Caso Aldrovandi. Poliziotti condannati a risarcimento | Avanti!

“È la giustizia che va avanti”, queste le parole della madre di Federico Aldrovandi, Patrizia Moretti, dopo la decisione della Corte dei Conti dell’Emilia-Romagna che ha condannato i quattro agenti responsabili della morte del figlio, 18enne a risarcire con oltre 560mila euro il ministero dell’Interno, che pagò i danni alla famiglia. La giustizia infatti va avanti, dopo dieci anni, quando in un parco a Ferrara, Federico venne fermato e pestato a sangue dagli agenti della Polizia. Quattro ritenuti i colpevoli dalla Procura: Enzo Pontani e Luca Pollastri (che dovranno versare ciascuno 224.512 euro) mentre Paolo Forlani e Monica Segatto (verseranno ognuno 56.128 euro). La Procura aveva chiesto inizialmente 1,8 milioni.Il caso Aldrovandi è però solo la punta dell’iceberg del problema che riguarda gli abusi di Polizia, tanto che un ispettore della questura di Ferrara, Alessandro Chiarelli, ha preso spunto dal caso del giovane ferrarese per scrivere un libro inchiesta per marcare su quelli che sono gli errori non solo degli agenti dell’Ordine Pubblico, ma anche dei vertici. Le sue dichiarazioni durante la presentazione del libro “Il caso Aldrovandi. 2005-2015: i fatti, gli errori, le sentenze, gli altri morti”, hanno provocato un terremoto. Le sue affermazioni “Anche a Ferrara ci sono state altre situazioni molto dubbie risolte in modo abbastanza ‘in carrozza’”, hanno fatto sì che la procura di Ferrara aprisse un fascicolo sulla questione.Ma Ferrara è solo una piccola città rispetto al territorio nazionale dove sempre più spesso vengono denunciati casi simili. Si calcola che dal 2001 ben 26 persone sono morte in circostanze legate agli abusi da parte della Polizia (una media di due all’anno), alcuni casi sono a noi noti come quello di Stefano Cucchi o quello di Giuseppe Uva, ma accanto a questi ce ne sono troppi finiti nel dimenticatoio o archiviati. Il problema degli abusi di polizia si alimenta anche di alcune lacune legislative italiane, come quello del reato di tortura ancora non previsto nel nostro Codice penale. Un mese fa la Commissione Giustizia del Senato ha dato il via libera al Ddl sul reato di tortura, un testo che segue alla lettera “le indicazioni della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura”. Eppure quelle indicazioni sono le stesse che nel 1988 l’Italia ratificò con la Convenzione dell’Onu contro la tortura. Il Ddl però non tocca comunque i garanti dell’Ordine pubblico, in quanto la tortura sarà reato comune e non specifico del pubblico ufficiale, quindi si discosta dagli standard internazionali.L’Italia, grazie alla sua legislazione monca, ha sul groppone una “pagina nera” nella sua storia recente, quella dei fatti di Genova 2001 e degli abusi nella Caserma di Bolzaneto. L’intero corpo di Polizia è stato macchiato da fatti che potevano essere evitati grazie al “codice identificativo della PS”, vigente in diversi Paesi europei. Il gruppo dei socialisti alla Camera (i deputati Di Lello, Di Gioia, Locatelli e Pastorelli), richiamandosi al Codice Europeo per l’etica della polizia del 2001 (anno del famigerato G8 a Genova) che fra i suoi principi annovera l‘identificabilità delle forze di polizia come presupposto della loro riconoscibilità e imputabilità di fronte all’opinione pubblica, aveva presentato nel giugno del 2013 un’interrogazione parlamentare al Ministro dell’Interno, ponendo il problema per “le forze di polizia di essere identificabili attraverso l’esposizione di una propria matricola sulle uniformi, in alcuni casi accompagnata in maniera ancora più chiara ed evidente dall’esplicita indicazione del nome e della qualifica del singolo agente”.Maria Teresa Olivieri