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  1. #121
    Bushidō
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    Predefinito Rif: Rivolta in Nordafrica...e forse Medioriente

    LIBIA E IMMIGRATI: NAPOLI (PDL), RITIRO BASI E VETO A TUTTI DOSSIER DEL CONSIGLIO EUROPEO


    (ASCA) - Roma, 29 mar - La risposta italiana all'assenza dell'Unione europea nella vicenda profughi potrebbe essere il veto su tutti i dossier aperti in seno al Consiglio europeo.

    Lo suggerisce con un comunicato Osvaldo Napoli, vice presidente dei deputati del Pdl.

    ''Il ritiro della disponibilita' delle basi militari per le forze della coalizione nel caso persista un atteggiamento di esclusione nei confronti dell'Italia e' - sostiene Napoli - un passo a mio giudizio doveroso e obbligato. Non voglio apparire un ultranazionalista, ma il rispetto e la tutela dei legittimi interessi italiani non tollera piu' esitazioni.

    Dovrebbero saperlo anche coloro che dall'opposizione ogni giorno invocano il riscatto della dignita' nazionale. Al governo italiano e ai ministri interessati
    - continua Napoli - suggerisco di porre il veto su tutti i dossier aperti finche' l'Europa non si sara' fatta carico, come e' suo dovere, del problema dei clandestini e avra' contribuito ad attivare una rete europea di accoglienza''.

  2. #122
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    Predefinito Rif: Rivolta in Nordafrica...e forse Medioriente

    LIBIA: TENSIONI AL CONFINE CON TUNISIA, SCONTRI CON ISLAMICI SU RIFUGIATI = TENTATIVO DI IMPORRE LA SHARIA NEL CAMPO DI CHOUCHA, SI RIBELLANO I CITTADINI DI BENGUERDANE.

    Tripoli, 1 apr. - (Aki) - È tesa la situazione a Ras Jdir, villaggio di frontiera al confine tra Libia e Tunisia, oltre 500 chilometri a sud-est di Tunisi. A creare una situazione di allarme non sono tanto i migiaia di libici che fuggono dal loro Paese in guerra, ma piuttosto la rabbia degli abitanti di Benguerdane, città situata a 35 chilometri dal confine, contro un gruppo di islamici che stanno cercando di imporre la Sharia usando come copertura la solidarietà con i rifugiati. Nel campo di Choucha, che ospita circa novemila rifugiati libici secondo dati di ong francesi, musulmani radicali stanno imponendo regole islamiche e questo non sta bene ai cittadini tunisini. In sostanza, nel campo è stata chiesta la riduzione al minimo delle donne volontarie e l'obbligo per loro di coprirsi le braccia e di non sciogliersi i capelli. Ma non tutti accettanno di sottostare a queste regole. E mentre continuano ad affluire profughi libici a Ras Jdir, oltre un centinaio di persone armate di bastoni di ferro, manici di scopa e rami di ulivo si sono dirette verso un accampamento guidato da islamici situato all'interno del posto di frontiera. Come si legge in un reportage di el-Watan, i manifestanti hanno scandito slogan anti-islamici e lanciato minacce contro di loro. «Non vogliamo questi barbuti in città. Rifiutiamo le loro leggi. Se ne devono andare da qui», ha detto un uomo di 60 anni, furioso. Sentendo il parere della gente del posto, gli islamici hanno firmato la loro «condanna a morte», dichiara un militare. «Hanno impedito ai libici di venire a comprare la pasta e di vendere il combustibile. Con quale diritto? Sanno molto bene che la popolazione di Benguerdane sopravvive grazie al commercio con i libici. Cosa vogliono? Vederci morire di fame?», urla un uomo di 30 anni. «Hanno creato uno Stato dentro lo Stato e le autorità non fanno nulla», aggiunge un altro. «Ogni giorno si incontrano in moschea e impediscono che uomini e donne viaggino insieme sui mezzi pubblici. Inoltre hanno chiesto ai presidi dei licei di evitare la promiscuità dei sessi», prosegue. Intanto gli islamici ribattono che «non ci possono dire di andarcene. Non sono il ministero degli Interni». La tensione al confine tra Libia e Tunisia ha imposto l'intervento dei militari, soprattutto dopo che l'incendio scoppiato in una tenda è stato riconosciuto come un atto intimidatorio e non un incidente. Ma l'esercito dice che «non si può far niente. Partecipiamo agli sforzi per fornire assistenza ai rifugiati, ma quando questi non ci saranno più il problema rimarrà perché la popolazione non accetta» gli islamici, spiega un colonnello dell'esercito. (Brt/AKI) 01-APR-11 12:10
    Ultima modifica di carlomartello; 03-04-11 alle 04:28

  3. #123
    Bushidō
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    Predefinito Rif: Rivolta in Nordafrica...e forse Medioriente

    Un gioco delle parti tra Sarkozy e Obama? Chi ci rimette è l'Italia


    di Marcello Foa


    Nicolas Sarkozy è una risorsa per la Francia e una speranza per l’Europa: sta diventando un problema, per tutti. Dal Dopoguerra ad oggi più volte sono sorti problemi e inimicizie tra leader di diversi Paesi, quasi sempre per eccesso di personalità. Margaret Thatcher portò più di un capo di governo sull’orlo dell’esaurimento nervoso, Helmut Schmidt e Helmut Kohl erano negoziatori implacabili, e gli stessi francesi hanno segnato più di una pagina con le alzate di Charles De Gaulle, Valéry Giscard d’Estaing, François Mitterrand, persino Jacques Chirac.

    Nessuno, però, può essere paragonato a Sarkozy per la totale insensibilità alle ragioni altrui e l’incredibile superbia con cui rifiuta di accettare le sconfitte.

    Nelle ultime settimane ha provocato tutti: la cancelliera tedesca Angela Merkel, incrinando, come mai prima d’ora, l’asse franco-tedesco; Silvio Berlusconi, a dispetto di un rapporto fino a ieri ritenuto da entrambi privilegiato; l’inglese David Cameron, usato come uno yo-yo, nonché tutti i leader dei Paesi nordici. Ovunque passi, Sarkozy lascia macerie. Anche in casa. Date un’occhiata ai sondaggi: Sarko è straordinariamente impopolare e nemmeno la guerra in Libia è servita a farlo risalire, a conferma che la sfiducia dei francesi non è ciclica, come capita a ogni politico, ma consolidata. Giudicano il politico, ma diffidano innanzitutto dell’uomo, che ha dimostrato di non avere le doti di equilibrio, regalità e saggezza che il Paese richiede da sempre al presidente della République.
    Lo psicologo Pascal De Sutter aveva avvertito gli elettori, in un celebre libro del 2007: Sarkozy è un uomo tormentato, collerico, poco padrone di sè, eppure straordinariamente egocentrico, ambizioso e dominante. Personalità complessa, la sua, caratterizzata da un narcisimo compensatorio e dal bisogno di riconoscimento che lo porta a cercare sempre la rivincita, scaricando sugli altri le proprie colpe.

    In queste ore Sarkozy continua a incassare sconfitte: ha dovuto cedere alla Nato il comando delle operazioni militari in Libia, come richiesto da Berlusconi e da altri leader europei, ha dovuto subire la reprimenda sia del segretario generale del Patto Atlantico che della stessa Merkel. Eppure continua ad essere persuaso che siano gli altri a sbagliare e non rinuncia alla sua aggressiva supponenza.
    Il problema psicologico è evidente, eppure potrebbe esserci dell’altro. Sappiamo che Sarkozy ha trascinato il mondo in questa guerra non tanto per ragioni umanitarie, quanto per motivi politici, economici e di riposizionamento geostrategico nel Nord Africa. Una domanda, però, sorge spontanea: possibile che il mondo lo lasci fare e, soprattutto, che l’America si lasci relegare in secondo piano con tanta facilità? Come ha rivelato l’altro giorno Franco Bechis su Libero, Nouri Mesmari, uno dei fedelissimi di Gheddafi, l’ottobre scorso è fuggito a Parigi con la famiglia e sarebbe l’uomo che, con l’aiuto degli 007 francesi, ha fomentato e poi organizzato la rivolta in Cirenaica contro il Rais.

    É inverosimile che Washington non sapesse della defezione, né che non conoscesse le vere dinamiche della «spontanea» rivolta libica. Eppure ha lasciato fare. Perché? Ufficialmente Obama ha mostrato freddezza sull’operazione, lasciando intendere di essere stato trascinato controvoglia dall’Eliseo.

    Il sospetto è che in realtà sia un gioco della parti: Sarko fa l’interventista, Obama il moderato, che protesta. Ma non lo ferma. Pensateci: se gli Usa fossero stati davvero contrari non avrebbero mai permesso che si giungesse a questo punto. Lasciano fare, forse perché il finale è già scritto: spartizione dell’energia e del gas libici. Con un solo grande perdente: l’Eni. E con l’Eni, l’Italia.
    Un gioco delle parti tra Sarkozy e Obama? Chi ci rimette è l'Italia - Libia - ilGiornale.it del 26-03-2011

  4. #124
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    Predefinito Rif: Rivolta in Nordafrica...e forse Medioriente

    Marcello Foa e' sempre piu' lucido. Non e' trascurabile il ruolo degli Usa come altri hanno voluo far credere. Ieri comunque i ribelli in difficolta' hanno chiesto una tregua al rais di Tripoli, la risposta e' arrivata dalla figlia del rais Aisha fotografata sopra un carroarmato in procinto di avanzare ad est, mentre in Francia Jeanmarie Le Pen ha accusato Sarkozy di aver premeditato questa guerra, la stessa tesi di Bechis su Libero.
    A rimetterci l'Italia, ormai spinta a tutti gli effetti nella famigerata coalizione dei volenterosi a servizio di Usa, Francia e Inghilterra.
    Ultima modifica di carlomartello; 13-05-11 alle 17:58

  5. #125
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    Predefinito Rif: Rivolta in Nordafrica...e forse Medioriente



    Politica estera e elezioni

    L'Italia ha il dovere di dire a Obama che la sua politica mediterranea è sbagliata


    di Daniela Coli


    Dopo la vittoria di De Magistris e di Pisapia, entrambi non provenienti dal Pd, si discute degli errori della destra. Inutile negare il peso della campagna condotta per due anni da Repubblica e Corriere contro Berlusconi e, soprattutto, della guerra di Libia, uno stato sovrano con cui l’Italia aveva un trattato, ratificato dal Parlamento, stracciato dopo una telefonata del premio Nobel per la pace Barack Obama. L’Italia si è allineata ed è andata con la Nato a bombardare la Libia, un paese amico alla cui storia siamo legati e con cui da 40 anni abbiamo sempre avuto buoni rapporti, che non aveva attaccato alcun vicino, né nazioni della Nato, né gli Stati Uniti. La Libia, non le feste di Berlusconi, ha giocato sull’astensione dell’elettorato della destra e della Lega, elettorati esigenti. Se avessi dovuto votare a Milano, avrei avuto difficoltà ad andare a votare Pdl, e non perché la Moratti sia diventata antipatica all’improvviso. Non m’interessa affatto cosa fanno i politici a letto, né mi va che un magistrato possa intercettare i miei amici per sapere cosa facciamo quando ci vediamo e vorrei essere rassicurata dal Presidente della Repubblica di vivere in Italia e non nell’ex-Ddr. M’interessa invece la politica estera del mio paese e per questo non sarei andata a votare a Milano. Per questo, nella riflessione in corso nel Pdl, la priorità deve essere data alla politica estera.

    La Libia in primo luogo, e non soltanto perché le nostre imprese perderanno contratti e nuove ondate di migranti sbarcheranno a Lampedusa. Siamo di fronte al possibile sfaldamento della politica americana in Medioriente, che include – è inutile negarlo – il futuro di Israele. Da riviste e giornali inglesi e americani emerge che Obama non controlla le rivolte arabe. Secondo Foreign Policy, un sondaggio accurato mostra che oggi Obama non potrebbe tornare al Cairo a fare il discorso di due anni fa, perché l’antiamericanismo è aumentato, né, aggiungiamo, sarebbe accolto a braccia aperte a Gerusalemme, dopo la riapertura del valico di Rafah con Gaza che pone qualche ansia a Israele. Anche se Israele è riuscita ad allacciare rapporti con alcuni paesi arabi vicini ed è in grado di stabilire altre alleanze – Israele ha cambiato alleati nella sua storia – Obama ha incrinato l’amicizia col più fedele alleato in Medioriente. Soprattutto ha dimostrato di essere pronto a scaricare i propri alleati per fare business con la retorica dei diritti umani. In questo contesto, bisognerebbe cominciare a interrogarsi se la Nato, dopo la fine della guerra fredda, abbia ancora un senso o non sia diventata un’alleanza che ci vincola in tutte le avventure della Casa Bianca.

    Proclamando enfaticamente la fine dello status quo nei paesi arabi per fare business, Obama ha preso realisticamente conto che né le vecchie potenze coloniali come Inghilterra e Francia, né gli Stati Uniti, possono più colmare il vuoto dell’ex-impero ottomano e si è messo a fare il papa dalla Cnn, scomunicando questo o quel leader per ingraziarsi i nuovi dirigenti e fare affari con loro, nella speranza di arginare la crisi americana. Fin dall’Egitto, Obama ha tentato di cavalcare il legittimo desiderio di autodeterminazione dei popoli arabi, ma non è detto che gli arabi preferiranno fare affari con gli States o con un’Europa allineata agli Stati Uniti e non invece con i paesi del Bric, ai quali possono sentirsi più vicini ideologicamente perché non alleati dell’America.

    Per questo, un’Europa a rimorchio di un impero in declino avrebbe dovuto riflettere prima di mettersi a bombardare la Libia, dove era in corso una delle tradizionali rivolte tribali della Cirenaica e,come ha dichiarato l’Onu, crimini sono stati commessi da entrambe le parte. Gian Enrico Rusconi ha parlato sulla Stampa di un’America al tramonto e di un’Europa irrigidita, burocratica, sentita come un peso dagli europei, dove ogni paese va per conto suo, un’Europa diventata il partner accondiscendente di un impero in crisi, quando sono in gioco questioni internazionali per le quali è necessario anche l'uso della forza. Oggi gli europei stanno rischiando di perdere il Mediterraneo, l’unica zona d’influenza rimasta all’Europa, una zona che perderà se si allineerà agli americani in un area, quella araba, sempre più antiamericana anche dopo le rivolte, come scrive Foreign Policy. Quanto agli imprenditori che Obama ha detto col solito tono da Messia di voler aiutare ( ed è venuto a battere cassa al G8 in Francia, perché gli States sono al verde), l’Egitto ha già una serie di imprenditori, come il miliardario Naguib Sawiris, con le proprie rete di interlocutori: non ha bisogno di farsi dare lezioni da un Occidente in declino e potrebbe preferire la Cina, presente nei paesi arabi e in Africa. La rivolta egiziana è nata da motivi inerenti alla successione di Mubarak e anche se qualche agente del MI6, della Cia e qualche orientalista francese hanno avuto contatti con piazza Tahrir, la “rivolta” è made in Egypt.

    Obama è un concentrato di Jimmy Carter e John Fitzgerald Kennedy: Carter perse l’Iran chiedendo allo Scià di andarsene, Kennedy ordinò la Baia dei Porci e iniziò la guerra del Vietnam, la prima grande sconfitta americana, da cui gli States uscirono senza più riserve auree. Gli oppositori iraniani di Ahmadinejad vorrebbero cambiare governo, ma, come dicono, non vogliono americani d’intorno.

    Tutte le monarchie arabe si sono alleate contro le rivolte, con in testa l’Arabia Saudita, compreso il Bahrain, base della Quinta Flotta, sulle cui repressioni Obama e la Clinton hanno sempre chiuso gli occhi. Quando Obama il 25 maggio ha chiesto al presidente dello Yemen di andarsene, lui si è limitato a rispondere “non prendo ordini da stranieri”. Ora il presidente dello Yemen è dato per morto, in Yemen si spara e il NYT affaccia l’ipotesi di una presenza di al Qaeda tra i ribelli. Il fantasma di Osama bin Laden alleggia sull’Arabia Saudita. Come è noto, quando Saddam Hussein invase il Kuwait, Osama chiese alla famiglia reale saudita il permesso di liberare il Kuwait col suo piccolo esercito e di non permettere agli occidentali di mettere piede sul suolo arabo. Osama non perdonò mai ai reali sauditi di avere permesso l’ingresso di eserciti stranieri, fu la rottura da cui nacque il 9/11, la decisione di combattere gli americani come aveva fatto con i sovietici.

    La strategia di al Qaeda, che non è un’organizzazione gerarchica come le BR, ma il simbolo di qualcosa di diverso, è cambiata negli ultimi mesi: è diventata forza insorgente: la base navale di Karachi è stata tenuta in scacco per molte ore da due talibans ( in arabo, “studenti”), uccidendo e danneggiando materiale bellico: la base di Karachi è importante anche per gli apparati nucleari. La facilità con cui sono penetrati nella base ha stupito e il giornalista Saleem Shahzad, ucciso alla fine di maggio, aveva rivelato su Asiaonline la presenza di un nucleo di al Qaeda nella Marina pachistana e forse anche nell’apparato nucleare pachistano. Shahzad, come ha detto la Bbc, amava giocare col fuoco: s’infiltrava tra i talibans e poi rivelava i loro piani su Asiaonline. Non c’è da stupirsi che nell’esercito pachistano vi siano simpatie per i talibans, o anche qualcosa di più di simpatie, come nelle stesse “rivolte di primavera”: gli americani si comportano col Pakistan, come si comportavano nell’Egitto di Mubarak e in altri paesi arabi con leader filoamericani, violando continuamente la sua sovranità e non sono amati.

    Dopo Karachi, i talibans hanno attaccato due basi Nato ( una tedesca e una italiana) e una americana a Jalalabad, a nord di Kabul. Il 1° giugno circa duecento talibans hanno assediato una postazione di sicurezza dell’esercito pachistano a Shaltau, nel Pakistan nord occidentale, uccidendo parecchi soldati. Al Qaeda non è più sinonimo di uomini che si fanno esplodere per colpire un obiettivo, anche se continuano a usare questa tattica per uccisioni mirate, come per il generale Mohammad Daud Daud, comandante della polizia del nord Afghanistan. Ora, però, stanno adottando la strategia dei mujaheddin contro i sovietici, durante l’occupazione dell’Afghanistan nel 1979-1989: la guerriglia. I mujaheddin, tra i quali si distinse Osama bin Laden col suo piccolo ed efficiente esercito, combattevano il governo filosovietico afghano e i sovietici, che si dettero da fare per costruire scuole, strade, ospedali, scavare pozzi d’acqua, laicizzare il paese. L’Afghanistan fu però la tomba dell’impero sovietico. Gli americani e la Nato, andati in Afghanistan dopo il 9/11 per trovare Osama, hanno fatto come i sovietici. Hanno tentato di conquistare il “cuore”, come si dice col gergo della propaganda di guerra, con strade, ospedali, scuole, opere di modernizzazione, di creare un nuovo stato, con un governo amico e di costruire una polizia e un esercito afghano. Ma le rivolte di piazza dei civili contro gli americani e la Nato sono continue: gli afghani protestano contro i droni che bombardano civili: Obama ha drammaticamente aumentato l’impiego di droni. Con i bombardamenti e le deportazioni forzate della popolazione nelle zone ritenute basi taliban, gli americani hanno soltanto contribuito ad accrescere le file degli uomini del mullah Omar, che adesso stanno scatenando la guerriglia. Karzai fatica a contenere le proteste degli afghani contro la gente uccisa dai bombardamenti ed è giunto al punto di parlare di occupazione straniera dell’Afghanistan. Forse Karzai non vuole fare la fine di Mohammad Najibullah, il capo di governo lasciato dai sovietici dopo il ritiro e finito morto con i genitali in bocca, dopo l’ingresso a Kabul dei talibans.

    Pakistan si è nel frattempo riavvicinato alla Cina, con cui ha rapporti storici per la comune rivalità con l’India e ha affidato ai cinesi la costruzione della base navale di Gwadar sul Golfo Persico, di grande importanza strategica. Che la Cina stia per diventare una potenza militare se n’è accorto anche Bill Emmott, editorialista della Stampa, dopo aver lasciato la parrocchietta dell’Economist. Il 28 febbraio, con patriottismo tutto british ha salutato come una nuova alba le rivolte arabe e la risoluzione Onu contro la Libia. Ha descritto l’Egitto e la Tunisia ormai completamente occidentalizzate dalle tv satellitari e internet: evidentemente non sa quanto poco gli arabi, benché capaci di usare la tecnologia – anche fin troppo, come mostra il 9/11 ideato dall’ingegnere bin Laden – apprezzino i costumi occidentali, in particolare quelli sessuali. Se George W. Bush fu considerato matto quando lanciò la campagna per far tornare di moda la verginità tra le teen-ager americane, la Cnn informa ora preoccupata che le ragazze di piazza Tahrir furono sottoposte a visita ginecologica dal regime che ha sostituito Mubarak. Il funzionario della rivoluzione egiziana spiega alla Cnn che la misura fu presa per evitare che le ragazze accusassero i militari di averle violentate. Per noi occidentali a cui il ’68 ha portato la libertà sessuale in tutte le forme, significa che la violenza sessuale è considerata più grave per una vergine e ci pare brutale, per un egiziano significa, come per Bush, che la virginità ha valore e il sesso è legato al matrimonio. Possono sembrare stili di vita modificabili con la tv satellitare e internet se non ci fosse una civiltà secolare, per la quali gli arabi, quando possono permetterselo, apprezzano la poligamia, mentre noi preferiamo la poligamia monogamica di matrimoni e divorzi, con drammi, avvocati, divisioni patrimoniali e relativi problemi per i figli. Il fatto che gli arabi protestino contro i loro leader filoccidentali e vogliano regimi più rappresentativi delle loro identità, non significa affatto che vogliano diventare come noi. La Cina mostra come la modernità e il capitalismo non siano necessariamente legati al desiderio di un’identità occidentale. Il potere, come ha capito di recente anche Bill Emmott, è pluridimensionale e dovremmo accettare che ogni cultura abbia valori diversi, così come confini certi: una filosofia che gli Stati Uniti non riescono purtroppo ad accettare e desiderano omologare tutto il mondo all’America.

    L’Europa non dovrebbe seguire Obama in Libia senza fiatare, perché il presidente sta giocando un poker in Medioriente e in Nord Africa di cui non è affatto scontato l’esito e potrebbe addirittura portare nell’orbita del Bric questa importantissima parte del globo, lasciando il famoso effetto domino nelle fantasie americane, come è accaduto in Afghanistan e in Iraq. Essere alleati significa avere la responsabilità di dire agli americani che stanno sbagliando e la destra deve cominciare a farlo, perché la sinistra, tradizionalmente e scioccamente antiamericana perché anticapitalista, ora va dietro al Messia Obama solo perché sogna una piazza Tahrir a Roma in cui decapitare la feroce dittatura italiana, dove ha appena vinto le elezioni a Milano e Napoli.

    L’Italia deve far capire agli americani la trappola in cui si sono cacciati in Afganistan inseguendo bin Laden, il cui obiettivo era proprio attirarli in Afganistan e logorarli esattamente come fece con i sovietici. Come è noto, da tempo il Pentagono mugugna contro Obama, che aveva promesso di chiudere il conflitto. I generali americani usano una rivista come Rolling Stone per dire che sono stanchi di mandare a morire soldati per l’ambizione dei politici di Washington, per i quali contano solo le elezioni e i sondaggi. Ci sono anche i nostri soldati in Afghanistan, così come sono in Libano e come sono a bombardare Tripoli: la destra mugugna, è frustrata, vorrebbe fare sentire la voce dell’Italia. L’elettorato di destra non è facile, non perdona quando la posta in gioco è alta e si fa sentire. Può non andare a votare e anche perdere le elezioni, quando è in gioco il futuro dell’Italia e dell’Europa. Gli americani si lamentavano durante l’amministrazione Bush di essere odiati: per questo l’establishment ha scelto il nero Obama e ne ha fatto l’icona di un’America “buona”, che usa l’imperialismo dei diritti umani per fare business. Il 9/11 ha terrorizzato gli americani, ma per gli arabi ha rappresentato una svolta inimmaginabile. Dopo il 9/11 si diceva che niente sarebbe stato come prima. Appunto, niente è più come prima per gli arabi e le rivolte nascono anche dalla nuova percezione di se stessi, dall’orgoglio segreto di essere riusciti a colpire il cuore dell’America, trascinarla in Afghanistan e umiliarla. In Europa ogni paese ormai va per conto suo, preso dalle scadenze elettorali e dai problemi di casa. Berlusconi è rimasto incastrato dai problemi con la magistratura e da campagne calunniose e mai come ora l’Italia ha bisogno di un leader che faccia sentire la voce dell’Italia in campo internazionale. Come al solito la sinistra fa festa, inneggia alle “città liberate”, chiusa nei suoi miti, senza capire che il passato non torna mai e sogna il futuro trotzkista di Obama, che considera la democrazia una rivoluzione permanente globale. Non siamo negli anni Venti, né nel ’45, né nel 1989 e neppure nel ’94, né nel ’96. Siamo nel XXI secolo, non siamo più protetti dalla guerra fredda, siamo di fronte alla crisi dell’impero americano e allo sfaldamento della sua politica mediorientale e avremo bisogno di tutto il realismo politico di cui in Italia, purtroppo, soltanto la destra è capace.
    L'Italia ha il dovere di dire a Obama che la sua politica mediterranea è sbagliata | l'Occidentale

  6. #126
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  7. #127
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    Predefinito Rif: Rivolta in Nordafrica...e forse Medioriente



    Assad contro Hamas

    In difesa di Stato e Nazione dagli internazionalisti a cui sorride lo Zio Sam

    Fonti palestinesi hanno fatto sapere che il regime siriano avrebbe intimato ai leader di Hamas e della Jihad Islamica di lasciare immediatamente il territorio siriano. Lo riferisce il sito in lingua araba youm7.com che riporta fonti palestinesi attendibili.
    Hamas, difatti, insieme con i Fratelli Musulmani, sta giocando sporco; il loro internazionalismo ha nociuto e nuoce alla causa araba e a quella palestinese e sta accompagnamdo la rivoluzione del Sud-Mediterraneo.
    Assad contro Hamas

  8. #128
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    Predefinito Rif: Rivolta in Nordafrica...e forse Medioriente



    Erdogan come su South Stream delude, evidentemente vuole sostituirsi all'Iran nell'area spacciandosi per un mediatore credibile sia presso Washington che presso gli arabi, bisogna vedere quanto questo sia positivo o negativo. Comunque ai siriani resta la Federazione russa, Medvedev e' totalmente contrario alle sanzioni occidentali contro Damasco.
    Ultima modifica di Hagakure; 11-06-11 alle 15:42

 

 
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