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    Predefinito Verso l’edificazione del vero e unico Stato socialista del Volk

    Iniziamo la pubblicazione del breve saggio di Maurizio Rossi presentato sul numero di settembre-ottobre della Rivista Thule Italia

    Verso l’edificazione del vero e unico Stato socialista del Volk

    Nobiltà del lavoro e coscienza socialista per la nuova Germania

    Il lavoratore non è, come vuole il marxismo, solamente oggetto di sfruttamento. La classe operaia non è la classe dei diseredati che si mobilitano per la lotta universale delle classi. Il lavoro non è solamente l’occasione ed il mezzo per guadagnare un salario. Al contrario: il lavoro è per noi il titolo di ogni attività, e di ogni agire regolato, di cui i singoli, i gruppi e gli Stati assumono la responsabilità ed è per ciò stesso al servizio del popolo. Soltanto così c’è lavoro, e soprattutto lì, dove la libera forza di decisione e di affermazione degli uomini si autoimpone, per la realizzazione, una volontà ed un compito. Per questo ogni lavoro, in quanto lavoro, è spirituale!

    (Martin Heidegger, 1934)

    Io, d’altro canto, mi sono battuto, con un minimo di intervento e senza distruggere la nostra produzione, per arrivare ad un nuovo ordine socialista in Germania, che non eliminasse solo la disoccupazione ma che permettesse ai lavoratori di ricevere una maggiore partecipazione ai frutti del loro lavoro. La realizzazione di questa politica di ricostruzione nazionale, economica e sociale, che impegnò una vera comunità popolare a superare divisioni di ceto e di classe, è unica nel mondo odierno.

    (Adolf Hitler, 1941)

    Sembra che sia ormai trascorsa un’eternità da quel tanto vituperato, ma estremamente ricco e interessante, secolo delle ideologie, che tanto orrore aveva suscitato nelle coscienze dei propugnatori del pensiero debole, e in effetti il Novecento è stato certamente caratterizzato sotto il profilo storico e politico da laceranti contrasti, da conflitti politici e culturali spesso sfociati in devastanti conseguenze, da entusiasmanti istanze di cambiamento e da trascinanti ideali ai quali gli europei hanno aderito con grande passione sacrificandosi poi volontariamente per la loro affermazione. È stato il secolo che ha permesso che sorgessero movimenti d’avanguardia artistica, culturale e soprattutto politica particolarmente significativi, il cui intento di fondo era quello di smascherare le mentite spoglie di un presunto, ma tanto pubblicizzato, progresso liberale ed egualitario (alla fine anche il marxismo si può considerare come una deriva cosmopolita dell’egualitarismo liberale) a beneficio di una, ancor più presunta, “umanità” (altro falsificante concetto, nel suo intimo del tutto vago, generico e fuorviante), dare vita a una salutare reazione contro la rigidità borghese, contro l’atteggiamento arrogante e lo snobismo tipico della Belle Epoque e quindi di contrapporsi al passato, di superarlo oppure addirittura di inverarlo attraverso la sperimentazione di nuove e creative sintesi ideologiche che, a loro volta, si proponevano come peculiari e rivoluzionarie visioni del mondo e della vita, e pertanto come sistemi dottrinali.

    Fra questi movimenti d’avanguardia, proprio il Nazionalsocialismo seppe imporsi nello scenario politico tedesco, europeo e internazionale per l’originalità e la modernità prorompente contenuta nella sue proposte politiche con finalità totalitarie evidenziate dal netto rifiuto dei contenuti della società borghese e capitalistica, della cultura liberale e del determinismo marxista, proposte e quindi programmi che si ritrovavano riassunti nella sua stessa denominazione, dalla cui definizione non è assolutamente possibile prescindere per un corretto inquadramento della sua Weltanschauung, ovvero la sincronica e organica fusione del nazionalismo e del socialismo.

    Il Nazionalsocialismo si pose di fronte al popolo tedesco con l’obiettivo di dare risposte credibili e praticabili alla drammatica situazione di una Germania precipitata in una disperata crisi sociale, economica, politica e certamente anche spirituale, percependo in primo luogo che bisognava ricomporre un universo diametralmente diviso tra spinte razionali e spinte inconsce nel nome di una nuova sintesi che avrebbe consentito il sorgere di una nuova Civiltà, mediante l’utilizzo dell’enorme potere strutturante e fondante scaturente dall’inconscio collettivo del popolo, per farne la base su cui poi innestare una rinnovata consapevolezza comunitaria fondata sulla sacralità della razza, concepita come il giacimento memoriale di profondi depositi identitari richiamanti il binomio di “sangue e suolo”, e ritmata dal potente riferimento al mito capacitante, di natura simbolico-politica, di una coesa comunità organica e popolare che attraverso l’educazione del popolo nello spirito e nella disciplina del socialismo tedesco avrebbe annullato, in un clima di reciprocità e di cameratismo vissuto, il suo disagio sociale, politico-culturale, restituendogli unità, senso, fondamento, progetto, identità e destino. La Comunità popolare, razziale e socialista forte della sua idealistica e solida totalità sarebbe diventata quindi il granitico bastione del popolo tedesco eretto a salvaguardia della Germania e di tutta l’Europa, contro le derive cosmopolite e globalizzanti di un “pensiero debole”, che già da allora si adoperava nel logorare l’indebolito organismo dei popoli europei, il cui cavallo di Troia era ben rappresentato dalle infezioni ideologiche liberal-democratiche, capitaliste e marxiste.

    Il socialismo nazionale annuncia la fine del capitalismo e dell’inganno marxista

    Il Nazionalsocialismo ebbe la capacità di affermarsi, attraverso l’acquisizione di un consenso reale, vasto e diffuso, in un contesto geografico e politico che manifestava allora numerose e particolari complessità, per il semplice fatto che la Germania era una nazione altamente industrializzata e con la presenza della classe operaia maggiormente organizzata e sindacalizzata del continente europeo, era socialmente frammentata e confessionalmente divisa per la difficile e polemica coabitazione del protestantesimo con il cattolicesimo e, per di più, era anche la nazione dove si registrava la presenza ingombrante delle due maggiori forze marxiste europee, la SPD, la storica e affermata socialdemocrazia tedesca, e il KPD, il partito comunista, quinta colonna dell’espansionismo sovietico. Nonostante tutto questo e anche contro tutto questo, il movimento nazionalsocialista fu in grado di raccogliere e motivare le istanze e le aspirazioni di cambiamento presenti in vastissimi strati della popolazione, giungendo perfino a erodere in maniera più che significativa gli schieramenti avversari anche grazie alle tematiche e alle parole d’ordine richiamanti il socialismo tedesco e arrivando, dopo dodici anni di una lotta dura e cruenta che spesso e volentieri andava a rasentare la guerra civile per l’intensità del conflitto interno, ad imporsi come la forza politica maggiormente rappresentativa e coinvolgente del panorama tedesco.

    Il socialismo nazionale, tema centrale della Weltanschauung nazionalsocialista in quanto portatore del principio del servizio verso la totalità del popolo come confermato dallo stesso Führer del Movimento: “Io porto al popolo tedesco il socialismo nazionale, la dottrina politica della comunità di popolo, la comunione di tutti coloro che fanno parte del popolo tedesco, che sono pronti e vogliono sentirsi parte inscindibile e corresponsabile della totalità del popolo”, nell’ampiezza delle sue proposte, seppe interpretare e poi rappresentare le speranze ideali di rigenerazione nazionale e di emancipazione sociale che erano sentite come importanti e indispensabili dalla maggioranza del popolo tedesco che nutriva la fondamentale necessità di chiudere definitivamente con la stagione della depressione economica, dell’instabilità politica e risolvere finalmente il drammatico problema della mancanza di lavoro e di una disoccupazione, in special modo giovanile, in costante crescita, e quindi porre rimedio all’inesistente sicurezza sociale che colpiva tutta la Germania disintegrandola al suo interno.

    Il programma del socialismo nazionale chiamava, utilizzando un linguaggio comprensibile, il popolo tedesco alla mobilitazione e alla lotta contro la società borghese e le divisioni di ceto e di classe, contro il tempo segnato da una modernità esasperata totalmente priva di regole e da un materialismo relativista che era stato prodotto dalla degenerazione del pensiero, dove la quantità, la materia, il calcolo, l’economicismo sfrenato, il peso gravoso dei bisogni necessariamente da soddisfare schiavizzavano i lavoratori tedeschi nel meccanismo perverso della grande industria capitalistica, del lavoro meccanizzato, ripetitivo e spersonalizzante che inevitabilmente sfornava solo masse informi e senza volto, che anonimamente e miseramente cercavano di sopravvivere negli slums, nei ghetti del degrado sociale e della povertà spirituale delle grandi metropoli, e in questo Berlino, purtroppo, era una evidente cartina di tornasole, subendo l’avvilente solitudine di chi vive ai margini, la perdita della dignità etica e sociale e l’isolamento individualistico, l’inevitabile abisso che si andava sempre più scavando inesorabilmente fra uomo e uomo, all’interno dello stesso popolo.

    Quindi si trattava di una lotta per l’affermazione della vita, di una vita piena e degna di essere vissuta, un nietzschiano andare eroicamente alla conquista della Vita, contro il tempo del capitalismo, dove dominava incontrastato il miraggio del profitto, del guadagno iniquo e non dovuto, come il denaro che indebitamente rigenerava se stesso, della speculazione finanziaria e della Borsa, tempio inviolabile dell’affarismo, dove imperversava contagiosa l’ubriacatura sulle presunte virtù del “libero mercato”, del losco mercanteggiare, del prestare a interesse generando inevitabilmente la scandalosa schiavitù dell’interesse, del far generare qualcosa che non si può generare dal momento che è un qualcosa di astratto, un qualcosa che esiste solo nella relazione e nello scambio, un qualcosa che non ha mai avuto un valore in sé.

    Il Nazionalsocialismo si scaglierà con decisione contro le effimere consolazioni e le alternative illusorie teatralmente messe in campo dalla pervasiva società borghese weimariana, e dai suoi politicanti e intellettuali, inchiodando alle proprie responsabilità tutti coloro che avevano messo al bando la speranza fingendo di non vedere la degradazione umana, morale e sociale che affliggeva il popolo tedesco, condannato a ripiegarsi in se stesso e sprofondando sempre più nello sconforto, nella commiserazione, nell’alienazione e nel pessimismo. A quel popolo, il movimento nazionalsocialista seppe offrire una vera alternativa e soprattutto adeguate sollecitazioni, mediante l’accorato appello a una mobilitazione popolare che andasse oltre la frammentazione sociale e le differenze di ceto e di classe, per potere dare vita a una entusiasmante prospettiva progettuale comunitaria e solidaristica che avrebbe consentito al singolo membro del popolo di liberarsi dalle gabbie di un avvilente, alienante ed egoistico isolamento individualistico per approdare finalmente al destino collettivo della totalità popolare ed essere attivamente partecipe del processo rivoluzionario di nazionalizzazione e di socializzazione del popolo.

    L’opposizione culturale dei nazionalsocialisti al pensiero individualistico borghese rivestiva pertanto una importante centralità ideologica e strategica, un’importanza che trovava conferma nelle acute riflessioni di Otto Dietrich, il responsabile della stampa nazionalsocialista:

    Con la visione del mondo che ci offre l’idea nazionalsocialista, si è compiuta una rivoluzione teoretica assiale: il passaggio dall’io al noi, dall’individuo alla Comunità. Con essa si è verificata una breccia nel mondo dello spirito, che pone rimedio a un plurisecolare errore di pensiero! […] Mancò all’acume di tanti filosofi di questa epoca individualista la nozione che l’uomo come io isolato non possiede in questo mondo alcuna realtà, che in tutti i suoi comportamenti è un essere sociale, nella famiglia, nella naturale comunità di un popolo, di una razza, di una nazione di cui è parte, in una totalità alla quale è unito, in grado maggiore o minore. Era loro sfuggito il fatto essenziale che la comunità, nella quale la vita umana trascorre, dalla culla alla bara, non è solo la condizione del suo essere e delle sue possibilità di azione, ma anche la premessa concettuale, la categoria del suo pensiero. Non avevano riconosciuto che in ogni aspetto della vita umana associata il mondo della realtà non ci si presenta come pensiero individualista, liberale, ma come pensiero integrale, cosciente della comunità, non avevano riconosciuto che nell’adesione dell’essere alla comunità naturale sono racchiuse anche tutte le forze conoscitive dell’individuo. Il pensiero individualistico fu il grande errore costruttivo di tutta un’epoca. È grande fatto del nostro tempo l’esserci liberati dal groviglio dell’individualismo, dal quale i movimenti sociali del secolo passato non poterono liberarsi da sé, e aver visto nella comunità l’unico fondamento possibile del nostro pensiero e comportamento. Con ciò si è compiuta una delle più profonde rivoluzioni nella storia del pensiero. Questa rivoluzione del pensiero è la chiave che apre una nuova era […] Di nuovo oggi si compie nel pensiero una rivoluzione copernicana dello spirito. Oggi scopriamo che il mondo non ruota intorno all’individuo, ma alla Comunità, al Popolo, dal cui destino viene condotto l’individuo.

    Il programma del socialismo nazionale, ovvero il “socialismo tedesco” gerarchico, comunitario e popolare illustrato dagli esponenti e dai teorici del movimento nazionalsocialista, offriva pertanto la prospettiva di una liberatoria emancipazione spirituale, nazionale e popolare, il superamento delle inique disuguaglianze sociali e delle contrapposizioni di classe, la riappropriazione della dignità negata dalla società borghese di Weimar, una promettente ed affascinante sintesi delle più pregnanti tendenze politiche dell’epoca reinterpretate e riformulate mediante l’adozione di un nazionalismo völkisch legato all’idea perenne della razza coniugato con un moderno socialismo rivoluzionario, il tutto compreso all’interno di una concezione del mondo e della società estremamente ampia e integratrice che consentì al movimento nazionalsocialista di presentarsi all’intera società tedesca e soprattutto alla sua classe operaia, ai lavoratori e ai contadini in generale e agli innumerevoli giovani disoccupati come la principale e la più motivata forza di attrazione rivoluzionaria e socialista, l’unica forza che volesse veramente realizzare una coesa Comunità del popolo e marciare verso l’edificazione di un vero Stato socialista che incarnasse la granitica unità razziale, culturale e sociale del Popolo, del Volk eterno custode dell’anima della stirpe. Il socialismo nazionale renderà il popolo attivo protagonista della sua rivoluzione.

    Un’offensiva ideologica e politica di una tale entità che ebbe come risultato non solamente l’efficace penetrazione delle idee nazionalsocialiste nei ceti popolari, ma che scatenò anche la violenta contestazione della sinistra marxista che si vedeva, con crescente preoccupazione, pericolosamente insidiata e spesso e volentieri estromessa in quelli che, fino ad allora, erano stati i suoi esclusivi e consueti bacini elettorali. Inoltre, i marxisti, nella maniera più assoluta, non potevano tollerare il fatto che esistesse una forza politica dichiaratamente nazionalista e anti-marxista che si proclamasse al contempo anche socialista e anti-capitalista.

    L’inevitabile conflitto che vedrà il fronteggiarsi dei militanti del fronte nazionalista e socialista contro quelli appartenenti al campo dell’internazionalismo marxista, per la conquista dell’egemonia sul territorio, diventerà per forza di cose particolarmente violento e sanguinoso, perché, come testimonierà lo stesso Joseph Goebbels, in quegli anni proteso all’espugnazione delle roccaforti operaie berlinesi: “Il marxismo aveva infatti immediatamente riconosciuto nel Nazionalsocialismo il suo unico avversario serio, degno di considerazione, capace di strappargli le masse proletarie che ancora marciavano dietro l’ideologia classista internazionalista, e di incorporarle in un nuovo fronte nazionalista e socialista in via di formazione”.

    Non a caso già all’epoca, ma poi ancor di più, soprattutto all’indomani della fine della seconda guerra mondiale, gli intellettuali di estrazione marxista vollero imporre con fanatica determinazione, nel dibattito storiografico, la denominazione falsa e fuorviante di “fascismo tedesco” come chiave di lettura, appunto, funzionale all’interpretazione reazionaria e controrivoluzionaria che volevano dare del fenomeno nazionalsocialista, in ossequio al dogmatismo marxista, affinché la denominazione autentica, ma a loro sgradevole, di “nazionalsocialismo”, non venisse più impiegata; al massimo poteva essere consentito di utilizzare spregiativamente la contrazione diminutiva di “nazismo”. In ogni caso l’obiettivo, peraltro ampiamente raggiunto, consisteva nel cancellare una bella fetta di storia tedesca e non solo, e nell’impedire che l’analisi storiografica trovasse interesse a soffermarsi e magari ad approfondire seriamente la natura socialista e rivoluzionaria del Nazionalsocialismo e, così facendo, tornare a mettere in crisi le pretese storiche dei marxisti nel voler mantenere l’esclusiva monopolizzazione di determinate istanze.

    da: Verso l
    "Sono Socialista, perchè mi appare incomprensibile che si mostri cura e la più alta
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    Adolf Hitler

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    Predefinito Rif: Verso l’edificazione del vero e unico Stato socialista del Volk

    Continuiamo la pubblicazione del breve saggio di Maurizio Rossi presentato sul numero di settembre-ottobre della Rivista Thule Italia

    Il socialismo nazionale nemico mortale del liberalismo economico

    Del tutto diverse erano invece le prese di posizione politiche manifestate dagli ambienti liberal-borghesi e da quelli della destra reazionaria e conservatrice, essendo entrambi pienamente consapevoli della distanza incolmabile che li separava dal Nazionalsocialismo. Essi non fecero mai mistero delle motivazioni politiche che sostanziavano la loro altrettanto chiara e netta contrapposizione al programma politico-sociale nazionalsocialista, tali motivazioni costituendo l’architrave di una accesa e ostile propaganda, dettata proprio dalla comprensione della sostanza socialista, delle idee rivoluzionarie e delle soluzioni giuridiche ed economiche anti-capitaliste che contrassegnavano il movimento delle camicie brune, tanto da considerare il Nazionalsocialismo come una minaccia ben più pericolosa dello stesso comunismo sovietico per i loro interessi politici e finanziari, per la “libertà economica” (pertanto la “libertà” tout court) e per la stessa sopravvivenza dell’intero Occidente liberale.

    Insomma, una preoccupazione più che fondata visto che la stampa di lotta nazionalsocialista annunciava che la certa vittoria nazionalsocialista avrebbe comportato la definitiva liberazione della Germania dalle catene dello sfruttamento capitalistico e l’affrancamento da un Occidente liberale e plutocratico condannato a un inevitabile collasso. Certezze che trovavano conferma nelle valutazioni di un promettente e brillante economista nazionalsocialista, Ferdinand Fried, che nel 1932 (un anno dopo i nazionalsocialisti avrebbero trionfato), illustrando la prossima fine del capitalismo, scriveva: “Le nuove idee che divampano contro lo stanco occidente hanno un accento sociale e nazionale. Ciò che già si osserva nell’occidente come fenomeno di decomposizione, prorompe con maggior forza altrove. Dalla protezione doganale si formano autarchie nazionali, vasti territori si separano dall’economia mondiale, forse si aggregheranno ad altri territori: i piani statali e l’intervento dello Stato mettono capo al capitalismo di Stato o al socialismo di Stato, e, in genere, all’economia di Stato. Sta da una parte il tramontante occidente, che si sta dissolvendo, e con esso tutto il complesso dello spirito capitalistico: libera economia, rapporti di debiti, standard aureo, commercio mondiale e Borse mondiali, interferenze internazionali, eccitamento di bisogni, réclame, calcolo dei prezzi di costo, esportazione forzata: tutte cose che, nella crisi presente, stanno sfasciandosi”.

    Ferdinand Fried faceva parte di una nutrita e qualificata equipe di ricerca e di analisi, composta da sociologi ed economisti, di ineguagliabile intelligenza e valore, dediti all’approfondimento delle tematiche relative alle dinamiche sociali e ai processi economici e finanziari, e di conseguenza all’elaborazione di soluzioni realistiche e praticabili, in chiave socialista nazionale e anti-capitalista, alla crisi prodotta dalla degenerazione economicistica e dalle Oligarchie mercantilistiche. Personalità di rilievo e intelligenze creative come Gottfried Feder, uno dei principali dottrinari del movimento nazionalsocialista, autore dei fondamentali 25 punti programmatici del NSDAP e creatore dell’importante Nationalsozialistische Bibliothek, la “Biblioteca Nazionalsocialista”, e come anche Bernhard Köhler, il presidente della commissione di politica economica del NSDAP e autorevole teorico di una nuova forma economica a carattere socialista, e Fritz Nonnenbruch, redattore capo della pagina di politica economica del Völkischer Beobachter, il quotidiano del Partito: costoro, assieme a molti altri ancora (Otto Wagener, Ernst Reventlow, Dietrich Klagges, Joseph Wagner, Giselher Wirsing, Werner Daitz ecc.) contribuirono con grande serietà e una più che evidente competenza a qualificare qualitativamente la grandezza ideologica del sistema di pensiero del Nazionalsocialismo e le sue innovative proposte di politica sociale ed economica.

    Gli ideologi della “via tedesca” al socialismo nazionale, ovvero il cosiddetto “socialismo tedesco”, avevano individuato con chiarezza il loro nemico principale proprio nel pensiero liberale e nel liberalismo economico (anche quando poteva sembrare che lo fosse il marxismo) che venivano definiti come la patologia cronica della Germania. Nel liberalismo trovavano, a giusta ragione, una lettura disgregatrice della nazione, la dissoluzione di tutti i legami sociali, l’esaltazione del mercato e del profitto e la conseguente distruzione delle identità popolari. Avevano compreso che il liberalismo intaccava il tessuto comunitario, compromettendo l’articolazione organica con cui il tessuto comunitario si sosteneva, disintegrando l’organicità naturale del popolo nell’informe amalgama della massa e questa ultima negli individui che la componevano, affermando poi che non vi sarebbe potuto più essere altro legame tra di loro se non quello del libero arbitrio dettato dal disgregante interesse egoistico e materiale. La soluzione andava pertanto cercata nell’idea rivoluzionaria della comunità organica del popolo, la Volksgemeinschaft, nella Blutgemeinschaft, la comunità del sangue che nello stesso tempo era anche Sozialistischegemeinschaft, comunità socialista, componente essenziale dell’organismo sovra-individuale dello Stato socialista del popolo, facilitando così la nascita di un nuovo ethos, un nuovo ideale culturale e sociale unitario, una rivoluzione culturale e sociale per la liberazione del popolo tedesco dall’astratto economicismo, dall’individualismo egoista e dal dominio perverso del liberalismo economico.

    Nell’intento di controbilanciare l’offensiva politica e culturale messa in campo dai nazionalsocialisti, le lobby politico-affaristiche liberali schierarono le loro più preparate e influenti personalità intellettuali, per lo più di provenienza accademica; tra di esse spiccava il fiore all’occhiello della scuola austriaca dell’economicismo liberale, l’ascoltato e rispettato guru del capitalismo mondiale: l’accademico viennese di origini ebraiche Ludwig von Mises, che non si fece certo pregare per mettersi scrupolosamente all’opera facendo sentire la sua voce sugli organi della stampa moderata tedesca e austriaca.

    Ludwig von Mises era universalmente riconosciuto come l’autorevole caposcuola della teoria dell’evoluzione liberista del pensiero liberale e accanito sostenitore del modello economico capitalistico, difatti diventerà poi l’ispiratore del “liberismo selvaggio” di Milton Friedman.

    Anche nel corso del periodo del suo esilio ginevrino (non a caso aveva abbandonato l’Austria al momento del ricongiungimento con il Reich, riparando nella vicina Svizzera), e ormai da molto tempo impegnato nella campagna anti-nazionalsocialista per conto degli ambienti reazionari-conservatori, non cesserà mai di continuare a mettere in guardia la grande imprenditoria finanziaria mondiale dal pericolo mortale di un’affermazione della Germania nazionalsocialista in Europa (invocando instancabilmente l’intervento armato americano), sottolineando con forza tutta la sua avversione ai principi e ai programmi del socialismo tedesco, ponendo inoltre l’accento, con allarmistica preoccupazione, sul fatto che i nazionalsocialisti volessero “dare il colpo di grazia al liberalismo e al capitalismo: essi vogliono che l’altruismo abbia la meglio sull’egoismo immorale, e intendono rimpiazzare l’anarchia democratica con l’ordine e l’organizzazione, la società delle classi con lo Stato totale, l’economia di mercato con il socialismo”. Successivamente, in piena guerra mondiale, dopo la provvida concessione dell’asilo politico negli USA, continuerà con suoi studi nell’approfondimento dell’analisi critica di parte liberal-capitalista nei confronti del Nazionalsocialismo, e accentuando la condanna liberale alla politica sociale ed economica sviluppata in Germania, giungeva ulteriormente a precisare che “la filosofia dei nazisti, cioè del Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori tedeschi, è la più pura e maggiormente consistente manifestazione dello spirito anti-capitalistico e socialistico della nostra epoca”.

    Le potenti Oligarchie politiche e culturali riconducibili al cosmopolitismo pratico e all’universalismo filosofico, e soprattutto i gruppi di pressione delle consorterie transnazionali del liberal-capitalismo e dell’Alta finanza internazionale avevano chiaramente ben compreso che il loro vero nemico, il nemico radicalmente antagonista dei sistemi economico-sociali borghesi dominati dal “libero mercato” e dal predominio del denaro, era rappresentato unicamente dal Nazionalsocialismo e dalla sua pregnante concezione organica della vita e dello sviluppo sociale, una concezione riassunta nel discorso ideologico, culturale e profondamente spirituale riferito al socialismo e alla razza.

    Un socialismo militante, un socialismo dell’azione che veniva concepito, dai teorici nazionalsocialisti, come un’instancabile milizia politica volta all’edificazione di un giusto ordinamento sociale e al benessere della totalità del popolo, un cameratismo di popolo che mirava alla rianimazione di un profondo e sentito senso comunitario che, conseguentemente, non poteva che trovare una superiore legittimazione nell’andare a riferirsi all’ancestrale legame che univa il popolo vivente alla mistica della terra e al retaggio degli antenati, e quindi a elementi che a loro volta venivano interpretati come componenti uniche della medesima identità. Tale discorso ideologico costituiva l’architrave portante del Nazionalsocialismo e rappresentava, ancor di più, la novità dirompente e rivoluzionaria che sarebbe riuscita a sconvolgere l’insieme del pensiero politico moderno, tedesco ed europeo.

    Questo articolato discorso ideologico e culturale, incentrato sulla concezione di una comunità nazionale e sociale depositaria della memoria collettiva e forma vivente di destino, trovava allora, attraverso le parole dell’intellettuale nazionalsocialista Johannes Ohquist, un’ulteriore chiara illustrazione e una decisa conferma politica: “Lo Stato nazionalsocialista poggia dunque su questi tre pilastri: razza, comunità popolare, socialismo. Il popolo è il suo nucleo e la sua sostanza vivente, il Partito, la sua volontà e il suo spirito che plasma la sostanza, lo Stato, lo strumento al servizio del Partito per realizzare l’Idea. Perché lo Stato non è un fine in se stesso. È solo il mezzo per raggiungere gli obiettivi più alti [...] Lo Stato non è il contenuto, ma la forma; è il recipiente, il contenuto è il popolo. Essi non sono in opposizione, bensì inscindibilmente legati l’uno all’altro. Lo Stato è il popolo organizzato. E il popolo non è la somma dei cittadini, ma una comunità di destino nazionale e sociale ove ognuno ha il proprio compito e il proprio dovere, e dove non potrebbe deporre tale dovere senza ferire la legge morale del socialismo. Perché l’individuo non è un tutto in se stesso, ma un membro della comunità popolare passata, presente e futura, una personalità il cui valore consiste nel suo agire in favore della Nazione. Sopra la volontà di ogni connazionale sta l’imperativo Il bene comune viene prima dell’interesse individuale. Il socialismo non è una politica sociale fatta da elemosinieri, ma una dottrina che impegna ogni membro della Nazione a concepire e condurre la propria vita come un servizio reso al popolo”.

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    Predefinito Rif: Verso l’edificazione del vero e unico Stato socialista del Volk

    Si usa citare sia l’autore che la fonte come fatto presente nel forum Stormfront.

    Continuiamo la pubblicazione del breve saggio di Maurizio Rossi presentato sul numero di settembre-ottobre della Rivista Thule Italia

    Cameratismo di popolo e socialismo dell’azione nella nuova visione dello Stato organico

    Il Nazionalsocialismo porterà sicuramente avanti e con coerenza un potente recupero della cultura popolare germanica andando a cercarne le origini fino ai tempi della grosse Wanderung delle antiche popolazioni appartenenti al ceppo indoeuropeo, (mediante un sapiente utilizzo comparato di discipline scientifiche come la linguistica, la paleoantropologia e l’archeologia) con una particolare attenzione alla protezione del riferimento al Volksgeist, lo spirito del popolo tramandato dalle origini attraverso le innumerevoli generazioni della stirpe germanica, ma con altrettanta coerenza si prodigò nella messa in opera di numerosi e moderni processi di sviluppo strutturale a carattere sociale necessari per la trasformazione sostanziale della società tedesca, senza peraltro creare contraddizioni con le esigenze proprie all’ideologia rurale del Blut und Boden. Un’ulteriore conferma di questa assenza di contraddizione proveniva dalle prese di posizione di alcuni intellettuali nazionalsocialisti che nell’ordinamento prospettato dal socialismo tedesco vedevano una riproposizione, ovviamente moderna e al passo con i tempi, della tradizione gerarchica e dell’egualitarismo sociale che avevano contraddistinto l’organizzazione delle antiche Sippe germaniche.

    Nel concreto, per i nazionalsocialisti non poteva sussistere un problema di scelta tra modernità o anti-modernità, per il semplice fatto che l’adozione di un più ampio ventaglio di soluzioni politiche, culturali e sociali sarebbe andato incontro alle reali e prioritarie necessità di quella che sarebbe dovuta diventare la salda e coesa Volksgemeinschaft. Pertanto la consapevole adozione di modernizzatrici politiche sociali e comunitarie che ottennero risultati più che ragguardevoli e che, nonostante gli enormi ostracismi e i troppi silenzi in merito ancora perduranti, gli storici più seri e affermati non esitano più a definire come rivoluzionarie e socialmente moderne anche rispetto ai parametri odierni, erano funzionali alla graduale, ma inarrestabile affermazione nel nuovo scenario politico tedesco di un innovativo modello di moderno Stato socialista avente la comunità popolare come riferimento. Quindi, l’adozione da parte dello Stato nazionalsocialista di politiche educative e legislative nel campo della scienza razziale e pariteticamente l’avviare lo sviluppo di avanzate politiche educative e legislative nel campo della scienza sociale apparteneva a quel tutt’uno indivisibile, le classiche due facce della medesima medaglia, che contrassegnavano quella realtà estremamente complessa e articolata che era il sistema di pensiero nazionalsocialista. Un sistema ideologico che rappresentava la grande corrente del cambiamento e della nuova epoca, le cui aspettative vennero con lucidità illustrate dal filosofo nazionalsocialista Ernst Krieck: “Emerge ora l’ordinamento völkisch della vita, l’essere uomini völkisch del nascente Terzo Reich. Con questa rivoluzione il sangue si solleva contro l’intelletto formale, la razza contro la tensione razionale verso uno scopo, l’onore contro il profitto, il legame contro la libertà (come viene soprannominato l’arbitrio), la totalità organica contro la disintegrazione individualistica, la capacità di difesa contro la sicurezza borghese, la politica contro il primato dell’economia, lo Stato contro la società, il popolo contro il singolo e contro la massa”.

    La concezione dello Stato popolare nazionalsocialista apparteneva a buon titolo alla categoria dell’organicismo politico, dove si riassumeva, attraverso una interpretazione di natura metafisica e metastorica, la tesi che la società civile e politica corrispondano in tutto e per tutto ad un vero organismo vivente e che gli individui che la compongono debbano essere parte disciplinata, responsabile e partecipe di un complesso indivisibile. Il pensiero organicistico traeva origine nella sua forma compiuta dalle riflessioni politiche e filosofiche di Platone, per il quale l’intero universo e non solo la società umana, costituivano un grande e armonico organismo vivente, conclusioni che l’eccelso filosofo greco riassumeva nella sua concezione della Politèia intesa come rappresentazione dell’autentica forma che una vera comunità politica doveva assumere per essere concepita come Stato realmente organico.

    La Weltanschauung nazionalsocialista non ebbe alcuna difficoltà nel considerarsi continuatrice legittima del pensiero platonico e della sua idea dello Stato, infatti anche essa concepiva lo Stato nazionalsocialista come un organismo dotato di un saldo centro politico ispirante potenza e coesione sociale e che avesse principalmente come sua specifica finalità il perseguimento del bene comune e la platonica Eudaimonìa della totalità del popolo, attraverso il conseguimento al massimo livello del compaginamento totale dell’organismo politico. Venne a tal proposito sviluppata una discreta letteratura politico-filosofica che aveva come obiettivo il mettere in particolare evidenza le numerose corrispondenze e analogie che apparentavano la dottrina di Platone con la dottrina dello Stato popolare nazionalsocialista, quali l’eguaglianza politica e sociale della stirpe distribuita sulle diversità di rango, l’accento su una gerarchia selettiva e qualitativa, il governo dei migliori, il senso dell’esclusivismo comunitario, la mobilitazione delle energie giovanili e non ultime le politiche eugenetiche per la salvaguardia della salute fisica e spirituale della stirpe. Tutta una serie di elementi e di analisi che consentivano ai teorici nazionalsocialisti di parlare della nuova Germania come di un laboratorio attivistico volto alla rilettura del modello ideale platonico-spartano in chiave nazionalsocialista, e infatti e certamente non a caso il sociologo liberale Karl Popper individuerà poi, nel corso degli anni settanta, proprio nel pensiero organicistico di Platone il principale ispiratore del totalitarismo nazionalsocialista.

    Gli ideologi del movimento nazionalsocialista nell’elaborazione della dottrina relativa all’organicismo politico e sociale proprio della dimensione comunitaria e al principio radicalmente anti-individualistico comunitario, dove il singolo individuo era essenzialmente vincolato al primato della comunità, posero con determinazione l’accento sulla dicotomia esistente tra la concezione organica e socialista della comunità popolare e la concezione contrattualistica, individualista e meccanicistica della società liberale, ampliando e approfondendo in maniera più dettagliata quelli che erano stati i precedenti studi del sociologo Ferdinand Tönnies, giungendo così ad affermare che la comunità di popolo sviluppava con naturalezza uno specifico carattere organico, socialista e olistico, appunto perché in virtù del cameratismo di popolo che la animava, nell’ambito di una riconosciuta e omogenea fratellanza di stirpe, era una spontanea produttrice di socialità attiva e partecipata tramite la mobilitazione dei suoi membri e l’adozione, da parte loro, di un certo stile di vita.

    La comunità di popolo, ovvero l’ossatura essenziale dell’auspicato Stato socialista del popolo visto come l’attualizzazione moderna della concezione metastorica dello Stato organico, avrebbe rappresentato un insieme gerarchico, organico e popolare la cui valenza eccedeva in portata e grandezza quella delle componenti, prese singolarmente, che la costituivano e che a loro volta erano concepite come comunità più ristrette all’interno della più grande comunità di popolo, in pratica erano considerate come articolazioni della Volksgemeinschaft. All’interno della comunità di popolo doveva vigere la pratica socialista del cameratesco sostegno reciproco e il conseguente sviluppo di una matura e consapevole coscienza socialista sui bisogni e sulle necessità reali e concrete della totalità popolare, un insieme di elementi di carattere attivistico, pedagogico-politici ed educativi che sarebbero poi sfociati in riuscite manifestazioni di reale volontà socialista per il perseguimento dell’obiettivo del bene comune, del benessere sociale e politico dell’intera comunità, un bene il cui godimento veniva collocato già in partenza a monte della condivisione all’insegna della motivazione politica anti-capitalista e anti-liberale che era contenuta nella principale parola d’ordine del socialismo dell’azione che proclamava che il bene comune, il bene del popolo doveva essere sempre prevalente sull’interesse individuale, perché nel popolo stavano le fondamenta della comunità e dello Stato. Una interessante chiave di lettura che più volte veniva riconfermata dal Capo della Germania nazionalsocialista: “Il popolo è una comunità reale, e al contempo una comunità storica: comunità reale nel senso di comunità di lingua, di origini, di parentela, di civiltà, di costumi, di storia, di miti, di suolo e di clima. La comunità reale è al contempo retaggio e possesso; la comunità storica è sinonimo di missione e di creazione. È dal fatto che noi poniamo nel popolo le fondamenta dello Stato, che lo Stato deriva la propria dignità, il proprio scopo, la propria forza e la propria potenza. Il sentimento nazionale è ampiamente diffuso nei larghi strati del popolo, contrariamente a quanto accade con gli intellettuali cosmopoliti”.

    Il processo di radicale messa in discussione delle categorie politiche e culturali che avevano identificato la trascorsa stagione liberal-democratica della repubblica weimariana e, allo stesso tempo, le altrettanto radicali spinte modernizzatrici che il Nazionalsocialismo, all’indomani della conquista del potere del 1933 (un’affermazione legittimata da un ampio e massiccio consenso di massa) volle mettere in pratica investendo così tutti gli strati della società tedesca, consentirono lo sviluppo di una combinazione rivoluzionaria, senza precedenti nella storia europea, sostenuta inoltre da spontanee manifestazioni di mobilitazione entusiastica popolare e studentesca, che sfociò in un superamento della convenzionale struttura delle classi sociali e in una mobilità sociale reale e sostanziale, mai verificatasi prima di allora. Furono proprio quelle istituzioni politiche, organismi ufficiali del Partito nazionalsocialista o collegati ad esso (il Fronte del Lavoro, il Servizio del Lavoro, l’Assistenza popolare nazionalsocialista, la Kraft durch Freude, ecc…), impegnati esclusivamente nella costruzione di una nuova politica sociale (le famose articolazioni della Volksgemeinschaft) a tradurre nella realtà le tendenze rinnovatrici nazionaliste e socialiste attraverso le iniziative, i provvedimenti e le innumerevoli trasformazioni concrete che investirono con grande efficacia tutte le categorie lavoratrici a beneficio dei settori produttivi ed economici e in particolare della classe operaia, il mondo giovanile, le donne, tutta la comunità popolare nel suo insieme, nessuno escluso, rivelando come in Germania fosse stata pianificata in base a principi, spinte ideali e finalità prefissate, una autentica rivoluzione sociale. Un socialismo dell’azione che aveva contagiato praticamente tutti i tedeschi, appartenenti a tutti gli strati sociali e senza distinzione anagrafica, motivandoli e spronandoli, con un rinnovato senso di ottimismo verso la vita e il futuro, a una partecipazione attiva e consapevole (la famosa spinta socialista dal basso che coinvolse emotivamente anche coloro che in precedenza si erano mostrati critici e anche ostili) volta alla configurazione di un nuovo ordine socialista per la Germania.

    Grazie a tutto questo, nel corso degli anni a seguire dal 1933, vennero conseguiti dalla Germania nazionalsocialista tutta una serie di innumerevoli e considerevoli successi nella politica sociale, in quella economica e nell’educazione popolare che suscitarono meraviglia, invidia e ammirazione nel mondo intero, e soprattutto suscitarono anche tanta preoccupazione nelle democrazie capitalistiche e nei circoli esclusivi della Plutocrazia internazionale. L’evidenza dei successi conseguiti nella politica interna della Germania fu tale da consentire ad Adolf Hitler, in un suo discorso pubblico del 30 gennaio 1937, di trarne un bilancio più che lusinghiero:

    Certi di non sbagliare, noi procediamo verso un ordine che, come in ogni altro settore della vita nazionale, garantisce, anche nel campo del governo politico del paese, un processo di selezione ovvio e naturale, attraverso il quale gli elementi veramente capaci del nostro popolo sono destinati a diventare i dirigenti della Nazione, indipendentemente dalla nascita, dalle origini, dal nome e dai beni di fortuna. La bella verità proclamata dal grande Corso, che ogni soldato ha nella giberna il bastone di maresciallo, troverà in questo paese il suo coronamento politico. Esistono un socialismo più bello e più splendido, una democrazia più vera e genuina di questo nazionalsocialismo che, grazie alla sua organizzazione, fa sì che ognuno dei milioni di fanciulli tedeschi, purché a ciò destinato dalla Provvidenza, possa arrivare al sommo della scala gerarchica della Nazione? E ciò, si badi, non è pura teoria! Nell’odierna Germania nazionalsocialista è per tutti noi una ovvia realtà. Io stesso, chiamato a questo posto dalla fiducia del popolo, vengo dal popolo. Tutti i milioni di lavoratori sanno benissimo che alla testa del Reich non si trova un letterato straniero o un apostolo rivoluzionario internazionale, bensì un tedesco uscito dalle loro file. Del resto, numerosi figli di operai o di contadini si trovano oggi ai posti di comando, in questo Stato nazionalsocialista, e alcuni, anzi, sono ministri, luogotenenti e dirigenti del Partito.

    da: Verso l
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    Predefinito Rif: Verso l’edificazione del vero e unico Stato socialista del Volk

    Continuiamo la pubblicazione del breve saggio di Maurizio Rossi presentato sul numero di settembre-ottobre della Rivista Thule Italia

    Rivoluzione culturale e pedagogia politica nel nuovo Stato socialista del popolo

    Una simile mobilitazione politica e sociale di tutte le energie che la nazione tedesca poteva mettere a disposizione, necessitava altresì del concorso a pieno titolo da parte di tutti i campi della vita culturale, dalla letteratura all’arte, dalla musica alla poesia e al teatro. Nessuno avrebbe più potuto esimersi dal portare il proprio contributo al consolidamento della comunità del popolo, essendo stata ormai bandita ogni forma di neutralità attiva o passiva e quindi a maggior ragione proprio l’ambito culturale doveva essere attraversato dallo spirito di rinnovamento portato dal Nazionalsocialismo. La concezione di una Cultura “neutra” e tollerante, fine a se stessa, che era stata il fiore all’occhiello del decadente intellettualismo cosmopolita e borghese tipico della stagione liberal-democratica di Weimar, veniva spazzata via e costretta a cedere il passo a una energica Cultura militante impregnata delle idee nazionalsocialiste e corrispondente all’autentica natura del popolo e, soprattutto, in grado di rispondere alle esigenze di carattere educativo e pedagogico che lo Stato nazionalsocialista imponeva. Riguardo, ad esempio, a una concezione nuova della musica rispondente alle necessità educative della comunità popolare, una chiarificazione negli intenti e nelle aspettative venne, nel 1934, dall’esperto di politica musicale Friedrich Wilhelm Herzog: “Vogliamo una musica che sia piena della potenza di espressione dell’idea nazionalsocialista. In quanto rivoluzionaria, essa accompagnerà la marcia verso l’avvenire; in quanto nazionale, sarà nuova; in quanto socialista, penetrerà nel cuore di ogni compatriota, senza distinzione di età, di condizione e di sesso, e sarà compresa da tutti”.

    Lo stesso identico ragionamento, inteso cioè a rivoluzionare in sintonia con la concezione nazionalista e socialista, verrà coscienziosamente applicato a ogni aspetto e manifestazione della rinnovata vita culturale tedesca, con conseguenze molto interessanti.

    Vennero approfonditi particolari aspetti legati all’utilizzo della Cultura come una fondamentale chiave di lettura interpretativa della tecnica moderna e dello sviluppo della socialità comunitaria che vennero rilette all’insegna di quella nuova corrente culturale di pensiero definita, in special modo da Joseph Goebbels, come “romanticismo d’acciaio”. Una radicale corrente di pensiero che si poneva come obiettivo, in ambito letterario e artistico (e quindi anche con conseguenti ricadute sociali), di stimolare la formazione di una specifica pedagogia politico-culturale destinata a elevare eticamente e culturalmente la figura del lavoratore, emancipandolo pertanto dall’avvilente e frustrante condizione di “proletario” sfruttato (come lo aveva arbitrariamente condannato il marxismo) per portarlo, invece, verso l’acquisizione del rango, virile e orgoglioso, di “soldato del lavoro”. In questo modo, i lavoratori non sarebbero più stati un’entità separata dalla nazione e ostile ad essa, bensì una nuova compagine pienamente e responsabilmente integrata, con spirito di servizio socialista, nella grande comunità del popolo. Così facendo i lavoratori, non solo avrebbero incarnato nei fatti concreti il socialismo tedesco realizzato, ma sarebbero diventati anche uno dei pilastri essenziali, assieme ai contadini e agli studenti, del nuovo Stato, il più fidato pilastro dello Stato popolare nazionalista e socialista.

    Un enorme contributo a quella innovativa e rivoluzionaria corrente di pensiero, oltre agli scrittori e agli operatori culturali in generale, venne soprattutto da coloro che dettero vita all’interessante fenomeno degli Arbeiterdichter, i cosiddetti “poeti-lavoratori”, che svilupparono una interessante letteratura operaia a sfondo poetico centrata sulla condanna della società borghese e liberale, delle sue stratificazioni oligarchiche e partitocratiche che laceravano le classi sociali ponendole in perenne conflitto fra loro, la condanna del capitalismo che traeva giovamento e profitto da tali lacerazioni e dell’utopia marxista che come una muffa si era incollata al corpo dei lavoratori per succhiarne la linfa vitale. E centrata, poi, sull’affermazione dell’importante missione storica che avevano invece i lavoratori per l’edificazione della comunità popolare, la comunità di coloro che perseguivano la medesima meta, perché erano vincolati dal medesimo sangue e dalla medesima fede nel grande destino storico del rinnovamento nazionale e popolare, dalla medesima speranza nel nuovo risveglio nazionale all’insegna del vero socialismo, il socialismo tedesco.

    Gli Arbeiterdichter saranno i cantori della nobiltà del lavoro liberato dalle catene dell’illecito profitto capitalistico, dell’eroismo del lavoro e del cameratismo socialista che cementava fra loro gli operai nelle fabbriche, dell’impegno virile dei lavoratori, che come “soldati del lavoro” erano chiamati a partecipare e a vincere quelle “battaglie del lavoro” che avrebbero consentito il riscatto sociale ed economico della Patria, facendo propria la parola d’ordine nazionalsocialista di servire il popolo, proponendosi altresì come gli annunciatori di una nuova antropologia politica e culturale.

    La maggior parte degli Arbeiterdichter erano di estrazione proletaria, come Heinrich Lersch, Karl Bröger, Hermann Claudius, Max Barthel, e avevano lavorato duramente nelle officine e nelle fabbriche, condividendo con gli altri operai le medesime condizioni di miseria, di sfruttamento e di rabbia. Avevano attraversato le asprezze della vita e le sofferenze della trincea nella guerra mondiale. Molti di loro provenivano anche da esperienze politiche di combattenti spartachisti e di militanza comunista nel KPD, dove avevano ricoperto spesso e volentieri importanti ruoli di dirigenza politica, eppure tutti loro abbandonarono l’ideologia marxista e si liberarono dall’infatuazione nei confronti della mitologia sovietica (la cui drammatica situazione interna avevano ben conosciuto in frequenti visite, rimanendone intimamente colpiti e delusi) riconoscendosi nel socialismo nazionale e nel suo programma di rinnovamento politico, culturale e sociale per la Germania. Con grande coraggio e altrettanta onestà intellettuale, questi uomini stimati come l’avanguardia intellettuale del proletariato, denunciarono pubblicamente, di fronte agli operai tedeschi, come l’Unione Sovietica non fosse mai stata quel “paradiso dei lavoratori” tanto decantato dalla propaganda comunista e che la stessa nomenclatura burocratica ai vertici del potere sovietico aveva da sempre tradito l’idea socialista realizzando un regime dispotico e oppressivo che schiavizzava e terrorizzava il suo stesso popolo.

    La svolta ideologica che fecero di piena adesione al fronte nazionalista e socialista, e quindi verso l’ideologia del “vero socialismo”, rappresentò alla fine, per loro, la scelta più coerente con le posizioni che professavano, la più entusiasmante e di reale efficacia rispetto alle arcane elucubrazioni dogmatiche del marxismo internazionalista, di cui erano stati in precedenza vittime.

    L’importanza della produzione poetica degli Arbeiterdichter varcò rapidamente le frontiere della Germania, andando a interessare e a influenzare insospettabili cenacoli culturali all’estero che si scoprirono molto incuriositi dai lusinghieri effetti che la politica culturale e sociale nazionalsocialista riscontrava tra la popolazione tedesca, e in maniera particolare ne rimasero impressionati alcuni ambienti letterari francesi, da tempo propensi a intensificare gli scambi culturali tra la Francia e la nuova Germania, che manifestarono nel 1936 un forte apprezzamento nei confronti della letteratura operaia e della poesia operaia nazionalsocialista: “Le forze spirituali della popolazione lavoratrice tedesca hanno trovato la loro espressione a un tempo più precisa e più preziosa nella lirica operaia. Questa poesia, pressoché sconosciuta in Francia e tuttavia molto più significativa delle effusioni letterarie di alcuni intellettuali che pretendono di rappresentare gli operai, è la testimonianza di una ricchezza umana interiore che rende omaggio nello stesso tempo alle forze costitutive della popolazione operaia e alla volontà nuova della poesia tedesca. […] Lontani da qualsiasi forma manierata, i poeti lavoratori, forgiati dalla guerra e disgustati dalla morbosa civiltà borghese, si levarono contro ogni forma di meccanizzazione, facendosi araldi dei nuovi valori vitali; attraverso una purezza quasi religiosa e l’austerità delle loro concezioni diedero uno slancio insperato alla poesia tedesca.”

    Altrettanto importante e significativa per la diffusione nella popolazione delle tematiche e delle proposte del socialismo nazionale fu la corposa e ampia produzione teatrale a carattere politico e militante cui si dedicarono principalmente e con un discreto talento i ragazzi e le ragazze della Gioventù Hitleriana e gli attivisti della SA creando delle autentiche compagnie di prosa e di varietà, e che ebbe una grande diffusione per la Germania attraverso l’esperienza dei NS-Kampfbühnen, ovvero dei “teatri di lotta nazionalsocialisti”. Si trattava di una significativa iniziativa a carattere propagandistico che aveva preso corpo fin dal 1926 come espressione di un più vasto progetto che venne denominato NS-Versuchsbühne, ovvero il “teatro sperimentale nazionalsocialista”. I nazionalsocialisti definirono lo stile fortemente aggressivo che caratterizzava la polemica politica che veniva portata sulle scene del “teatro di lotta” come Streitgespräch, cioè come “polemica contro il nemico”, classificando nella categoria di “nemico” tutti coloro che con il loro operato avevano colpevolmente nociuto alla salute morale sociale e politica del popolo tedesco. Pertanto negli spettacoli, nei drammi e nei cabaret venivano messi alla berlina, anche utilizzando l’arma del sarcasmo e della dissacrazione, personaggi simbolo come gli speculatori finanziari che rapinavano le terre ai contadini, gli arroganti profittatori capitalisti che sfruttavano i lavoratori, i politicanti borghesi che vivevano immersi nel lusso, gli usurai ebrei che traevano guadagno dalle miserie del popolo, i pornografi omosessuali corruttori della gioventù e infine gli agitatori marxisti della SPD e del KPD che venivano presentati e sbeffeggiati come traditori della nazione e vili mercenari sul libro paga di Mosca.

    Questo genere di pedagogia politica, di propaganda diretta fra la gente che spesso veniva anche coinvolta direttamente dagli attori e spronata a esprimersi, utilizzando la prosa teatrale e il cabaret come luoghi di politica partecipata, dove propaganda, indottrinamento, formazione e divertimento fossero parte di un tutt’uno inscindibile, riscosse nei ceti popolari un enorme successo (continuando a mantenere, peraltro, per tutto il periodo del Reich nazionalsocialista, un elevato livello di popolarità) e contribuì, in maniera originale, trasgressiva per i canoni dell’epoca e soprattutto moderna, allo sviluppo di una nuova cultura nazionalsocialista e a una maggiore sensibilizzazione nei confronti delle urgenze politiche di cui necessitava la nazione tedesca.

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    Predefinito Rif: Verso l’edificazione del vero e unico Stato socialista del Volk

    Con questo nostro termina la pubblicazione del saggio di Maurizio Rossi presentato sul numero di settembre-ottobre della Rivista Thule Italia, ritenendo così di aver offerto sufficienti spunti di riflessione ai nostri fedeli lettori.

    Disciplina socialista nell’economia e dominio culturale della modernità

    Una caratteristica essenziale dei teorici liberali fu quella di negare, nella maniera più assoluta, che l’economia dovesse essere a priori vincolata a delle responsabilità sociali nei confronti del popolo e della nazione. Il meccanismo capitalista non doveva, quindi, subire alcun condizionamento, né avrebbe dovuto essere costretto a rispondere a chicchessia del suo operato, solamente le cosiddette immutabili leggi del “mercato” avrebbero potuto regolarlo e indirizzarlo in un senso o in un altro. Pertanto, e a maggior ragione, anche le aziende, impostate secondo i principi dettati dall’imprenditoria capitalistica, non avrebbero mai dovuto subire alcun condizionamento di carattere sociale, tanto meno il capestro di una eventuale responsabilità sociale nei confronti delle maestranze, del corpo dei lavoratori, dell’economia nazionale, del popolo tutto. Per il semplice fatto che chiunque avesse avuto in mente di rivendicare un controllo sociale sulle aziende era da considerarsi, per i fondamentalisti del “libero mercato”, come un pericoloso sovvertitore della libertà imprenditoriale, un nemico della libertà economica e del sistema economico capitalistico. Il meccanismo capitalistico-imprenditoriale è sempre stato irriducibilmente incompatibile con il senso della responsabilità sociale e con il concetto del perseguimento del bene comune, perché le caratteristiche di ambedue da sempre contrastano con le finalità proprie dell’imprenditoria capitalistica che non ha mai fatto mistero di esistere unicamente per il perseguimento del proprio profitto, in totale sintonia con i capisaldi dell’economia di mercato.

    Il Nazionalsocialismo capovolse radicalmente questa situazione manifestando, fin dal suo esordio nello scenario politico, la sua risoluta contrarietà nei confronti del liberalismo economico e del sistema capitalistico denunciando il carattere di irresponsabilità sociale che aveva sempre contraddistinto l’impresa capitalistica e rivendicando giustamente, e in alternativa, un ferreo controllo politico sui processi economici e la subordinazione dell’economia al principio socialista della indiscutibile prevalenza del bene comune sugli interessi individuali, e gli imprenditori tedeschi compresero rapidamente che il loro dovere sarebbe consistito, da quel momento in poi, nella responsabilizzazione del loro operato in osservanza di un tale principio. Un’economia che, nel frattempo, veniva anche trasformata nella sostanza in una economia programmatica vincolata al conseguimento degli obiettivi strategici previsti dai piani quadriennali e quindi al soddisfacimento delle necessità prioritarie e vitali della comunità popolare e dello Stato.

    Applicando anche il presupposto che la migliore politica sociale era al contempo anche la migliore politica economica, apparve evidente che le idee del socialismo tedesco stavano modificando, con una sequenza inarrestabile di interventi, l’assetto sostanziale di quella che era stata l’economia nazionale. Attraverso l’organizzazione di imponenti campagne per la creazione di nuovi posti di lavoro, affiancate da politiche reali e concrete (mai viste fino ad allora) che procurarono un più che evidente ritorno di entusiastica fiducia nella popolazione e nutrite speranze verso l’avvenire, il Nazionalsocialismo risolse la drammatica piaga della disoccupazione e riorganizzò radicalmente la produzione industriale e quella contadina assieme all’intero edificio della politica sociale. Una politica sociale che anche gli osservatori più ostili non potettero che definire come la più organizzata, la più imponente e la più efficiente che la storia dell’Europa avesse mai conosciuto.

    Il Nazionalsocialismo lanciò quindi immediatamente la sua decisa offensiva contro le concezioni economiche liberali del capitalismo manageriale produttivista e azionario, smascherando altresì il carattere speculativo e di rapina sociale che albergava dietro agli spostamenti di capitale e al mercato azionario, si pronunciò con appassionata veemenza contro l’assurdo dogma liberale che concepiva il lavoro esclusivamente come una volgare merce, fra le tante, da barattare a piacimento sul mercato del profitto, si mobilitò attivamente contro l’intenso sfruttamento dei lavoratori alla mercè di parassiti e mercanti senza scrupoli, lavoratori considerati anch’essi merce di scambio da sacrificare sull’altare della corruzione borsistica, della speculazione economica, dell’ingordigia mercantilistica e dell’innalzamento illecito del profitto.

    Nel fare tutto ciò e per meglio contrastare il capitalismo, il Nazionalsocialismo dovette anche e soprattutto impadronirsi degli strumenti offerti dal moderno sviluppo tecnologico e svincolare necessariamente la tecnica e la modernità dall’aridità materialistica in cui erano state confinate dall’utilitaristica razionalizzazione liberale della Zivilisation capitalistica per restituirgli un’anima che fosse radicata nel popolo e interpretata dalla cultura popolare, alfine di metterle al servizio della comunità del popolo. Per i nazionalsocialisti la modernità tecnica non sarebbe più dovuta servire per creare nuovi strumenti nelle mani del capitalismo per lucrare, sfruttare e profittare, ma avrebbe dovuto essere partecipe della creazione di quella pienezza di valori necessari al consolidamento della Volksgemeinschaft, che a sua volta avrebbe imposto il suo dominio politico sulla tecnica e di conseguenza favorito il naturale sviluppo di una organica disciplina nell’economia.

    Ritornavano quindi, alla fine, i profondi motivi idealistici del “romanticismo d’acciaio”, anche attraverso le parole di Joseph Goebbels: “Viviamo in un’era tecnica. Il ritmo frenetico del nostro secolo coinvolge tutti i settori della nostra vita. Non c’è attività che possa sfuggire alla sua possente influenza. Perciò si profila indubbiamente il pericolo che la tecnica moderna sottragga agli uomini la loro anima. Il nazionalsocialismo non ha mai respinto o combattuto la tecnica. Piuttosto, uno dei suoi principali compiti è stato quello di affermarla in modo consapevole, d’infonderle un’anima, disciplinarla e porla al servizio del nostro popolo e della sua elevazione culturale. Il nazionalsocialismo usava riferirsi, nelle sue dichiarazioni pubbliche, al romanticismo d’acciaio del nostro secolo. Oggi questa frase ha raggiunto il suo vero significato. Viviamo in un’epoca romantica, ma con tempra d’acciaio”.

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    Con questo nostro termina la pubblicazione del saggio di Maurizio Rossi presentato sul numero di settembre-ottobre della Rivista Thule Italia, ritenendo così di aver offerto sufficienti spunti di riflessione ai nostri fedeli lettori.

    Disciplina socialista nell’economia e dominio culturale della modernità

    Una caratteristica essenziale dei teorici liberali fu quella di negare, nella maniera più assoluta, che l’economia dovesse essere a priori vincolata a delle responsabilità sociali nei confronti del popolo e della nazione. Il meccanismo capitalista non doveva, quindi, subire alcun condizionamento, né avrebbe dovuto essere costretto a rispondere a chicchessia del suo operato, solamente le cosiddette immutabili leggi del “mercato” avrebbero potuto regolarlo e indirizzarlo in un senso o in un altro. Pertanto, e a maggior ragione, anche le aziende, impostate secondo i principi dettati dall’imprenditoria capitalistica, non avrebbero mai dovuto subire alcun condizionamento di carattere sociale, tanto meno il capestro di una eventuale responsabilità sociale nei confronti delle maestranze, del corpo dei lavoratori, dell’economia nazionale, del popolo tutto. Per il semplice fatto che chiunque avesse avuto in mente di rivendicare un controllo sociale sulle aziende era da considerarsi, per i fondamentalisti del “libero mercato”, come un pericoloso sovvertitore della libertà imprenditoriale, un nemico della libertà economica e del sistema economico capitalistico. Il meccanismo capitalistico-imprenditoriale è sempre stato irriducibilmente incompatibile con il senso della responsabilità sociale e con il concetto del perseguimento del bene comune, perché le caratteristiche di ambedue da sempre contrastano con le finalità proprie dell’imprenditoria capitalistica che non ha mai fatto mistero di esistere unicamente per il perseguimento del proprio profitto, in totale sintonia con i capisaldi dell’economia di mercato.

    Il Nazionalsocialismo capovolse radicalmente questa situazione manifestando, fin dal suo esordio nello scenario politico, la sua risoluta contrarietà nei confronti del liberalismo economico e del sistema capitalistico denunciando il carattere di irresponsabilità sociale che aveva sempre contraddistinto l’impresa capitalistica e rivendicando giustamente, e in alternativa, un ferreo controllo politico sui processi economici e la subordinazione dell’economia al principio socialista della indiscutibile prevalenza del bene comune sugli interessi individuali, e gli imprenditori tedeschi compresero rapidamente che il loro dovere sarebbe consistito, da quel momento in poi, nella responsabilizzazione del loro operato in osservanza di un tale principio. Un’economia che, nel frattempo, veniva anche trasformata nella sostanza in una economia programmatica vincolata al conseguimento degli obiettivi strategici previsti dai piani quadriennali e quindi al soddisfacimento delle necessità prioritarie e vitali della comunità popolare e dello Stato.

    Applicando anche il presupposto che la migliore politica sociale era al contempo anche la migliore politica economica, apparve evidente che le idee del socialismo tedesco stavano modificando, con una sequenza inarrestabile di interventi, l’assetto sostanziale di quella che era stata l’economia nazionale. Attraverso l’organizzazione di imponenti campagne per la creazione di nuovi posti di lavoro, affiancate da politiche reali e concrete (mai viste fino ad allora) che procurarono un più che evidente ritorno di entusiastica fiducia nella popolazione e nutrite speranze verso l’avvenire, il Nazionalsocialismo risolse la drammatica piaga della disoccupazione e riorganizzò radicalmente la produzione industriale e quella contadina assieme all’intero edificio della politica sociale. Una politica sociale che anche gli osservatori più ostili non potettero che definire come la più organizzata, la più imponente e la più efficiente che la storia dell’Europa avesse mai conosciuto.

    Il Nazionalsocialismo lanciò quindi immediatamente la sua decisa offensiva contro le concezioni economiche liberali del capitalismo manageriale produttivista e azionario, smascherando altresì il carattere speculativo e di rapina sociale che albergava dietro agli spostamenti di capitale e al mercato azionario, si pronunciò con appassionata veemenza contro l’assurdo dogma liberale che concepiva il lavoro esclusivamente come una volgare merce, fra le tante, da barattare a piacimento sul mercato del profitto, si mobilitò attivamente contro l’intenso sfruttamento dei lavoratori alla mercè di parassiti e mercanti senza scrupoli, lavoratori considerati anch’essi merce di scambio da sacrificare sull’altare della corruzione borsistica, della speculazione economica, dell’ingordigia mercantilistica e dell’innalzamento illecito del profitto.

    Nel fare tutto ciò e per meglio contrastare il capitalismo, il Nazionalsocialismo dovette anche e soprattutto impadronirsi degli strumenti offerti dal moderno sviluppo tecnologico e svincolare necessariamente la tecnica e la modernità dall’aridità materialistica in cui erano state confinate dall’utilitaristica razionalizzazione liberale della Zivilisation capitalistica per restituirgli un’anima che fosse radicata nel popolo e interpretata dalla cultura popolare, alfine di metterle al servizio della comunità del popolo. Per i nazionalsocialisti la modernità tecnica non sarebbe più dovuta servire per creare nuovi strumenti nelle mani del capitalismo per lucrare, sfruttare e profittare, ma avrebbe dovuto essere partecipe della creazione di quella pienezza di valori necessari al consolidamento della Volksgemeinschaft, che a sua volta avrebbe imposto il suo dominio politico sulla tecnica e di conseguenza favorito il naturale sviluppo di una organica disciplina nell’economia.

    Ritornavano quindi, alla fine, i profondi motivi idealistici del “romanticismo d’acciaio”, anche attraverso le parole di Joseph Goebbels: “Viviamo in un’era tecnica. Il ritmo frenetico del nostro secolo coinvolge tutti i settori della nostra vita. Non c’è attività che possa sfuggire alla sua possente influenza. Perciò si profila indubbiamente il pericolo che la tecnica moderna sottragga agli uomini la loro anima. Il nazionalsocialismo non ha mai respinto o combattuto la tecnica. Piuttosto, uno dei suoi principali compiti è stato quello di affermarla in modo consapevole, d’infonderle un’anima, disciplinarla e porla al servizio del nostro popolo e della sua elevazione culturale. Il nazionalsocialismo usava riferirsi, nelle sue dichiarazioni pubbliche, al romanticismo d’acciaio del nostro secolo. Oggi questa frase ha raggiunto il suo vero significato. Viviamo in un’epoca romantica, ma con tempra d’acciaio”.

    da: Verso l
    "Sono Socialista, perchè mi appare incomprensibile che si mostri cura e la più alta
    considerazione verso la macchina, mentre il più nobile rappresentante del lavoro , l'uomo stesso, viene abbandonato"

    Adolf Hitler

  7. #7
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    Thumbs up Rif: Verso l’edificazione del vero e unico Stato socialista del Volk

    Ottimi post camerata,questo dimostra come il Terzo Reich sia un vero esempio di socialismo nazionalista.
    Chiunque stia dalla parte di una giusta causa non può essere definito un terrorista.
    Yasser Arafat

    Una religione senza guerra è zoppa.
    Ruhollāh Mosavi Khomeyni

  8. #8
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    Predefinito Rif: Verso l’edificazione del vero e unico Stato socialista del Volk

    Citazione Originariamente Scritto da Johann von Leers Visualizza Messaggio
    Ottimi post camerata,questo dimostra come il Terzo Reich sia un vero esempio di socialismo nazionalista.
    Come ho scritto già altre volte l'esperienza nazionalsocialista tedesca rappresenta un frammento importante e assolutamente unico nella storia del Socialismo Nazionale europeo.

    Un'esperienza sicuramente connotata da aspetti e caratteristiche particolari collegabili alla cultura, alla storia, alla tradizione del popolo tedesco ai suoi miti ancestrali e al suo carattere nazionale.

    Senz'altro una delle rivoluzioni nazionali europee piu' alte per l'adesione quasi oceanica e per la passione che vide il popolo aderire in massa all'edificazione dello Stato Volkisch nazionalsocialista.

    Ottimo articolo camerata: smentisce molti luoghi comuni e sbugiarda la storiografia di regime che da settant'anni è servilmente piegata alle logiche di coloro che uscirono vincitori dalla seconda guerra mondiale e , in particolare, da quelli che di quel conflitto mondiale furono e sono ancora oggi i maggiori beneficiari. :giagia:
    “Non vi è socialismo senza nazionalizzazione e socializzazione delle industrie” STANIS RUINAS

 

 

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