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    Predefinito Don Luigi Negri, arcivescovo materialiter di San Marino-Montefeltro

    DA SODALITIUM numero 58

    Cattolicesimo, liberalismo, libertà religiosa

    Don Luigi Negri è docente d’Introduzione alla Teologia e di Storia della Filosofia presso l’Università Cattolica di Milano. È anche membro del Consiglio Internazionale di Comunione e Liberazione. Nel passato avevo notato alcuni suoi articoli sulla riforma liturgica, della quale erano criticati degli aspetti accessori. Un suo ultimo libro, consacrato al Sillabo di Pio IX, ha avuto ben due recensioni elogiative su di un quotidiano che ci si immaginerebbe ben lontano da quello che può essere considerato il “manifesto” dell’anti-liberalismo cattolico, il Sillabo appunto. Don Negri elogia Pio IX, “l’attualità e la profezia” del suo Sillabo degli errori moderni. Il Foglio (proprietà di Veronica Berlusconi, direzione di Giuliano Ferrara perché è questo il quotidiano al quale alludevo), elogia l’elogio di don Negri a Pio IX. La seconda recensione positiva è dovuta alla penna di Angela Pellicciari, neo-catecumenale, eppure acerrima nemica del risorgimento liberale al quale ha dedicato numerosi saggi, e data 11 dicembre 2004, pochi giorni prima del convegno sull’antisemitismo tenuto a Roma a Villa Madama su iniziativa del Foglio, appunto, e della Lega Antidiffamazione del B’nai B’rith. Riesce difficile immaginare quale simpatia si possa nutrire per Pio IX, l’odiato Pio IX del caso Mortara, da chi promuove un convegno con il B’nai B’rith, eppure tutto è possibile. Tutto è possibile a condizione di sfigurare Pio IX, e presentarlo per quello che non fu. Ed è quello che fa don Negri. Il suo intento è duplice. Da un lato, come scrive nell’introduzione Mons. Mario Oliveri, Vescovo di Albenga-Imperia (un prelato del quale non sono ignote le simpatie per la Fraternità San Pio X di Mons. Lefebvre), si tratta di “rassicura(re) e conforta(re) tutti coloro che credono e professano che anche il Concilio Vaticano II non è stato rivoluzione, rottura, cambiamento radicale, mutamento sostanziale, ma sviluppo omogeneo nell’immutabilità della Fede e della Dottrina”. Dall’altro, e i due scopi sono necessariamente collegati, “impostare un lavoro di dialogo tra cattolici e liberali, in grado di superare definitivamente tutte le barriere ideologiche” (pp. 99). Il cimento è arduo, e don Negri non ha paura della difficoltà della conciliazione, giacché prende come punto di partenza proprio quel documento, il Sillabo, la cui ultima proposizione CONDANNATA è: “il Romano Pontefice può e deve riconciliarsi e venire a compromessi col progresso, col liberalismo e con la moderna civiltà” (prop. LXXX). Pio IX condanna il tentativo di riconciliare cattolicesimo e liberalismo; don Negri si prefigge invece proprio lo scopo di riconciliare cattolicesimo e liberalismo. E non può fare altrimenti, giacché il “Sommo Pontefice” (così è, se il Vaticano II è in continuità col magistero della Chiesa) Giovanni Paolo II ha operato, al seguito di Paolo VI, questa conciliazione. Molte sono le strade, i metodi e i modi (per ricalcare quanto scrive Mons. Oliveri) per conciliare gli inconciliabili. Ne segnalerò alcuni. Il primo metodo di don Negri, è la storicizzazione del dogma. Don Negri la condanna lodevolmente, citando Roberto De Mattei (pp. 16-17) e Rino Cammilleri (p. 37) ma cede poi all’inevitabile tentazione di storicizzare il Sillabo di Pio IX: l’opposizione di Pio IX al liberalismo “nasceva dalla piega anticattolica che segnava gli eventi di quell’epoca” (p. 101); “i limiti, le ristrettezze che la condanna di tali proposizioni [77-80, riguardanti la libertà di culto, la libertà religiosa, l’aconfessionalità dello Stato, il liberalismo in genere] sembrano imporre alla libertà appaiono allora più comprensibili se si tiene conto della dinamica storica in cui sono formulati” (p. 94). Il metodo della storicizzazione viene applicato, naturalmente, anche al liberalismo. Pio IX non avrebbe condannato il liberalismo, ma “un certo” liberalismo, che, per l’appunto, si manifestava anticattolico e illiberale. “Il termine liberalismo – teorizza Negri – utilizzato nelle attuali condizioni storiche, infatti, non indica ciò che l’uomo dell’Ottocento dentificava con tali parole” (p. 83). Per don Negri non fu liberale lo Stato risorgimentale, non fu liberale lo stato bismarkiano della Kulturkampf, non fu liberale la Costituzione civile del clero della Rivoluzione francese. Don Negri sottolinea, a ragione, come i governi liberali cadessero nello statalismo e nella soppressione della libertà (della Chiesa); ma queste degenerazioni del liberalismo sono accidentali, oppure sono aporie intrinseche al sistema? Vengono alla mente – nel leggere don Negri – i tentativi degli inguaribili socialisti i quali, di fronte al fallimento dei “socialismi reali” realizzatisi concretamente nella storia, obiettano che però il socialismo è tutt’altra cosa, e che anzi non vi fu regime più antisocialista di quelli che si definivano socialisti o comunisti. Non viene alla mente di costoro che i regimi del socialismo reale sono stati al contrario la concreta applicazione del socialismo. Mutatis mutandis, così ragiona don Negri: i governi liberali hanno oppresso la Chiesa, è vero, ma in questo modo negavano la libertà, quindi erano illiberali, quindi il vero liberalismo non è necessariamente avverso alla religione cattolica, e una buona separazione tra lo Stato e la Chiesa non implica necessariamente “l’assorbimento della Chiesa nello Stato”. Se si obbietta che questo liberalismo veramente liberale non è mai esistito, ecco che don Negri e chi pensa come lui può citare, da un punto di vista teorico, il liberalismo anglosassone, specialmente nella versione della scuola di Vienna (Popper, Von Hayek, Novak) (p. 87, nel capitolo “popperiano” intitolato: la “società libera e i suoi nemici”), e da un punto di vista pratico, gli Stati Uniti, della cui politica, anche bellica, il cattolico liberale Novak è ambasciatore nel mondo (e qui capiamo, allora, l’interesse del Foglio e del B’nai B’rith a… Pio IX). Non si può negare, certo, che vi è una differenza tra il liberalismo anglosassone e quello europeo, tra la politica ecclesiastica dei governi liberali europei, spesso repressiva, e quella statunitense, che dà garanzie di ampia libertà, tra lo statalismo di un certo liberalismo ottocentesco, e l’antistatalismo, quasi l’anarchismo, della scuola di Vienna, e infine, perché no, tra Logge inglesi e Logge latine… anche se nel suo recente viaggio a Parigi il Presidente Bush in persona ha ricordato piuttosto gli stretti legami tra la rivoluzione francese e quella americana. E infatti, al di là delle differenze, sono certo più impressionanti le convergenze di un irrimediabile agnosticismo di fondo, che nei credenti liberali diventa fideismo, e dell’assoluto rifiuto del Regno di Cristo sulla società. Il Cattolicesimo trova ampio spazio nel regno della Libertà, a condizione che non pretenda di essere, oggettivamente e socialmente, unica Verità. In questo caso non si mancherà di perseguitarlo, come gli USA hanno sempre fatto (fare) nel “cortile di casa” dell’America Latina. Don Negri sostiene (p. 101 ad es.) che Pio IX condannò il liberalismo per la sua “piega anticattolica”. Bisogna invece ricordare che Pio IX combatté tutta la vita non solo il liberalismo, ma i cattolici liberali, quanti volevano conciliare – come fa don Negri – cattolicesimo e liberalismo. “Libera Chiesa in libero Stato” non è solo formula del Cavour (della cui fede si può dubitare) ma anche del Montalembert, il quale si illudeva di essere cattolico sincero, come lo era stato prima dell’apostasia il suo maestro, il sacerdote Felicité de la Mennais, il cui programma era riassunto in queste parole: “tutti gli amici della religione devono capire che essa ha bisogno di una sola cosa: della libertà”. Ascoltiamo Pio IX smentire la tesi di don Negri: “Avvertite quindi, venerabile Fratello – così scriveva Pio IX al Vescovo di Quimper nel 1873 – i membri dell’Associazione cattolica che, nelle numerose occasioni nelle quali abbiamo ripreso i seguaci delle opinioni liberali, non volevamo parlare di coloro che odiano la Chiesa e che sarebbe stato inutile designare; ma piuttosto coloro che abbiamo appena segnalato, i quali, conservando e alimentando il virus nascosto dei principi liberali che hanno succhiato col latte, su pretesto che non è infetto da manifesta malizia, e non è, secondo loro, nocivo alla Religione, lo inoculano facilmente negli spiriti, e propagano così la semente di quelle rivoluzioni dalle quali il mondo è scosso ormai da lungo tempo”. Don Negri si sforza poi – difendendo la conciliazione tra cattolicesimo e liberalismo – di difendere altresì la dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa, Dignitatis humanae. A questo fine, l’Autore deve proporre un fondamento della libertà religiosa che sia compatibile con la fede, e che non sia perciò quello dello scetticismo e dell’indifferentismo. A p. 92 immagina che questo fondamento possa essere la “pazienza e misericordia di Dio” (p. 92). È questa un’obiezione già presente a San Tommaso (II-II, q. 10, a. 8 ad 1; II-II, q. 11, a. 3, ad 3), obiezione che poggiava sulla parabola della zizzania: il padrone della messe non permette che la zizzania venga sradicata. Spiega l’Aquinate che questa tolleranza non è dovuta alla zizzania, l’errore, ma al buon grano; la Chiesa afferma che l’errore va tollerato se l’estirparlo causasse danno al bene comune e al buon grano; che se invece non ci fosse danno la zizzania deve essere estirpata. Altro fondamento della libertà religiosa sarebbe la coscienza invincibilmente erronea (p. 99). Ma si risponde che il Vaticano II accorda questo diritto anche a chi non è in buona fede e non solo a chi erra in buona fede; e che in ogni caso la legge positiva non può dipendere dai convincimenti soggettivi di ciascuno, ma dall’ordine morale oggettivo. Mons. Gherardini, citato da don Negri a p. 97, pretende che la prassi della Chiesa e di Pio IX di non costringere alla Fede sia una conferma della dottrina sulla libertà religiosa; dovrebbero sapere che una cosa è la libertà dell’atto di Fede, che nessuno ha mai messo in discussione, altra cosa è la libertà di culto e di propaganda in foro esterno per le religioni non cattoliche, che la dottrina e la prassi della Chiesa hanno invece sempre condannato. E Pio IX, proprio nella sua prassi, ce ne dà una chiara conferma con la sua costante volontà di canonizzare gli Inquisitori della Fede che, istituzionalmente, negarono nel modo più rigido ogni libertà di culto e di religione ai non cattolici. Ecco gli atti di Pio IX al proposito: beatificazione, l’8 settembre 1866 degli 11 inquisitori martiri di Avignonet, trucidati dai Catari il 29 maggio 1242. Canonizzazione, il 29 giugno 1867, di San Pietro d’Arbues, membro della famigerata Inquisizione spagnola, trucidato dai marrani il 15 settembre 1485. Conferma del culto degli inquisitori domenicani Pietro da Ruffìa M. († 1365), Antonio Pavonio M., († 1374), Aimone Taparelli, conf. († 1495) e Bartolomeo Cerveri, M. († 1466), nonché del legato pontificio Pietro da Castelnau, cistercense, vittima dei catari “non violenti” († 1208). Pio IX “canonizzò” così l’Inquisizione, mentre invece Giovanni Paolo II l’ha esplicitamente riprovata in occasione delle ripetute richieste di perdono (ricordiamo Tertio Millennio adveniente del 1994, i convegni vaticani sui rapporti con gli Ebrei del 1997 e sull’Inquisizione del 1998, le cerimonie penitenziali del Giubileo del 2000, il documento Memoria e riconciliazione. La Chiesa e le colpe del passato). Il Sillabo di Pio IX condannava anticipatamente il primo timido tentativo dei cattolici liberali di attribuire alla Chiesa delle colpe nello Scisma orientale (proposizione XXXVIII, errori sulla Chiesa e i suoi diritti). Al contrario di Pio IX, parlare di colpe della Chiesa sarebbe per don Negri (p. 106) giusto e ormai necessario. Certo, se la prospettiva è quella, opposta a quella di Pio IX, di conciliare cattolicesimo e liberalismo: “uno degli atti che più a (sic) permesso lo svilupparsi di quest’apertura del mondo laico da parte della Chiesa è stata la sua richiesta di perdono per le sue colpe del passato” (p. 105). Don Negri sostiene poi che i “laici” non sarebbero tenuti a chiedere perdono mentre la Chiesa sì, proprio perché in essa, e non nei laici, vi è una “vera e propria continuità storica tra i responsabili delle colpe e i soggetti di oggi” (p. 106). Ne deduciamo che è proprio la Chiesa ad aver peccato, per don Negri! Ma se così è, quest’ammissione di colpa non significa sottolineare la missione divina della Chiesa, com’egli pretende con una maldestra apologetica, ma piuttosto negarla: non è divina, né santa, né infallibile, una Chiesa che sbaglia e pecca. Don Negri ha pensato di gettare un ponte tra cattolici e liberali. Forse, accidentalmente, il libro potrà far del bene ad alcuni liberali, non certamente ai cattolici. Alcuni autori liberali, anzi libertarians, hanno riscoperto, a volte, il diritto naturale, le origini medioevali del pensiero “occidentale”, il ruolo della Chiesa in un sano sviluppo economico ecc.; perché non potrebbero anche apprezzare alcune parti del Sillabo, quelle contro lo statalismo ad esempio? Ma come potranno terminare il percorso fino alla piena accettazione della dottrina della Chiesa, se nel frattempo i cattolici sono diventati liberali? E purtroppo, al di là delle buone intenzioni dell’autore, che non posso né debbo vagliare, è questo lo scopo oggettivo di “Comunione e liberazione” (il movimento al quale appartiene don Negri) e dell’Opus Dei (al quale appartengono le edizioni Ares che hanno pubblicato il libro qui recensito).

    [...]

    LUIGI NEGRI
    Pio IX. Attualità & profezia
    Prefazione di Mario Oliveri
    Edizioni Ares, Milano, 2004

    Don Francesco Ricossa

  2. #2
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    Predefinito Re: Don Luigi Negri, arcivescovo materialiter di San Marino-Montefeltro

    Per non dimenticare.

    Ps: ora di Ferrara-Comacchio
    Ultima modifica di Luca; 21-06-13 alle 17:19

  3. #3
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