Nel XIII secolo, poeti e scrittori come Bonvesin da la Riva, Ugo di Perso, Girardo Patecchio, Uguccione da Lodi, Pietro da Bersagapé, Giacomino da Verona e altri utilizzavano la lingua padana. Afferma in proposito Gerhard Rohlfs che “La stretta parentela esistente fra il tipo linguistico occitanico e quello della lingua “lombarda” degli Italiani settentrionali conferiva alla loro lingua un’aura naturale e letteraria. Molto tempo prima dell’influsso poetico esercitato da Dante e Boccaccio, nell’Alta Italia si era sviluppata una koiné padana (di tipo veneto-lombardo) di ampio uso letterario. Nel corso del Duecento questa koiné era già sulla via di assurgere a lingua letteraria nazionale. Essa veniva già sentita, e non di rado, come una lingua romanza indipendente, allo stesso livello delle lingue francese e “toscana”.“
Per koiné lombardo-veneta si intende il volgare illustre dell'Italia settentrionale (in particolare Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto), in uso principalmente tra il XII ed il XV secolo. Presso le fonti medioevali viene chiamata semplicemente "lingua scritta" oppure lombardo (nel senso medievale il toponimo "Lombardia" indicava un territorio molto più esteso, comprendente quasi tutto il Nord Italia).
Salimbene de Adam, attorno al 1280, nella sua "Cronica" parla di un Fra Barnaba il quale: "optime loquebatur Gallice, Tuscice et Lombardice" (parlava fluentemente il francese, il toscano ed il lombardo).
Anche al di là delle Alpi si trovano testimonianze letterarie sul Lombardo, come ad esempio le Leys d'amors provenzali, una grammatica in versi scritta tra il 1323 e il 1356 a Tolosa e attribuita a Guillem Molinier.
Nelle "Leys d'amors" si trova un passo molto citato, iniziando da Friedrich Diez, per arrivare al Rohlfs: "apelam lengatge estranh coma frances, engles, espanhol, gasco, lombard". Si noti che in questo passo sono citate le lingue che confinavano con il provenzale: Francese, Inglese (in quel tempo gli inglesi occupavano vasti territori in Francia), Spagnolo, Guascone e Lombardo.
Ne "La civil conversazione" (Brescia, 1574) dello scrittore piemontese Stefano Guazzo, si trova ancora un riferimento(ben oltre il XV secolo) alla polemica tra toscano e lombardo:
“S'io havrò a fuggire le voci peggiori, converrà bene, che in lor vece usi delle Toscane, il che facendo darò occasione di ridere a gli ascoltanti, mescolando zucche con lanterne, cioè le parole Lombarde con le Toscane.”
Fu Adolfo Mussafia, docente presso l'Università di Vienna, a evidenziare l'esistenza della koiné lombardo-veneta, nel suo lavoro Monumenti antichi di dialetti italiani (1861). A favore dell'esistenza di un volgare illustre, che sarebbe stato in uso nell'Italia settentrionale tra il XII ed il XV secolo, si era già espresso Bernardino Biondelli, in seguito furono studiosi come Carlo Tenca, Bartoli, Salvioni.
Studiosi come Ascoli e Contini (quest'ultimo, per la "Lauda dei Servi della Vergine" riconosce che "la lingua è la koiné padana").
Carlo Tagliavini, si esprime nel seguente modo: "Nell'Italia settentrionale gli scrittori lombardi e veneti stavano formando una κοινή letteraria che si manifestò con autori come Bonvesin de la Riva, Giacomino da Verona, Uguccione da Lodi, Girardo Patecchio, etc...".
La Padania corrisponde più o meno al territorio noto prima dell’700 come Lombardia, cioè l’antica Longobardia maggiore che comprendeva quasi tutto il Nord Italia. All’interno della Padania (che comprende anche la cosiddetta Svizzera italiana e la Repubblica di San Marino) esistono alcune zone che non sono di lingua padana, bensì occitana, francoprovenzale, altotedesca, slovena, ladina e friulana, mentre all’esterno della Padania esistono alcune zone di lingua padana in Slovenia e Croazia (zone dell’Istria e della Dalmazia), Francia (Mentone e Bonifacio), Monte Carlo, Sud America (ad esempio, in alcuni Stati del Brasile).
In effetti, il termine padano è una specie di abbreviazione per «padano-alpino-liguro-appeninico», o qualcosa di simile. Un’alternativa possibile sarebbe «norditaliano», ma data l’associazione immediata di «norditaliano» con lo Stato italiano, non è detto che un sanmarinese o un ticinese si identifichino volentieri con questo termine.
Un’altra alternativa sarebbe «lingua lombarda», in quanto, un tempo, i «norditaliani» erano noti dapperttutto come «lombardi». Si possono citare come esempi di questo uso «Lombard Street» a Londra, «Rue des Lombards» a Parigi, i crediti «Lombard» nel settore finanziaro, ecc. Ma questi «Lombards» non erano tutti milanesi o mantovani. Molti erano veneziani o genovesi, come Marco Polo o Cristoforo Colombo. Genova era nota come «porta della Lombardia», intesa come Longobardia.
Considerando i tratti distintivi del sistema padano è evidente che i dialetti di Torino,
Milano, Genova, Bologna e Venezia presentano alcune differenze tra di loro, ma è
altrettanto evidente che sono più affini tra di loro che non ai dialetti di Napoli, Bari o
Palermo —e nemmeno a quelli di Firenze, Siena o Pisa.
Per chiarire meglio la situazione delle divergenze interne della lingua padana Sergio Salvi fa un paragone tra Padania e Occitania:
“Trattandosi di due comunità relativamente vaste, le varietà regionali esistenti al loro interno appaiono sensibili. Ma non tali da negare un chiaro denominatore comune. Ciò appare evidente sul piano linguistico. Le affinità tra i diversi dialetti nei quali si articolano i due ambiti sono comunque maggiori delle diversità: il provenzale è infatti assai più vicino all’alverniate che non al borgognone (che è infatti un dialetto francese). È la stessa situazione del romagnolo nei confronti del piemontese
(ma non nei confronti del pur limitrofo toscano, con il quale le divergenze sono nette)”.
Salvi, nel suo saggio su “La lingua padana”, da cui traggo le note che seguono, ricostruisce la storia del progressivo riconoscimento del padano nell’ambito delle lingue romanze da parte degli studiosi di linguistica.
Nel 1873 Graziadio Isaia Ascoli individua un nuovo gruppo linguistico definendolo col termine "francoprovenzale". Questo gruppo linguistico presenta alcune caratteristiche fonetiche della lingua occitana (provenzale) ed alcune caratteristiche fonetiche del francese.
Clemente Merlo, nella sua Italia dialettale, identifica tre grandi gruppi di dialetti sulla base delle loro affinità linguistiche: l’Italiano settentrionale, il Toscano e l’Italiano centro-meridionale.
Nel 1937 Gerhard Rohlfs individua nella pensiola italiana due confini linguistici meglio conosciuti come Linea La Spezia - Rimini e Linea Roma - Ancona.
Nel 1950, Wartburg (La disarticolazione degli spazi linguistici romanzi) ha teorizzato, sempre sulla base di alcuni eloquenti tratti linguistici ritenuti fondamentali, una divisione territoriale della Romània in due parti ancora più grandi: Romània occidentale (che comprendeva le vecchie Galloromania, Iberoromania e Retoromania) e Romània orientale (Italoromania e Dacoromania).
Il confine tra le due aree, il più importante ai fini della classificazione delle diverse lingue in esse comprese, correva proprio in Italia, sulla “linea gotica”, cioè lungo lo spartiacque dell’Appennino tosco-emiliano.
Nel 1952, Angelo Monteverdi, nel suo Manuale di avviamento agli studi romanzi, affermerà che il gruppo di dialetti da lui definito “Alto italiano” (che corrispondeva all’”Italiano settentrionale” di Merlo) poteva considerarsi, da un punto di vista glottologico, una lingua e sé stante. Sarà la prima, e la più autorevole enunciazione di indipendenza linguistica di quella lingua che noi chiamiamo oggi Padano.
Nel 1969, Heinrich Lausberg, nel suo fondamentale e monumentale Linguistica romanza propose una tripartizione: Romània occidentale, Romània orientale e Sardegna (la cui individualità linguistica è tale da porre l’isola fuori da entrambi i settori principali).
Lausberg, forse il più grande linguista romanzo dei nostri tempi, parla espressamente di una lingua romanza occidentale indipendente, che chiama “Italiano settentrionale”.
Il confine tra Romània occidentale e orientale passa anche per lui lungo l’Appennino tosco-emiliano.
Di là dai vezzi terminologici personali, che portano a qualche minima discrepanza, gli studiosi “seri”, unanimemente riconosciuti per tali dal mondo accademico internazionale, concordano con la classificazione alla quale la linguistica romanza, attraverso l’iter di un secolo e mezzo di studi sempre più approfonditi, è ormai giunta con Lausberg.
Giovan Battista Pellegrini nel saggio I cinque sistemi dell’Italoromanzo (1972, ripubblicato nel 1975 in Saggi di linguistica italiana) riconosce piena autonomia a cinque comunità di lingue.
Essi sono, secondo le sue parole: “1) l’italiano settentrionale o cisalpino nel quale includo anche il ligure, il veneto e l’istrioto; 2) il friulano; 3) il sistema dei dialetti centromeridionali; 4) il sardo; 5) il toscano”
Lo stesso Pellegrini scrive del resto che l’Italiano è “di fondamento chiaramente toscano, anzi fiorentino (sia pure con apporti di varie regioni) [...] Esso diverge profondamente dagli altri sistemi linguistici peninsulari e insulari”. E aggiunge che “il sistema italoromanzo toscano diverge dagli altri [...] in misura uguale o superiore rispetto alle altre lingue neolatine” . Più chiari di così, è davvero difficile essere, con buona pace dell’”unità nazionale” e dell’Italoromania, spesso una vera e propria “italomanía”.
Tra l’Italiano standard, supposta “lingua guida” delle varie comunità di dialetti chiamate da Pellegrini “italoromanze”, e il Padano, la divergenza è dunque, secondo Pellegrini stesso, “uguale o superiore” a quella esistente tra lo stesso Italiano e il Francese standard oppure il Castigliano, il Portoghese, il Romeno e così via (“rispetto
alle altre lingue neolatine”, dice Pellegrini).
Nel 1982 lo studioso australiano G. Hull, attualmente consulente linguistico per le Nazioni Unite, individua una unità linguistica tra i territori del Nord Italia e i territori ladini. Per definire questa macroarea linguistica lo stesso Hull usa il termine 'Padania'.
Il più noto dei linguisti italiani, Tullio De Mauro (Linguistica elementare, Laterza, Roma-Bari 1998) afferma con chiarezza (anche se con una terminologia contorta): “Diciamo neolatini o romanzi i volgari direttamente derivati dal latino - il portoghese, il castigliano (comunemente detto spagnolo), il catalano, il provenzale o occitano, il francese, il toscano, che dal Cinquecento fu detto italiano, e gli altri due grandi blocchi di dialetti italiani, i dialetti italoromanzi settentrionali sia galloitalici sia veneti, e i dialetti italoromanzi centromeridionali.”
Il “blocco” di dialetti o “sistema linguistico” o “comunità di lingue”, cioè il Padano, è ormai riconosciuto anche da De Mauro quale lingua romanza a se stante.
In quanto comunità di lingue locali non ancora perfettamente normate, la lingua padana ha un’esistenza effettiva più potenziale che attuale (come era potenziale fino ad alcuni anni fa la lingua catalana, e lo è ancora oggi la lingua occitana). In realtà, come dalla variante locale più microscopica si può agevolmente risalire a una unità più vasta in grado di comprenderla, così lo stesso discorso vale per le lingue locali maggiori nei confronti della lingua generale padana. Così come è facile risalire dalla parlata di Colcavagno al Monferrino e dal Monferrino al Piemontese, è altrettanto facile giungere dal Piemontese al Padano. Ma non si può giungere dal Piemontese (e dal Padano) al Toscano (cioè all’Italiano) senza cambiare lingua. Sarebbe addirittura meno traumatico, da un punto di vista esclusivamente linguistico, passare dal Padano al Francese o al Castigliano.
Le lingue padane locali concordano in alcuni tratti fondamentali, considerati decisivi dalla scienza linguistica, che le fanno portatrici di un’originalità spiccata nell’ambito delle lingue romanze. Il più vistoso di questi tratti (in genetica si chiamerebbe il “marcatore” inequivocabile del Padano) è il seguente: i pronomi personali, nella prima e nella seconda persona singolari, che in tutti gli altri idiomi romanzi derivano
direttamente da ego e tu latini, assumono in Padano una forma diversa (“obliqua”, dicono i linguisti).
Tutti conosciamo il refrain di una celebre canzonetta napoletana: “Io, mammata e tu”. Tralasciando mammata (“tua madre”), l’io e il tu di questo refrain diventano, in tutti i dialetti padani, mi e ti, oppure, in Bolognese e in Romagnolo (ma è soltanto una variante fonetica) me e te.
Anziché da ego e tu, pronomi soggetto latini, i pronomi soggetto padani derivano infatti da altri casi: dagli accusativi me e te, oppure dai dativi mihi e tibi. In Padano, i pronomi oggetto e quelli soggetto sono gli stessi. Mentre l’Italiano centro-meridionale continua l’uso latino, il Toscano parlato attua un compromesso (“io” e “te”) non accolto nell’Italiano standard (che perpetua anch’esso le forme latine “io” e “tu”). Questa caratteristica morfologica appare davvero stupefacente se si pensa che il comportamento di tutte le altre comunità di dialetti romanze rimane fedele sempre al Latino. Al mi/me del Padano fanno infatti riscontro il portoghese eu; il castigliano yo; il catalano jo; il francese je; il franco-provenzale jo, z˘o; l’occitano iéu; il retoromanzo jeu; il friulano jo; il toscano io; gli italiani centromeridionali i, io, eo, eu, iu; il sardo eo. Sono tutti chiaramente derivati da ego.
Anche per questo si può dire, dantescamente, che la Padania è la terra dove il “mi” suona.
Robert Lafont, studioso occitano, afferma: “La Padania è un territorio delimitato da una lingua che, come tale, resterebbe argomento esclusivo dei linguisti se non fosse il luogo di un insieme complesso di fenomeni storici e sociali dai quali scaturisce un sentimento di appartenenza. La scienza linguistica fonda la Padania di diritto: la rivendicazione padanista, culturale e politica, trasforma il diritto in fatto. Lo spazio padano è definito linguisticamente, ma è anzitutto uno spazio di storia.”
Non è certo un caso se questo “spazio di storia” presenta tratti propri anche e soprattutto fuori dalla dimensione linguistica. Esiste infatti un “modello” padano (come ne esiste uno occitano) di società, di arte, di cultura, di mentalità, di costume e di economia, rilevato dagli studiosi delle discipline di pertinenza e dalla stessa opinione pubblica: e la corrispondenza tra questa vera e propria struttura, che coinvolge un popolo e un territorio, ed è stata prodotta dalla storia, e la lingua, anch’essa prodotta dalla storia sul medesimo territorio dallo stesso popolo, appare allora in tutta la propria evidenza.