«Sono affari privati». «Sono cose che riguardano solo la vita privata di un cittadino». «Si spia in camera da letto»
Ricevo dall’avvocato Maddalena Claudia del Re, e volentieri pubblico
Da avvocato garantista ma onesta, ricordo fu una grande conquista sociale quando lo Stato e i suoi poteri di controllo e prevenzione non si dovettero più fermare sull’uscio delle case.
Fino agli anni ’70, fino alla legge sul divorzio, al nuovo diritto di famiglia, fino alla nuova sensibilità dei magistrati di ogni grado, dal pretore fino alla Cassazione, se un marito spaccava il viso alla moglie in fondo erano affari di famiglia. I carabinieri ti dicevano: «Ma su signora, vada a casa; ne parlate un po’ in famiglia e, vedrà, si risolverà tutto».
Se un padre lasciava il ragazzino malmenato nello sgabuzzino al buio per sei ore, era un diritto educativo del padre; un diritto “di correzione”, diritto che il marito aveva anche sulla moglie fino al 1975.
Arrivarono le condanne per stupro tra coniugi; si apprestarono tutele economiche alle donne che, costrette in situazioni di violenza domestica, volevano fuggire da quella condizione.
Nell’ipotesi di reato di prostituzione minorile c'è l’interesse primario sia della persona sia dello Stato tutto, del consesso dei cittadini. Un minorenne sempre, ovunque e comunque deve godere di un sereno sviluppo picofisico. Ciò vale per il sesso, ma anche, ad esempio, per il lavoro minorile.
Il diritto alla riservatezza, nel bilanciamento degli interessi, passa in secondo piano davanti ai diritti inviolabili del minore e lo Stato deve agire a tutela della giovane prostituta.
E’ molto grave se si impone nuovamente, come in un tempo che sembrava lontano, il modello per cui “in casa mia faccio quello che mi pare”. Il messaggio è quello di poter abusare, in ogni forma, sui deboli, donne e figli, nel proprio ambito privato e familiare. Gli anni ’50 e ‘60, evocati con aria trasognata, come un’epoca d’oro, in realtà un'epoca pre-modernizzazione di questo nostro Paese.
In casa mia faccio quello che mi pare