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    Predefinito "Le misteriose radici del Tricolore d'Italia" (Belluno, 2 marzo 2011)

    "Le misteriose radici del Tricolore d'Italia"
    Mercoledì 2 marzo · 17.30 - 20.30
    Auditorium Comunale Belluno

    Conferenza all'Auditorium Comunale di Belluno, il prossimo 2 marzo alle ore 17.30. Relatore il prof. Renato Del Ponte, tema "Le misteriose radici del Tricolore d'Italia". Organizza la Lega Nazionale, in collaborazione con l'ANVGD, la la Dante Alighieri e l'Associazione Mazziniana Italiana, nell'ambito delle manifestazioni per il 150° dell'Unità d'Italia.

  2. #2
    de-elmettizzato.
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    Predefinito Rif: "Le misteriose radici del Tricolore d'Italia" (Belluno, 2 marzo 2011)

    Non escludo di farci un salto.
    Grazie per la segnalazione.
    Preferisco di no.

  3. #3
    in silenzio
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    Predefinito Rif: "Le misteriose radici del Tricolore d'Italia" (Belluno, 2 marzo 2011)



    se qualcuno riesce ad andare, scriva per cortesia una sintesi a commento
    di necessità virtù

  4. #4
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    Predefinito Rif: "Le misteriose radici del Tricolore d'Italia" (Belluno, 2 marzo 2011)

    Luci sul tricolore romano

    7 gennaio 2009 | Autore: Mario Enzo Migliori

    Il 7 gennaio (giorno dedicato Iano Patri) nel corrente anno [1997, ndr] è coinciso col bicentenario della bandiera italiana e molti e vari sono stati gli articoli e le ricostruzioni storiche del nostro tricolore nazionale. Non poteva mancare quello di Franco Cardini, storico (o, secondo l’opinione circolante, “tuttologo”) cattolico (tradizionalista?) apparso il 3.1.1997 sul quotidiano della C.E.I. “Avvenire” (p. 17) col significativo e ambiguo titolo: Ombre sul tricolore.

    Naturalmente il titolo dice chiaramente, sotto la parvenza dell’obiettività della ricostruzione storica, dove vuol mirare l’articolista. Il quale nell’adozione italica del “ghibellino” verde non esclude che “vi fosse una sottintesa polemica anticlericale”. Ciò non gli impedirà di annotare che “i tre colori della nostra bandiera sono (insieme con il violaceo e il nero) alla base della liturgia cattolica: e bianco, verde, rosso figurano fin dal medioevo come rispettivi simboli delle tre virtù cardinali: fede, speranza, carità”.

    Fortunatamente conclude che “ammantata di questi tre colori è la Beatrice che compare a Dante alla fine della cantica del Purgatorio: e questi erano i colori preferiti del secolo XV per le insegne e gli emblemi. Come si vede, il simbolo è per eccellenza polisemico e muta il valore a seconda delle istanze che stanno alla base della sua adozione e dei relativi contesti”.

    Proprio per le valenze polisemiche delle simbologie dei colori ci ha meravigliato il fatto che in tutti gli scritti apparsi in occasione del bicentenario del tricolore italiano, che abbiamo avuto occasione di leggere, ma anche nelle voci di dizionari o enciclopedie o in pubblicazioni vessillologiche, nessuno noti il collegamento che si potrebbe fare con i colori trifunzionali a Roma, dei quali parla più volte il Dumézil (1): essi guarda caso (ma il caso esiste?) sono il Bianco, il Rosso e il Verde.

    Ne L’ideologia tripartita degli Indoeuropei (2) il Dumézil così riassume la questione: “Un sistema completo a tre termini del simbolismo colorato s’incontra due volte nelle istituzioni romane. Il caso più interessante è quello dei colori delle fazioni del circo che assunsero grande importanza sotto l’impero e nella nuova Roma del Bosforo, ma che sono sicuramente anteriori all’impero e che gli studiosi di antichità romani collegarono del resto alle origini stesse di Romolo.”

    “Le speculazioni esplicative di questi antichisti sono molteplici e intrise di pseudo-filosofia e di astrologia, ma una di queste, conservata da Giovanni il Lido, De mens. IV, 30, si riferisce a delle realtà romane e afferma che questi colori, che sono quattro, in epoca storica erano inizialmente tre (albati, russati, virides) in rapporto non solo con le divinità Jupiter, Mars e Venus (quest’ultima solo apparentemente sostituita a Flora) i cui valori funzionali sono evidenti (sovranità, guerra, fecondità), ma anche con le tribù primitive dei Ramnes, Luceres e Titienses”.

    A questo proposito il Dumézil sottolinea di aver ricordato “che erano, nella leggenda delle origini, sia componenti etnici (Latini, Etruschi, Sabini) che funzionali (derivati da uomini sacri e governanti, da guerrieri professionisti e da ricchi pastori) e che in un altro passaggio (De magistrat. I, 47) Giovanni il Lido interpreta come paralleli alle tribù funzionali degli Egiziani e degli antichi Ateniesi”.

    Ma, tornando all’utilizzo di questo simbolismo trifunzionale dei colori da parte dei Romani, va ricordato che sembra essere stato ignorato dai Greci e che quindi non potevano averlo trasmesso loro (3).

    Tirando le somme, volenti o nolenti, possiamo affermare che nel tricolore italiano sventolano i colori trifunzionali indoeuropei e romani. Forse inconsapevolmente, ma realmente, il tricolore italiano costituisce la mirabile sintesi rappresentativa dell’unità nella diversificazione delle componenti sociali ed etniche, tradizionalmente intese, formatrici dell’Urbe e della nazione italica.

    Note

    (*) Articolo originariamente pubblicato in “Arthos”, a. I, n.s., n° 2, luglio – dicembre 1997, pp. 81-83.

    (1) Georges Dumézil, Rituels indo-européens à Rome, Paris 1954, pp. 45-61; Id., L’idèologie tripartite des Indo-Européens, Bruxelles 1958 (tr. it. L’ideologia tripartita degli Indo-Europei, Rimini 1988, pp. 43-45); Id., Idèes romaines, Paris 1969, II ed. 1979 (tr. it. Idee romane, Genova 1987, pp. 201-214); Id., Fêtes romaines d’été et d’automne, suivi de Dix questions romaines, Paris 1975 (tr. it. parz. Feste romane, Genova 1989, pp. 171-175).

    (2) Tr. cit., pp. 44-45.

    (3) Cfr. G. Dumézil, Idee romane, p. 214. Per completezza, riteniamo utile riportare, qui in nota, da p. 214: “L’aggiunta di un quarto carro e d’un quarto colore ai tre preesistenti può spiegarsi con quanto si conosce della storia di Roma: Roma stessa, dice la tradizione, è passata, alla fine della monarchia, da un sistema di tre tribù a un sistema di quattro (localmente distribuite). Dopo questa riforma, non era forse naturale che anche il numero dei carri, se era legato alle tribù, fosse aumentato di una unità? L’affermazione, invece, di Tertulliano (De spectaculis, IX, 5), per esempio, secondo la quale non c’erano primitivamente che due carri con due colori, a cui ne furono aggiunti altri due, non si regge su nessuna realtà romana identificabile, ma soltanto su una costruzione simbolica: i due colori fondamentali, il bianco e il rosso, avrebbero simbolizzato l’inverno e l’estate, ob nives candidas ob solis ruborem”. “Nello stesso ordine d’idee, a partire dal sistema a tre termini ‘bianco, rosso, verde’, è facilmente comprensibile che sia stato scelto l’azzurro quando fu necessario un quarto colore. Il verde e l’azzurro sono come due specificazioni d’una stessa impressione di colore che ci è difficile definire in francese, ma che il latino ben esprimeva caerul(e)us: prima ‘azzurro’, giacché Ennio scrive caeli caerula templa, e l’aggettivo è del resto derivato, per dissimilazione, da caelum, ma anche ‘verde’, poiché ancora Ennio parla dei caerula laetaque prata, e infine al tempo stesso ‘scuro’ o ‘nero’ poiché Virgilio e tanti poeti lo considerano un colore infernale che Servio, commentando Virgilio, rende sinonimo arcaico di niger e che un glossario precisa in niger cum splendore. L’antica tavolozza deve essere stata quindi rispettata al massimo, conformemente allo spirito conservatore della religione romana: il terzo colore deve essere stato, insomma, sdoppiato”.
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    Ultima modifica di Ivan; 23-02-11 alle 21:57

  5. #5
    in silenzio
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    Arrow Rif: "Le misteriose radici del Tricolore d'Italia" (Belluno, 2 marzo 2011)

    Citazione Originariamente Scritto da Ivan Visualizza Messaggio
    Luci sul tricolore romano

    7 gennaio 2009 | Autore: Mario Enzo Migliori

    Il 7 gennaio (giorno dedicato Iano Patri) nel corrente anno [1997, ndr] è coinciso col bicentenario della bandiera italiana e molti e vari sono stati gli articoli e le ricostruzioni storiche del nostro tricolore nazionale. Non poteva mancare quello di Franco Cardini, storico (o, secondo l’opinione circolante, “tuttologo”) cattolico (tradizionalista?) apparso il 3.1.1997 sul quotidiano della C.E.I. “Avvenire” (p. 17) col significativo e ambiguo titolo: Ombre sul tricolore.

    Naturalmente il titolo dice chiaramente, sotto la parvenza dell’obiettività della ricostruzione storica, dove vuol mirare l’articolista. Il quale nell’adozione italica del “ghibellino” verde non esclude che “vi fosse una sottintesa polemica anticlericale”. Ciò non gli impedirà di annotare che “i tre colori della nostra bandiera sono (insieme con il violaceo e il nero) alla base della liturgia cattolica: e bianco, verde, rosso figurano fin dal medioevo come rispettivi simboli delle tre virtù cardinali: fede, speranza, carità”.

    Fortunatamente conclude che “ammantata di questi tre colori è la Beatrice che compare a Dante alla fine della cantica del Purgatorio: e questi erano i colori preferiti del secolo XV per le insegne e gli emblemi. Come si vede, il simbolo è per eccellenza polisemico e muta il valore a seconda delle istanze che stanno alla base della sua adozione e dei relativi contesti”.

    Proprio per le valenze polisemiche delle simbologie dei colori ci ha meravigliato il fatto che in tutti gli scritti apparsi in occasione del bicentenario del tricolore italiano, che abbiamo avuto occasione di leggere, ma anche nelle voci di dizionari o enciclopedie o in pubblicazioni vessillologiche, nessuno noti il collegamento che si potrebbe fare con i colori trifunzionali a Roma, dei quali parla più volte il Dumézil (1): essi guarda caso (ma il caso esiste?) sono il Bianco, il Rosso e il Verde.

    Ne L’ideologia tripartita degli Indoeuropei (2) il Dumézil così riassume la questione: “Un sistema completo a tre termini del simbolismo colorato s’incontra due volte nelle istituzioni romane. Il caso più interessante è quello dei colori delle fazioni del circo che assunsero grande importanza sotto l’impero e nella nuova Roma del Bosforo, ma che sono sicuramente anteriori all’impero e che gli studiosi di antichità romani collegarono del resto alle origini stesse di Romolo.”

    “Le speculazioni esplicative di questi antichisti sono molteplici e intrise di pseudo-filosofia e di astrologia, ma una di queste, conservata da Giovanni il Lido, De mens. IV, 30, si riferisce a delle realtà romane e afferma che questi colori, che sono quattro, in epoca storica erano inizialmente tre (albati, russati, virides) in rapporto non solo con le divinità Jupiter, Mars e Venus (quest’ultima solo apparentemente sostituita a Flora) i cui valori funzionali sono evidenti (sovranità, guerra, fecondità), ma anche con le tribù primitive dei Ramnes, Luceres e Titienses”.

    A questo proposito il Dumézil sottolinea di aver ricordato “che erano, nella leggenda delle origini, sia componenti etnici (Latini, Etruschi, Sabini) che funzionali (derivati da uomini sacri e governanti, da guerrieri professionisti e da ricchi pastori) e che in un altro passaggio (De magistrat. I, 47) Giovanni il Lido interpreta come paralleli alle tribù funzionali degli Egiziani e degli antichi Ateniesi”.

    Ma, tornando all’utilizzo di questo simbolismo trifunzionale dei colori da parte dei Romani, va ricordato che sembra essere stato ignorato dai Greci e che quindi non potevano averlo trasmesso loro (3).

    Tirando le somme, volenti o nolenti, possiamo affermare che nel tricolore italiano sventolano i colori trifunzionali indoeuropei e romani. Forse inconsapevolmente, ma realmente, il tricolore italiano costituisce la mirabile sintesi rappresentativa dell’unità nella diversificazione delle componenti sociali ed etniche, tradizionalmente intese, formatrici dell’Urbe e della nazione italica.

    Note

    (*) Articolo originariamente pubblicato in “Arthos”, a. I, n.s., n° 2, luglio – dicembre 1997, pp. 81-83.

    (1) Georges Dumézil, Rituels indo-européens à Rome, Paris 1954, pp. 45-61; Id., L’idèologie tripartite des Indo-Européens, Bruxelles 1958 (tr. it. L’ideologia tripartita degli Indo-Europei, Rimini 1988, pp. 43-45); Id., Idèes romaines, Paris 1969, II ed. 1979 (tr. it. Idee romane, Genova 1987, pp. 201-214); Id., Fêtes romaines d’été et d’automne, suivi de Dix questions romaines, Paris 1975 (tr. it. parz. Feste romane, Genova 1989, pp. 171-175).

    (2) Tr. cit., pp. 44-45.

    (3) Cfr. G. Dumézil, Idee romane, p. 214. Per completezza, riteniamo utile riportare, qui in nota, da p. 214: “L’aggiunta di un quarto carro e d’un quarto colore ai tre preesistenti può spiegarsi con quanto si conosce della storia di Roma: Roma stessa, dice la tradizione, è passata, alla fine della monarchia, da un sistema di tre tribù a un sistema di quattro (localmente distribuite). Dopo questa riforma, non era forse naturale che anche il numero dei carri, se era legato alle tribù, fosse aumentato di una unità? L’affermazione, invece, di Tertulliano (De spectaculis, IX, 5), per esempio, secondo la quale non c’erano primitivamente che due carri con due colori, a cui ne furono aggiunti altri due, non si regge su nessuna realtà romana identificabile, ma soltanto su una costruzione simbolica: i due colori fondamentali, il bianco e il rosso, avrebbero simbolizzato l’inverno e l’estate, ob nives candidas ob solis ruborem”. “Nello stesso ordine d’idee, a partire dal sistema a tre termini ‘bianco, rosso, verde’, è facilmente comprensibile che sia stato scelto l’azzurro quando fu necessario un quarto colore. Il verde e l’azzurro sono come due specificazioni d’una stessa impressione di colore che ci è difficile definire in francese, ma che il latino ben esprimeva caerul(e)us: prima ‘azzurro’, giacché Ennio scrive caeli caerula templa, e l’aggettivo è del resto derivato, per dissimilazione, da caelum, ma anche ‘verde’, poiché ancora Ennio parla dei caerula laetaque prata, e infine al tempo stesso ‘scuro’ o ‘nero’ poiché Virgilio e tanti poeti lo considerano un colore infernale che Servio, commentando Virgilio, rende sinonimo arcaico di niger e che un glossario precisa in niger cum splendore. L’antica tavolozza deve essere stata quindi rispettata al massimo, conformemente allo spirito conservatore della religione romana: il terzo colore deve essere stato, insomma, sdoppiato”.
    Centro Studi La Runa

    Grazie per l'interessante contributo sulla componente emozionale della Bandiera Italiana.

    Resta aperto il problema del riconoscimento quando si usa il bianco & nero: graficamente è insulsa quanto il tricolore irlandese.

    Altra cosa la Bandiera del 1797 o la Bandiera sventolata durante il Risorgimento da monarchici e repubblicani italiani : una bandiera senza un elemento simbolico è di fatto illeggibile in modo ragionevole. Ognuno la carica dei suoi ricordi senza poterla storicizzare con una lettura ragionevolmente condivisibile.

    Verde Bianco Rosso sono i colori preferiti anche dei viscontei da Milano a Lucca; a Bologna i tradizionali Rosso Blu vennero - a inizio XV secolo, alternati al Verde per comunicare l'alleanza matrimoniale di Annibale I Bentivoglio & Donnina Visconti: poi l'uso continuò per la diffusa partecipazione bolognese al movimento poetico dei Fedeli d'Amore di matrice petrarchesca.

    Non so altrove, ma in Italia le scelte culturali prevalgono sugli altri fattori
    di necessità virtù

  6. #6
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    Predefinito Rif: "Le misteriose radici del Tricolore d'Italia" (Belluno, 2 marzo 2011)

    Citazione Originariamente Scritto da Ivan Visualizza Messaggio
    [B][COLOR="Red"]Fortunatamente conclude che “ammantata di questi tre colori è la Beatrice che compare a Dante alla fine della cantica del Purgatorio: e questi erano i colori preferiti del secolo XV per le insegne e gli emblemi. Come si vede, il simbolo è per eccellenza polisemico e muta il valore a seconda delle istanze che stanno alla base della sua adozione e dei relativi contesti”.
    Quindi non esclude nemmeno l'ispirazione Dantesca, come ha ricordato Benigni nella sua elegia dell'inno a Sanremo.
    Ferrara era comunista poi il comunismo è morto, allora è diventato Craxiano e Craxi è morto, poi è diventato Berlusconiano. PORTA SFIGA
    (brunik - 25/09/2011)

  7. #7
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    Predefinito Rif: "Le misteriose radici del Tricolore d'Italia" (Belluno, 2 marzo 2011)

    Citazione Originariamente Scritto da stefaboy Visualizza Messaggio
    Quindi non esclude nemmeno l'ispirazione Dantesca, come ha ricordato Benigni nella sua elegia dell'inno a Sanremo.
    M pare il contrario, dice che Dante si inserisce in un filone "cromatico" consolidato.

  8. #8
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    Predefinito Rif: "Le misteriose radici del Tricolore d'Italia" (Belluno, 2 marzo 2011)

    Citazione Originariamente Scritto da Manfr Visualizza Messaggio
    M pare il contrario, dice che Dante si inserisce in un filone "cromatico" consolidato.


    Sì, così pare.
    di necessità virtù

  9. #9
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    Predefinito Rif: "Le misteriose radici del Tricolore d'Italia" (Belluno, 2 marzo 2011)

    Certo che il tutto è esilarante.


    Il numero di toeire fantasiose che si tirano fuori per coprire la più banale e mortificante verità. Liturgie cattoliche...... Dante alighieri.....origini indo-europee, e qualsiasi puttanata (che il granduca Miles andrà anche ad ascoltare) per non sottolineare invece che il tricolore appare nel 1797 per la prima volta : guarda caso l'anno della venuta di Napoleone in Italia.

    Realizzo che non è edificante ammettere che il vessillo che si considera nazionale sia un "clone" della bandiera di un invasore d'oltralpe, ma non è che ci si possa fare molto.
    Ultima modifica di Mc Queen; 06-03-11 alle 23:48

  10. #10
    in silenzio
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    Talking Rif: "Le misteriose radici del Tricolore d'Italia" (Belluno, 2 marzo 2011)

    Citazione Originariamente Scritto da Mc Queen Visualizza Messaggio
    Certo che il tutto è esilarante.


    Il numero di toeire fantasiose che si tirano fuori per coprire la più banale e mortificante verità. Liturgie cattoliche...... Dante alighieri.....origini indo-europee, e qualsiasi puttanata (che il granduca Miles andrà anche ad ascoltare) per non sottolineare invece che il tricolore appare nel 1797 per la prima volta : guarda caso l'anno della venuta di Napoleone in Italia.

    Realizzo che non è edificante ammettere che il vessillo che si considera nazionale sia un "clone" della bandiera di un invasore d'oltralpe, ma non è che ci si possa fare molto.
    Il mio avo Stefano Antonio Maria Bellini di Oleggio (Novara) partecipò alla politica del periodo napoleonico italiano: sposato a Donna Antonia Bernago di stirpe spagnola milanese, proprietario terriero, architetto & pianificatore territoriale.

    Casi analoghi certamente accaddero a Reggio Emilia, Bologna e nelle altre municipalità della penisola (territorio nel quale il Verde Bianco Rosso avevano da secoli profonde valenze positive).

    Scrivo questo per farti capire che Napoleone Bonaparte cercò sul territorio interlocutori validi per interpretare la tradizione scritta e orale italiana in vista di un futuro laico per l'Europa.

    iaociao:
    Ultima modifica di Maria Vittoria; 07-03-11 alle 09:28
    di necessità virtù

 

 
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