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    Predefinito Nord Africa: il Soft Power di Obama deve essere fermato

    Le recenti rivolte nel Mediterraneo (Albania, Tunisia, Egitto) hanno una regia o sono spontanee? E come sono interpretabili geopoliticamente? Zbigniew Brzezinski, mentore della geopolitica della nuova Amministrazione americana è l'ideologo del Soft Power contro l'Hard Power di Bush: nell'era caratterizzata dall'emersione di nuovi poli di potenza (i cosiddetti BIRC) non dipendenti dagli USA come lo era il mondo NATO, per Zbigniew Brzezinski l'impero per continuare a dominare non può più permettersi embarghi, sanzioni economiche, guerre di "liberazione", bombardamenti, il futuro è nel Potere Morbido: sabotaggi, pressioni, manipolazioni tramite ong e network, rivoluzioni eterodirette, imposizione di riforme democratiche dopo quest'ultime, infine golpe "morbidi" sono le nuove bombe intelligenti contro i nemici - anzi i rivali - dell'America.

    Ed è in questo quadro che vanno letti i disordini in Egitto, che secondo gli stessi cabli americani sono state pianificate da Washington per deporre l'ormai troppo potente e indipendente Mubarak (fautore con Sarkozy dell'Unione per il Mediterraneo) e imporre all'Egitto un regime di tipo parlamantare.

    Il rischio però è un altro: che la democrazia in Egitto spiani la strada all'islamismo, in special modo quello dei Fratelli mussulmani. Ovunque nel mondo maomettano, l'islamismo ha vinto con mezzi democratici: in Algeria il FIS è un esempio clamoroso, tanto che i militari per impedire una deriva islamista invalidarono le elezioni e perseguirono i fondamentalisti islamici. A Obama non sembra interessare però, il rischio di una salita al potere dei Fratelli mussulmani non preoccupa eccessivamente l'Amministrazione USA.

    Sarà forse perché dopo il suo famoso discorso al Cairo il presidente Barack Hussein aveva ricevuto applausi dalla platea dei Fratelli mussulmani (Mohammed Akef) e giorni dopo a Washington aveva ricevuto una delegazione di esponenti della Fratellanza?

    Già, il suo discorso al Cairo, dove fra l'altro, Obama aveva definito un "errore" il sostegno degli USA allo Shah di Persia in Iran. Ed è proprio lo scenario iraniano che oggi sembra stia rivivendo l'Egitto. Ma qualcuno, forse, dimentica che la Rivoluzione islamica in Iran fu tacitamente appoggiata dall'Amministrazione Carter e dal Consigliere per la Sicurezza nazionale di quell'Amministrazione: Zbigniew Brzezinski. Lo scopo era rimuovere l'ex amico Pahlavi che stava nazionalizzando l'industria petrolifera del Paese e aveva stretto accordi con l'Iraq sullo Shat el Arab. I religiosi furono appoggiati anche per estromettere il Tudeh, partito comunista iraniano filo-sovietico che guidava la rivolta contro lo Shah, quindi contro l'Unione Sovietica che voleva avanzare verso l'Oceano Indiano e il Golfo Persico.

    Sappiamo quanto ci costò la Rivoluzione islamica in Iran.

    In questa discussione proponiamo una analisi alternativa della faccenda egiziana basata su una attenta analisi geopolitica. Ci conviene la "transizione veloce" fortemente invocata da Washington? Le rivoluzioni sono finanziate da Soros, che è anche il finanziatore della campagna elettorale dell'attuale presidente americano?


    carlomartello

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    Predefinito Rif: Nord Africa: il Soft Power di Obama deve essere fermato



    LA RIVOLTA IN TUNISIA: UN’ALTRA OPERAZIONE SOROS/NED?


    Manifestazioni “spontanee” di giovani che sciamano nelle strade con tale forza da costringere alla fuga un presidente in carica da anni... Di quale paese stiamo parlando: Georgia, Serbia, Myanmar [1], Ucraina, Polonia, Cecoslovacchia, Iran, Ungheria...? Stavolta tocca alla Tunisia. Tutte queste “rivolte” seguono lo stesso canovaccio. La rivolta tunisina viene già definita “rivoluzione colorata” dai media e dai sapientoni della politica e le è stato perfino assegnato un nome: “Rivoluzione dei Gelsomini” [2], come le abortite rivoluzioni “Verde” e “Zafferano” e come le rivoluzioni “di Velluto”, “delle Rose”, “Arancione”, “dei Tulipani”, ecc., che hanno invece avuto successo.

    Queste “rivoluzioni colorate” hanno uno schema comune perché sono tutte progettate dagli stessi strateghi; e cioè dalla rete Open Society dello speculatore George Soros, che fa le veci di un moderno Jacob Schiff [3] nel finanziare rivoluzioni; e dalla National Endowment for Democracy, quest’ultima una fondazione post-trotzkista, finanziata dal Congresso, una specie di “Comintern” che promuove “rivoluzioni democratiche nel mondo” al servizio della plutocrazia e sotto la maschera della libertà.

    Africa DI K.R.BOLTON
    foreignpolicyjournal.com

    Manifestazioni “spontanee” di giovani che sciamano nelle strade con tale forza da costringere alla fuga un presidente in carica da anni... Di quale paese stiamo parlando: Georgia, Serbia, Myanmar [1], Ucraina, Polonia, Cecoslovacchia, Iran, Ungheria...? Stavolta tocca alla Tunisia. Tutte queste “rivolte” seguono lo stesso canovaccio. La rivolta tunisina viene già definita “rivoluzione colorata” dai media e dai sapientoni della politica e le è stato perfino assegnato un nome: “Rivoluzione dei Gelsomini” [2], come le abortite rivoluzioni “Verde” e “Zafferano” e come le rivoluzioni “di Velluto”, “delle Rose”, “Arancione”, “dei Tulipani”, ecc., che hanno invece avuto successo.

    Queste “rivoluzioni colorate” hanno uno schema comune perché sono tutte progettate dagli stessi strateghi; e cioè dalla rete Open Society dello speculatore George Soros, che fa le veci di un moderno Jacob Schiff [3] nel finanziare rivoluzioni; e dalla National Endowment for Democracy, quest’ultima una fondazione post-trotzkista, finanziata dal Congresso, una specie di “Comintern” che promuove “rivoluzioni democratiche nel mondo” al servizio della plutocrazia e sotto la maschera della libertà.


    A seguito: "LA TUNISIA E I DIKTAT: COME LA POLITICA ECONOMICA PROVOCA LA POVERTA' E DISOCCUPAZIONE IN TUTTO IL MONDO" (MICHEL CHOSSUDOVSKY, globalresearch.ca); "WASHINGTON AFFRONTA L'IRA DEL POPOLO TUNISINO" (THIERRY MEYSSAN, voltairenet.org); "IL “FUSIBILE” BEN ALI E I FURBACCHIONI OCCIDENTALI" (ALBERTO B.MARIANTONI, mirorenzaglia,org);

    Ecco alcuni scenari tipici delle “rivoluzioni colorate”. Confrontateli con i caratteri della “Rivoluzione dei Gelsomini” e con i finanziamenti forniti dalla National Endowment for Democracy agli “attivisti tunisini”, come vengono descritti più avanti:

    “[l’Open Society Institute di Soros]... inviò in Serbia un attivista trentunenne di Tbilisi di nome Giga Bokeria per incontrarsi con membri del movimento Otpor (Resistenza) e imparare da loro in che modo avessero sfruttato le manifestazioni di piazza per rovesciare il dittatore Slobodan Milosevic. Poi, durante l’estate, la fondazione di Soros pagò agli attivisti dell’Otpor un viaggio in Georgia, dove costoro tennero corsi della durata di tre giorni ciascuno per insegnare a più di 1.000 studenti come mettere in scena una rivoluzione pacifica. [4]

    Nel commentare la “Rivoluzione di Velluto” che aveva appena colpito la Georgia, MacKinnon descrisse le operazioni che erano state poste in atto e che seguivano lo stessa schema visto in altre nazioni prese di mira da Soros [5]:

    Il Liberty Institute che Bokeria aveva contribuito a fondare divenne uno strumento per organizzare le proteste di piazza che alla fine costrinsero Shevardnadze a rassegnare le dimissioni. Bokeria afferma che fu a Belgrado che egli comprese l’importanza dell’acquisire e mantenere una posizione di superiorità morale e fu lì che imparò a sfruttare la pressione dell’opinione pubblica; tattiche che si sono rivelate molto persuasive anche nelle strade di Tbilisi, dopo le elezioni parlamentari truccate di questo mese.

    A Tbilisi, il legame con l’Otpor è visto come soltanto uno di molti esempi del considerevole appoggio fornito da Soros al movimento anti-Shevardnadze: egli ha contribuito anche a fondare un’emittente televisiva di opposizione popolare che è stata di cruciale importanza per mobilitare i sostenitori della “Rivoluzione di Velluto” di questa settimana; inoltre ha fornito supporto finanziario ai gruppi giovanili che hanno guidato le proteste di piazza [6].

    La NED e Soros lavorano in tandem, prendendo di mira gli stessi regimi ed utilizzando gli stessi metodi. Il presidente della NED, Carl Gershman, scrivendo delle centinaia di ONG che lavorano per i “cambi di regime” nel mondo, dedica un tributo particolare alla Fondazione Ford e “alle fondazioni istituite dal filantropo George Soros” [7].

    Seguire il denaro

    Come recita il noto adagio, se volete capire chi è a capo di qualcosa, seguite la traccia del denaro. Osservando i finanziamenti erogati dalla NED nel 2009 (ultimi dati disponibili) troviamo quanto segue:

    Al-Jahedh Forum for Free Thought (AJFFT) $131,000

    Per rafforzare le capacità dei giovani attivisti tunisini e costruire una cultura della democrazia. L’AJFFT promuove incontri di discussione su problemi contemporanei legati all’Islam e alla democrazia, dibattiti tra studiosi arabi su problemi sociali, conferenze sull’Islam, sulle politiche economiche e sulle relazioni internazionali e incontri di presentazione editoriale. L’AJFFT organizza tirocini di formazione alla leadership, sostiene progetti culturali della gioventù locale...” [8]

    Lo scopo è fin troppo chiaro: creare una schiera di giovani attivisti attraverso i “tirocini di formazione alla leadership”. Ancora una volta, si tratta esattamente della stessa strategia utilizzata dalla NED e da Soros in altre nazioni infettate dalle “rivoluzioni colorate”. Esattamente la stessa.

    Associazione per la Promozione dell’Educazione (APES) $27,000

    Per rafforzare la capacità degli insegnanti tunisini delle scuole superiori di promuovere valori democratici e civili all’interno delle loro classi. L’APES organizzerà tirocini di formazione degli insegnanti per 10 professori universitari e ispettori scolastici e terrà tre seminari di rafforzamento delle capacità, della durata di due giorni, per 120 insegnanti di scuole superiori, riguardanti gli approcci pedagogici per la diffusione dei valori civili e democratici. Attraverso tale progetto, l’APES intende introdurre nel sistema educativo secondario della Tunisia i valori della tolleranza, del relativismo e del pluralismo. [9]

    Il programma sembra avere lo scopo di diffondere la base dottrinaria per la rivoluzione; i “valori democratici e civili” sono presumibilmente quelli della post-sinistra propagandati da Soros e dalla NED, cioè valori che generalmente vanno contro le tradizioni delle società in cui operano Soros e la NED.

    Mohamed Ali Center for Research, Studies and Training (CEMAREF) $33,500

    Per addestrare un gruppo scelto di giovani attivisti tunisini alla leadership e alle abilità organizzative e per incoraggiare il loro coinvolgimento nella vita pubblica. Il CEMAREF organizzerà un corso intensivo di addestramento alla leadership e all’acquisizione di capacità organizzative della durata di quattro giorni per 10 giovani attivisti civili tunisini; addestrerà inoltre 50 attivisti, di sesso maschile e femminile e di età compresa tra i 20 e i 40 anni, alla leadership e al potenziamento decisionale; e lavorerà con gli attivisti addestrati eseguendo 50 visite pratiche alle loro rispettive organizzazioni [10].

    In questo caso, la terminologia non ricorre neppure agli eufemismi: “Addestrare un gruppo scelto di giovani attivisti tunisini...”. Non è forse lecito sospettare che l’intenzione sia quella di costituire una giovane élite rivoluzionaria finalizzata al “cambio di regime”, seguendo esattamente lo stesso schema utilizzato per orchestrare le “rivoluzioni colorate” nei paesi ex sovietici e altrove?

    Visto l’acuto interesse manifestato dalla NED verso la Tunisia, è ingenuo pensare che la “Rivoluzione dei Gelsomini” sia una semplice “manifestazione spontanea di rabbia popolare” e che non sia stata pianificata con largo anticipo, attendendo l’evento che facesse da catalizzatore.

    Le organizzazioni appena citate ed altre, hanno ricevuto dalla NED i finanziamenti indicati di seguito insieme agli anni di riferimento:

    2006: Al-Jahedh Forum for Free Thought (AJFFT), $51,000; American Center for International Labor Solidarity, $99,026, il cui scopo è quello di coltivare relazioni con il giornalismo tunisino; Arab Institute for Human Rights (AIHR) $37,500, per addestrare un gruppo scelto di insegnanti sul tema dei “valori civici”;” Committee for the Respect of Freedom and Human Rights in Tunisia (CRLDH) $70,000, per richiedere l’amnistia di prigionieri politici; e

    Mohamed Ali Center for Research, Studies and Training (CEMAREF) $39,500

    Per addestrare 50 attivisti, di sesso maschile e femminile e di età compresa tra i 20 e i 40 anni, alla leadership. L’organizzazione terrà cinque seminari della durata di quattro giorni ciascuno, ognuno destinato a dieci attivisti, sulle tecniche della leadership, inclusi decision making, time management, risoluzione dei conflitti, problem solving e comunicazione. Il CEMAREF seguirà l’addestramento con visite in loco ai gruppi d’appartenenza degli allievi allo scopo di valutare i risultati. [11]

    2007: L’AJFFT ha ricevuto 45,000$. L’Arab Institute for Human Rights ha ricevuto 43,900$ per addestrare insegnanti a diffondere l’ideologia dei cosiddetti “valori civici”, focalizzandosi sulle scuole primarie e sottoponendo all’addestramento anche gli ispettori scolastici. Il Center for International Private Enterprise (CIPE) ha ricevuto 175, 818$ per inculcare la dottrina della libera impresa tra gli uomini d’affari tunisini, il che rivela a cosa stia realmente mirando la NED con la sua promozione di “democrazia e valori civici”: la globalizzazione. Il summenzionato Mohamed Ali Center for Research, Studies, and Training ha ricevuto 38,500$ nel 2007. Inoltre, nello stesso anno:

    Moroccan Organization for Human Rights (OMDH) $60,000

    Per motivare un gruppo di giovani avvocati tunisini a mobilitare i cittadini sul tema delle riforme. OMDH provvederà ad addestrare un gruppo di 20 avvocati tunisini alla mobilitazione civica e fornirà loro supervisione ed assistenza per implementare i loro progetti di mobilitazione.[12]

    2008: L’Al-Jahedh Forum for Free Thought ha ricevuto 57,000$; il Center for International Private Enterprise, 163,205$; il Centre Mohamed Ali de Reserches d’Etudes et de Formation, 37,800$; il Tunisian Arab Civitas Institute, 43,000$, con la finalità di formare insegnanti sulle ideologie dei “valori civici” care alla NED. [13]

    C’è bisogno di essere più espliciti? La NED ha sostenuto in Tunisia, come in altre zone del mondo, gruppi rivoluzionari composti da giovani e da professionisti allo scopo di rovesciare un regime visto come un’anomalia nel contesto del “new world order”. Per quanto i regimi presi di mira possano spesso essere deprecabili, la retorica della “democrazia”, dei “valori civici” e della “società aperta” propagata dalla NED, da Soros e dalla miriade di funzionari e istituzioni sparsi per il mondo, è nient’altro che una truffa propagandistica, progettata, come sempre accade in queste circostanze, per distogliere l’attenzione dalle reali cause e finalità delle “sollevazioni spontanee”. I commentatori stanno già sottolineando l’impeto della “rivolta spontanea” ad opera delle “organizzazioni della società civile”, il che è un eufemismo per riferirsi alle organizzazioni sponsorizzate dalla NED e da Soros: “...In tal modo, un’ampia coalizione di organizzazioni della società civile ha riunito insieme le rivendicazioni occupazionali con esigenze che concernono la questione della legalità e quella dei diritti umani...”. [14]

    Le “rivoluzioni colorate” devono molto al patrocinio offerto alle reti di comunicazione anti-regime, con finanziamenti diretti a stazioni radio e televisive, come nell’esempio relativo alla Georgia menzionato più sopra. Nel caso della Tunisia, questo compito sembra essere stato assegnato a Radio Kalima. Se ne è occupata l’organizzazione “International Media Support” che, dopo i raid della polizia del gennaio 2009, ha iniziato ad operare al di fuori della Tunisia. Per citare le parole del direttore della radio, Sihem Bensedrine:


    “I finanziamenti offerti da International Media Support e dall’Open Society Institute ci hanno consentito di pagare i nostri giornalisti e di mantenere un gruppo di lavoro stabile. Questo rende la nostra radio più forte e più efficiente”. [15]

    La manipolazione del dissenso

    Lo sfruttamento delle masse per avallare interessi finanziari non è certo un fenomeno nuovo. Esempi noti di “rivoluzioni borghesi” organizzate in nome degli umili sono quelli della rivoluzione inglese di Cromwell e della Rivoluzione Francese. Oswald Spengler fa risalire il fenomeno all’antica Roma:

    “Le idee del Liberalismo e del Socialismo vengono poste concretamente in atto solo tramite il denaro. Fu il ricco partito degli equites a rendere possibile il movimento popolare di Tiberio Gracco; e non appena la parte di riforma ad essi vantaggiosa fu trasformata in legge con successo, essi si ritirarono e il movimento si disgregò”. [16]

    La “Nuova Sinistra” ha perseguito gli stessi scopi nel corso degli anni ’60 e ’70, adottando strategie simili a quelle delle odierne “rivoluzioni colorate” e degli altri progetti sponsorizzati da Soros, dalla NED, ecc. Questi “ribelli” che si opponevano all’”Establishment”, tra i quali si annoverano femministe come Gloria Steinem [17] e guru psichedelici come Timothy Leary [18], erano in realtà leccapiedi della CIA, sostenuti fin dall’inizio dai ricchi padroni. Gli studenti radicali che protestavano negli anni ’60 erano manipolati da interessi simili a quelli che oggi sponsorizzano i “manifestanti” delle “rivoluzioni colorate”; si va dalla National Student Association americana, finanziata dalla CIA [19], fino alla Students for a Restructured University, finanziata dalla fondazione Ford e affiliata alla SDS (Students for a Democratic Society) [20]. Se l’ “Establishment” ha in realtà finanziato, decenni or sono, i suoi presunti nemici giurati come parte di un programma di manipolazione dialettica – e le fonti non sono difficili da controllare – non c’è da sorprendersi che anche al giorno d’oggi sia in atto una manipolazione globale, fondata su idee similari, diretta a soggetti similari e mossa da similari interessi.

    National Endowment for Democracy

    La National Endowment for Democracy è stata fondata nel 1983 su interessamento dell’attivista post-trotzkista Tom Kahn e opera sotto il patrocinio del Congresso e della grande finanza americana allo scopo di promuovere quella “rivoluzione globale” che era negli ideali di Trotzky e del presidente americano Woodrow Wilson, suo contemporaneo. La NED persegue un programma di “iniziative democratiche” (sic) ed opera in Polonia (attraverso il sindacato Solidarność), in Cile, in Nicaragua, in Europa Orientale (per agevolare la transizione alla democrazia dopo il crollo del blocco ex sovietico), in Sudafrica, in Birmania, in Cina, in Tibet, in Corea del Nord e nei Balcani. “Gli sconvolgimenti elettorali avvenuti in Serbia dell’autunno 2000” furono ottenuti attraverso il finanziamento di “una quantità di gruppi civici”. “Più di recente, dopo l’11/9 e dopo l’adozione da parte del consiglio direttivo della NED del suo terzo documento strategico, finanziamenti speciali sono stati offerti ai paesi a maggioranza musulmana in Medio Oriente, Africa e Asia”. [21]

    Almeno 10 dei ventidue direttori della NED sono anche membri del Council on Foreign Relations, il noto think tank plutocratico, e tra di essi vi sono alcuni direttori dei programmi del CFR [22]. Ad esempio Carl Gershman, fondatore e presidente della NED, viene annoverato come membro del Comitato Programmi di Washington nell’esecutivo del CFR.[23] Tra i membri del CFR che fanno anche parte della dirigenza della NED possiamo citare: Nadia Diuk, Vice Presidente, Programmi: Africa, Europa Centrale ed Eurasia, America Latina e Caraibi; e Louisa Greve, Vice Presidente, Programmi: Asia, Medio Oriente & Nord Africa, nonché membro temporaneo del progetto del CFR sulla sicurezza nazionale USA “Nuove Minacce in un Mondo in Trasformazione”.[24]

    La risposta statunitense

    Sebbene alcuni entusiasti sostenitori della “società aperta” abbiano lamentato l’apparente ritrosia degli Stati Uniti nel criticare l’ex presidente tunisino, Ben Ali, ciò che si recita – o non si recita – sul palcoscenico globale è in genere un riflesso assai pallido degli eventi che si svolgono dietro le quinte. L’establishment statunitense non ha certo mostrato alcuna simpatia per Ben Ali nel momento cruciale.

    Il “Progetto per la Democrazia in Medio Oriente”, un altro think tank che si dedica a indicare alle nazioni come debbano governare se stesse “alla maniera americana”, riporta una reazione degli ambienti ufficiali USA per bocca di Michael Posner, assistente segretario di Stato nel Dipartimento per la Democrazia, i Diritti Umani e il Lavoro; costui, rispondendo a un inviato del giornale egiziano AlMasry AlYoum:

    “...ha parlato delle violenze in Egitto e in Tunisia e di come gli Stati Uniti dovrebbero concretamente rapportarsi con quei governi che definiscono “interferenze” le critiche provenienti dall’estero... Gli Stati Uniti, egli ha affermato, perseguono con i paesi come Egitto e Tunisia una politica su più livelli, allo scopo di relazionarsi in modo efficace con i loro governi e allo stesso tempo sostenere gli esponenti della società civile in questi paesi. [Elliott] Abrams ha invece dichiarato che gli Stati Uniti dovrebbero avere con paesi come l’Egitto e la Tunisia una politica su un unico livello, che preveda conseguenze molto gravi per quei capi di Stato che ignorano gli appelli alle riforme e al rispetto dei diritti umani. Se si continuano a perseguire le attuali linee politiche, quei governi penseranno di potere “farla franca” e continueranno a vanificare gli sforzi di riforma e a reprimere il dissenso”. [25]

    Elliott Abrams, citato più sopra, è noto per essere stato uno dei globalisti neocon dell’amministrazione di George W Bush, consigliere di sicurezza nazionale per il Medio Oriente ed entusiasta sostenitore dei “cambi di regime” attuati con l’uso di bombe e milizie americane, laddove la manipolazione delle folle non avesse funzionato. Oggi è membro anziano per gli Studi sul Medio Oriente nel Council on Foreign Relations e, com’era lecito aspettarsi, Abrams è entusiasta degli idealistici eventi verificatisi in Tunisia [26], vista la prospettiva che un nuovo stato-cliente degli USA emerga dalle idealistiche azioni dei soliti “utili idioti”. Mentre l’inerme Ben Ali era in procinto di cadere, Hillary Clinton ha spiegato al Medio Oriente che Washington “non avrebbe assunto posizioni”, ma poi si è prontamente esibita in una predica rivolta agli stati arabi su ciò che l’America si aspetta da loro. The Christian Science Monitor ha osservato che Ben Ali è fuggito il giorno seguente. Al “non assumere posizioni”, ha immediatamente fatto seguito una dichiarazione della Clinton – altro membro progettista del CFR – secondo la quale il presidente Obama salutava “il coraggio e la dignità del popolo tunisino”, aggiungendo che gli Stati Uniti si univano al resto del mondo “nella testimonianza di questa lotta coraggiosa e determinata...”. Il resoconto diceva esplicitamente che la Clinton stava “mandando un avvertimento” (sic) ai leader mediorientali affinché meditassero sulla rivolta tunisina, per evitare di subire la stessa sorte. “Le parole pronunciate dalla Clinton giovedì scorso fanno eco ad opinioni ben più severe espresse dietro le quinte da funzionari statunitensi...”.

    “Coloro che si aggrappano allo status quo, possono riuscire ad evitare il pieno impatto con i problemi dei loro paesi per qualche tempo, ma non in eterno”, ha dichiarato la Clinton. Queste parole si sono rivelate profetiche per la Tunisia di Ben Ali, ma sono anche state interpretate da molti esperti della regione come riferibili allo stesso presidente egiziano Hosni Mubarak, antico alleato degli USA, ma ormai ottuagenario e al potere da quasi 30 anni”. [27]

    Può sembrare un paradosso che le stesse persone che denunciano le invasioni americane di nazioni come la Serbia e l’Iraq per imporre “cambi di regime” con la forza delle armi, siano invece entusiaste dei “cambi di regime”, attuati nell’interesse dell’egemonia globale americana, quando essi sono condotti da giovani e da professionisti manipolati per ottenere gli stessi risultati attraverso la “protesta spontanea” (sic). Le “rivoluzioni colorate” sono tanto fasulle quanto le loro antenate gestite dalla “Nuova Sinistra”. Naturalmente la desiderabilità di questi cambi di regime dipende dal punto di vista. Sul lungo periodo, potrebbe anche accadere che nel nome della “democrazia”, così come era avvenuto per lo slogan “Liberté, Égalité, Fraternité” della Rivoluzione Francese, per “Tutto il potere ai Soviet” della Rivoluzione Bolscevica e per “Tutti gli animali sono uguali...”, si stia in realtà compiendo un passo ulteriore verso una tirannia molto più feroce di quella che si desiderava rovesciare.

    Note

    [1] Open Society Institute, The Burma Network, SE Asia Initiative. About This Initiative | Burma Project/Southeast Asia Initiative | Open Society Foundations

    [2] Ad esempio: “A Successful Jasmine Revolution, but what next for Tunisia?”, New Statesman, 15 gennaio 2011.

    [3] Robert Cowley, “A Year in Hell,” America and Russia: A Century and a Half of Dramatic Encounters, ed. Oliver Jensen (New York: Simon and Schuster, 1962), pp. 92- 121. Schiff, comproprietario della Kuhn Loeb and Co., finanziò George Kennan per organizzare la ribellione di 50.000 soldati russi in Giappone durante la guerra russo-giapponese e fornì ulteriore supporto anche alla rivoluzione russa del 1917.

    [4] M McKinnon, “Georgia revolt carried mark of Soros”, Globe & Mail, November 26, 2003, Georgia revolt carried mark of Soros - The Globe and Mail

    [5] L’associazione Internet Access & Training Program (IATP) di Soros fu istituita come fronte per la creazione di nuovi leader in Bielorussia, Armenia, Azerbaijan, Georgia, Kazakhstan, Kyrgyzstan, Turkmenistan e Uzbekistan. In Serbia, venne finanziato l’Otpor. Il premio in palio era Trepca in Kosovo, una vasta riserva di oro, argento, piombo, zinco e cadmio.

    In un articolo pubblicato sul New Statesman, Neil Clark ha affermato che Soros ha avuto un “ruolo cruciale” nel collasso del blocco sovietico. Fin dal 1979 Soros aveva dato milioni di dollari a Solidarność in Polonia, a Charter 77 in Cecoslovacchia e nel 1984 aveva fondato un suo Ufficio d’Influenza Strategica in Ungheria, “pompando milioni di dollari verso i movimenti d’opposizione.” “Apparentemente finalizzate a costruire una nuova ‘società civile’, queste iniziative erano in realtà progettate per indebolire le strutture politiche esistenti e aprire la strada all’eventuale colonizzazione dell’Europa dell’Est da parte del capitale globale”. Neil Clark, “Soros toppled governments in Poland, Czechoslovakia, Hungary,” New Statesman, 2 giugno 2003.

    [6] M MacKinnon, op.cit.

    [7] Carl Gershman, “Building a Worldwide Movement for Democracy: The Role of Non-Governmental Organizations”, U.S. Foreign Policy Agenda, Vol. 8, No. 1, August 2003. NED: Building a Worldwide Movement for Democracy: The Role of Non-Governmental Organizations | NED

    [8] National Endowment for Democracy, 2009 Grants: Tunisia | NED

    [9] Ibid.

    [10] Ibid.

    [11] National Endowment for Democracy, 2006 Grants: Tunisia | NED

    [12] National Endowment for Democracy, 2007 Grants: Tunisia | NED

    [13]National Endowment for Democracy, 2008: Tunisia | NED

    [14] Christopher Alexander, “Tunisia’s Protest Wave: Where it comes form and what it means,” January 3, 2011, Council on Foreign Relations, Foreign Policy, Tunisia's Protest Wave: Where It Comes From and What It Means for Ben Ali | The Middle East Channel

    [15] Tunisia’s only independent radio station fights back,” International Media Support, Tunisia

    [16] Oswald Spengler, The Decline of The West, 1918, 1926. (London : George Allen & Unwin , 1971), Vol. 2, p. 402.

    [17] “Gloria Steinem and the CIA: C.I.A. Subsidized Festival Trips: Hundreds of Students Were Sent to World Gatherings,” The New York Times, 21 February 1967. Gloria Steinem and the CIA

    [18] Mark Riebling, “Tinker, Tailor, Stoner, Spy, Was Timothy Leary a CIA Agent? Was JFK the ‘Manchurian Candidate’? Was the Sixties Revolution Really a Government Plot?,” Osprey, 1994, Was Leary a CIA Agent?

    [19] Sol Stern: “A Short Account of International Student Politics and the Cold War with Particular Reference to the NSA, CIA, etc,” Ramparts, Marzo 1967, pp. 29-38.

    Si veda anche: Philip Agee Jr., “CIA Infiltration of Student Groups: The National Student Association Scandal”, Campus Watch, Autunno 1991, pp. 12-13, The National Student Association Scandal

    [20] Mike Marqusee, “1968 The mysterious chemistry of social change”, Red Pepper, 6 April 2008, cache:Qu0dvzQ7RuIJ:www.redpepper.org.uk/1968-The-Mysterious-Chemistry- - Google Search

    [21] David Lowe, ‘Idea to Reality: NED at 25: Reauthorization’, National Endowment for Democracy: History | NED

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    [22] Per una storia ufficiale ma ricca di informazioni del CFR, si veda: Peter Grose, Continuing The Inquiry: The Council on Foreign Relations from 1921 to 1996 (CFR, 1996), History of CFR - Council on Foreign Relations

    [23] “Committees of the Board 1998-1999”, CFR, http://www.cfr.org/content/about/ann...committees.pdf (Accessed 8 March 2010).

    [24] “Staff,”NED, Staff | NED (Accessed 7 March 2010). Only a few of the staff profiles are provided by NED.

    [25] “POMED Notes: Freedom in the World 2011: The Authoritarian Challenge to Democracy,” Welcome | Project on Middle East Democracy

    [26] Elliot Abrams, “Is Tunisia Next?”, CFR, Elliott Abrams: Pressure Points January 7, 2011.

    [27] “Events in Tunisia bear out Hillary Clinton’s warning to Arab world,” Christian Science Monitor, January 14, 2011, Events in Tunisia bear out Hillary Clinton's warning to Arab world - CSMonitor.com

    ComeDonChisciotte - LA RIVOLTA IN TUNISIA: UN’ALTRA OPERAZIONE SOROS/NED?


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    Predefinito Rif: Nord Africa: il Soft Power di Obama deve essere fermato



    WIKILEAKS. «Alla base della rivolta in Egitto ci sarebbe un piano USA per rovesciare il governo Mubarak».



    Questo è quanto riporta il Daily Telegraph, sulla base del dispaccio rilasciato dall’ambasciata USA a Il Cairo il 30-12-2008 e pubblicato da Wikileaks il 31-01-2011.

    Il cablogramma, reso noto dal giornale inglese, contiene le rivelazioni di un giovane dissidente egiziano appartenente al movimento de “Il 6 aprile” ed invitato a partecipare, nel 2008, al summit della “Alliance of Youth Movements” negli Stati Uniti. Il giovane, ritornato a Il Cairo, avrebbe dichiarato ai diplomatici USA i contenuti dell’incontro. Da quanto riportato nel dispaccio, sarebbe stata costituita un'alleanza fra gruppi di opposizione per rovesciare il governo Mubarak al fine di installare un governo democratico in Egitto entro il 2011 prima delle elezioni presidenziali previste a settembre di quest’anno. Intanto la protesta in Egitto, contro il governo Mubarak, continua ad impazzare sul web, in particolare su You Tube come testimoniano video e foto.

    RAPPORTO USA-EGITTO

    «Pur appoggiando il governo alleato del presidente Mubarak, gli Usa sostengono dal 2008 un cambio di regime in senso democratico». Il cablogramma dell’ambasciata USA a Il Cairo rivelerebbe proprio questo intento. A dispetto di tale documento, l’amministrazione Obama ha dimostrato la volontà di una stretta collaborazione con il presidente Hosni Mubarak. In una nota del maggio 2009, infatti, il governo USA dichiara «se Mubarak sarà ancora vivo nel 2011, correrà di nuovo ed inevitabilmente vincerà le elezioni».

    Un altro cablogramma, marzo 2009, mostra l’intesa militare tra gli Stati Uniti e l’ Egitto. Washington fornisce a Il Cairo 1.3 miliardi di dollari annuali nel settore militare estero per consentire all’Egitto l’acquisto di armi ed equipaggiamento militare USA. «Il presidente Mubarak ed i leaders politici vedono il programma di assistenza militare da parte degli Stati Uniti come la pietra miliare della collaborazione e considerano gli 1.3 miliardi di dollari nel settore militare estero come un “compenso legittimo e dovuto” per il mantenimento della pace in Israele» si legge nel dispaccio.

    In poche parole l’accordo militare USA-Egitto si baserebbe su uno scambio: L’Egitto assicura la pace con Israele e l’esercito americano beneficia di un accesso privilegiato al canale di Suez ed allo spazio aereo egiziano.

    IL CABLOGRAMMA

    Il cablogramma, rilasciato dall’ambasciata USA a Il Cairo, il 30-12-2008 rivela l’accordo raggiunto dalle "diverse forze di opposizione" egiziane, durante il summit Alliance of Youth Movements tenutosi dal 3 al 5 Dicembre 2008 a New York.

    Il contenuto del documento non lascia spazio a dubbi: il dissidente egiziano del movimento de “Il 6 Aprile” parla «di un piano non scritto per appoggiare in Egitto una transizione verso una democrazia parlamentare, con meno poteri al presidente della Repubblica e più funzioni al primo ministro e al parlamento. Il tutto da portare a compimento prima delle elezioni presidenziali in programma nel 2011». Il documento rivela anche che il piano è «così delicato da non poter essere messo per iscritto».

    «I movimenti Wafd, Nasserite, Karama Tagammu, i Fratelli Musulmani, Kifaya ed i Rivoluzionari Socialisti sono favorevoli a sostenere un piano non scritto per un passaggio ad una democrazia parlamentare che rafforzi il potere del primo ministro e del parlamento e riduca quello del presidente» è quanto riporta il dispaccio.

    Alcuni degli estratti del documento mettono in luce l’incapacità del governo Mubarak di determinare una svolta democratica.

    «Mubarak non accetterà mai una riforma democratica» sostiene il dissidente egiziano ed accusa il governo USA di legittimare il potere del presidente dell’Egitto, avallandone i suoi crimini. Nel cablogramma non viene risparmiata neppure la critica all’operato delle ONG, accusate di vivere «nel mondo dei sogni».

    «Infatti, esse agiscono senza considerare il potere ed il ruolo di Mubarak che è 'la testa del serpente'». Il documento continua «senza l’autorizzazione di Mubarak ogni sforzo risulta vano».

    IL RUOLO DI BLOGGERS E SOCIAL NETWORKS

    Immediata la censura da parte delle istituzioni egiziane che, subito dopo lo scoppio della rivolta, hanno bloccato l’accesso a Facebook e a Twitter per impedire il dilagare delle proteste sul web.

    Ciò non ha scoraggiato attivisti e bloggers che hanno continuato a diffondere filmati e documenti su You Tube.

    Dure anche le misure adottate dal governo nei confronti degli intellettuali dissidenti. Un cablogramma (09CAIRO1447) riporta le azioni di repressione nei confronti di tre bloggers. Gli attivisti in questione, affiliati al movimento dei Fratelli Musulmani (MB) sarebbero stati arrestati con l’accusa di aver denunciato i processi a carico di membri del MB nei tribunali militari. Un vero e proprio vademecum della rivolta, inoltre, ha attraverso il web raggiungendo le redazioni del The Guardian e di Atlantic. Il documento in questione, redatto da bloggers egiziani, contiene le linee guida su come comportarsi durante la protesta ed i fini da perseguire attraverso le manifestazioni.

    «Uno scudo e uno spray di vernice come equipaggiamento. La divisa del rivoluzionario è così composta: giubbotto e cappuccio, scarpe con cui muoversi velocemente, scudo, occhiali protettivi, fazzoletto per proteggersi dai gas lacrimogeni. E poi, una rosa per mostrare le proprie intenzioni pacifiche. Gli obiettivi sono molto chiari: prendere il controllo di significativi edifici governativi. Convincere elementi della polizia e dell'esercito a stare dalla parte del popolo. Proteggere i nostri fratelli e le nostre sorelle nella fase della rivoluzione», si legge nel vademecum.

    Il manuale della rivoluzione in Egitto non prevede armi ma determinazione, accortezza ed "intelligenza".

    Non si indica come effettuare un colpo di Stato, ma come agire strategicamente secondo i dettami della "disobbedienza civile" per ottenere «la caduta di Hosni Mubarak e dei suoi ministri» e la formazione di «un nuovo governo non militare che abbia a cuore gli interessi degli egiziani».

    Esso prevede, inoltre, «il raduno di amici e vicini in strade lontane dal punto in cui sono concentrate le forze di sicurezza, e l'incoraggiamento ai passanti affinchè si uniscano al corteo».

    PrimaDaNoi.it - Rivolta in Egitto: per Wikileaks un piano Usa per rovesciare Mubarak? - INTERNET - Articolo


    carlomartello

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    Predefinito Rif: Nord Africa: il Soft Power di Obama deve essere fermato



    Egitto: Casa Bianca, serve transizione immediata. Obama forza Mubarak



    Washington, 2 feb. - (Adnkronos) - "Il messaggio che il presidente (degli Stati Uniti, Barack Obama, ndr) ha inviato con franchezza al presidente (egiziano, Hosni) Mubarak e' che e' arrivata l'ora del cambiamento". E' quanto ha detto il portavoce della Casa Bianca, Robert Gibbs, in un punto stampa dedicato alla situazione in Egitto. Il portavoce ha quindi definito "imperativa" una transizione immediata del potere. "Ora vuol dire ora", ha risposto a una domanda sui tempi della transizione.

    Egitto: Casa Bianca, serve transizione immediata - Adnkronos Esteri


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    Predefinito Rif: Nord Africa: il Soft Power di Obama deve essere fermato



    UNO TSUNAMI DI COLPI DI STATO NEL MEDITERRANEO


    di Webster G. Tarpley

    da Tarpley.net

    traduzione di Gianluca Freda


    Washington, DC, 16 gennaio 2011 – La comunità dei servizi segreti americani è in preda ad un autentico delirio di esaltazione in seguito al riuscito colpo di stato che ha rovesciato questa settimana il governo tunisino del presidente Ben Ali. Il Dipartimento di Stato e la CIA, attraverso i media ad essi fedeli, stanno impietosamente proponendo il colpo di stato in Tunisia dei giorni scorsi come prototipo di una seconda generazione di rivoluzioni colorate, colpi di stato postmoderni e azioni destabilizzanti gestite dagli Stati Uniti attraverso le masse popolari. A Foggy Bottom e a Langley, piani febbrili vengono elaborati per scatenare uno tsunami mediterraneo, con l’obiettivo di rovesciare buona parte degli attuali governi del mondo arabo e non solo. I pianificatori dell’imperialismo sono convinti di poter adesso rovesciare o indebolire i governi di Libia, Egitto, Siria, Giordania, Algeria, Yemen e forse anche altri, mentre gli sforzi incessanti della CIA per rimuovere il primo ministro italiano Silvio Berlusconi (a causa della sua amicizia con Putin e del suo sostegno al gasdotto Southstream) evidenziano che quest’orgia di destabilizzazione non riguarda solo il mondo arabo, ma ha un carattere pan-mediterraneo.


    Rivoluzione della fame, non dei Gelsomini

    I pianificatori imperialisti di Washington sono convinti di essere riusciti a perfezionare con successo il vecchio modello di rivoluzioni colorate e colpi di stato postmoderni targati CIA. Questo sistema di destituzione dei governi aveva perso parte del suo prestigio dopo il fallimento della tentata rivoluzione plutocratica dei Cedri in Libano, il capovolgimento dell’odiosa Rivoluzione Arancione in Ucraina targata FMI-NATO, l’ignominioso disastro della “Twitter Revolution” Iraniana del giugno 2009 e l’ampio discredito che aveva colpito la Rivoluzione delle Rose in Georgia, sostenuta dagli USA, a causa della politica oppressiva e guerrafondaia del folle fascista Saakashvili. Il programma imperialista è che gli eventi tunisini possano ora fungere da apristrada per un nuovo modello di colpi di stato “popolari”, specificamente studiati per adeguarsi alla realtà odierna, che è quella della depressione economica globale, della crisi strutturale e della disintegrazione dell’economia-casinò globalizzata.

    I tumulti tunisini vengono definiti “Rivoluzione dei Gelsomini” dalla stampa USA, ma sarebbe molto più corretto considerarli una variante della classica rivoluzione per fame. Il fermento tunisino non è partito dal desiderio della classe media di potersi liberamente esprimere, di poter votare e di tenere blog. E’ partito dall’impeto predatorio di Wall Street, che sta devastando l’intero pianeta: costi spaventosamente alti per il cibo e per il carburante provocati dalle speculazioni sui derivati, alti livelli di disoccupazione e di sotto-occupazione e disperazione economica generalizzata. Il detonatore della rivolta è stato il tragico suicidio di un venditore di ortaggi di Sidi Bouzid che era stato diffidato dalla polizia. Nel tentativo di conservare il potere, Ben Ali ha ben compreso quale fosse stata la causa della rivolta, come dimostra il suo ordine di abbassare i prezzi dei generi alimentari. Da parte sua, il governo giordano ha già abbassato i prezzi degli alimentari di circa il 5%.



    Assange e Wikileaks, strumenti chiave della CIA per imbrogliare le folle giovanili

    Il carattere economico delle agitazioni in corso rappresenta un vero problema per gli imperialisti di Washington, poiché le linee guida del Dipartimento di Stato tendono a definire i diritti umani esclusivamente in termini politici e religiosi, mai come un problema di diritti economici o sociali. Controllo sui prezzi, politiche salariali, assegni per la disoccupazione, strumenti del welfare, diritto alla salute, politiche abitative, diritti sindacali, controllo sulle banche, tariffe doganali protezionistiche e altri strumenti di autodifesa nazionale non trovano alcuno spazio nei mantra ripetuti da Washington. In questa situazione, che cosa si può fare per ingannare le folle di giovani sotto i 30 anni che rappresentano ormai la realtà demografica fondante di gran parte del mondo arabo?

    In questa contingenza, Julian Assange, l’androide predatore del cyberspazio creato dalla CIA, e la sua Wikileaks stanno garantendo un servizio indispensabile alla causa imperialista. In Islanda, nell’autunno 2009, Assange venne impiegato dai suoi sostenitori finanziari per deviare e distruggere un movimento che puntava a garantire la sopravvivenza della nazione alla moratoria del debito, il rifiuto delle interferenze del Fondo Monetario Internazionale e il rilancio dell’economia produttiva attraverso un ambizioso programma di sviluppo delle infrastrutture nazionali ed esportazione di beni ad alta tecnologia, particolarmente nel settore dell’energia geotermica. Assange riuscì a convincere molti islandesi che queste cause non erano abbastanza radicali e che dovevano impiegare le loro energie nella pubblicazione di una serie di documenti, accuratamente preselezionati, provenienti dal governo USA e da altre fonti; tutti questi documenti, in un modo o nell’altro, prendevano di mira figure politiche e governative che Londra e Washington avevano interesse ad indebolire e mettere in imbarazzo. In altre parole, Assange riuscì a imbrogliare gli ingenui attivisti, spingendoli a lavorare per Washington e per i finanziatori dell’imperialismo. Assange non aveva alcun programma, eccetto quello della “trasparenza”, che è un costante ritornello della mafia dei diritti umani targata USA e UK ogni volta che essa cerca di rovesciare i governi presi di mira, soprattutto se impegnati nel settore dello sviluppo.



    “Yes we can!” o “I prezzi del cibo sono troppo alti!”

    La Tunisia è forse il primo caso in cui Wikileaks e Assange possano vantarsi a ragion veduta di essere stati il detonatore del colpo di stato. Molti resoconti giornalistici concordano sul fatto che alcuni dispacci del Dipartimento di Stato, i quali facevano parte delle recenti rivelazioni di Wikileaks e si concentravano sugli eccessi sibaritici e sullo smodato tenore di vita del clan Ben Ali, abbiano giocato un ruolo chiave nel portare in piazza la piccola borghesia tunisina. Grazie anche ad Assange, le TV occidentali hanno così potuto mostrare immagini delle folle tunisine mentre agitano striscioni che recitano “Yes We Can!”, anziché un più realistico e populista “I prezzi del cibo sono troppo alti!”.

    Ben Ali era rimasto al potere per 23 anni. In Egitto, il presidente Mubarak è al potere da quasi 30 anni. Anche il clan Assad in Siria è sulla breccia da circa tre decenni. In Libia, il colonnello Gheddafi è al potere da quasi 40 anni. Hafez Assad era riuscito a programmare la successione monarchica di suo figlio prima di morire 10 anni fa e Mubarak e Gheddafi stanno cercando di fare la stessa cosa. Poiché gli USA non gradiscono queste dinastie, l’ovvia tattica della CIA è quella di mettere in campo strumenti come Twitter, Google, Facebook, Wikileaks, ecc., per trasformare gli elementi di punta delle realtà giovanili in folle sciamanti, pronte ad abbattere questi regimi gerontocratici.



    La CIA ha bisogno di nuovi burattini aggressivi per giocare contro Iran, Cina e Russia

    Tutti questi paesi hanno certamente bisogno di serie riforme sociali e politiche, ma ciò che la CIA sta facendo con l’attuale infornata di destabilizzazioni non ha nulla a che fare con un cambiamento in positivo dei paesi coinvolti. Coloro che ne dubitassero, farebbero bene a rammentarsi gli orridi risultati politici ed economici dei burattini posti al potere dalle recenti rivoluzioni colorate; personaggi come gli ucraini Yushchenko e Timoshenko, cleptocrati targati FMI-NATO, oppure Saakashvili, il dittatore guerrafondaio mentalmente instabile andato al potere in Georgia, e così via. Le forze politiche così sciocche da accettare le idee di speranza e cambiamento proposte dal Dipartimento di Stato, si ritroveranno ben presto sotto il giogo di nuovi oppressori di questo tipo. Il pericolo è particolarmente grave in Tunisia, dove le forze che hanno eliminato Ben Ali non hanno né un leader visibile né una visibile struttura organizzativa di massa che possa aiutarli a sbarazzarsi delle interferenze esterne, come fece Hezbollah quando riuscì a dare scacco matto al tentato putsch dei Cedri in Libano. In Tunisia, la CIA ha campo libero per instaurare al potere un candidato di sua scelta, preferibilmente sotto la copertura delle solite “libere elezioni”. Sfortunatamente, ventitrè anni di Ben Ali hanno lasciato la Tunisia in condizioni di profonda atomizzazione.

    Perché Washington è così ossessionata dall’idea di rovesciare questi governi? La risposta ha molto a che fare con Iran, Cina e Russia. Per quanto riguarda l’Iran, è noto che il Dipartimento di Stato sta tentando di mettere insieme un fronte unitario dei paesi arabi occupati e dei regimi sunniti contro l’Iran sciita e i suoi vari alleati nella regione. Questa strategia non sta funzionando bene, come dimostra l’incapacità degli USA di instaurare il loro fantoccio preferito, Allawi, al potere in Iraq, dove sembra che il filoiraniano Maliki riuscirà a mantenere le redini del governo nel prevedibile futuro. Gli USA sono alla disperata ricerca di una nuova generazione di traballanti demagoghi “democratici”, più disponibili a guidare i propri paesi contro l’Iran di quanto abbia dimostrato di voler fare l’immobilismo dei regimi attuali. C’è poi la questione dell’espansione dell’economia cinese. Possiamo star certi che tutti i nuovi leader instaurati dagli USA includeranno nei propri programmi la rottura delle relazioni economiche con la Cina, a partire dalla riduzione delle esportazioni di petrolio e materie prime, sulla falsariga di ciò che il boss della “Twitter Revolution”, Mir-Hossein Mousavi, stava preparando per l’Iran nel caso in cui avesse conquistato il potere nell’estate 2009, all’apice delle sommosse in affitto che avevano come slogan “Morte alla Russia, morte alla Cina”. Inoltre, l’ostilità degli USA verso la Russia non è affatto diminuita, nonostante l’effetto cosmetico della recente ratifica dello START II. Ad esempio, se una rivoluzione colorata dovesse colpire la Siria, potremmo star certi che la presenza navale russa nel porto di Tartus, che infastidisce molto i progettisti NATO, verrebbe rapidamente eliminata. Se i nuovi regimi mostreranno ostilità verso Iran, Cina e Russia, vedremo ben presto scomparire le questioni interne dei diritti umani dalle priorità degli Stati Uniti.



    Funzionari della destabilizzazione nel regime di Obama

    Per coloro che tengono il conto, sarà utile fare il nome di alcuni dei principali agenti della destabilizzazione operanti all’interno dell’attuale regime statunitense. E’ ovviamente scontato che l’attuale ondata di colpi di stato contro i paesi arabi sia stata scatenata dal Segretario di Stato Hillary Clinton, con l’ acclamato discorso tenuto la scorsa settimana a Doha, in Qatar, in cui la Clinton avvisava i leader arabi di riformare le loro economie (secondo le regole del FMI) ed eliminare la corruzione o affrontare la destituzione politica.

    Visto il ruolo chiave svolto da Assange e da Wikileaks nell’attuale fase, lo zar degli affari regolatori della Casa Bianca, Cass Sunstein, deve essere incluso nel novero dei principali progettisti dei colpi di stato. Ricordiamo che il 24 febbraio 2007 Sunstein pubblicò sul Washington Post un articolo intitolato “Brave New Wikiworld”, in cui annunciava: “Wikileaks.org, fondata da dissidenti con base in Cina e in altre nazioni, sta progettando di pubblicare documenti governativi segreti e di proteggerli dalla censura con software criptati”. Fu questo l’inizio del grande successo pubblicitario di Assange, nonché il debutto di Wikileaks sulla stampa americana a larga diffusione; tutto grazie a Sunstein, attuale funzionario della Casa Bianca. Non si può forse ipotizzare che Sunstein sia l’uomo incaricato dalla Casa Bianca di tenere i contatti con Wikileaks e di gestire l’intera operazione?



    Ogni albero della foresta araba rischia di cadere

    Un’altra figura degna di menzione è Robert Malley, noto agente USA, attualmente a capo del Gruppo Internazionale di Crisi (ICG) per il Medio Oriente e il Nord Africa, un’organizzazione che si ritiene viva sui finanziamenti erogati da George Soros e su strategie immaginate Zbigniew Brzezinski. Malley fu al centro di una controversia durante la campagna per le elezioni presidenziali del 2008 a causa delle sue posizioni anti-israeliane, ideali per imbrogliare i leader arabi che costituiscono il suo bersaglio. Sul Washington Post del 16 gennaio 2011, Malley ha dichiarato che ogni albero della foresta araba potrebbe essere in procinto di cadere. “Potremmo scorrere la lista dei leader arabi che in questo momento si guardano allo specchio e scoprire che ben pochi di loro non sono su quella lista”. I governi arabi siano avvertiti di tenere d’occhio i funzionari della ICG all’interno dei loro paesi.

    Lo zar Cass Sunstein è attualmente sposato con Samantha Power, la quale lavora presso il Consiglio di Sicurezza Nazionale della Casa Bianca come Senior Director (capo) dell’Ufficio Affari Multilaterali e Diritti Umani, cioè nell’epicentro burocratico delle operazioni di destabilizzazione come quella attuata in Tunisia. La Power, proprio come Malley, è una veterana dell’intelligence statunitense nel settore “diritti umani”, che è maestro nello sfruttare legittime denunce contro la repressione governativa per rimpiazzare i vecchi amici degli Stati Uniti con nuovi burattini, in un processo senza fine di sovversione politica. Sia Malley che la Power furono costretti a rassegnare formali dimissioni durante la campagna presidenziale di Obama del 2008, Malley per aver parlato con Hamas e la Power per un’oscena reprimenda contro Hillary Clinton, che è ora la sua rivale burocratica.



    Avvertimento ai governi arabi, alle forze politiche, ai sindacati

    Il mondo arabo ha bisogno di imparare alcune fondamentali lezioni riguardo i meccanismi delle rivoluzioni colorate della CIA, se non vuole ripetere le tragiche esperienze dell’Ucraina, della Georgia e di tante altre nazioni. In un mondo impoverito dalla depressione economica, un programma di riforme in grado di proteggere gli interessi nazionali contro le forze rapaci della globalizzazione finanziaria costituisce l’imperativo numero uno.

    Di conseguenza, i governi arabi devono immediatamente espellere tutti i funzionari del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Mondiale e di tutto il sottobosco delle istituzioni di credito. I paesi arabi che si trovano in questo momento sotto il giogo delle condizioni imposte dal FMI (in particolare l’Egitto e la Giordania tra i paesi arabi e il Pakistan tra i paesi musulmani) devono cacciarli immediatamente e unilateralmente, ripristinando la propria sovranità nazionale. Ogni stato arabo dovrebbe proclamare unilateralmente e immediatamente una moratoria del debito sotto forma di congelamento illimitato di tutti i pagamenti di debiti e interessi alle istituzioni internazionali, seguendo il modello argentino, a partire dalle somme dovute alla Banca Mondiale e al FMI. Le aziende multinazionali estere che operano in regime di monopolio, soprattutto le compagnie petrolifere, dovrebbero essere confiscate come la situazione richiede. I generi alimentari di base e i carburanti dovrebbero essere assoggettati al controllo dei prezzi, con pene draconiane contro la speculazione, inclusa quella attuata tramite derivati. Misure dirigiste come dazi protezionistici e sussidi alimentari dovrebbero essere introdotte al più presto. La produzione di generi alimentari deve essere implementata attraverso incentivi alla produzione e all’importazione, nonché attraverso accordi di scambio internazionali. Occorre costituire rapidamente scorte di cereali per il fabbisogno nazionale. Saranno necessari controlli sul capitale e sugli scambi per impedire manovre speculative sulle valute nazionali da parte di hedge fund stranieri che agiscano con il fine aggiuntivo di rovesciare governi nazionali. Cosa più importante, la banche centrali devono essere nazionalizzate e riconvertite ad una politica di credito al tasso dello 0% per la realizzazione di infrastrutture interne, per il sostegno all’agricoltura, per la costruzione di abitazioni e per la produzione di beni materiali, con particolare riguardo al potenziamento delle esportazioni. Una volta avviate queste riforme, verrà anche il momento di prendere in considerazione l’idea di un’integrazione economica del mondo arabo, come comunità di sviluppo in cui i profitti ricavati dagli stati produttori di petrolio nel commercio con l’estero potranno essere sfruttati per generare reciproci vantaggi in termini di infrastrutture e di investimenti nella produzione di beni materiali, nell’ambito di tutto il mondo arabo.

    L’alternativa è una serie infinita di destabilizzazioni progettate da nazioni straniere e, con ogni probabilità, il caos terminale.

    RIVOLUZIONI COLOR MERDA, TOCCA ALL'EGITTO


    carlomartello

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    Il commento L’intifada di Baradei? Nemica dell’Occidente



    Vedremo Muhammed Al Baradei o il movimento Kyfaia o i Fratelli Mussulmani al potere in un Egitto nato dalla piazza? E porteranno la democrazia? Per ora, l’insediamento al potere di Omar Suleiman, ministro e principe dei servizi segreti, nel ruolo di vice presidente non è altro che la conferma del fatto che Mubarak non ha nessuna intenzione di lasciare il potere. L’esercito non l’ha abbandonato e Suleiman è al suo fianco da tempo immemorabile.
    Il vecchio faraone forse potrà, nella più antica tradizione imperiale, come Ramses quando aveva più di 80 anni, celebrare la festa del suo ringiovanimento senza lifting, grazie a Omar. Ramses ogni anno, fino a oltre 90 anni (lo impariamo da Fuad Adjami grande storico arabo) innalzava un obelisco per ringraziare gli dei. Il popolo egiziano, salvo che per il traumatico assassinio di Sadat, non ha mai ucciso i suoi faraoni. Anche quando nel 1952 distrusse il potere di Muhammad Alì, la sua dinastia era al potere di 50 anni. Ma quando si sentono colpiti nell’onore i fellahim, contadini affamati ma di nobili antichissimi costumi, e la sua colta e pigra borghesia, come è successo quando i tunisini sopravanzarono il popolo egiziano, allora accade l’inenarrabile. Così fu dal 2350 al 2150 avanti Cristo, quando gli uomini che conosciamo raffigurati dai cocci egizi, si rivoltarono fino a liberarsi dal regno di chi li affamava. Così può accadere con Mubarak.
    Educatamente gli Usa e il resto del mondo gli chiedono di spostarsi almeno un po’ sul quel largo trono, ma Mubarak sa benissimo che la richiesta non sarà troppo insistita, perché l’ultimo a interessarsi seriamente di diritti umani è stato George Bush, con i suoi pregi e difetti, e al resto del mondo interessa soprattutto la stabilità. Ma quanto fragile è questa scelta lo si vede in queste ore.
    Di stabile in Egitto non c’è proprio niente. Prima di tutto, Mubarak da una parte reprimendo e dall’altra sussumendo le opposizioni estremiste, comprese la Fratellanza Mussulmana, ha di fronte, oltre che un innegabile desiderio di libertà e rinnovamento, anche un’opinione pubblica spaventosa. Lo prova l’ultima indagine Pew: in Egitto l’82 per cento è favorevole alla lapidazione delle adultere, il 77 per cento al taglio della mano, l’84 alla pena di morte per i musulmani che cambiano religione. Richiesti se preferiscono i modernizzatori o gli islamisti, il 27 tiene per la modernità e il 59 per cento vuole gli islamisti. Il 30 per cento ama gli Hezbollah, il 49 Hamas, il 20 Al Qaida. Chi può gestire una simile opinione pubblica in senso riformatore democratico? La risposta più realistica è che le riforme le farà ancora Mubarak con l’aiuto di Suleiman per evitare di essere rovesciato.
    Se guardiamo al futuro, tuttavia, non si placherà spontaneamente la grande «Intifada» cui ha invitato fino alla vittoria il candidato di una parte dell’opposizione, Mohammed El Baradei: l’uomo che piace di più all’Occidente con i suoi abiti ben tagliati, il suo premio Nobel per la pace, l’innegabile coraggio di mostrare la faccia in mezzo alla sanguinosa confusione egiziana e il suo passato di segretario dell’Agenzia Onu per l’energia atomica, l’Aiea,che lo ha reincaricato ben tre volte.
    Ma come ha gestito il suo mandato? Certo in modo non rassicurante. Per John Bolton, allora ambasciatore all’Onu degli Usa sono incalcolabili i danni da lui procurati con la difesa a oltranza delle strutture nucleari iraniane, di cui ha seguitato a sostenere, falsamente, la sostanziale innocuità e la destinazione a fini civili. El Baradei ha paragonato la potenza nucleare israeliana a quella iraniana, ha detto che Israele è il peggiore pericolo per il Medio Oriente, ha più volte riabilitato la Fratellanza Mussulmana. Su questa, nata in Egitto e decisa a conquistarlo anche con recente congiura sediziosa di matrice iraniana in uno stato coranico jihadista, ovviamente non possiamo contare per un regime di riforme. Poi, il movimento Kifaya che, nato nel 2004 sulla legittima richiesta a Mubarak di non presentarsi candidato presidente per la quinta volta, è di origine comunista, antisemita e antioccidentale, estremista tanto da mettere in programma la cancellazione della pace con Israele.
    Insomma, Mubarak si trova schierati contro oltre a un popolo giustamente infuriato per il pane e la corruzione anche tutti i gruppi che gli Usa e l’Europa hanno lasciato crescere trascurando l’opposizone democratica vera, come quella di Saad Eddin Ibrahim o di Ayman Nur, per paura di disturbare il manovratore. Un guaio vero, tanto che Khamenei dall’Iran fa sapere come se non lo sapessimo, che questa rivoluzione gli piace moltissimo.

    Il commento L’intifada di Baradei? Nemica dell’Occidente - Esteri - ilGiornale.it del 30-01-2011


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    L’Occidente rimpiangerà Mubarak


    di Gian Micalessin

    Il popolo in piazza e gli Stati Uniti ora hanno fretta di liberarsi di lui. Ma il leader egiziano poteva scappare con il tesoro come Ben Ali. Invece ha tentato di offrire una transizione verso la democrazia, mantenendo la stabilità del Medio Oriente


    Fidatevi lo rimpiangeremo. E non solo noi, ma anche molti egiziani accampati a piazza Tahrir. E lo rimpiangerà quel Barack Obama che oggi ha tanta fretta di liberarsi di lui. Non siamo degli ammiratori di Hosni Mubarak. Quando al Cairo ancora non si muoveva foglia già elencavamo limiti e difetti di un’autocrazia corrotta, irrispettosa dei diritti umani e poco attenta ai rivolgimenti politico sociali che stavano per travolgerla. Ma di fronte al caos, alla confusione e al fanatismo che minaccia di rimpiazzarla è doveroso rendere onore e merito a Hosni Mubarak. Ha 82 anni, è sofferente e malato, ma può contare su una fortuna valutata intorno ai 40 miliardi di dollari. Dunque chi glielo fa fare. Potrebbe andarsene all’estero, fuggire con i sacchi pieni di soldi e la famigliola al seguito come il compare tunisino Ben Alì. Togliendo il disturbo in tutta fretta - come consiglia Obama- potrebbe patteggiare un dorato esilio non nella torrida Arabia Saudita, ma nelle magioni di famiglia disseminate tra Londra e Beverly Hills. Invece il faraone non molla. Resta ad occuparsi del Paese governato per quasi trent’anni. Resta ben consapevole che in Egitto, come in tutto Medioriente, la caparbietà può costarti non solo potere e ricchezza, ma la vita. Ha visto Saddam morire impiccato, ma resta per garantire una transizione pacifica. Per dare il tempo a quelli che oggi lo vorrebbero appeso per i piedi di mostrarci il «nuovo» nascosto sotto le nebbie di piazza Tahrir. Per comprendere con calma chi ne siano i protagonisti. Per evitare le derive di tipo iracheno evocate dai sanguinosi scontri di ieri al Cairo. Per consentire a tutti, anche a noi stranieri,d’individuare un alternativa al fanatismo dei Fratelli Musulmani e all’inconsistenza di Mohammed El Baradei. In fondo quel grigio burocrate onusiano sempre pronto a flirtare con Teheran è stato incaricato di negoziare per conto dell’opposizione. Dunque lo faccia, discuta con il proprio avversario, dimostri di esser in grado di offrire un alternativa più accettabile. Certo trattare con chi conosce il Paese e da trent’anni ne garantisce la stabilità non è facile. Si rischia di venir smentiti, sbugiardati. E allora ecco l’evocazione di un Faraone prontoda qui alle elezioni di settembre - a ribaltare il tavolo e riprendere l’eterno gioco. Balle. Quel gioco s’è definitivamente chiuso sabato quando il capo dei servizi segreti - generale Omar Suleiman gli ha imposto di non ricandidarsi, di rinunciare a passare lo scettro al figlio Gamal e di consegnargli la carica di vice presidente. Indietro non si torna. Per farlo Mubarak dovrebbe sfidare non solo la piazza,ma anche quell’esercito da cui dipende ora la sua sopravvivenza fisica. E soprattutto dovrebbe temere i dossier segreti di Suleiman. Per questo un ultimo guizzo del Faraone non è solo improbabile, ma impensabile. Giustificato è invece il suo desiderio di venir ricordato non come un mariuolo in fuga, ma come un leader di lungo corso. Molti lo chiamano il Faraone grigio, contrappongono il suo volto arcigno al carisma di Sadat e di Nasser. Ma sulle coscienze di quei due illustri predecessori pesavano due guerre con Israele costate all’Egitto 10mila morti nel 1967 e quasi 15mila nel 1973. Sadat fece la pace, ma chi la difese mettendo in gioco la propria vita, rischiando perdite di consenso e sfidando gli altri sovrani mediorientali è sempre stato il «grigio» faraone. Un Faraone spietato nel reprimere la rivolta fondamentalista, ma lungimirante nell’intravvedere i rischi di un movimento terrorista dalle cui fila stava emergendo il numero due di Al Qaida Ayman Al Zawahiri. Mentre il mondo sonnecchiava nell’inconsapevole attesa dell’11 settembre Hosni era già lì con il coltello tra i denti. E anche quando gli sarebbe convenuto, in cambio di consensi e senile tranquillità, ignorare le armi e i soldi iraniani in transito dal Sinai verso la Gaza di Hamas, il vecchio Faraone non ha mollato. Ha rispettato i propri impegni, i patti con Israele, le intese con l’America.Ora c’è da chiedersi se quelli che lo vorrebbero già lontano saranno in grado di fare lo stesso. Se saranno in grado di offrirci un Egitto ancora in pace con Israele e sempre aperto all’Occidente. Se continueranno a garantire la difesa dei cristiani copti e i transiti di merci e petrolio dal Canale di Suez. Se questo è quanto vogliono, un Mubarak senza carri armati e senza generali è il più innocuo dei loro mali. Se invece vogliono qualcos’altro, quel Mubarak «disarmato» sarà il miglior tutore della futura democrazia. Perché nessuno in Egitto conosce meglio di lui avversari e nemici.

    L’Occidente rimpiangerà Mubarak - Esteri - ilGiornale.it del 03-02-2011


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    EGITTO: KHAMENEI, RISVEGLIO ISLAMICO ISPIRATO A RIVOLUZIONE IRAN '79



    (ASCA-AFP) - Teheran, 4 feb - L'ondata di rivolte che sta attraversando diversi Paesi arabi, come l'Egitto, e' un segno del ''risveglio islamico'' ispirato alla rivoluzione iraniana del 1979. Lo ha dichiarato il leader supremo iraniano, l'ayatollah Ali Khamenei, nel corso della preghiera musulmana del venerdi'.

    ''Gli sviluppi in Nord Africa, Egitto e Tunisia e in altri Paesi assumono un significato nuovo per noi'', ha spiegato Khamenei.

    ''E' cio' di cui abbiamo parlato molto. Ovvero quel risveglio islamico e' ispirato alla rivoluzione della grande nazione iraniana la cui immagine si sta mostrando a tutti'', ha detto.

    EGITTO KHAMENEI RISVEGLIO ISLAMICO ISPIRATO A RIVOLUZIONE IRAN 79 - Agenzia di stampa Asca


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    COSA ACCADDE DAVVERO ALLO SCIA’ DELL’IRAN


    DI WILLIAM ENGDAHL


    “Nel novembre del 1978, il Presidente Carter nominò George Ball del Bilderberg Group , un altro membro della Commissione Trilaterale , a capo di una speciale unità operativa iraniana della Casa Bianca sotto Brzezinski, Consigliere per la Sicurezza Nazionale.

    Ball caldeggiò l’abbandono di Washington del sostegno allo Scià iraniano a favore dell’appoggio all’opposizione fondamentalista islamica dell’Ayatollah Khomeini. Robert Bowie della CIA fu uno dei principali “funzionari incaricati” nel nuovo colpo guidato dalla CIA contro l’uomo che 25 anni prima proprio le loro trame nascoste avevano messo al potere.


    Il loro piano si basava su un dettagliato studio del fenomeno del fondamentalismo islamico, così come era stato presentato dall’esperto inglese dell’Islam Dott. Bernard Lewis, allora assegnatario di un incarico all’Università di Princeton, negli Stati Uniti. Il progetto di Lewis, reso noto durante l’incontro del Bilderberg Group nel maggio del 1979 in Austria, appoggiava il movimento radicale Fratellanza Mussulmana alle spalle di Khomeini, con l’intento di promuovere la balcanizzazione dell’intero Vicino Oriente mussulmano lungo linee tribali e religiose. Lewis sosteneva che l’Occidente dovesse incoraggiare gruppi indipendenti come i Curdi, gli Armeni, i Maroniti libanesi, i Copti etiopi, i Turchi dell’Azerbaijan, eccetera eccetera. Il disordine sarebbe sfociato in quello che egli definiva un “Arco di Crisi”, che si sarebbe diffuso nelle regioni mussulmane dell’Unione Sovietica.
    Il colpo contro lo Scià, come quello del 1953 contro Mossadegh , fu pilotato dai servizi segreti inglesi e americani, con il pomposo Brzezinski che si prese il merito pubblico per la liberazione dallo Scià “corrotto”, mentre gli inglesi, tipicamente, rimasero al sicuro in posizione defilata.

    Durante il 1978 erano in corso negoziati tra il governo dello Scià e la società British Petroleum per il rinnovo dell’accordo stipulato 25 anni prima sull’estrazione del petrolio. Nell’ottobre dello stesso anno le trattative furono mandate a monte per un’ “offerta” degli inglesi, che chiedevano diritti esclusivi sulle future esportazioni del petrolio iraniano rifiutandosi di garantirne l’acquisto. La dipendenza dell‘esportazione controllata dagli inglesi pareva giunta al termine, e l’Iran sembrava vicino all’indipendenza nella sua politica di vendita del petrolio per la prima volta dal 1953, con impazienti potenziali compratori in Germania, Francia, Giappone e altri paesi. In un editoriale di quel settembre, la testata iraniana Kayhan international scrisse:

    Guardando al passato, la società venticinquennale con il consorzio [ British Petroleum], e il rapporto cinquantennale con la British Petroleum che l’ ha preceduta, non sono stati soddisfacenti per l’Iran…D’ora in avanti, la NIOC [National Iranian Oil Company, Compagnia Petrolifera Nazionale Iraniana] dovrebbe fare in modo di gestire tutte le operazioni per conto proprio. (1)


    Londra stava ricattando il governo dello Scià, e lo sottoponeva ad enormi pressioni economiche rifiutandosi di acquistare tutta la produzione petrolifera iraniana, comprando cioè soltanto circa 3 milioni di barili al giorno invece degli almeno cinque milioni di barili pattuiti. La cosa inflisse all’Iran drastiche ripercussioni sugli introiti, che favorirono un contesto in cui il malcontento religioso contro lo Scià poté essere ravvivato da agitatori appositamente addestrati, schierati dai servizi segreti inglesi e statunitensi. Inoltre, in questo frangente critico, ci furono scioperi tra i lavoratori del petrolio che ne paralizzarono la produzione.

    Mentre i problemi economici interni dell’Iran crescevano, i consiglieri americani per la “sicurezza” della Savak, la polizia segreta dello Scià, attuarono in modo calcolato una politica di repressione ancora più brutale, per aumentare al massimo l’antipatia popolare verso lo Scià. Nello stesso momento il governo Carter cominciò cinicamente a protestare contro gli abusi dei “diritti umani” sotto lo Scià.

    La British Petroleum, stando a quello che si dice, cominciò ad organizzare fughe di capitali fuori dall’Iran, per mezzo della sua considerevole influenza sul mondo finanziario e bancario iraniano. Le trasmissioni in lingua persiana della BBC, con dozzine di corrispondenti madrelingua inviati fin nel più piccolo villaggio, sollecitarono l’isteria collettiva contro lo Scià. Durante questo periodo La BBC diede all’Ayatollah Khomeini pieno appoggio propagandistico all’interno del paese. Questa organizzazione di emittenti radiotelevisive, di proprietà del governo inglese, si rifiutò di dare al governo dello Scià la stessa possibilità per poter ribattere. Ripetuti appelli personali dello Scià alla BBC non diedero alcun risultato. I servizi segreti anglo-americani si impegnarono in modo esplicito per rovesciare il suo governo. Lo Scià fuggì in Gennaio, e già dal febbraio del ’79 Khomeini era volato a Teheran per proclamare l’instaurazione del suo regime teocratico e repressivo in sostituzione del governo precedente.

    Riflettendo sulla sua caduta qualche mese dopo, poco prima della sua morte, lo Scià in esilio osservò:

    Allora non lo sapevo –o forse non volevo saperlo- ma ora mi è chiaro che gli Americani volevano estromettermi. E’ chiaramente questo ciò che i sostenitori dei diritti umani del Dipartimento di Stato volevano…che idea dovevo farmi sulla decisione improvvisa del Governo di chiamare l’ex sotto segretario di Stato George Ball alla Casa Bianca come consigliere sull’Iran?... Ball era tra quegli americani che volevano abbandonare me e, alla fine, il mio paese .

    Con la caduta dello Scià e l’ascesa al potere dei seguaci fanatici di Khomeini in Iran si scatenò il caos. Al maggio del 1979, il nuovo governo Khomeini aveva stabilito i piani di sviluppo per l’energia nucleare del paese, e annunciato la cancellazione dell’intero programma per la costruzione del reattore nucleare francese e tedesco.

    Le esportazioni di petrolio dell’Iran, circa 3 milioni di barili giornalieri, furono repentinamente bloccate. Stranamente, anche la produzione dell’Arabia Saudita in quei giorni critici del gennaio 1979 fu ridotta a circa 2 milioni di barili al giorno. In aggiunta alle pressioni sull’approvvigionamento mondiale, la British Petroleum proclamò lo stato di necessità e cancellò i contratti principali di fornitura del petrolio. Di conseguenza, all’inizio del 1979, i prezzi nel mercato di Rotterdam salirono alle stelle, fortemente influenzati dalla British Petroleum e dalla Royal Dutch Shell, le maggiori compagnie commercianti in petrolio. Il secondo “shock” petrolifero degli anni ’70 era in pieno svolgimento.

    Gli indizi dicono che gli effettivi ideatori del colpo di stato di Khomeini, a Londra e tra i ranghi più alti delle organizzazioni liberali statunitensi, decisero di tenere il Presidente Carter del tutto all’oscuro di questa politica e dei suoi scopi ultimi. La crisi energetica che in seguito colpì gli Stati Uniti fu uno dei principali fattori che determinò la sconfitta di Carter un anno dopo.

    Non ci fu mai una reale diminuzione nell’approvvigionamento mondiale di petrolio. Le effettive capacità produttive dell’Arabia Saudita e del Kuwait avrebbero potuto fronteggiare in qualunque momento la temporanea caduta di produzione di 5-6 milioni di barili giornalieri, come confermò mesi dopo un’inchiesta congressuale statunitense condotta dal General Accounting Office (Ufficio della Contabilità Generale).

    Le scorte petrolifere insolitamente basse delle multinazionali petrolifere costituenti le Sette Sorelle contribuirono a generare un’enorme crisi del prezzo del petrolio, con un costo per il greggio che crebbe sul mercato da circa 14 dollari al barile del 1978 alla cifra astronomica di 40 dollari al barile per alcune qualità di greggio.
    Lunghe code ai distributori di benzina in tutti gli Stati Uniti contribuirono a creare un generale senso di panico, e il segretario all’energia ed ex direttore della CIA, James R. Schlesinger, non aiutò a calmare le acque quando disse al Congresso e ai media nel febbraio del 1979 che la caduta della produzione del petrolio iraniano era “probabilmente più grave” dell’imbargo petrolifero arabo del 1973. (2)

    La politica estera della Commissione Trilaterale del governo Carter fece in modo inoltre che fosse gettato al vento ogni sforzo europeo della Germania e della Francia per sviluppare accordi commerciali e relazioni economiche e diplomatiche con il loro vicino sovietico, sotto la protezione della distensione e dei vari accordi economici sovietico-europei sull’energia.

    Il Consigliere per la Sicurezza di Carter, Zbigniew Brzezinski, e il Segretario di Stato, Cyrus Vance, perfezionarono la loro politica dell’ “Arco di Crisi”, diffondendo i disordini della rivoluzione iraniana lungo tutto il perimetro intorno all’Unione Sovietica. Per tutto il perimetro islamico dal Pakistan all’Iran, le iniziative statunitensi provocarono instabilità o qualcosa di peggio”.

    ComeDonChisciotte - COSA ACCADDE DAVVERO ALLO SCIA’ DELL’IRAN


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