Cravatta e completo per i signori, tailleur per le signore, tutti son già pronti per il grande evento: recarsi alle urne il 6 e 7 giugno, convinti di influire sulle sorti del nostro paese e dell'Europa come si addice agli "uomini liberi".
Costume da bagno, telo da spiaggia e un buon libro sottomano, io son già pronto a recarmi invece al mare, sperando di influire sui miei cronici problemi respiratori come si addice ad un asmatico.
Già, anche stavolta non sarò della partita, come accade ormai da diverso tempo a questa parte.
Il mio non è menefreghismo, tutt'altro. E' piuttosto desiderio di sottrarmi alla psicosi collettiva che puntualmente si manifesta in occasione di queste grandi cerimonie sacre che rendono grazie al dio Stato.
Mio nonno sarebbe inorridito dinanzi alla sola ipotesi che qualcuno potesse rinunciare ad eleggere i propri “rappresentanti”, dopo le dure lotte che aveva portato innanzi in prima persona per conquistare quel "diritto".
Ma di rappresentanti non vedo l'ombra, gli risponderei oggi. Un rappresentante può dirsi tale infatti solo in base ad un contratto di mandato, un negozio bilaterale con cui una parte, detta mandatario, si obbliga a compiere uno o più atti giuridici (di solito contratti) per conto dell’altra, detta mandante. Un mandato che riguardi il compimento di tutti gli atti giuridici che interessano il mandante si dice generale, ma un contratto di tal fatta attiene solo all’ordinaria amministrazione, a meno che il contrario non risulti dal contratto stesso. Quante volte i nostri politici si limitano all’ordinario, interpellandoci per i casi straordinari?
Con la procura - un secondo negozio, stavolta unilaterale - si può conferire al mandatario il potere di rappresentanza, grazie al quale lo stesso compie gli atti giuridici non solo nell’interesse, ma anche in nome del mandante. Insomma, un rappresentante è tale solo in virtù di due negozi giuridici, in base ai quali il mandatario è gravato da una serie di stringenti obblighi: deve operare con la diligenza del buon padre di famiglia, seguendo le istruzioni ricevute ed allontanandosene solo quando circostanze ignote al mandante e non comunicabili in tempo facciano presumere che quest’ultimo avrebbe modificato le proprie istruzioni originarie. In caso di eccesso di potere da parte del mandatario (e di eccessi di potere i politici se ne intendono), il mandante può ratificarne gli atti oppure può decidere di non farlo, lasciando che i relativi effetti restino a carico del mandatario. Il contratto può infine essere revocato dal mandante in ogni momento, qualora sussista una giusta causa. Vedete niente di paragonabile in un sistema democratico?
Il mandato imperativo, non tutti lo sanno, è espressamente vietato dalla Costituzione: parlare di rappresentanza è pertanto frutto, lo ribadisco, di una vera e propria psicosi collettiva.
Nonostante questo, col voto finiamo comunque col dare, volenti o nolenti, una sorta di legittimazione ad una classe politica che di “riconoscimenti” ha bisogno più del pane: come scrive Carlo Lottieri, infatti, “poiché amministrano istituzioni che non godono di una vera adesione volontaria, gli uomini politici di ogni latitudine impongono regole a partire dalle quali c’è chiesto di scegliere a quale gruppo dobbiamo consegnare, per un dato numero di anni, il diritto di disporre dei nostri soldi e delle nostre libertà. Ma è necessario che il numero dei votanti sia alto perché si possa credibilmente spacciare la tesi che un simile sistema è apprezzato, gradito, scelto liberamente”. Ecco perché non votare è senz’altro, oggi come oggi, il gesto politicamente più “sovversivo”.
No, anche stavolta non ci sto: le elezioni assomigliano tanto all'ora d'aria concessa ai detenuti, e se ora d'aria dev'essere, che sia al mare!
Non so quanto astenersi dal voto possa rivelarsi, almeno nell’immediato, una strategia vincente: probabilmente al partito del non voto verranno dedicate poche, pochissime attenzioni, tanto più in una realtà come la nostra, in cui più dell’80% degli aventi diritto al voto si reca regolarmente alle urne. Ma non credo sia un caso se i paesi storicamente più liberali sono anche quelli in cui la partecipazione elettorale è minore. Lo scetticismo dell’elettore è indice di una “sana” scala di valori: non è lo Stato a prevalere sulla società, ma questa su quello, e l’identificazione dei due soggetti è del tutto arbitraria e fuorviante. Questo, in definitiva, sembra indicare chi preferisce una domenica con la moglie in riva al mare al seggio elettorale, e allora tanto vale provarci! Chissà, magari un giorno questo scetticismo, se fatto proprio da milioni e milioni di cittadini, costringerà i politici a contenere i loro istinti bestiali!
Il suffragio universale, lungi dall’essere un diritto di cui gloriarsi, rappresenta in conclusione una delle peggiori sciagure del nostro tempo. Scriveva il liberale Frédéric Bastiat: “…fino a quest’epoca la spoliazione legale era esercitata dal piccolo numero sul grande numero, come si vede presso i popoli dove il diritto di legiferare è concentrato in poche mani. Ma ecco che diventa universale, e si cerca l’equilibrio nella spoliazione universale. Invece di estirpare ciò che la società conteneva di ingiustizia, la si generalizza. Appena le classi diseredate hanno recuperato i loro diritti politici, il primo pensiero che le assale non è di liberarsi della spoliazione, ma di organizzare, contro le altre classi e a proprio detrimento, un sistema di rappresaglie, come se occorresse, prima che arrivi il regno della giustizia, che una crudele retribuzione venisse a colpirle tutte, le une a causa della loro iniquità, le altre a causa della loro ignoranza”.
La democrazia, il sistema attraverso il quale tutti cercano di vivere alle spalle di tutti gli altri: andate voi a votare, io voglio mantenere la mia coscienza pulita.