Il doppio canto Repubblicano
La risposta allo Stato dell'Unione di Obama 'svela' che esistono due GOP
di Edoardo Ferrazzani, 26 Gennaio 2011
Dopo lo Stato dell'Unione di Obama, il GOP mostra la sua natura bicefala. A rispondere al presidente Usa, infatti, non ci sono solo i Repubblicani 'ufficiali' con il volto di Paul Ryan, presidente della commissione bilancio della Camera bassa. Anche il Tea Party si è dato una sua tribuna e un suo volto. Michelle Bachmann ha voluto dire la sua, in streaming dal sito del Tea Party Express.
E’ dal 1966, quando nello studio ovale stava Lyndon Johnson e il minority leader della Camera bassa statunitense era Jerry Ford, che il partito d’opposizione al Congresso ha il diritto dovere di prodigarsi in un discorso di minoranza da far seguire a quello sullo Stato dell’Unione del presidente. Sarà la nuova ondata di polarizzazione nella politica statunitense; sarà che qualcuno nel GOP non ha compreso la portata del cambiamento portato dal Tea Party. Fatto sta’ che rispetto a questa ritualità, da ieri qualcosa è cambiato: al Congresso esistono oramai due opposizioni Repubblicane. Al margine del discorso sullo Stato dell’Unione di Obama, infatti, i Repubblicani si sono concessi il dubbio lusso infatti di dare due risposte all’allocuzione presidenziale.
I Due GOP
Il GOP ufficiale, quello di Boehner, Cantor e McDonnell, aveva infatti chiamato a rispondere il rappresentante del Wisconsin, Paul Ryan. Che si sarebbe trattato di Ryan, il presidente della commissione di controllo del bilancio della Camera dei Rappresentanti, era noto da qualche giorno. Ma quello che non era noto, è che il Tea Party avrebbe avuto la sua tribuna dalla quale far passare il suo messaggio. E’ per questo che quando nella giornata di ieri, a qualche ora dal discorso, Michelle Bachmann, eletta nelle fila del movimento del Tea Party, ha annunciato che si sarebbe prodigata in un discorso agli americani con un video messaggio in diretta dal sito del Tea Party Express, qualcuno nel GOP deve essersi preso la libertà di dire “l’avevo detto io!”.
Se all’indomani delle elezioni di midterm del novembre scorso, molti nel GOP di Washington DC avevano manifestato il timore che sarebbe stato alquanto difficile far convivere le due anime del partito Repubblicano, benché filosoficamente simili, oggi guardando alla doppia risposta del GOP al discorso di Obama, quel timore non può che suonare ‘cassandresco’. A guardare l'allocuzione di Paul Ryan e quella di Michelle Bachmann si capisce che il problema, se esiste, è principalmente di stile. I contenuti infatti sono molto simili e entrambi mettono l’accento sul futuro del debito pubblico federale e su come la sua vorticosa crescita incida negativamente sul patto tra le generazioni il quale è contitio sine qua non per la stabilità di ogni società, di ogni comunità che voglia prosperare e offrire ai propri figli un futuro migliore rispetto a quello ereditato dai propri genitori.
Ad un elettorato bianco spaventato dal fatto che questo miglioramento intergenerazionale non sia più facilmente perseguibile, il GOP ufficiale e quello del Tea Party cercano di parlare. Con pacatezze diverse, forse con propositi diversi. Gli uni, i Repubblicani di Washington sanno che per riconquistare tutto il Congresso e domani la Casa bianca, serve la buona vecchia politica: quella del “politics is politics”, del “tutto si fa”, del “si parla con tutti” e sotto-sotto si fanno gli accordi. Gli altri, i puri, i neo-eletti del Tea Party parlano all’America che non ci crede quasi più e che vuole un riscatto. Che coglie le difficoltà storiche della nazione americana e che si nutre della retorica dell’eccezionalismo statunitense (che puntualmente tutti i Repubblicani offrono ai propri elettori in tutte le sedi). E gli eletti del Tea Party capiscono che questa è l’ultima chance nell'arduo compito di tener fette significative di elettorato dentro l’arena democratica prima del definitivo disincanto. Forse per questo la Bachmann è andata in video. Non solo per rimarcare che gli eletti del Tea Party non hanno doveri di fedeltà al GOP Washington, ma anche per far sentire che loro che sono arrivati e che cambieranno le cose. Che ci riescano, non è detto. Certo è che ci provano.
Lo ‘Stato dell’Unione’ di Obama
Jon Favreau, lo speechwriter di Obama, è tornato a far sfavillare il verbo del presidente USA. L’allocuzione che ha confezionato assieme allo stessi presidente per lo Stato dell’Unione 2011, pronunciata ieri dal rostro della Camera dei Rappresentanti, ha forse permesso a Obama di ritrovare la freschezza oratoria dei bei tempi dell’Obamania. Oltre agli orpelli, comunque, il discorso ha portato nel dibattito nazionale USA poco più di un’apertura bipartisan ai Repubblicani; una proposta di moratoria alla spesa federale sul prossimo biennio nel bilancio federale; una descrizione posata e riconciliatoria per “civilizzare” il dibattito sulle politiche dell’amministrazione dopo l’attentato folle di Tucson; e infine una proposta di riforma bipartisan dell’Obamacare per alleggerire le PMI e qualche bel richiamo sul futuro dei “nostri figli”.
Sul fronte della politica estera le note più piacevoli: un sostegno alle aspirazioni democratiche della Tunisia e quelle del Darfour. Benchè la sua amministrazione sia sprovvista di una "freedom agenda" come quella dell'amministrazione Bush, Obama ha affermato che il governo statunitense "sta dalla parte del popolo tunisino." Insomma il "presidente dei discorsi" è tornato. Ma in un'America stanca e in stagnazione, l'arte del verbo potrebbe non bastare più per la rielezione nel 2012, se alle belle parole non seguiranno i risultati economici, a cominciare da maggiore occupazione e crescita economica.
http://www.loccidentale.it/articolo/...icani.00101632