ho notato che vi sono riportati solo i 'Vantaggi del protezionismo' e non gli Svantaggi...chi li elenca? magari possiamo modificare la pagina dell'enciclopedia
http://it.wikipedia.org/wiki/Protezionismo
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Così come nella “grande depressione” del 1873-95, le cause principali vanno sicuramente addebitate ai dazi doganali, ma soprattutto ai motivi che li avevano fatti introdurre. Alcuni stati producevano beni in surplus che però importatori di altri stati non potevano acquistare a causa dei dazi che venivano imposti dai produttori interni per non vedere diminuito il valore dei propri prodotti. Contrariamente ad ogni logica economica sul “vantaggio comparato”. Ogni ambiente ha un vantaggio rispetto ad altri nella produzione di determinati beni. Ad esempio la Mesopotamia ha un vantaggio nella produzione agricola se comparata all’Antartide. Viceversa l’Antartide ha un vantaggio nella produzione di ghiaccio se comparato alla Mesopotamia. Altrimenti non si spiegherebbe perché delle esportazioni tra Germania e Francia, il 52% dell’interscambio avviene tra prodotti simili, a conferma che ciò che regola il commercio internazionale non è la speculazione ma le economie di scala, secondo Paul Krugman.
Lo scambio delle rispettive produzioni in cui sono rispettivamente avvantaggiati è efficiente nelle maggiori quantità reciprocamente scambiabili rispetto ad una situazione di autoproduzione autarchica. Quindi quando in un paese produttore di un dato bene questo raggiunge livelli di saturazione il suo prezzo scende sotto un livello che non è più conveniente per il produttore produrre e trasportare (“costo di opportunità”), se non trovando nuovi mercati dove poter continuare a vendere a prezzi vantaggiosi. Il commercio internazionale, la bilancia commerciale, tendono ad equilibrarsi come la teoria dei vasi comunicanti. I dazi lo bloccano.
In assenza di tali nuovi mercati la produzione pur mantenendo una potenziale produttività ed una potenziale domanda mondiale, diminuisce o si ferma.
Per fare un esempio riguardo la crisi degli anni 1873-95 il grano è il bene ideale: negli Stati Uniti vi era una sovrapproduzione di grano dovuta all’ampiezza degli spazi coltivati estensivamente, alla bassa densità di popolazione, ed all’introduzione del filo spinato. I progressi nei trasporti consentivano sempre più l’esportazione per lunghe distanze cosicché grazie a questo suo “vantaggio comparato” gli USA divennero esportatori di grano in Europa. L’Europa di bocche da sfamare ne aveva e quindi acquistava il grano americano, a prezzo più basso rispetto alla produzione locale. Ma ciò danneggiava i proprietari terrieri europei, i quali imposero ai rispettivi governi i dazi per gravare sulle importazioni dall’America. Quindi la responsabilità va ricercata negli interessi particolari di un gruppo ristretto, in questo caso la lobby dei grandi proprietari terrieri. Questa anomalia provocava un risvolto noto come “fallimento del mercato” causato da uno “shock della domanda” negativo, con le seguenti conseguenze: carenza di grano e quindi suoi prezzi più alti in Europa; eccedenza di grano in USA con conseguente abbandono di terre coltivate e disoccupazione; mancato afflusso di beni dall’Europa all’America (coi quali veniva pagato il grano); tali beni potevano essere prodotti industriali o minerari o beni di lusso o servizi svolti dagli immigrati; mancato afflusso di rimesse in Europa dagli immigrati disoccupati in America.
“La completa libertà di mercato non è politicamente fattibile. Perché? Perché è solo nell’interesse generale e non nell’interesse di qualcuno particolare. I benefici di un dazio sono visibili. I sindacati possono vedere che sono “protetti”. Il danno che fa un dazio è invisibile. Si diffonde largamente. C’è gente che non ha lavoro per via dei dazi ma non lo sa” (Milton Friedman)
In pratica una “forzatura del risparmio”, che provoca solo diminuzione del PIL. Quindi che l’eccesso di risparmio sia la causa della crisi è una conclusione affrettata che non tiene conto delle ipotesi semplificatrici non ben esplicitate. Un aumento di consumi che avviene a parità di ogni altra condizione (per esempio con un aumento di spesa pubblica fatto a scopo anticongiunturale, o una riduzione del risparmio), ha una sola prima conseguenza immediata: un aumento dei prezzi dei prodotti verso i quali si dirige la domanda. Come effetto mediato, può esserci un aumento di produzione. Le condizioni che permettono il raggiungimento del risultato anticongiunturale voluto sono: o i prodotti verso cui si dirige la domanda innescata dalla spesa pubblica sono esattamente quelli che soffrono per eccesso di produzione; o esistono fattori produttivi disoccupati (uomini e capitali), che possono destinarsi ad accrescere la produzione di quei beni verso i quali si dirige la domanda. In mancanza di queste due circostanze il risultato anticongiunturale atteso non avviene. Come risultato della riallocazione del consumo e delle vendite la produzione in surplus diminuisce; al popolo europeo viene a mancare il nutrimento a basso prezzo; ai grandi coltivatori americani vengono a mancare quei beni “indotti” ma che erano l’incentivo alla produttività agricola; i coltivatori americani più piccoli e i dipendenti restano senza lavoro; i superflui beni “indotti” che restano in Europa vanno alle classi agiate (anche agricole) locali, che li possono acquistare a prezzo più basso rispetto al prezzo che pagherebbero contro una concorrenza americana; i produttori europei di questi beni superflui vedono quindi anch’essi ridotte le loro entrate oppure falliscono o rischiano il licenziamento se dipendenti; stesso discorso per il settore indotto (trasportatori, dettaglianti); gli emigrati europei in America diventano disoccupati, e le loro rimesse vengono a mancare in Europa. Come si vede questo circolo vizioso nuoce a tutti fuorché a una ristretta minoranza. Ma in una visione macroeconomica più ampia nuoce anche a questa cieca minoranza, nella crisi economica generale. Nell’aumento generalizzato dei prezzi rispetto ai ricavi (nel complesso deflativo generale), dato che anche i produttori di grano non vivono di solo grano. Quando la propensione al reinvestimenti è scarsa: Il denaro non va alla produzione di merci per mezzo di merci e alimenta piuttosto la produzione di consumo per mezzo di consumo, affluente e tipico delle classi agiate di vebleniana memoria.
Questo stesso circolo vizioso che causò la crisi del 1873-95 è la causa principale pure di quella del 1929, ma con modalità differenti.
La crisi del 1873-95 aveva trovato soluzione con il colonialismo, grazie al quale si erano aperti nuovi mercati nei quali si poteva dirigere il commercio, ogni nazione nelle sue colonie le quali erano precluse al commercio con altre nazioni sempre tramite i dazi. In questo modo gli stati europei potevano ricevere il grano americano senza gravare sui coltivatori locali grazie alle conseguenze dello “shock della domanda” positivo. Così quella che fu la soluzione alla crisi del 1873-95 divenne la causa di quella del 1929. La conferma di questo è il crollo dei prezzi (deflazione) avvenuto dopo il 1929. Questo perché a un certo punto anche i mercati coloniali arrivarono a un punto di saturazione (e in questo contesto come mercati coloniali dobbiamo riconoscere come parzialmente tali anche il sudamerica, la Cina, ed il Giappone, nei confronti degli Stati Uniti), quindi in assenza di una impossibile diversificazione di produzioni quello che, ad esempio, l’Inghilterra vendeva all’India non poteva venderlo al Marocco, e nemmeno acquistare. Viceversa la Francia poteva commerciare con il Marocco ma non con l’India. O se volevano dovevano farlo secondo i prezzi imposti dalla potenza coloniale e tramite essa, certamente più alti a causa dei dazi; questo gli consentiva di tenere al cappio tutte le nazioni indipendenti prive di colonie rilevanti (quindi anche l’Italia). Ed i prodotti di Marocco e India non sono gli stessi: ognuno di essi ha un “vantaggio comparato” nella produzione di determinati beni. Quindi a causa di questo stallo commerciale si ritornò alla situazione del 1873-95, nella quale si poteva produrre ma non si vendeva e se si vendeva si doveva vendere a prezzi tanto bassi da dover abbandonare la produzione od il trasporto; mentre i prodotti da comprare avevano prezzi talmente alti da non poterseli permettere. Quindi forzatura del risparmio a causa dello spostamento verso il basso della “funzione di consumo aggregato” con ripercussione negativa sul “PIL di equilibrio reddito/spesa”, e quindi diminuzione della “spesa aggregata programmata” ed accumulo di scorte, che per “aggiustamento” provoca recessione. Tuttavia se la causa di fondo è questa, il crollo del 1929 è stato così repentino a causa dell’accumulo continuo di valore anche dal momento i cui tale valore era diventato fittizio. Il crollo, come fattore psicologico è stato originato dall’essersi resi conto di ciò. Ed è stato seguito da una crisi così imponente perché il valore nominale complessivo delle azioni di società aveva superato di gran lunga i beni esistenti acquistabili con tali cifre. E quindi ogni società aveva superato di gran lunga il suo valore reale. Un po’ come se oggi un falsario si mettesse a distribuire certificati azionari falsi. Il crollo del valore era inevitabile allorquando ci si sarebbe resi conto di ciò.
Tuttavia ciò non spiegherebbe il motivo per cui il crollo della borsa fu così repentino; effettivamente la spiegazione fin qui data giustificherebbe un lento declino. La spiegazione sta proprio nella frase precedente: il crollo del “martedì nero” non fu il crollo dell’economia in senso lato, ma il crollo della borsa! Fu cioè una crisi finanziaria, che divenne crisi economica reale solo a causa del sistema dei dazi.
Tutto a causa dei dazi doganali, un “costo aggiuntivo” imposto fittiziamente alle merci con l’unico scopo di salvaguardare gli interessi particolari di una ristretta minoranza, che portava di conseguenza a combattere una guerra commerciale tra nazioni. Guerra che da commerciale era divenuta militare negli anni 1914-18, addirittura riavvicinando le due nazioni nemiche storiche per antonomasia, Gran Bretagna e Francia, e il cui risultato (l’eliminazione di un forte concorrente, Germania, che, essendosi sganciato dalle crescenti logiche globalizzatrici, ostacolava l’oligopolismo ritenuto essenziale da Gran Bretagna e Francia per poter tenere alti i loro prezzi sui mercati internazionali ) aveva ridato “ossigeno” al sistema economico coloniale per qualche anno “ruggente” in più, fino al 1929 appunto. Senza la Prima Guerra Mondiale la crisi non sarebbe iniziata nel 1929, ma molto prima, probabilmente a partire dal 1914 stesso in continuità con la recessione iniziata nel 1907.
“La gente si accorge sempre della guerra solo quando scorre il sangue. Non abbiamo forse oggi la guerra doganale? E’ appunto perciò ch’io sono contro le dogane, e le ho aumentate meno degli altri. Con queste nuove muraglie cinesi noi torniamo, in piena luce del ventesimo secolo, al Medioevo, all’economia chiusa dei Comuni” (Benito Mussolini , 1932)
“Le potenze anglosassoni, che oggi fanno la guerra all’Europa, hanno condotto dal 1919 in poi una vera e propria politica d’aggressione economica, attraverso progressivi inasprimenti del protezionismo, la chiusura all’emigrazione, l’attuazione di barriere doganali e di sistemi di protezione imperiali. Ne è risultato, come conseguenza inevitabile, la distruzione del commercio internazionale e uno stato di non cooperazione e di anarchia che ha portato il mondo intero al limite del collasso economico (…) iniquità e diseguaglianza nelle quali Mussolini aveva fin d’allora individuato e denunciato il fatale germe dell’attuale conflitto (…) i paesi dell’Asse hanno accettato la lotta non con la pretesa o la stolta ambizione di imporre determinati ordinamenti politici a gente di ogni razza, ma per un ideale di giustizia che superi, in un aspirazione comune alla libertà, ogni tendenza all’egoismo e alla sopraffazione. Un ideale di giustizia che dia a tutti i popoli, nessuno escluso, il diritto alla primaria libertà, vista come reale possibilità di lavorare e di vivere in pace” (dal preambolo alla bozza della “Carta dei Diritti dei Popoli Europei”, documento redatto da Giuseppe Bastianini nella primavera del 1943, e che avrebbe dovuto rappresentare l’equivalente europeo dell’anglosassone “Carta Atlantica”, da presentare in un auspicata “Conferenza generale dei popoli dell’Asse” )
"Il copione teatrale dell’anti-italiano consiste nell’attribuire all’intera collettività nazionale i difetti specifici ed irripetibili della propria canagliesca personalità individuale, con in più l’ipocrisia del tirarsene fuori" (Costanzo Preve)
Maggio 1988
Ronald Reagan: Protectionist Ronald Reagan: protezionistiche
by Sheldon L. Richman da Sheldon Richman L.
Mark Shields, a columnist for the Washington Post, recently wrote of President Reagan's "blind devotion to the doctrine of free trade."
Mark Shields, editorialista del Washington Post, ha scritto recentemente del presidente Reagan "cieca devozione alla dottrina del libero scambio".
If President Reagan has a devotion to free trade, it must be blind because he has been way off the mark. Se il presidente Reagan ha una devozione al libero commercio, deve essere cieco perché è stato fuori strada.
In fact, he has been the most protectionist president since Herbert Hoover.
In realtà, egli è stato il presidente più protezionista da Herbert Hoover.
The Free Market: Ronald Reagan: Protectionist
ecco il vero volto di RONALD REAGAN ; il + grande eroe del libero mercato
La verità produce effetti anche quando non può essere pronunciata.
L. von Mises
SILENDO LIBERTATEM SERVO
REAGAN ha imposto i + alti DAZI DOGANALI contro i prodotti stranieri nella storia delgi USA
ha imposto QUOTE di importazione , ha imposto Prezzi concordati
ha imposto rivalutazioni forzose sulle monete estere x frenare l'export dei paesi concorrenti
e oltre tutto, pure ha fatto esplodere il debito pubblico a livelli...italiani
nonostante questo , i LIBERISTI sono riuscitia a farlo assurgere a ruolo di super liberista , a esempio del libero mercato
io mi chiedo con quale faccia tosta , con quale arroganza , con quale spudoratezza i liberisti riescano ancora a guardarsi allo specchio!!!...hanno la faccia come il cuxx.
ed è incredibile quanta gente viene convinta in buonafede!!!roba ancora + incredibile
Ultima modifica di EURIDICE; 05-01-11 alle 02:03
l'unica cosa buona di reagan sul piano politico-economico è stata quella di ridurre fortemente le tasse sul reddito.. si è passati da aliquote massime vicine all'80% ad aliquote massime del 35%
La verità produce effetti anche quando non può essere pronunciata.
L. von Mises
SILENDO LIBERTATEM SERVO
Guarda che i liberisti (al contrario dei sedicenti liberali dell'ultima ora) sono notoriamente bene informati e consapevoli di cosa sia il liberismo. E sono perfettamente al corrente del fatto che Reagan fu tuttosommato uno statalista ... impositore di dazi... e spendaccione di soldi pubblici.
Non diverso da qualsiasi altro politico di professione.
Per questo i liberisti come me considerano la possibilita' dello stato di essere effettivamente "liberista", una chimera.
Detto questo bisogna comunque dire che Reagan fece qualcosa di liberista (accanto ad altre che non lo erano affatto), tipo abbassare le tasse. Inoltre mi permetto di affermare che almeno Reagan indirizzo' la spesa pubblica nel modo migliore che potesse fare (o meno peggio diciamo), cioe' in quella corsa agli armamenti che alla fine fece crollare l'Urss e il muro di berlino, riscattando indirettamente la liberta' economica di milioni di cittadini sovietici e dell'europa dell'est...