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    Libano, Hezbollah e alleati lasciano: cade governo

    mercoledì 12 gennaio 2011




    BEIRUT (Reuters) - I ministri di Hezbollah e degli alleati libanesi si sono dimessi oggi, facendo così cadere il governo del primo ministro Saad al-Hariri, prima che vengano rese note alcune accuse contro il gruppo sciita nell'inchiesta internazionale sull'uccisione del padre di Hariri.

    Ieri i politici libanesi hanno spiegato che l'Arabia saudita e la Siria non sono state in grado di raggiungere un accordo per arginare le tensioni sul tribunale Onu che a breve dovrebbe diffondere delle prime prove sull'assassinio di Rafik al- Hariri del 2005.

    I ministri si sono dimessi mentre Saad al-Hariri stava incontrando a Washington il presidente Usa Barack Obama e la Casa Bianca più tardi ha diffuso una nota in cui criticava la decisione di Hezbollah, come qualunque "minaccia o azione" che possa destabilizzare il Libano.

    L'ufficio di Hariri ha detto che il premier ha lasciato gli Usa dopo i colloqui, partendo alla volta di Parigi dove domani è previsto l'incontro con il presidente francese Nicolas Sarkozy.

    Secondo gli analisti, le dimissioni del gruppo sciita potrebbero preparare il terreno per altri disordini in Libano ma a loro dire è lontana la possibilità che si ripeta la violenza del maggio 2008, quando uomini armati hanno preso d'assalto Beirut dopo le decisioni del governo contro Hezbollah. Tuttavia l'Arabia saudita, che sostiene Hariri, ha detto che le dimissioni "provocheranno di nuovo scontri".

    Hezbollah ha negato ogni coinvolgimento nell'assassinio del 2005. Il leader del gruppo, Sayyed Hassan Nasrallah, ha attaccato il tribunale definendolo "un progetto di Israele" e ha sollecitato Hariri a rinunciarvi. Il premier, un sunnita, si è opposto alla loro richiesta.

    Annunciando le dimissioni, il ministro Gebran Bassil ha accusato Washington di aver ostacolato gli sforzi congiunti di Arabia Saudita e Siria e ha sollecitato il presidente del Libano a "prendere le necessarie misure per formare un nuovo governo".







    Libano, Hezbollah e alleati lasciano: cade governo | Prima Pagina | Reuters
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    Predefinito Rif: Libano - Hezbollah e alleati lasciano: cade il governo

    Libano, la partita di Hezbollah


    14 gennaio 2011 -





    di Michele Paris

    La minaccia era giunta molto chiaramente martedì scorso da parte di uno dei ministri di Hezbollah, che fa parte del governo di unità nazionale guidato dal premier Saad Hariri. Se quest’ultimo si fosse rifiutato di convocare d’urgenza una riunione di gabinetto per risolvere lo stallo provocato dalle imminenti decisioni del Tribunale Speciale per il Libano (STL), che sta indagando sull’assassinio dell’ex primo ministro Rafik Hariri nel febbraio 2005, il “Partito di Dio” avrebbe staccato la spina al già fragile governo uscito a fatica dalle elezioni del 2009. Il giorno dopo, nel bel mezzo dell’incontro a Washington tra il Premier e Barack Obama per discutere della crisi libanese, i dieci ministri di Hezbollah hanno così rassegnato le proprie dimissioni, facendo cadere il governo Hariri e aprendo una nuova pagina d’incertezze per il piccolo paese mediorientale.

    Alla vigilia dell’ennesima crisi in Libano era stato l’ex generale cristiano alleato di Hezbollah, Michel Aoun, a preannunciare le sorti del governo Hariri. I colloqui tra i principali protettori delle due anime politiche libanesi - Siria e Arabia Saudita - per risolvere un’impasse che dura da mesi, erano giunti ad un punto morto; il che aveva messo in guardia Aoun. A quel punto, la coalizione “8 Marzo”, guidata da Hezbollah, ha deciso di chiedere al Premier e al Presidente libanese, Michel Suleiman, di riunire il governo per sconfessare apertamente il Tribunale internazionale. Il gabinetto avrebbe dovuto esprimersi sulle proposte di Hezbollah per tagliare i fondi al Tribunale, ritirare i giudici libanesi che vi operano e ordinare l’apertura di un’indagine sui “falsi testimoni” impiegati dal tribunale stesso nella ricerca dei responsabili della morte di Rafik Hariri.

    Al ritiro della delegazione governativa di Hezbollah ha fatto seguito l’abbandono di un undicesimo membro del gabinetto, il ministro Adnan Sayyed Hussein, nominato dal presidente Suleiman, facendo scattare il numero minimo di dimissioni previsto dalla costituzione libanese per far cadere automaticamente il governo (un terzo dei ministri più uno). Nella dichiarazione ufficiale rilasciata alla stampa, il ministro dell’Energia, Jebran Bassil, dopo aver ringraziato il sovrano saudita Abdullah e il presidente siriano Assad per il loro sforzo, ha attribuito la responsabilità della crisi all’incapacità della coalizione guidata da Saad Hariri di resistere alle pressioni americane, nonostante la disponibilità mostrata da Hezbollah.

    Da parecchi mesi ormai, il movimento politico sciita stava chiedendo al governo di prendere le distanze da un tribunale che appare sempre più come uno strumento di Israele e Stati Uniti per colpire il suo stesso prestigio nel paese. La scorsa estate, il leader di Hezbollah, Sayed Hassan Nasrallah, aveva anticipato la prossima incriminazione da parte del Tribunale Speciale di membri del proprio partito. Visto che Hezbollah ha sempre dichiarato la propria estraneità all’assassinio di Hariri, eventuali accuse contro suoi affiliati potrebbero scatenare nuovi conflitti settari in un paese che ha già vissuto quindici anni di guerra civile ed altri violenti conflitti in tempi più recenti.

    La crisi di governo a Beirut è stata subito definita in Occidente come una mossa di Hezbollah per “sovvertire la giustizia” e minare la stabilità del Libano. Il Segretario di Stato americano, Hillary Clinton, nel corso di un tour del Golfo Persico, ha rincarato la dose, rimproverando non solo le forze interne al Libano, ma anche le influenze esterne che metterebbero a rischio i delicati equilibri del Paese. Una presa di posizione scontata da parte di Washington, che rivela come al solito una certa dose di ipocrisia, dal momento che proprio gli Stati Uniti non sembrano farsi troppi scrupoli nel destabilizzare il Libano, sostenendo fermamente il Tribunale Speciale per avanzare la loro agenda nel paese in funzione anti-siriana e anti-iraniana.

    La crisi a Beirut è giunta, infatti, in concomitanza con la trasferta americana di Saad Hariri, durante la quale ha incontrato, oltre al sovrano saudita convalescente in un hotel newyorchese, Sarkozy e Obama. Entrambi i presidenti hanno chiesto al Premier libanese di non piegarsi alle richieste di Hezbollah e di continuare a garantire il sostegno necessario al tribunale incaricato di far luce sulla morte del padre e di altre 22 persone, nonostante le irregolarità che ne hanno segnato finora le indagini.

    L’amministrazione Obama sembra auspicare ora una prosecuzione del governo Hariri in attesa di un reincarico per la formazione di un nuovo gabinetto che, vista la paralisi del panorama politico libanese, potrebbe richiedere ancora parecchio tempo. In questo scenario, le minacce di Hezbollah verrebbero svuotate e le incriminazioni del Tribunale Speciale finalmente annunciate in maniera formale.

    Se in molti avevano messo in guardia da possibili episodi di violenza in caso di crisi, l’atteggiamento mostrato finora da Hezbollah è stato sostanzialmente improntato alla moderazione. Questo però non implica che il “partito di dio” sia prono o rassegnato a qualunque tipo di sviluppo possibile della crisi politica. Ma, per ora, la moderazione e la tattica politica sembrano prevalere sulle tentazioni di un ricorso alla forza.

    L’uscita dal governo è avvenuta nel rispetto delle norme costituzionali libanesi, così come i vertici del movimento sciita hanno indicato un percorso legale per la risoluzione della crisi. In attesa dell’avvio delle consultazioni tra i vari partiti in parlamento, il presidente Suleiman ha confermato la carica di premier ad interim a Saad Hariri, in modo da proseguire con lo svolgimento degli affari correnti.

    Il nodo che getta una grave ombra sul futuro del Paese rimane in ogni caso irrisolto. La questione del Tribunale Speciale lascia, infatti, ben poco spazio ad un compromesso tra le due fazioni opposte, soprattutto perché appare praticamente impossibile escludere Hezbollah da qualsiasi nuovo accordo di governo. L’alleanza “14 Marzo” che fa capo al Premier continua a mostrare ben poca disponibilità per una marcia indietro anche parziale in merito al Tribunale, sul quale molti dei suoi esponenti avevano scommesso buona parte della loro carriera politica.

    Inoltre, se la coalizione che detiene la maggioranza in Parlamento appare ben decisa a riproporre il nome del figlio del leader sunnita ucciso nel 2005 per l’incarico di Premier, i partiti di opposizione non sembrano per il momento disposti a dare ad Hariri una nuova chance di guidare il prossimo governo. Secondo quanto riferito dalla stampa locale, diversi esponenti di Hezbollah considerano ormai Hariri come “parte del problema”. Un possibile irrigidimento dei componenti dell’alleanza “8 Marzo” è stato anticipato esplicitamente anche da un parlamentare di Hezbollah, Mohammed Raad, il quale ha affermato che il suo partito intende proporre al presidente Suleiman per l’incarico di primo ministro una “personalità con un passato nella resistenza nazionale” (“Resistenza Islamica” è un altro nome talvolta impiegato da Hezbollah per definire il proprio movimento).

    Alla luce delle pesanti ipoteche che alcuni paesi occidentali e i potenti vicini detengono su Beirut, l’ipotesi più probabile per una risoluzione della crisi in Libano che eviti nuovi scontri potrebbe essere allora un accordo negoziato al di fuori dei suoi confini. Ciò accadde già nel 2008, quando un’escalation di violenze settarie venne fermata grazie ad un accordo mediato dall’emiro del Qatar. In questo caso, a determinare il futuro immediato del paese e i suoi equilibri interni saranno ancora una volta gli interessi di quei governi che continuano ad esercitare la loro influenza sul Libano: Stati Uniti, Francia e Arabia Saudita da una parte, Siria e Iran dall’altra.





    Libano, la partita di Hezbollah
    Ultima modifica di Majorana; 14-01-11 alle 22:19
    “Non vi è socialismo senza nazionalizzazione e socializzazione delle industrie” STANIS RUINAS

 

 

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