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    Franco Cardini


    IL DRAGO



    dal sito Airesis: l'Eresia della Scelta, la Scelta dell'Eresia







    Da un Bestiario inglese del XIII sec.
    British Library, Harley MS 3244, Folio 58v
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 04-01-16 alle 00:31

  2. #22
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    Jorge Luis Borges – Margarita Guerrero

    IL DRAGO



    Aberdeen Bestiary (Aberdeen University Library MS 24), 1200 ca.


    Un grosso e alto serpente con artigli e ali, è forse la descrizione più fedele del drago. Può essere nero, ma conviene che sia anche lucente; anche si suole esigere che esali boccate di fuoco e fumo. Tutto questo, naturalmente, si riferisce alla sua immagine attuale; i greci, sembra applicassero il suo nome a qualsiasi serpente considerevole. Plinio assicura che d'estate il drago appetisce il sangue d'elefante, che è molto freddo. Bruscamente dunque attacca l'elefante, gli s'arrotola intorno, e lo trafigge coi denti. Il pachiderma, dissanguato, stramazza per terra e muore, anche muore il drago, sfracellato dal peso del suo avversario. Leggiamo pure che i draghi d'Etiopia, in cerca di miglior cibo, sogliono traversare il Mar Rosso ed emigrare in Arabia. Per riuscire in quest'impresa, quattro o cinque draghi s'abbracciano e formano una specie di imbarcazione, tenendo le teste fuori dell'acqua. Un altro capitolo è dedicato ai medicamenti che si ricavano dal drago. I suoi occhi, disseccati e mescolati con miele, forniscono un linimento efficace contro gl'incubi. Il grasso del cuore, conservato in pelle di gazzella e applicato al braccio con tendini di cervo, garantisce il buon esito dei processi. I denti, portati sulla persona, procurano indulgenza da parte dei padroni e grazie da parte dei re. Plinio accenna inoltre, ma con scetticismo, a un preparato che rende invincibili gli uomini; questo si fa con peli di leone, con midollo dello stesso animale, con la schiuma raccolta su un cavallo che ha appena vinto una corsa, con unghie di cane, e con la coda e la testa di un drago.

    Nel libro XI dell'Iliade si legge che un drago azzurro e tricefalo ornava lo scudo di Agamennone; secoli dopo, i pirati scandinavi dipingevano draghi sui loro scudi e scolpivano teste di drago sulle prue delle loro navi. Presso i romani il drago fu insegna della coorte, come l'aquila della legione; tale è l'origine dei moderni reggimenti di dragoni. Sugli stendardi dei re germanici d'Inghilterra c'erano draghi; scopo di queste immagini era di incutere terrore ai nemici. Cosi, nel romanzo di Athis si legge:

    Ce soulaient Romains porter,
    Ce nousfait moult à redouter. *

    In Occidente il drago fu sempre immaginato malvagio. Una delle imprese classiche degli eroi (Ercole, Sigurd, san Michele, san Giorgio) era di vincerlo e ucciderlo. Nelle leggende germaniche il drago custodisce oggetti preziosi. Nella gesta di Beowulf, composta in Inghilterra verso il secolo VIII, c'è un drago che da trecento anni fa la guardia a un tesoro. Uno schiavo fuggiasco capita nella caverna e trafuga una giarra. Il drago si sveglia, s'accorge del furto e decide di uccidere il ladro; ma prima torna giù nella caverna, per ispezionarla meglio. (Ammirevole trovata del poeta, questa di attribuire al mostro un'incertezza cosi umana). Poi il drago comincia a desolare il regno; Beowulf lo cerca, combatte con lui, e l'uccide.

    La gente credeva alla realtà dei draghi. Verso la metà del secolo XVI, li troviamo descritti nella Historia animalium di Conrad Gesner, opera di carattere scientifico.
    Ma il tempo ha intaccato notevolmente il loro prestigio. Crediamo al leone come realtà e come simbolo; crediamo al minotauro come simbolo, sebbene non come realtà; il drago è forse il più noto, ma anche il meno fortunato degli animali fantastici. Ci sembra puerile, e suole contaminare di puerilità le storie in cui figura. Conviene non dimenticare, tuttavia, che si tratta qui d'un pregiudizio moderno, forse provocato dall'eccesso di draghi che c'è nei racconti di fate. D'altra parte, nell'Apocalisse di san Giovanni si parla due volte del drago, «il vecchio serpente che è Diavolo e Satana». Analogamente, sant'Agostino scrive che il Diavolo «è leone e drago: leone per l'impeto, drago per l'insidia». Jung osserva che nel drago ci sono il serpente e l'uccello, l'elemento della terra e quello dell'aria.

    * Questo solevano portare i Romani, questo fa che ci ternano molto


    Dal Manuale di zoologia fantastica, Jorge Luis Borges e Margarita Guerrero (Einaudi)

  3. #23
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    E' l'Uccello Sacro del fuoco, vive più di cinquecento anni e, quando sente che la morte è ormai vicina, prepara un nido con ramoscelli di erbe aromatiche e al tramonto, rivolta verso il sole calante con le ali aperte, dà fuoco alla pira, lasciandosi consumare dalle fiamme. Ma nove giorni dopo risorge dalle sue stesse ceneri, e proprio per questa sua peculiarità è uno degli animali mitici più cari alla tradizione esoterica. La combustione costituisce un itinerario che la conduce a un nuovo status: rappresenta così un'allegoria del processo alchemico che ha bisogno del fuoco per portare a compimento il proprio iter.


    LA FENICE



    Aberdeen Bestiary - Aberdeen University Library MS 24, 1200 ca.




    Gli antichi egizi furono i primi a parlare del Bennu (dal verbo "benu" che significa "risplendere", "sorgere" o "librarsi in volo"), che poi nelle leggende greche divenne la Fenice (da "phoinix", che significa "rosso" o "albero solare"). Uccello sacro favoloso, aveva l'aspetto di un'aquila reale e il piumaggio dal colore splendido, il collo color oro, rosse le piume del corpo e azzurra la coda con penne rosee, ali in parte d'oro e in parte di porpora, un lungo becco affusolato, lunghe zampe e due lunghe piume che le scivolavano morbidamente giù dal capo (o erette sulla sommità del capo). In Egitto era solitamente raffigurata incoronata con l'Atef (la Corona Bianca dell'Alto Egitto, con due piume di struzzo per lato: la corona di Osiride) o con l'emblema del disco solare. Gli antichi la identificavano col fagiano dorato, tanto che un imperatore romano si vantò di averne catturata una; nella Bibbia, con l'ibis; alcuni, col pavone; altri, con l'airone rosato o l'airone cinereo.

    Come l'airone che spiccava il volo sembrava mimare il sorgere del sole dall'acqua, la Fenice venne associata al sole e rappresentava il BA ("l'anima") del dio del sole Ra, di cui era l'emblema - tanto che nel tardo periodo il geroglifico del Bennu veniva impiegato per rappresentare direttamente Ra. Quale simbolo del sole che sorge e tramonta, la Fenice presiedeva al giubileo regale. Ed essendo colei che ri-sorge per prima, venne associata al pianeta Venere e menzionata quale Stella del Mattino nell'invocazione: Io sono il Bennu, l'anima di Ra, la guida degli Dei nel Duat (l'oltretomba). Che mi sia concesso entrare come un falco, ch'io possa procedere come il Bennu, la Stella del Mattino.

    E, come l'airone che s'ergeva solitario sulla piccole isole di roccia che sbucavano dall'acqua dopo la periodica inondazione del Nilo (che ogni anno fecondava la terra col suo limo), il ritorno della Fenice annunciava un nuovo periodo di ricchezza e fertilità. Per questa stessa ragione venne riconosciuta quale personificazione della forza vitale, e - come narra il mito della creazione - fu la prima forma di vita ad apparire sulla collina primordiale (sulla quale fu poi edificata la città di Heliopolis), che all'origine dei tempi sorse dal caos acquatico. Si dice infatti che il Bennu abbia creato se stesso dal fuoco che ardeva sulla sommità del sacro salice di Heliopolis.

    Proprio come il sole, che è sempre lo stesso e risorge solo dopo che il sole "precedente" è tramontato, di Fenice ne esisteva sempre un unico esemplare per volta (da cui l'appellativo "semper eadem": era sempre un maschio, e viveva in prossimità di una sorgente d'acqua fresca all'interno di una piccola oasi nel deserto d'Arabia, un luogo appartato, nascosto ed introvabile - citando il ben noto adagio di Metastasio ("Demetrio", atto II, scena III): "Come l'araba Fenice, che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa". Ogni mattina all'alba faceva il bagno nell'acqua (simbolo alchemico delle emozioni) e cantava una canzone così bella che il dio del Sole arrestava la sua barca (o il suo carro, nella mitologia greca) per ascoltarla.

    Quando, dopo aver vissuto per 500 anni (secondo altri 540, 900, 1000, 1461/1468, o addirittura 12954/12994), la Fenice sentiva sopraggiungere la sua morte, si ritirava in un luogo appartato e vi accatastava ramoscelli di mirto, incenso, sandalo, legno di cedro, cannella, spigonardo, mirra e le più pregiate piante balsamiche, con le quali intrecciava un nido a forma di uovo - grande quanto era in grado di trasportarlo (cosa che stabiliva per prove ed errori). Infine vi si adagiava, lasciava che i raggi del sole l'incendiassero, e si lasciava consumare dalle sue stesse fiamme mentre cantava una canzone di rara bellezza. Dal cumulo di cenere emergeva poi una piccola larva, che i raggi solari facevano crescere rapidamente fino a trasformarla nella nuova Fenice nell'arco di tre giorni (Plinio semplifica dicendo entro la fine del giorno), dopodichè la giovane Fenice volava ad Heliopolis e si posava sopra l'albero sacro, "cantando così divinamente da incantare lo stesso Ra".



    Aberdeen Bestiary - Aberdeen University Library MS 24, 1200 ca.


    Storicamente parlando, viene menzionata per la prima volta in un libro dell'Esodo, e uno dei primi resoconti dettagliati ce lo fa lo storico greco Erodoto circa due secoli dopo: "Un altro uccello sacro era la Fenice. Non l'ho mai vista coi miei occhi, se non in un dipinto, poichè è molto rara e visita questo paese (così dicono ad Heliopolis) soltanto a intervalli di 500 anni: accompagnata da un volo di tortore, giunge dall'Arabia in occasione della morte del suo genitore, portando con sè i resti del corpo del padre imbalsamati in un uovo di mirra, per depositarlo sull'altare del dio del Sole e bruciarli. Parte del suo piumaggio è color oro brillante, e parte rosso-regale (il cremisi: un rosso acceso). E per forma e dimensioni assomiglia più o meno ad un'aquila. Proprio a questo spannometrico respconto di Erodoto, dobbiamo l'erronea denominazione di Araba Fenice. Secondo la versione fornitaci da Ovidio, invece, la Fenice .. si ciba non di frutta o di fiori, ma di incenso e resine odorose. Dopo aver vissuto 500 anni, con le fronde di una quercia si costruisce un nido sulla sommità di una palma, ci ammonticchia cannella, spigonardo e mirra, e ci s'abbandona sopra, morendo, esalando il suo ultimo respiro fra gli aromi. Dal corpo del genitore esce una giovane Fenice, destinata a vivere tanto a lungo quanto il suo predecessore. Una volta cresciuta e divenuta abbastanza forte, solleva dall'albero il nido (la sua propria culla, ed il sepolcro del genitore), e lo porta alla città di Heliopolis in Egitto, dove lo deposita nel tempio del Sole" (dove i sacerdoti di Ra conservavano gli archivi dei tempi passati: in quest'ottica, la Fenice era il nuovo profeta/messia che "distruggeva" gli antichi testi sacri per far risorgere una nuova Religione dai resti della precedente).

    La lunga vita della Fenice e la sua così drammatica rinascita dalle proprie ceneri, ne fecero il simbolo della rinascita spirituale, nonchè del compimento della Trasmutazione alchemica. Già simbolo della Sapienza divina (cfr. Giobbe 38 vs. 36), intorno al IV secolo d.C. venne identificata con Cristo (presumibilmente per via del fatto che tornava a manifestarsi 3 giorni dopo la morte) e, come tale, venne adottata quale simbolo paleocristiano di immortalità, resurrezione e vita dopo la morte.


    Riferimenti bibliografici:

    * Erodoto, "Storie" II, 73
    * Plinio, "Naturalis historia", X, 2
    * Ovidio, "Metamorphoses"
    * Il fisiologo (bestiario medievale in latino), IX
    Geroglifici: "The Book of the Dead, The coffin texts"



  4. #24
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    Dal Bestiario latino (VIII-IX sec.)

    IX) La fenice

    C'è un altro volatile che è detto fenice. Nostro Signore Gesù Cristo ha le sua figura, e dice nel Vangelo: "Posso deporre la mia anima, per poi riprenderla una seconda volta". Per queste parole i Giudei si erano scandalizzati e volevano lapidarlo.C'è dunque un uccello, che vive in alcune zone dell'India, detto fenice. Di lui il Fisiologo ha detto che, trascorsi cinquecento anni della sua vita, si dirige verso gli alberi del Libano, e si profuma nuovamente entrambe le ali con diversi aromi. Con alcuni segni si annuncia al sacerdote di Eliopoli nel mese nuovo, Nisan o Adar, cioè nel mese di Famenòth, o di Farmuthì. Dopo che il sacerdote ha avvertito questo segnale, entra e carica l'altare di sarmenti di legno. Quindi il volatile arriva, entra nella città di Eliopoli, pieno di tutti gli aromi che sprigionano entrambe le sue ali; ed immediatamente vedendo la composizione di sarmenti che è stata fatta sull'altare, si alza e, circondandosi di profumi, un fuoco si accende da solo e da solo si consuma. Poi, un altro giorno, giunse un sacerdote e, dopo aver bruciato la legna che aveva collocato sopra l'altare, trovò qui, osservando, un modesto vermicello, che emanava un buonissimo odore. Poi, al secondo giorno, trovò un uccellino raffigurato. Il terzo il sacerdote tornò a vedere e notò che l'uccellino era divenuto un uccello fenice. Una volta salutato il sacerdote, volò via e si diresse al suo luogo antico. Se invero questo uccello ha il potere di morire e di nuovo di rivivere, nel modo in cui gli uomini stolti si adirano per la parola di Dio, tu hai il potere come vero uomo e vero figlio di Dio, hai il potere di morire e di rivivere. Dunque come ho detto prima, l'uccello prende l'aspetto del nostro Salvatore, che scendendo dal cielo, riempì le sue ali dei dolcissimi odori del Nuovo e dell'Antico Testamento, come egli stesso disse : «Non sono venuto ad eliminare la legge, ma ad adempierla». E di nuovo : «Così sarà ogni scrittore dotto nel regno dei cieli, offrendo rose nuove ed antiche dal suo tesoro».Etimologia. La fenice, uccello d'Arabia, è chiamata tale per il suo colore rosso, o perché è unico in tutto il mondo. Infatti gli Arabi chiamano la fenice come uccello unico e solo. Questo, vivendo oltre cinquecento anni, finché si vede invecchiato, raccolti dei rami profumati, si costruisce un rogo e, volta alla luce del sole, con grande battito delle ali, si procura un incendio volontario, e così di nuovo risorge dalle sue ceneri.





    Der Naturen Bloeme (1350 ca.), Koninklijke Bibliotheek, KB, KA 16

  5. #25
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    Predefinito Rif: Mostri, belve, animali nell'immaginario medievale

    IL CERBERO


    E' il mostro della mitologia greca posto a guardia degli inferi, l'Ade, dai quali impediva il ritorno sulla Terra alle anime dei defunti. Figlio di Tifone e di Echidna era, secondo la tradizione, un cane a cento o a cinquanta teste, ma generalmente veniva rappresentato con tre teste, coda di drago e teste di serpente che correvano lungo la spina dorsale come una criniera. I morti dovevano placarlo offrendogli il dolce di miele che era stato posto nella loro tomba insieme con l'obolo per Caronte. Cerbero faceva la guardia sulla riva dello Stige; era persino terribile con i vivi che tentavano di forzare la porta degli inferi, si scagliò infatti contro Piritoo e Teseo quando cercarono di liberare Persefone. Placato da Orfeo con il suono della lira, da Enea con la focaccia preparata dalla Sibilla, fu domato solo da Ercole che lo incatenò e lo trascinò a Trezene, rimandandolo poi negli inferi. Viene posto da Dante a guardia dei golosi (Inferno VI).

    CERBERO
    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 18-03-11 alle 01:15
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    IL CINGHIALE DI ERIMANTO

    Nella Mitologia greca, il Cinghiale di Erimanto era un poderoso e ferocissimo cinghiale che viveva sul monte Erimànto e che terrorizzava tutta la regione: Eracle lo catturò vivo e lo portò ad Euristeo che per la paura si nascose in una botte. La sua cattura fu la quarta delle Dodici fatiche di Eracle.

    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 18-03-11 alle 01:14
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    LA CERVA DI CERINEA

    La cerva di Cerinea, era un'enorme animale sacro ad Artemide, la casta dea della caccia e della luna.

    Euristeo, ancor più stupito per l'eccezionale efficacia di Eracle, decise di affidargli una terza impresa. Nei pressi della regione di Cerinea viveva una splendida cerva, sacra ad Artemide, dalle corna d'oro e dagli zoccoli di bronzo (o argento, secondo altre versioni) che fuggiva senza mai fermarsi incantando chi la inseguiva, trascinandolo così in un paese dal quale non avrebbe più fatto ritorno.

    Eracle non poteva assolutamente ucciderla, poiché essa era una cerva sacra, e quindi l'eroe si limitò a inseguirla. La frenetica corsa durò circa un anno, sconfitto in ogni tentativo di raggiungerla, non gli rimase altra scelta che ferire leggermente l'agile cerva con un dardo, e caricarsela sulle spalle per riportarla in patria.

    Lungo la strada del ritorno incappò in Artemide, infuriata con lui per aver ferito una bestia a lei sacra: ma l'eroe riuscì a placare le sue ire, ed ottenne da lei il permesso di portare la cerva ad Euristeo. Dopodiché al leggiadro animale venne permesso di tornare a correre libero nelle foreste.

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    Predefinito Rif: Mostri, belve, animali nell'immaginario medievale

    LA CHIMERA

    La chimera (dal greco Χίμαιρα, chímaira, letteralmente "capra"; in latino chimaera) è un animale mitologico con parti del corpo di animali diversi. Secondo il mito greco fa parte della progenie di Tifone ed Echidna, insieme all'Idra di Lerna, Cerbero e Ortro.

    Ultima modifica di Tomás de Torquemada; 18-03-11 alle 01:13
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    Predefinito Rif: Mostri, belve, animali nell'immaginario medievale

    Jorge Luis Borges – Margarita Guerrero

    LA FENICE




    Harley Bestiary, British Library, Harley MS 4751
    (1230-1240 ca.)


    In effigi monumentali, in piramidi di pietra e in mummie, gli egizi cercarono eternità; è comprensibile che il mito di un uccello immortale e periodico sia sorto laggiù, sebbene la sua elaborazione ulteriore sia opera dei greci e dei romani. Erman scrive che nella mitologia di Eliopoli l'uccello detto Fenice (benu) è il signore dei giubilei, o dei grandi cicli di tempo; Erodoto, in un passo famoso (II, 73), riferisce con insistita incredulità una prima forma della leggenda:

    Tengono per sacro anche un altro uccello, chiamato Fenice, che io però ho visto solo dipinto. Perché viene in Egitto assai di rado: ogni cinquecento anni, dicono a Eliopoli. Dicono infatti che viene quando muore suo padre. Se per dimensioni e figura è veramente come lo dipingono, allora so-miglierebbe molto a un'aquila, ma con le penne rosse la più parte, e il resto dorate. Gli egizi raccontano di quest'uccello cose che mi lasciano incredulo. Viene dall'Arabia, dicono, portando il corpo di suo padre racchiuso nella mirra, per seppellirlo nel tempio del Sole. Il suo modo di trasportarlo è questo: prima di tutto modella un uovo di mirra, pieno e tanto pesante quanto le forze gli bastano a portarlo; poi, dopo averlo sollevato per sperimentarne il peso, lo scava dentro e vi alloga il padre, che ricopre quindi con altra mirra; cosicché, l'uovo col padre dentro tornando dello stesso peso di prima, la Fenice lo richiude e lo porta al tempio del Sole in Egitto. Ecco, dicono, che cosa fa quest'uccello.

    Circa cinquecento anni dopo, Tacito e Plinio ripresero la prodigiosa storia; il primo giustamente osservò che ogni antichità è oscura, ma che una tradizione ha fissato in millequattrocentosessantuno gli anni di vita della Fenice (Annali, VI, 28). Anche il secondo investigò la cronologia della Fenice, e annotò (X, 2) che, secondo Manilio, visse un anno platonico, o anno magno. Anno platonico è il tempo che impiegano il Sole, la luna e i cinque pianeti per ritornare tutti alla posizione iniziale; Tacito, nel Dialogo degli oratori, lo fa equivalere a dodicimilanovecentonovantaquattro anni comuni. Gli antichi credettero che, compiuto quest'enorme ciclo astronomico, la storia universale si sarebbe ripetuta in tutti i suoi particolari, ripetendosi gli influssi dei pianeti: la Fenice, cosi, veniva a essere uno specchio o un'immagine dell'universo. Per maggiore analogia, gli stoici insegnarono che l'universo muore nel fuoco e rinasce dal fuoco, e che il processo non avrà fine come non ha avuto principio.
    Gli anni semplificarono il meccanismo della generazione della Fenice. Erodoto menziona un uovo, e Plinio un verme; ma Claudiano, alla fine del secolo IV, già versifica d'un uccello immortale che rinasce dalle proprie ceneri, erede di se stesso e testimone delle età.
    Pochi miti hanno avuto tanta diffusione, come quello della Fenice. Agli autori già citati conviene aggiungere: Ovidio (Metamorfosi, XV), Dante (Inferno, XXIV), Shakespeare (Enrico IV, V, 4), Pellicer (La Fenice e la sua storia naturale), Quevedo (Parnaso spagnolo, VI), Milton (Samson Agonistes, in fine). Menzioneremo pure il poema latino De Ave Phoenice, che è stato attribuito a Lattanzio, e un'imitazione anglosassone di questo poema, del secolo VIII.
    Tertulliano, sant'Ambrogio e Cirillo di Gerusalemme hanno allegato la Fenice come prova della resurrezione della carne. Plinio si fa beffe dei terapeuti che prescrivono rimedi ricavati dal nido e dalle ceneri della Fenice.

    Dal Manuale di zoologia fantastica, Jorge Luis Borges e Margarita Guerrero (Einaudi)

  10. #30
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    Predefinito Rif: Mostri, belve, animali nell'immaginario medievale

    zitiron
    un 'animale' mezzo guerriero e mezzo pesce. L'immagine è tratta dall'opera del fiammingo Jacob van Maerlant Der Naturen Bloeme, Il Fiore della natura, una delle più famose enciclopedie naturalistiche del XIV secolo. Il meraviglioso manoscritto illuminato e miniato è conservato presso la Koninklijke Bibliotheek a Den Haag.


    Nella letteratura dell'epoca sono stati contati almeno 140 'animali' non esistenti in natura. M. Robinson, "Some Fabulous Beasts", Folklore, Vol. 76, No. 4 (Winter, 1965), pp. 273-287.

    da Minerva Medica

 

 
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