"Il copione teatrale dell’anti-italiano consiste nell’attribuire all’intera collettività nazionale i difetti specifici ed irripetibili della propria canagliesca personalità individuale, con in più l’ipocrisia del tirarsene fuori" (Costanzo Preve)
Ciò in quanto, assodato che il risparmio è sempre equivalente alla spesa per investimento e che l’aumento di domanda aggregata aumenta solo il livello dei prezzi e non incide sulla produzione, i beni prodotti vanno comunque distribuiti (“allocati”), al prezzo adeguato alle richieste di mercato, mercato basato sulla quantità di beni disponibili, conservandovi quindi un equilibrio reddito/spesa perlomeno non dissimile da quello odierno, ma nella realtà assai più stabile ed efficiente come indiretta conseguenza alla scomparsa di inflazione e disoccupazione; ed anche, così come oggi, qualora i costi di produzione superassero il rendimento, il bene (evidentemente non necessario) semplicemente non verrebbe prodotto (per “costo di opportunità” ), massimizzando con ciò la “funzione di utilità” non dissimilmente rispetto ad oggi. Contrariamente a quanto sostenuto dai keynesiani, secondo i quali bisogna consumare per produrre, il che significa invertire i concetti di domanda/offerta. Certo le nicchie vengono riempite, ma i keynesiani tralasciano di valutare che è possibile fornire “a seconda delle necessità” solo se esiste la possibilità di farlo. Per distribuire la ricchezza bisogna prima crearla, e per crearla ci devono essere i mezzi. Non si può cavare sangue da una rapa.
“Bisogna mangiare per vivere, non vivere per mangiare” (Socrate)
Se ne deduce che la base fondante del distributismo si regge sulla constatazione della “legge di Say” . Questo significa in parole povere che, a differenza di quello che avverrebbe con l’applicazione delle teorie marxiste, praticando il distributismo il livello di vita rimarrebbe generalmente perlomeno uguale ad oggi dal punto di vista della percezione personale, comunque non inferiore, dato che per la produzione aggregata non si intravede alcun motivo per prospettarvi una sua diminuzione o una variazione del tipo di beni prodotti (che invece per il marxismo, come anche esperienza insegna, si prospettano). Nel distributismo, così come nel liberismo, quando c’è un prodotto sul mercato, esso viene in ogni caso adeguatamente usufruito, cioè scambiato secondo le normali leggi domanda/offerta che ne determinano il prezzo; contrariamente a quanto accade col marxismo, il quale, considerando il costo come fattore determinante il prezzo (“teoria del valore-lavoro” ), si ritrova inevitabilmente schiacciato tra gli squilibri che si vengono a creare: inefficienti giacenze da un lato e scarsità dall’altro. Da ciò si evince chiaramente un aspetto che riteniamo utile far comprendere, cioè che il concetto “cosa produrre, come, e per chi” base dello studio dell’economia politica, permane immutato tra liberalcapitalismo e distributismo. Ma diversamente dai liberisti, i distributisti auspicano che il lavoro umano sia tolto dal novero dei fattori di produzione. Per questi motivi, distinguendosi in ciò dagli economisti liberal, i distributisti rifiutano di considerare i beni come numeri fini a se stessi, e giudicano illogica e surreale “La favola delle api” , alla quale contrappongono il “Racconto della finestra rotta” . Di conseguenza promuovono un sistema sociale che preveda la sostituzione del concetto liberista di lavoro come “valore mercantile” con quello cattolico di “necessità” ed il cui coordinamento venga basato sul “merito” anziché sul “fato”.
La “funzione di consumo” è il rapporto tra reddito e consumo; la “funzione di risparmio” è il rapporto tra reddito e risparmio.
Il “costo di opportunità” determina all’imprenditore come impiegare più opportunamente i fondi disponibili per l’investimento, ossia cosa è più conveniente produrre e commerciare e cosa meno; determina al consumatore come impiegare più opportunamente i fondi disponibili per la spesa, ossia cosa è più necessario acquistare e a cosa dover rinunciare di conseguenza.
La “funzione di utilità” è la misurazione della soddisfazione data ad una persona dal consumo dei beni, ovvero dal livello in cui essi colmino la sua percezione di necessità.
La legge di Say analizza il concetto che le merci si pagano con le merci, e che i valori di scambio reciproci si adeguano di conseguenza; si tenga conto che anche la moneta è una merce, seppur simbolica.
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Consumare per produrre, anziché produrre per le esigenze sentite. Appena vennero costruite le autostrade molti commercianti dei paeselli si lamentavano che assieme al passaggio di auto erano diminuiti gli affari. Ecco il tipico retaggio del lavoro non come necessità, ma l’opposto. A loro vedere evidentemente non erano loro a lavorare per colmare una necessità, ma era la necessità a “permettergli” di lavorare. Non a costringerli. Se non c’è necessità non c’è bisogno di faticare e perdere tempo per colmarla!
Marx aveva chiamato, questo fenomeno, feticismo della merce. La logica del mercato risponde appunto in questo: ogni oggetto in virtù della domanda aumenta di valore. Detto altrimenti, il desiderio dell’individuo è sempre il desiderio degli altri.
“L’economia non segue la logica intrinseca dei bisogni” bensì “sono i bisogni a seguire la logica intrinseca dell’economia” (Niklas Luhmann)
E proprio perché potenzialmente ci consente di ottenere qualunque cosa, il denaro tende sempre a trasformarsi in un fine in se stesso.
"Il copione teatrale dell’anti-italiano consiste nell’attribuire all’intera collettività nazionale i difetti specifici ed irripetibili della propria canagliesca personalità individuale, con in più l’ipocrisia del tirarsene fuori" (Costanzo Preve)
La solita inversione causa effetti. Guarda che il reddito dei salariati non puo' che seguire la produzione... non viceversa. Per una semplice, palese, lampante, ed autoevidente ragione: per poter consumare, prima bisogna produrre.
Le tue affermazioni invece presuppongono il contrario... e sulla tua strada si finisce a sostenere idiozie come: il salario e' una variabile indipendente, i consumi vanno sostenuti, i salari vanno aumentati per creare domanda, diamo piu' soldi in bustapaga e l'economia riparte ... e via delirando.
A mio parere sono tutte balle. Che il capitalismo redistribuisca ricchezza era evidente a tutti dai tempi della rivoluzione industriale, bastava guardare alla sempre maggior quantita' e qualita' di beni a cui potevano accedere sempre piu' persone... alla durata della vita media... etc.
Ovviamente il meccanismo non e' esattamente quello a cui ancora oggi tutti credono, cioe' quello per il quale i lavoratori ottengono piu' reddito grazie alle "lotte". In realta' il capitalismo redistribuisce la ricchezza attraverso l'aumento di potere d'acquisto reale dei salari, cioe' la costante riduzione dei prezzi dei beni, che e' conseguenza del continuo aumento di produttivita', che a sua volta e' una conseguneza dello sviluppo economico e della ricerca del profitto d'impresa.
Io tendo a vedere l'avvento del welfare come un'immensa manipolazione di massa (come tante ne sono avvenute nel passato) fatta ad opera di chi dalla redistribuzione aveva solo da guadagnarci (gli intermediari, i sovrani/ politici) e che faceva leva sui piu' bassi istinti di sopraffazione ed invidia. Un'opera di incessante martellamento che e' passato prima per la legittimazione dello stato come entita' che puo' tranquillamente prendere il frutto del lavoro altrui, poi attraverso la propagazione dell'idea che lo stato e' piu' buono della societa' capitalista che lo sostiene, che e' piena di difetti che vanno corretti (ad esempio affermando che e' un difetto il fatto che alcuni siano piu' ricchi di altri) ... per finire all'invenzione dei diritti sociali, cioe alla promessa di ottenere beni e servizi prodotti da altri in cambio di consenso. Uno schifo insomma.