (indice di Gini), per cui l'Italia è ormai al secondo posto, dietro solo agli USA e avendo superato il Regno Unito, nei paesi dell'area OCSE - non è più tra operai e padrone, ma, in una visione alla Philip Petitt o alla Quentin Skinner, tra soggetti dominanti (banche, finanza, grandi aziende, multinazionali tra tutti) e soggetti che pure in un sistema libero non possono esercitare appieno le loro libertà proprio perchè soggetti al dominio dei primi (operai, quindi, ma anche piccoli e medi imprenditori - strozzati dalle banche e dalla FIAT - artigiani, il popolo delle partite IVA, ecc.), occorre vedere qual'è il nuovo patto sociale proprosto e, soprattutto, qual'è la REALE volontà di raggiungere un accordo frutto di una trattativa che non sia il solo "prendere o lasciare".
    Tra chi sostiene le tesi dell'ad di FIAT, Confindustria, naturalmente, gran parte dell'area politica di centro-destra, ma anche qualcuno a sinistra e nel sindacato, si cita spesso il modello Germania, dove sindacati e organizzazioni padronali hanno raggiunto accordi per nuove basi nelle relazioni industriali.
    Vero è che in Germania i sindacati, in un momento di grave crisi economica e finanziaria, hanno fatto delle scelte, anche difficili e di sacrificio, ma analizziamo un po' la lezione tedesca.
    Si dice: «in Germania la Volkswagen ha chiesto e ottenuto cinque giorni di lavoro in più all’anno ai suoi operai, a parità di retribuzione».
    Si dimentica, però, di aggiungere che un operaio tedesco, pur in presenza di un costo della vita non molto diverso dal nostro, guadagna il doppio di un operaio italiano.
    Certo, la produttività (e questo è un problema di cui, come lavoratori e cittadini ci si dovrà reponsabilmente far carico) di un operaio tedesco è maggiore di quella di un operaio italiano, ma non è sicuramente il doppio; e, comunuqe, la maggior produttività è frutto non solo di un maggior impegno lavorativo, ma di scelte e di investimenti che le aziende tedesche hanno fatto, diversamente che in Italia, anche negli scorsi anni.
    Inoltre, pur avendo avuto la Volkswagen molti meno aiuti (diretti e indiretti) da parte dello Stato tedesco, conserva in Germania più del 50% della propria produzione, mentre FIAT ha delocalizzato fuori dall'Italia GIA' ORA più del 75% della produzione.
    Ancora, come ricordava anche ieri Massimo Mucchetti su Il Corriere della Sera,i lavoratori tedeschi partecipano alle decisioni strategiche, i sindacati hanno la metà dei consigli di sorveglianza, non in virtù di partecipazioni azionarie, ma per il ruolo riconosciuto al lavoro.
    Per questo, in contropartita, salari e orari possono variare secondo la congiuntura.
    Non solo, in Volkswagen, usciti dalla crisi, vi sono stati premi di produzione per tutti, nella logica che quando c'è da fare sacrifici si fanno tutti insieme, ma altrettanto insieme si gioisce quando c'è da gioire.
    Ben diverso, mi pare, l'atteggiamento del capitalismo italiano, di cui FIAT è sicuramente il maggior interprete, che figlio degli aiuti statali, e che MAI ha rischiato in proprio, i sacrifici pretende di non farli mai, scaricandoli una volta sulle spalle dello Stato, una volta su quelle dei lavoratori; in un'ottica, poi, di FALSA trattativa e disponibilità, perchè la trattativa non può essere "o dite di sì o ce ne andiamo", "o si fa come diamo noi o si chiude", e via di questo tenore.
    Forti responsabilità, in questo senso, le ha anche il Governo.
    Non dimentichiamo che da più di quattro mesi l'Italia non ha un Ministro dello Sviluppo Economico e non se ne vede, nonostate le sollecitazioni anche del Presidente Napolitano, possibile nomina a breve.
    Per concludere, vorrei riportare un pezzo dell'articolo di Mucchetti di ieri, perchè non esiste solo la lezione tedesca, ma anche quella americana (dove esiste un'amministrazione progressista) e quella francese (dove l'amministrazione è conservatrice).
    «Negli Usa, i sindacati sono entrati nei board non per inseguire il modello tedesco, ma per tutelare le azioni ricevute in cambio della cancellazione dei crediti sanitari. Le loro rappresentanze sono largamente inferiori alla quota di capitale posseduta. Ma il loro vero tutore è la Casa Bianca, la quale condiziona gli aiuti alla difesa del made in Usa. Il presidente Obama (progressista) presta miliardi di dollari a Marchionne non per delocalizzare ma per tenere aperti in patria quanti più stabilimenti possibile di una Chrysler altrimenti fallita e rifiutata da tutti. La stessa finalità persegue in Francia il presidente Sarkozy (conservatore) con Renault e Psa, senza attendere le difficoltà di Detroit. E la Renault esibisce tuttora una presenza dello Stato nel capitale, mentre Psa, interamente privata, è controllata da una famiglia, i Peugeot che fa parte di un establishment con forti sentimenti nazionali.»

    Pier Luigi Camagni - 27 agosto 2010

  2. #2
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    Predefinito Rif: Il modello Germania, la FIAT, il nuovo Patto Sociale

    Citazione Originariamente Scritto da Manfr Visualizza Messaggio
    Il modello Germania, la FIAT e il nuovo Patto Sociale

    Il modello Germania, la FIAT e il nuovo patto sociale - Lega dei Socialisti Lombardia

    Pierluigi Camagni, PSI Lombardia


    Da quando ho pubblicato questa nota, nell’agosto scorso, poco è cambiato. O forse molto, e in peggio.


    Marchionne dice che occorre un nuovo patto sociale, che occorre dire basta alla lotta operai-padrone.
    Premesso che la "lotta" - e lo dice principalmente l'indice di disuguaglianza dei redditi (indice di Gini), per cui l'Italia è ormai al secondo posto, dietro solo agli USA e avendo superato il Regno Unito, nei paesi dell'area OCSE - non è più tra operai e padrone, ma, in una visione alla Philip Petitt o alla Quentin Skinner, tra soggetti dominanti (banche, finanza, grandi aziende, multinazionali tra tutti) e soggetti che pure in un sistema libero non possono esercitare appieno le loro libertà proprio perchè soggetti al dominio dei primi (operai, quindi, ma anche piccoli e medi imprenditori - strozzati dalle banche e dalla FIAT - artigiani, il popolo delle partite IVA, ecc.), occorre vedere qual'è il nuovo patto sociale proprosto e, soprattutto, qual'è la REALE volontà di raggiungere un accordo frutto di una trattativa che non sia il solo "prendere o lasciare".
    Tra chi sostiene le tesi dell'ad di FIAT, Confindustria, naturalmente, gran parte dell'area politica di centro-destra, ma anche qualcuno a sinistra e nel sindacato, si cita spesso il modello Germania, dove sindacati e organizzazioni padronali hanno raggiunto accordi per nuove basi nelle relazioni industriali.
    Vero è che in Germania i sindacati, in un momento di grave crisi economica e finanziaria, hanno fatto delle scelte, anche difficili e di sacrificio, ma analizziamo un po' la lezione tedesca.
    Si dice: «in Germania la Volkswagen ha chiesto e ottenuto cinque giorni di lavoro in più all’anno ai suoi operai, a parità di retribuzione».
    Si dimentica, però, di aggiungere che un operaio tedesco, pur in presenza di un costo della vita non molto diverso dal nostro, guadagna il doppio di un operaio italiano.
    Certo, la produttività (e questo è un problema di cui, come lavoratori e cittadini ci si dovrà reponsabilmente far carico) di un operaio tedesco è maggiore di quella di un operaio italiano, ma non è sicuramente il doppio; e, comunuqe, la maggior produttività è frutto non solo di un maggior impegno lavorativo, ma di scelte e di investimenti che le aziende tedesche hanno fatto, diversamente che in Italia, anche negli scorsi anni.
    Inoltre, pur avendo avuto la Volkswagen molti meno aiuti (diretti e indiretti) da parte dello Stato tedesco, conserva in Germania più del 50% della propria produzione, mentre FIAT ha delocalizzato fuori dall'Italia GIA' ORA più del 75% della produzione.
    Ancora, come ricordava anche ieri Massimo Mucchetti su Il Corriere della Sera,i lavoratori tedeschi partecipano alle decisioni strategiche, i sindacati hanno la metà dei consigli di sorveglianza, non in virtù di partecipazioni azionarie, ma per il ruolo riconosciuto al lavoro.
    Per questo, in contropartita, salari e orari possono variare secondo la congiuntura.
    Non solo, in Volkswagen, usciti dalla crisi, vi sono stati premi di produzione per tutti, nella logica che quando c'è da fare sacrifici si fanno tutti insieme, ma altrettanto insieme si gioisce quando c'è da gioire.
    Ben diverso, mi pare, l'atteggiamento del capitalismo italiano, di cui FIAT è sicuramente il maggior interprete, che figlio degli aiuti statali, e che MAI ha rischiato in proprio, i sacrifici pretende di non farli mai, scaricandoli una volta sulle spalle dello Stato, una volta su quelle dei lavoratori; in un'ottica, poi, di FALSA trattativa e disponibilità, perchè la trattativa non può essere "o dite di sì o ce ne andiamo", "o si fa come diamo noi o si chiude", e via di questo tenore.
    Forti responsabilità, in questo senso, le ha anche il Governo.
    Non dimentichiamo che da più di quattro mesi l'Italia non ha un Ministro dello Sviluppo Economico e non se ne vede, nonostate le sollecitazioni anche del Presidente Napolitano, possibile nomina a breve.
    Per concludere, vorrei riportare un pezzo dell'articolo di Mucchetti di ieri, perchè non esiste solo la lezione tedesca, ma anche quella americana (dove esiste un'amministrazione progressista) e quella francese (dove l'amministrazione è conservatrice).
    «Negli Usa, i sindacati sono entrati nei board non per inseguire il modello tedesco, ma per tutelare le azioni ricevute in cambio della cancellazione dei crediti sanitari. Le loro rappresentanze sono largamente inferiori alla quota di capitale posseduta. Ma il loro vero tutore è la Casa Bianca, la quale condiziona gli aiuti alla difesa del made in Usa. Il presidente Obama (progressista) presta miliardi di dollari a Marchionne non per delocalizzare ma per tenere aperti in patria quanti più stabilimenti possibile di una Chrysler altrimenti fallita e rifiutata da tutti. La stessa finalità persegue in Francia il presidente Sarkozy (conservatore) con Renault e Psa, senza attendere le difficoltà di Detroit. E la Renault esibisce tuttora una presenza dello Stato nel capitale, mentre Psa, interamente privata, è controllata da una famiglia, i Peugeot che fa parte di un establishment con forti sentimenti nazionali.»

    Pier Luigi Camagni - 27 agosto 2010
    Guardate che la strada di Obama nel settore è stata quella dell'Italia dagli anni '60 agli anni '80. Il risultato sono stati prima l'Alfa-Romeo e poi la FIAT.

    Bisognerebbe poi ricordare che il tracollo di Chrysler e GM è stato dovuto alla elevata sindacalizzazione della forza lavoro di quelle aziende che notoriamente a un certo punto erano diventate erogatrici di servizi sociali (pensioni e previdenza sanitaria) e non piu' produttrici di automobili
    E questo senza ricordare gli interventi protezionistici di Reagan negli anni '80

  3. #3
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    Predefinito Rif: Il modello Germania, la FIAT, il nuovo Patto Sociale

    Marchionne, Marcegaglia, Camusso, Sacconi


    MARCHIONNE MARCEGAGLIA CAMUSSO SACCONI


    La sostanza

    Partirei da un punto fermo: i problemi produttivi posti da Marchionne sono veri; essi esistono e vanno affrontati. Sulla carenza di produttività dell’azienda Italia ho versato fiumi di inchiostro, e l’exit strategy per il nostro paese se vuole avere un ruolo nel mondo selettivo post crisi, se vuole mantenere il suo tenore di vita senza declinare lentamente a paese del terzo mondo, non può essere altro che la ricerca di produttività e competitività.

    Sarò provocatorio, ma parlare di diritti violati è una scelta perdente anche se ineccepibile sul piano giuridico costituzionale. Le lotte, le rivoluzioni non si vincono con il codice in mano, ma facendo proposte di soluzione della crisi più credibili e più efficienti di quelle proposte dal padrone, che, sembrerà un’ovvietà, non può far altro che proposte padronali.

    Solo una proposta forte che copra le scelte strategiche (auto elettrica, mobilità urbana ed ecologica, contenuto scientifico e innovativo dei prodotti etc.) può contrapporsi alle proposte di Marchionne; solo prendendo in mano la bandiera della produttività tradita dagli imprenditori, si disegna un sentiero percorribile.

    La partecipazione

    Penso che il punto chiave della proposta Marchionne non sia tanto la riduzione dei costi della mano d’opera; la sua proposta anzi aumenta i livelli salariali; il punto chiave è rappresentato dai tempi di produzione, dal ritmo dei turni, dalla completa sottomissione ai ritmi produttivi, e quindi alla ricerca di comportamenti che non pregiudichino in alcun modo i piani produttivi. Malattia, assenteismo, scioperi etc. sono inconcepibili con una precisissima tempistica di lavoro ( in MTM un lavoro di Dario Fo degli anni 60, le lavoratrici non si potevano staccare dalla catena neppure per fare pipì)), quella tempistica che rende concorrenziale il prodotto.

    Ora questa alienazione totale del lavoratore, di tutti i lavoratori alle esigenze dei ritmi di produttività necessari alla sopravvivenza può essere raggiunta, secondo Marchionne, solo con la subordinazione globale dell’uomo lavoratore alle esigenze del cronometro mercato.

    Si tratta di quel tipo di partecipazione che Baglioni definirebbe integrativa. Questo tipo di partecipazione è figlia della filosofia sociologica “funzionalista”. Secondo questa filosofia il conflitto di interesse tra capitale e lavoro è frutto della sola ignoranza e del pregiudizio degli attori sociali che non si rendono conto che le due parti (capitale e lavoro) hanno gli stessi interessi e gli stessi fini e che rendersi consapevoli di ciò rende migliori i rapporti tra le parti stesse con riflessi positivi sulla produttività e sulla competitività (è la filosofia di Menenio Agrippa e, duemila anni dopo, di Veltroni).

    In mancanza di ragioni per il conflitto, non ha alcun senso l’antagonismo, ma è anche inutile la ricerca di un compromesso o di una trattativa tra le parti. Sarà il caso di rilevare che l’assenza di conflitto corrisponde ad una adesione incondizionata dei lavoratori alle esigenze obiettive e stringenti dell’impresa, interpretata in chiave capitalistica. Anzi, sulla scorta del modello giapponese della “qualità totale”, i lavoratori hanno un atteggiamento entusiasta nell’immedesimarsi nei fini aziendali, partecipando anzi attivamente al miglioramento del processo produttivo sia attuando un severissimo controllo sulla qualità della produzione durante la fase produttiva, sia partecipando ai “circoli della qualità” per ideare e proporre nuove soluzioni produttive più efficienti ed efficaci.



    Ma c’è un altro tipo ci partecipazione: quello collaborativo in cui le parti condeterminano e/o cogestiscono le problematiche aziendali. Si tratta del famoso modello tedesco noto come Mitbestimmung in cui il comitato di vigilanza (recentemente introdotto anche nella legislazione italiana) di un impresa è composta per la metà di rappresentanti del capitale e metà da rappresentanti dei lavoratori. Quando quindi Marchionne, e soprattutto Sacconi, parlano di partecipazione si riferiscono a quella integrativa o di completa subordinazione al padrone, e non certo a quella collaborativa tedesca, anche se ammiccano a quel modello. Ha mai parlato Marchionne di un consiglio di vigilanza 50/50 capitale e lavoro, tutt’altro il suo modello di rappresentanza ha il principale scopo di limitare lo spazio dei sindacati o subordinandoli (CISL e UIL) o escludendoli (FIOM), cosa che pare essere l’unico obiettivo di Sacconi e di un governo assente.

    C’è quindi una totale differenza sul piano filosofico tra le proposte padronali e quelle sindacali della CGIL. Certo merita una profonda riflessione l’atteggiamento di CISL e UIL che sarebbe ingeneroso liquidare con sprezzo. Occorre invece tener conto delle loro osservazioni soprattutto a quella per cui “Se non c’è fabbrica, non ci sono neppure diritti”. A fronte di questa ovvietà, e così difficile partire dalla comune volontà che la fabbrica rimanga in Italia ma che ciò non esclude che il modo di proporre soluzioni sia quello dialettico-collaborativo piuttosto che quello del dictat senza alternative.

    E’ su questo tipo di approccio che guardo con molto interesse al lavoro che sta facendo Susanna Camusso. Resistere alle richieste legalistiche della FIOM per affrontare, anche con Emma Marcegaglia, la sostanza del problema: il tavolo per la ricerca comune di un nuovo modo di realizzare la produttività. Tavolo cui Marchionne non vuole partecipare, tanto da uscire da Federmeccanica e tavolo al quale il governo è totalmente assente, preferendo dare un appoggio sospetto e non so quanto gradito alla linea Marchionne.

    I diritti

    Parlando poi di diritti, giusto distinguere l’abuso dell’esercizio dei diritti che dovrebbe essere combattuto dai sindacati in modo anche più fermo di quello adottato dal padrone, dal corretto utilizzo degli stessi. Senza ammiccamenti o secondi pensieri. Certo i diritti possono essere ridiscussi e non sono mai conquistati per sempre; il cammino verso la libertà passa attraverso allargamenti e restringimenti dei diritti, si tratta di gestirli intelligentemente senza irrigidimenti ideologici di fronte alle nuove condizioni di contorno. Cercando di evitare che l’irrigidimento sia di ostacolo al superamento delle problematiche oggettivamente esistenti, e testando nel concreto la congruità e la coerenza dei diritti rivendicati con la soluzione dei problemi pur riconosciuti.

    Ma c’è un altro aspetto mai sollevato. Dopo la caduta del muro di Berlino, abbiamo delegato all’imprenditore quella che ritenevamo essere la sua maggior capacità: quella di combinare al meglio i fattori della produzione. Su richiesta imprenditoriale abbiamo eliminato la scala mobile, abbiamo fatto le privatizzazioni, abbiamo dato flessibilità al mondo del lavoro precarizzandolo, abbiamo dato pace sociale, abbiamo perseguito la moderazione salariale, abbiamo cioè creato tutte le condizioni di contorno atte a far svolgere al meglio la funzione imprenditoriale di combinare i fattori della produzione. Ogni volta veniva garantito che rivedendo quel certo diritto si sarebbe data via libera ad un volo virtuoso dell’impresa.

    Eppure dopo anni di egemonia imprenditoriale siamo la maglia nera della produttività nei paesi occidentali. Parliamo allora di diritti, ma dei diritti del padronato; il loro diritto di dirigere l’impresa non può essere un semplice derivato del diritto di proprietà; deve essere inteso anche come mandato, incarico della collettività a chi è ritenuto essere il più adatto a svolgere un certo lavoro, in tal caso di combinare i fattori della produzione.

    Se a questo compito non si è in grado di adempiere, ebbene anche in tal caso i diritti vanno rivisti e se del caso revocati.

  4. #4
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    Predefinito Rif: Il modello Germania, la FIAT, il nuovo Patto Sociale

    Citazione Originariamente Scritto da Manfr Visualizza Messaggio
    Dopo la caduta del muro di Berlino, abbiamo delegato all’imprenditore quella che ritenevamo essere la sua maggior capacità: quella di combinare al meglio i fattori della produzione. ....
    Certo che sembra di leggere gente che viene da qualche luna di Saturno (quella della terra è troppo vicina per poter dire certe fesserie)
    Lo stato controlla direttamente ben oltre il 50% della ricchezza prodotta attraverso tasse e spesa pubblica e l'altro 50% con una regolamentazione folle e insensata. Senza considerare il debito pubblico che assorbe buona parte del risparmio quindi delle risorse cumulate prodotte dall'Italia nel tempo

    Cioè qualsi tutta la ricchezza italiane è allocata dallo stato con cio' che ne consegue

  5. #5
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    Predefinito Rif: Il modello Germania, la FIAT, il nuovo Patto Sociale

    Citazione Originariamente Scritto da Phileas Visualizza Messaggio
    Certo che sembra di leggere gente che viene da qualche luna di Saturno (quella della terra è troppo vicina per poter dire certe fesserie)
    Lo stato controlla direttamente ben oltre il 50% della ricchezza prodotta attraverso tasse e spesa pubblica e l'altro 50% con una regolamentazione folle e insensata. Senza considerare il debito pubblico che assorbe buona parte del risparmio quindi delle risorse cumulate prodotte dall'Italia nel tempo

    Cioè qualsi tutta la ricchezza italiane è allocata dallo stato con cio' che ne consegue
    Siamo molto più comunisti della cina, che di tasse c'ha meno del 20% del pil.

  6. #6
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    Predefinito Rif: Il modello Germania, la FIAT, il nuovo Patto Sociale

    Citazione Originariamente Scritto da Manfr Visualizza Messaggio
    Il modello Germania, la FIAT e il nuovo Patto Sociale

    Il modello Germania, la FIAT e il nuovo patto sociale - Lega dei Socialisti Lombardia

    Pierluigi Camagni, PSI Lombardia



    Si dimentica, però, di aggiungere che un operaio tedesco, pur in presenza di un costo della vita non molto diverso dal nostro, guadagna il doppio di un operaio italiano.


    Pier Luigi Camagni - 27 agosto 2010

    concordo su tuto ilr esto,ma su questa faccenda del costo della vita, mi sembra che l'autore non sia molto ben informato; in germania il costo della vita è sicuramente molto inferiore a quello italiano; basti pensare infatti ad uno dei costi principali , quello delle case e quindi anche degli affitti; in granparte della germania, il costo al metro quadro di una casa, è la metà o anche meno rispetto all'italia , rispetto alle normali città di provincia dell'italia ; se andiamo poi a raffrontare il costo dell grandi città,ad esempio milano o roma con berlino, ma anche amburgo o monaco, abbiamo delle differenze ancora più grandi;naturalmente è poibene ricordare che il prezzo delle case e degli affitti, incidono particolarmente sul costo della vita; in italia, portano via quasi la metà dello stipendio medio di un lavoratore dipednente

  7. #7
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    Predefinito Rif: Il modello Germania, la FIAT, il nuovo Patto Sociale

    La Fiat ha approfittato di un momento di alta disoccupazione per ottenere concessioni sostanziali dai sindacati e lo ha fatto condizionando l'aumento di produttività del capitale all'aumento di produttività del lavoro, con l'alternativa di poter liberamente investire nel resto del mondo. A me sembra pacifico che l'alternativa (graduale smantellamento dell'industria automobilistica in Italia) sia inacettabile, e credo che la Cgil invece di accettare e gestire quella che è la realtà della globalizzazione stia rischiando di perdere molto potere contrattuale con un atteggiamento oltranzista su quella che ormai è una battaglia di retroguardia.

    Il modo in cui sono impostate le relazioni industriali è uno dei motivi per cui la produttività del lavoro non cresce, i capitali esteri non vengono attirati nemmeno nel nord e le regioni del sud non riescono a convergere verso livelli di benessere europei. Tutte cose che si inseriscono nel problema più vasto della mancanza di crescita. La responsabilità sindacale, i meccanismi di contrasto dell'assenteismo e la contrattazione decentrata se si diffondono possono solo avere un effetto positivo su queste cose.

 

 

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