Libero Quotidiano di mercoledì 29 dicembre 2010, pagina 1
Tutto quello che Silvio diceva e non ha fatto - Quel che Silvio deve manteneredi Bechis Franco
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L'EDITORIALE TUTTO QUELLO CHE SILVIO DICEVA E NON HA FATTO
MODELLO VISCO Immutata l'Irap, tassate donazioni e successioni, il sistema erariale è ancora quello di Visco contro cui il Cav portò due milioni di persone in piazza Quel che Silvio deve mantenere Dei 119 obiettivi di inizio legislatura ne mancano 79: il più urgente è la riforma del fisco. Servono il taglio delle aliquote, gli sgravi su tredicesime e premi, i bonus e la cedolare secca sugli affitti. O è meglio votare di FRANCO BECHIS Da quando Silvio Berlusconi ha presieduto il suo primo consiglio dei ministri dopo le trionfali elezioni del 2008 sono trascorsi 32 mesi. Più della metà di una legislatura, che se arriva al termine dura 60 mesi. In campagna elettorale Berlusconi ha proposto agli elettori un programma snello, di 24 pagine divise in sette missioni e 119 obiettivi di governo. Nei 32 mesi di governo ne ha realizzati - qualcuno solo in parte - 40, e nei 28 mesi che ancora può durare la legislatura mancano quindi all'appello 79 obiettivi promessi. Se si tiene conto che dei 40 realizzati ben 15 sono contenuti in provvedimenti approvati nei primi 100 giorni di governo e 28 nel primo anno, è evidente come dalla primavera 2009 in poi (da quando esplose il caso Noemi) l'attività dell'esecutivo si è ridotta al lumicino. I numeri sono un po' freddi, certo. E dietro di loro c'è un mondo che è radicalmente cambiato da quella campagna elettorale. È esplosa la crisi prima finanziaria e poi economica internazionale, che ha naturalmente cambiato per tutti il quadro di riferimento, reso più urgenti provvedimenti che non erano immaginabili e costretto a rinviare i programmi. Terremoto de L'Aquila e altri disastri naturali hanno impegnato risorse ed energie non previste. Gianfranco Fini con i suoi fedelissimi hanno fatto il resto: boicottato gran parte dei lavori parlamentari con una guerriglia in aula e in commissione prima silenziosa e poi roboante, fino ad arrivare allo strappo, alla costituzione di un nuovo partito, alla spallata all'esecutivo che alla fine è fallita, rendendo però la maggioranza assai più debole e striminzita. Ci sono mille ragioni dunque dietro quei freddi numeri che lasciano in alto mare buona parte del programma elettorale. Ora che si conoscono le difficoltà però non c'è nemmeno una ragione per proseguire la legislatura con il ruolino di marcia degli ultimi mesi. Perché l'importante in queste settimane non è arrivare a 320 o 325 parlamentari di ma: oranza per essere sicuri di non cadere, o convincere questa o quella forza politica a dareun sostegno più o meno palese al governo. I numeri rischiano di non bastare mai: c'è uno squadrone di deputati che sono al governo come ministri o sottosegretari e che difficilmente potranno essere in commissione o in aula ad ogni votazione. Quel che manca non è una soluzione strategica - che da mesi sembra essere l'unica preoccupazione della politica - ma un'idea di governo, un nuovo programma da realizzare (almeno una parte di quei 79 obiettivi che mancano all'appello) con tanto di ruolino di marcia stabilito. Potrebbe essere più efficace sfidare di volta in volta il Parlamento sui singoli provvedimenti che cercare faticosamente reclutamenti dell'ultima ora o alleanze posticce. Certo, per farlo è necessario cambiare la sceneggiatura del film trasmesso in questi mesi. Con qualche idea buona pur circolata, ma arenatasi di fronte al muro del ministero dell'Economia: "Signori, non c'è un euro".
TREMONTI ZERO SCONTI È vero che Giulio Tremonti ha tenuto con sa; ezzg la barra dei conti pubblici italiani ed stato soprattutto bravo a fare pesare questo Paese all'interno delle assili dell'Unione europea. Una abilità che è stata riconosciuta apertamente dalle opposizioni, tanto che proprio il nome di Tre-monti è stato indicato prima dal leader del Pd, Pierluigi Bersani (8 agosto, intervista al Corriere) e poi dai terzo polisti di Pierferdinando Casini (alla vigilia del voto di sfiducia del 14 dicembre) come premier gradito di un nuovo governo di "responsabilità nazionale". È probabile che Berlusconi non abbiaparticolarmente gradito il silenzio del suo ministro dell'Economia di fronte a tanti osanna strumentali nei giorni più delicati della crisi politica. Ma ora ancora di più Tremonti potrebbe rivelarsi un punto di forza nella sfida del premier al Parlamento. Perché è dalla politica economica e soprattutto da quella fiscale che il premier dovrebbe tentare di partire. Dopo due anni e mezzo di governo il sistema fiscale è ancora integralmente quello disegnato da Vmcenzo Visco durante l'ultimo governo di Romano Prodi. Cancellata la riforma Tremonti della legislatura precedente, immutata l'Irap, tassate come un tempo donazioni e successioni. È quasi tutto in piedi quello per cui proprio Berlusconi portò in piazza due milioni di elettori a sfilare contro il governo delle cento tasse.
*** Anzi, c'è qualcosa in più. Perché Visco, sventolando la bandiera della lotta all'evasione fiscale, portò a casa 3 miliardi di euro.
MANO FEROCE Tremonti, zitto zitto quest'anno ha recuperato 10 miliardi di euro come aveva scritto a inizio 2010. Per il 2011 ha raddoppiato la posta: 20 miliardi di euro. Azione sicuramente benemerita. Solo che quando ci sono questi obiettivi da realizzare in breve tempo, non si va a bussare alla porta di chi non paga le tasse (perché normalmente non si conosce l'indirizzo). Si va da chi le paga già e si comincia a contestare questa o quell'operazione. Nel 2010 questo è stato fatto a tappeto con i grandi contribuenti, sfruttando lo strumento dell'accertamento con adesione (in parole povere, arriva la finanza o l'agenzia delle Entrate, solleva dubbi e irregolarità e dice che questo potrebbe costare 100, ma se si paga 30 subito la questione finisce G. E normalmente si paga). Nel 2011 per fare 20 miliardi bisognerà battere a tappeto piccoli e medi contribuenti, e la prospettiva non è certo esaltante. È una battaglia sacrosanta quella della lotta all'evasione, ma un governo di centro destra non può farla come la farebbe un Visco e basta. Bisogna che sia accompagnata da un abbassamento della pressione fiscale verso chi paga già, con quella riduzione delle aliquote su famiglie e imprese prevista dal programma PdL e restata lettera morta. È piccola cosa, ma ad esempio si renda subito operativa quella cedolare secca sugli affitti che aveva proprio questa idea di base: un fisco leggero in grado di fare emergere base imponibile oggi nascosta. Tante volte si è scritta, e poi rinviata per non correre rischi e occuparsi di altro. La detassazione di tredicesime e premi di produttività che era uno dei cardini programmatici è stata tentata sperimentalmente e poi via via ridotta fino al tetto dei 60 milioni di euro complessivi previsto per il 2011: un'inezia. Così come si è ristretto il perimetro di bonus e incentivi per investimenti in grado di creare nuova occupazione. Ci saranno state mille ragioni in questi due anni. Ma non c'è ragione di proseguire se nemmeno un provvedimento per un fisco più giusto si può portare a casa. Allora meglio archiviare tutto e andare a votare.
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