E ai mestatori dobbiamo dire: stiamo oltre...

Flavia Perina
«Ma in quanti siamo ad avere dubbi sul terzo polo, a non voler regalare il lavoro di mesi e anni a Pierfurby, a volerci riappropriare del sogno di una destra laica e liberale, a chiedere al presidente Fini di non infrangere il nostro sogno?» Gli antifiniani in servizio permanente effettivo di Libero hanno pescato questo e altri analoghi interrogativi dai siti dell'area di Fli per la solita operazione di piccolo cabotaggio: dimostrare che Fini sarebbe «contestato dai finiani» e che Italo Bocchino è «attaccato dalla base». Abituiamoci perché da qui al congresso di Milano del 12 febbraio la solfa sarà quasi sempre questa. In un mondo disabituato al dibattito e unito solo dagli slogan del leader, tutto ciò che è confronto diventa conflitto, accusa, faida, ed è naturale che lo schema semplificatorio già usato in passato (falchi-colombe, laici-cattolici, moderati-estremisti) per catalogare le dinamiche di Futuro e libertà sarà riproposto fino alla nausea. Detto questo, non ci sono dubbi sul fatto che i fili del progetto politico-culturale definito prima del voto del 14 vadano ripresi e riannodati, per cancellare l'idea che il terzo polo costituisca una soluzione tattica di ripiego, un maldestro "piano b" per galleggiare in attesa di tempi migliori. E magari varrà la pena di andarsi a riprendere il discorso di Bastia Umbra, dove c'era molto di più dell'ultimatum a Silvio Berlusconi sul quale si è concentrata come è ovvio l'attenzione mediatica. C'era, ad esempio, uno dei dati fondanti dell'esperienza di Fli: il superamento delle incomprensioni e delle categorie del Novecento, che in Italia si sono trascinate oltre ogni ragionevole scadenza temporale a causa dell'incapacità dell'attuale bipolarismo di compiere il salto di qualità che tutta Europa ha fatto. Il riemergere di dati "ideologici" in ogni partita politica - dalla bioetica al "caso Battisti", dal contratto Fiat allo smaltimento dei rifiuti - è il male oscuro di questo Paese. E con esso l'idea che i partiti siano chiese che offrono una visione del mondo anziché strumenti che danno rappresentanza a blocchi sociali precisi, e in base a questo stabiliscono le loro priorità. Futuro e libertà deve scegliere (o meglio, confermare le sue scelte) cancellando la pretesa tipica del "vecchio mondo" di tenere tutto insieme, riformismo e istanze reazionarie, ceti medi riflessivi e rumorose nicchie qualunquistiche. Il suo pubblico di elezione, come tanti sondaggi hanno confermato, è nelle vastissime aree che si sentono non garantite, o non più garantite, dall'operato del governo, a cominciare dai giovani. E l'analisi da approfondire per intercettare il consenso di questa parte di società riguarda il contro-riflusso in atto nella società italiana, che dopo un trentennio di disimpegno cominciato negli '80 sta dando segnali robusti di una nuova voglia di partecipazione e di impegno civile. Ci parlano di questo non solo le mobilitazioni studentesche ma anche fenomeni disparati che segnalano una modifica dell'immaginario del Paese: dal tramonto della formula dei cinepanettoni e dei reality, incarnazione dello spirito da "Drive In" che per lustri ha dominato i gusti italiani, alla partecipazione intellettuale suscitata da iniziative come il Manifesto di ottobre, con centinaia di firme sotto l'appello per una nuova politica.
Lo stucchevole dibattito sulle formule (contro Berlusconi o oltre Berlusconi: e dov'è la differenza?), sulle prospettive tattiche (opposizione vietcong o responsabile?), sulle etichette (destra-centro-sinistra) appartiene al politichese e non tocca la realtà dei fatti: è ovvio che lo strappo con il Pdl è irreversibile ed è scontato che l'esperienza di Fli avrà un destino nella misura in cui saprà definire, nei comportamenti e nel confronto delle idee, una alternativa di qualità alla "politica dei blocchi" in cui l'Italia è nuovamente precipitata. Fli non sarà mai «sinonimo di pensiero unico, di insipidi e deboli minestroni», aveva detto fra l'altro Fini a Bastia Umbra, invitando a cogliere i tratti civili della nostra vocazione per metterli al servizio del progetto. È questo, per tornare alla citazione iniziale, il sogno che non si deve infrangere e che implica, il superamento dell'antico vizio di "sommare" le idee anzichè cercare sintesi alte. Abbiamo già vissuto in un partito che risolveva il dibattito triplicando gli organigrammi, poi in uno che lo cancellava con le espulsioni. Adesso, è ora di andare altrove.
Flavia Perina


05/01/2011
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