Così si fabbricano le primavere arabe
MATTEO CARNIELETTO
Lo scorso dicembre, il presidente russo Vladimir Putin ha firmato un importante documento intitolato “Strategia di sicurezza nazionale”. Un capitolo di questo testo è dedicato alle “rivoluzioni colorate“. Come è noto, i politici russi ne hanno un giudizio diametralmente opposto rispetto a quelli occidentali e parlano apertamente di “una delle principali minacce per la sicurezza nazionale della Russia”, individuando tra i responsabili di queste rivolte “gruppi radicali che usano ideologie estremiste nazionaliste e religiose, Ong straniere e internazionali e privati cittadini“.
E, va detto, il giudizio dei russi non è errato. Lo spiega bene Alfredo Macchi in un libro intitolato Rivoluzioni S.p.a: chi c’è dietro la primavera araba. In esso viene spiegato come si fa la rivoluzione e, soprattutto, il ruolo che hanno avuto alcuni gruppi occidentali nel fomentare le rivolte in Medio Oriente.
Partiamo dai nomi: vi siete mai chiesti perché abbiamo avuto la “rivoluzione dei gelsomini” in Tunisia, quella dei “tulipani” in Kirghizistan e quella delle “rose” in Georgia? Abbandoniamo solo per un attimo il Medio Oriente e andiamo a Belgrado, là dove si insegna a fare la rivoluzione o, per usare le stesse parole del Center for applied non violent action and strategies (Canvas), fornire “gli strumenti utili per farla”. Il Canvas è stato fondato da Sdrja Popovic che, come scrive Alfredo Macchi nel libro citato, è stato “l’anima della rivoluzione serba del 2000”. Da lui sono passati molti attivisti delle primavere arabe: Mohamed Adel, per esempio, uno dei capi della rivolta egiziana del 2011.
Ma chi è Popovic? Da studente – e siamo nel 1998 – fonda Otpor!, uno dei principali movimenti che schiereranno contro Slobodan Milosevic. Come scrive Macchi, “il gruppo studentesco sceglie come simbolo un pugno chiuso stilizzato su fondo nero e si dota dell’ironia come arma principale. Otopor! si distingue per la sua campagna mediatica innovativa contro il leader nazionalista Milosevic, e per le azioni dimostrative non violente e provocatorie, che porteranno il piccolo gruppo a giocare un ruolo decisivo nella caduta del dittatore”. La bibbia di Popovic è un testo americano di Gene Sharp intitolato Come abbattere un regime. A questo punto si passa alla storia così come la conosciamo noi: iniziano i bombardamenti della Nato, Milosevic viene consegnato al Tribunale dell’Aia e infine viene trovato morto. A questo punto Otpor! fa il salto di qualità e diventa un partito e Popovic – scrive Macchi – “decide di mettere il suo bagaglio di idee ed esperienze a disposizione di altri paesi soffocati da dittatori”. È così che nasce Canvas, che tanta parte avrà nelle rivoluzioni in Georgia, in Ucraina, in Libano e in tutto il nord Africa con le primavere arabe.
Ma la storia di Canvas non è fatta solo di rivolte organizzate. È fatta anche di finanziamenti venuti da oltreoceano e fatti arrivare da un ex colonnello dell’esercito americano: Robert L. Helvey, per gli amici “Bob”, come si usa in America. Helvey fa parte dell’International Repubblican Institute“ed è specialista nell’azione clandestina e nella formazione degli addetti militari delle ambasciate statunitensi”. Il suo nome (e la sua presenza) sono dappertutto. Scrive un volume titolato On strategic nonviolent conflict: thinking about the fundamentals. In pratica un manuale per rovesciare dittatori, veri o presunti che siano. Ma dietro Otpor!non c’è solo l’ex colonnello. Ci sono anche associazioni legate al Congresso degli Stati Uniti come il National Endowment for Democracyche ha donato a Otpor!, solamente nel 2000, ben 237 mila dollari.
La galassia “pro destabilizzazione” non è ovviamente composta solo da Otpor! e Canvas. C’è anche (anzi soprattutto) Freedom Houseche, dopo l’11 settembre, ha spostato la sua attenzione al Medio Oriente e che “riceve l’80 percento dei suoi fondi da Camera e Senato, attraverso il National Endowment for Democracy e il Dipartimento di Stato“.
Ed è il National Endowment for Democracy (NED) ad aver fornito il maggior sostegno alle primavere arabe, come scrive Macchi. Nel 2010, quindi l’anno prima l’inizio delle grandi rivolte mediorientali, vengono finanziate associazioni in Tunisia, Libia, Egitto e Iran. E basta andare sul sito di Ned per vedere i fiumi di dollari che raggiungono i siriani “al fine di aumentare la loro consapevolezza sulle sfide importanti che li attendono“. Così che sono nate le primavere arabe e il caos che ne è seguito. Isis compresa.
Così si fabbricano le primavere arabe | Gli occhi della guerra
«Ecco perché la mia Russia, a un passo dal suicidio umano e demografico, ha deciso di dire sì alla vita»
«Noi russi abbiamo vissuto sulla nostra pelle le conseguenze di un’ideologia che ci aveva fatto credere che saremmo stati felici senza Dio. Siamo arrivati a un centimetro dal suicidio umano e demografico. Adesso vogliamo tornare indietro». Alexey Komov è l’ambasciatore presso le Nazioni Unite del Congresso mondiale delle Famiglie, la più grande piattaforma internazionale per la difesa della famiglia naturale. In Italia per un convegno su Russia ed Europa organizzato a Rovereto dalla rivista Notizie Pro Vita, ha accettato di spiegare a Tempi le ragioni della svolta “life-friendly” di Mosca dopo il crollo del comunismo.
In effetti negli anni Novanta, dopo settant’anni di regime, la Russia aveva indici di sviluppo umano da agonia.
Fino alla vigilia della Rivoluzione bolscevica del 1917 il cristianesimo ortodosso era il fulcro della società russa. Nell’Ottocento l’ideologia marxista, partorita in Occidente, fece breccia nel cuore di alcuni intellettuali e borghesi russi. Secondo il materialismo comunista la scienza sarebbe riuscita a rendere l’uomo padrone di tutto. Non c’era più posto per la Chiesa che ricorda la dipendenza da Dio e dalle leggi naturali per la realizzazione dell’uomo e del bene comune. Perché la Russia ora guarda a queste idee con grande sospetto? Perché fummo i primi a conoscerle. Dopo la Rivoluzione d’ottobre fu legalizzato l’aborto, il divorzio, la famiglia come “affare” di Stato. Sull’orlo del precipizio ci siamo voluti fermare.
Però la svolta “confessionale” di Putin e l’idea di fare della Russia una sorta di baluardo della cristianità non gode di buona stampa in Occidente.
Senta, innanzitutto il governo sta approvando leggi che proteggono l’essere umano, cosa che si dovrebbe pretendere da ogni sovrano. Poi la valorizzazione del cristianesimo deriva dal fatto che Putin si è accorto che nel degrado assoluto l’unica cosa che ha resistito è stata la Chiesa ortodossa. La Russia ha provato il dolore di vivere senza Dio, per questo non crede più al comunismo e rigetta l’ateismo. Non a caso oggi il 77 per cento dei russi dichiara di credere in Dio e il 69 per cento è battezzato. Negli ultimi vent’anni sono state ricostruite trentamila chiese, seicento monasteri e altre duecento chiese sorgeranno presto a Mosca. Capisco che l’Occidente non capisca, visto quello che succede da voi. Però è così, il governo non sta imponendo nulla. E Putin sta solo prendendo atto del sentimento religioso riemergente nel popolo russo.
In Russia vige ancora un sistema autoritario che ha ben poco di compatibile con la nostra democrazia.
La “vostra” democrazia? In Occidente siete arrivati al punto di vedervi costretti per legge, e senza che nessuno abbia chiesto il vostro parere, a insegnare ai vostri figli che secondo questa “teoria del gender” non esistono “la mamma” e “il papà”, ma solo genitori A e B, che possono essere anche dello stesso sesso, e che si deve “scegliere” se essere “bambini” o “bambine”. Però senza discriminazioni, perché tutti devono essere uguali… Ecco, quando sento queste cose, quando sento che questa sarebbe “democrazia”, ripenso a me bambino. Ricordo che camminando per strada vedevo gli edifici progettati dalla nostra “grande democrazia socialista”, ed erano tutti brutti, tutti grigi, tutti uguali. Poi da qualche parte spuntava ancora qualche chiesa, bellissima, e subito sorgeva in me il desiderio di entrarci, di andare a rifugiarmi lì. Oggi le parti si sono invertite. Il popolo russo non cede all’ideologia Lgbt perché è molto meno ingenuo di quello europeo. La gente sa bene come gli intellettuali possono arrivare a imporre ideologie disumane.
È sufficiente legiferare secondo il diritto naturale per cambiare un paese?
Tuttora in Russia c’è una grande crisi demografica. Vent’anni fa siamo arrivati a quattro milioni di bambini abortiti ogni anno. Ora siamo scesi a circa due milioni. La politica da sola non basterà mai. Ma per fermare l’ingiustizia è necessario vietarla per legge. E comunque a ridurre i numeri dell’aborto sono stati anche il divieto del governo di pubblicizzarlo, il fatto che le leggi prevedano il finanziamento dei Centri di aiuto alla vita, lo stanziamento di una somma pari a dieci mila euro per il secondo figlio e concessioni demaniali a chi ne ha più di tre. Per il resto è compito dei cristiani e degli uomini di buona volontà ricostruire il tessuto sociale.
Qual è la situazione della famiglia oggi in Russia?
La situazione sta migliorando, ma ancora la metà dei matrimoni finisce in divorzi. La cultura di massa che passa attraverso la televisione, i film americani, le riviste e i media digitali condizionano le nuove generazioni. Anche in Russia i media restano i principali educatori…
La Russia rischia sanzioni per le sue leggi “contro la propaganda e il proselitismo gay”. Non teme il suo isolamento a livello internazionale?
No, perché la maggioranza dei russi la pensa esattamente come Putin. Il quale non ha nulla da temere perché il nostro paese dispone di un importante deterrente nucleare ed è lo snodo fra l’Europa e l’Asia. La nostra forza è sotto gli occhi di tutti. E mi lasci dire che noi russi abbiamo anche un senso messianico della nostra presenza nel mondo. Messianismo che può essere pericoloso, come quando volevamo esportare ovunque il comunismo, ma che ritorna utile ora che vogliamo ritrovare le nostre radici cristiane.
E degli arresti delle Pussy Riot o degli attivisti di Greenpeace che dice? Non sono sintomi di un “regime”?
Le persone pensano anche che noi russi non abbiamo l’acqua, che viviamo in povertà e che c’è corruzione ovunque. Invece in Russia la qualità dei servizi è ottima, la tassazione è bassa, la popolazione sta mediamente bene, costruiamo molto, importiamo e la materia prima è sfruttata con intelligenza. C’è libertà di impresa e anche di espressione. Mentre in Occidente in certi ambienti non potete neppure indossare una croce.
http://www.informarexresistere.fr/20...-si-alla-vita/