La Deposizione in decomposizione: l’umidità divora una pala del ’500 - Corriere del Mezzogiorno


NAPOLI — E’ La Deposizione di Giovanni Bernardo Lama: una pala d’altare del tardo Cinquecento collocata da sempre in una chiesa principalissima che è conficcata nel cuore stesso di Napoli, inglobata dall'isola del palazzo del Municipio. Nelle foto la vedete sia com’era, non più tardi di qualche anno fa e come potrebbe forse ancora tornare), sia com’è oggi, completamente sfigurata (come altri dipinti ad essa prossimi) dall’umidità che risale dalle pareti, e che ha agito indisturbata in anni di chiusura della chiesa, che oggi torna ad aprirsi al mattino.

Di fronte a queste immagini pensa subito a quante opere d’arte del passato hanno fatto, stanno facendo e faranno quella stessa fine sotto i nostri occhi. E allora viene da dire: basta, chiudiamo i corsi universitari di storia dell’arte; chiudiamo le Soprintendenze; smettiamola con retorica del patrimonio artistico nazionale, del quale evidentemente non frega niente a nessuno. Tutto è inutile, rassegniamoci a far quel che cantano i Baustelle: «Rinnegare l’anima, come i sassi e i fili d’erba non avere identità».

Poi, però, parli con Flavia Petrelli, la funzionaria della Soprintendenza che segue questa parte di territorio. E capisci che tacere sarebbe come sparare alle spalle ai pochi servitori dello Stato che combattono ogni giorno, e in nome di tutti noi, la più frustrante e disperante delle resistenze. La basilica di San Giacomo degli Spagnoli contiene lo splendido mausoleo del suo fondatore, don Pedro di Toledo, figura chiave della genesi della Napoli vicereale. Questa chiesa importantissima è di proprietà privata, poiché appartiene ancora all’Arciconfraternita del Santissimo Sacramento dei nobili spagnoli. Ma né questi residuali aristocratici né il Comune (benché così stretto vicino di casa) hanno risposto in alcun modo ai pressanti appelli della Soprintendenza.

Il monumento funebre di don Pedro di Toledo in San Giacomo degli Spagnoli
Il monumento funebre di don Pedro di Toledo in San Giacomo degli Spagnoli
Lo stato di abbandono è così grave che quest'ultima potrebbe addirittura avviare una procedura di esproprio, o almeno di «ricovero coatto» delle tavole dipinte in un luogo più sicuro: ma la situazione della tutela pubblica è, a Napoli, così tragica che la Soprintendenza non ha più nemmeno i soldi per pagare il trasporto delle pale d'altare, senza parlare del loro restauro. Siamo al punto che i pochi interventi ancora possibili si fanno frugando nelle pieghe di bilancio delle «Grandi Mostre», immancabilmente finanziate dagli enti locali e dagli sponsor privati. Per intenderci, è come se il Servizio sanitario nazionale passasse solo i soldi per la chirurgia estetica e i pazienti li stornassero per pagarsi la chemioterapia. Nel caso specifico di San Giacomo si può sperare che il console spagnolo a Napoli e il direttore dell’Istituto Cervantes si facciano tramiti di un appello che raggiunga l’ambasciata di Spagna a Roma, e quindi il governo le imprese di Madrid.

In Spagna si sta organizzando una grande mostra sulla Napoli vicereale: sarebbe allucinante inaugurarla mentre si va letteralmente decomponendo la chiesa simbolo di quel cruciale rapporto storico. Ma, più in generale occorre una scossa, un risveglio, una rivoluzione: è vitale combattere per la salvezza del nostro patrimonio artistico, per la conservazione e la tutela dell'ambiente culturale che abbiamo ereditato e che abbiamo il dovere di trasmettere alle prossime generazioni. Dubito, però, che questa battaglia possa esser vinta se non torniamo a comprendere a cosa serve, questo patrimonio. Se non si torna a comprendere che le opere d’arte del passato non servono a fare qualcosa (a intrattenerci, o a produrre ricchezza), ma ad essere e a diventare qualcosa (più umani, più civili e, magari, anche più felici), non capiremo mai perché dobbiamo salvarle. E non sarebbe certo un risultato irraggiungibile, se solo le amministrazioni locali, le Soprintendenze, le società di servizi e gli editori si convincessero che un monumento può avere il successo di una mostra. Allora si potrebbe mettere al servizio del patrimonio artistico monumentale e permanente una parte anche minima dell’onnipotente marketing che oggi vende con tanto successo l’effimero e l'inesistente. Sarebbe davvero rivoluzionario poter immaginare una programmazione che ogni anno richiamasse l’attenzione di un’intera città su un complesso monumentale, civile o religioso.

Dedicare a San Giacomo degli Spagnoli lo stesso sforzo di promozione profuso per «Ritorno al Barocco» significherebbe immaginare cataloghi, conferenze, visite, inserti nei giornali, ritorni temporanei di opere ormai migrate nei musei e magari perfino qualche evento’’: e tutto questo non più per lanciare un format globalizzante, ma per restituire ai cittadini la conoscenza— e dunque il vero possesso, e l’interesse alla conservazione — di un pezzo della loro città e della loro identità. La Deposizione del Lama non è un capolavoro, ma è qualcosa di più importante: è una delle tante, indispensabili cellule di un corpo vivo che si sta disfacendo. Quel corpo è Napoli.

Tomaso Montanari
19 gennaio 2011









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