Il tradimento dei chierici ed i fascisti senza Mussolini. Le sette anime del Fascismo.
Ruolo antisistema della FNCRSI.
«Forti della coscienza del nostro diritto, discuteremo con animo imperturbato, mentre il cannone ci tuonerà d'attorno; lanceremo le nostre Leggi dal Campidoglio al Popolo nel fragore della battaglia… e la nostra Costituzione Repubblicana suggellata con il sangue dei martiri, che la Francia repubblicana ci uccide, starà eterna come Legge di Dio»
Aurelio Saliceti, Presidente della Costituente della Repubblica Romana, 1 luglio 1849
«Il problema essenziale, però, resta il medesimo. È il problema di qualsiasi impresa storica: si può cogliere, contemporaneamente, in un modo o nell’altro, una storia che si trasforma in fretta, che sta alla ribalta proprio in ragione dei suoi stessi cambiamenti e dei suoi spettacoli - ed una storia sottostante, piuttosto silenziosa, certamente discreta, quasi insospettata dai suoi testimoni e dai suoi attori e che si conserva, alla meno peggio contro l’usura ostinata del tempo? Questa contraddizione decisiva, sempre da spiegare, si manifesta come un grande mezzo di conoscenza e di ricerca»
Fernand Braudel, "Civiltà e Imperi del Mediterraneo", Einaudi, 1953.
Morto Mussolini in circostanze misteriose il 28 aprile, probabilmente a causa d'infantili macchinazioni ed intrighi di Claretta Petacci e del fratello, trafficanti fra inglesi e tedeschi su questioni più grandi di loro; fucilati proditoriamente a Dongo quasi tutti gli esponenti del Governo repubblicano, («eroi di una missione più grande delle loro forze ma non meno degna di esser vissuta nel pensiero e nella sconfitta (…) sono figure smarrite sullo sfondo d'eventi grandiosi che danno la misura del loro animo e del loro puro amore: ideali di un sogno che splende in tenebrose lontananze e che s' avviva quanto più l'ombra s'incupisce intorno» come fu scritto per altri grandi quali Federico II e Machiavelli) la situazione nel territorio repubblicano è ferma, immobile. Su quest'argomento è essenziale l'ultimo libro di un noto esperto, Fabio Andriola, "Carteggio Churchill-Mussolini", Sugarco, maggio 2007.
Un episodio finora rimasto nell'ombra è indicativo della situazione. Il 25 aprile sera, la colonna con Mussolini ed i gerarchi si ferma alla Prefettura di Como. Qui si viene a sapere della sparizione del camioncino contenente la documentazione alla quale il duce tiene di più. La moglie del ministro Mezzasoma che, assieme a quella del ministro Zerbino assiste all'andirivieni dei presenti ed alle loro concitate esclamazioni, sente il ministro Zerbino dichiarare che il camioncino era stato consegnato dalla Petacci a Wolff. Dichiarazioni di questo stampo uscite dalla bocca del ministro dell'interno, solitamente molto ben informato, non lasciano dubbi. Ed i troppi morti di quelle giornate non permettono ulteriori chiarimenti. «La morte di Claretta -ha osservato Dino Campini, segretario del ministro Biggini ed autore di pregevoli saggi pubblicati nel dopoguerra, relativi proprio al comportamento di Mussolini- non ha dunque un senso se non alla luce del mistero della linea d'ombra, del segreto dei carteggi. La donna sapeva o poteva sapere e quindi doveva sparire»
Ma torniamo al quadro generale. Tutti gli attori, grandi o piccoli, stanno attendendo qualcosa, non essendo ancora chiaro quale potrebbe essere lo sviluppo della situazione politica mondiale, destinata peraltro a sfociare nella "Guerra Fredda". Solo di recente alcuni documenti pubblicati su "ACTA" dell'Istituto Storico RSI, maggio-giugno 2007, permettono di confermare le nostre ragionate supposizioni. Ne tratteremo nel paragrafo dedicato alla resa. Ad esempio, a Milano il 25 aprile 1945 le forze armate della RSI ed i tedeschi assommano alla non banale cifra di 30.000 contro 700 partigiani armati (testimonianza del generale Cadorna). Nelle principali città del nord, come già a Firenze, si sviluppa la resistenza fascista con una guerriglia che si protrarrà per molto tempo, mentre le FF.AA. repubblicane restano in attesa degli ordini. Finalmente entrano in funzione gli accordi presi da Wolff con gli esponenti di una specifica linea ideologica statunitense operativi nella OSS. L'aspetto della guerra segreta svolta sul territorio italiano è quanto mai interessante, anche se per lo più sconosciuto, e dimostra quanto fosse importante il ruolo svolto dalla RSI negli ultimi due anni di guerra, anche in relazione alla situazione nel Vicino Oriente. Quanto gli archivi segreti italiani interessassero le autorità alleate, è dimostrato dall'art. 35 del cosiddetto Armistizio Lungo del 29 settembre 1943, secondo cui l'ipotetico "governo italiano" si impegnava a mettere a disposizione degli Alleati tutti i documenti richiesti, con divieto di distruzione. La situazione italiana, anche per la presenza di un partito comunista diretto da Togliatti, aveva interessato anche le famose "spie di Cambridge": Philby, Maclean, Burgess. Né va dimenticato il ruolo sicuramente complesso recitato dagli esponenti dell'OVRA, Guido Leto in testa, sempre presenti sia pure sullo sfondo, e sempre interpellati al momento necessario. (In un recente libro, "Dalla Russia a Mussolini", Editori Riuniti, l'autore Aldo Giannuli documenta i molti negoziati segreti avvenuti durante il conflitto e rileva l'elevatissimo livello professionale di una rete d'informatori ampia, ramificata, e di preparazione raffinata)
In ogni caso, è bene ricordare soprattutto a quelli che si stupiscono quando scoppia qualche scandalo di particolare intensità politica, che tra settembre e novembre 1945 furono trasportati a Roma gli archivi di tutti gli Enti governativi, caricati su 11 treni speciali di 35 vagoni ciascuno. Inoltre è utile tenere presente che nell'albergo "Pasubio", a Valdagno, in provincia di Vicenza, erano custodite 1.000 casse contenenti gli atti del SIM e della Polizia Politica. (Vedi: Dana Lloyd Thomas, "MI5, SIM e OVRA. Antony Blunt e gli archivi segreti italiani", in Nuova Storia Contemporanea anno VIII, n. 5, 2004].
Pertanto, possiamo in piena coscienza affermare che, quando fu ucciso, Mussolini stava operando al fine di ottenere, per l'Italia, una resa onorevole assieme agli altri due alleati, tedesco e giapponese, che annullasse la vergognosa resa a discrezione del Savoia, del Badoglio e degli altri militari felloni.
In conseguenza della scomparsa di Mussolini e di buona parte del Governo Social-repubblicano, il Maresciallo Graziani, nella veste di Ministro delle FF.AA. repubblicane assegna i pieni poteri a Karl Wolff per la firma della resa, che entra definitivamente in funzione il successivo 2 maggio, mentre sul fronte balcanico si continua a combattere fino ed oltre il 15 maggio. È in conseguenza di questi ordini tassativi che le truppe repubblicane depongono le armi ed iniziano le stragi, che si protraggono a lungo, come dimostra un manifesto del Quartier Generale Comando Militare Alleato firmato John Lund, contenente l'Ordine di smobilitazione e la cessazione delle fucilazioni, e datato 1 giugno. (pubblicato su: "La guerra degli Italiani, 1940-1945", di Piero Melograni, DeAgostini-Libero, 2007).
Secondo i documenti pubblicati da "ACTA" (TNA, WO 204/405-6699-10107-11533 e 244/129 ottenuti tramite la collaborazione da Londra di Paolo Minucci Teoni) si può avere un'idea delle linee guida del Supreme Allied Commander Harold Alexander, in accordo con AGWAR di Washington e con AMSSO di Londra (Stati maggiori britannici). Secondo questi documenti, emerge con chiarezza il piano alleato di creare una situazione difensiva anticomunista con la collaborazione delle forze tedesche e repubblicane, come evidentemente programmato in anticipo assieme a Wolff e sicuramente con la collaborazione e l'assenso dei vertici repubblicani. È solo in seguito alla ferma posizione presa da Mosca che gli alleati sono costretti a firmare la pace con le truppe di stanza in Italia, delle quali le italiane sono consegnate, di fatto, ai partigiani comunisti in cambio della salvezza di quelle tedesche che devono poter proseguire verso la Germania a difesa della zona da preservare all'influenza occidentale.
Ci si trova spesso a dover polemizzare su questioni apparentemente superficiali relative al fascismo ed alla repubblica.
Poiché gli atti dell'uno e dell'altra sono pubblici con eccezione, come precedentemente scritto, di quanto operato dai Servizi Segreti, è evidente che è mancato nel nostro paese un sereno confronto fra le diverse e divergenti tesi interpretative del fenomeno. Questa gravissima lacuna può essere attribuita ad un comportamento del tutto anomalo, ma evidentemente specifico, degli intellettuali italiani i quali, come dimostrato nel più recente libro dedicato alla questione (Pierluigi Battista, "Cancellare le tracce. Il caso Grass ed il silenzio degli intellettuali italiani dopo il fascismo", Rizzoli, 2006) hanno con estrema disinvoltura nascosto il loro passato di sostenitori entusiastici del regime. Ma per fare ciò, hanno dovuto necessariamente nascondere, falsificare, edulcorare, le loro scelte più recenti, creando una base ideologica sostanzialmente infantile al supporto culturale dell'azione di qualsiasi governo di questo lungo dopoguerra. Per questa ragione il mito dell'antifascismo e della resistenza resta infantile e sostanzialmente falso, o meglio, si presta a qualsiasi mistificazione. Dove le singole voci, i singoli elementi, mancando di sistemazione critica che può nascere solo da un dibattito serio e competente, non possono offrire nemmeno una sicura informazione. Pertanto è molto divertente assistere allo stupore ed alla malinconia di tanti antifascisti (per lo più giornalisti ed intellettuali di formazione post bellica, appollaiati nelle redazioni "ufficiali"), di fronte a casi come quelli di Grass o di Vivarelli, ritenuti maestri di un antifascismo che, come dimostrato, non può essere che mitico. Per inciso, è utile e doveroso il paragone con un momento storico che apparentemente ha espresso un similare comportamento d'opportunismo intellettuale che oggi preferiscono definire da voltagabbana (da annotare che esistono anche i voltagabbana esperti in contestazione chic) utilizzando per diminuirne la carica negativa il titolo di un libro scritto a suo tempo da un esponente di questo squallido mondo. Ci si riferisce, doverosamente, alla storia controversa dei rapporti fra gli uomini della Rivoluzione Francese, Napoleone ed il suo regime. Ma, come ha di recente scritto Eugenio Di Rienzo ("Historica", n. 19, 2006) «i deputati della Convenzione, fedeli accoliti di Robespierre tra il 1793 e il 1794, nel 1799 erano tutti schierati, con rarissime eccezioni, ad appoggiare il Colpo di Stato del Buonaparte, il quale, non dimentichiamolo, aveva corso il serio rischio di cadere lui stesso sotto la mannaia durante il colpo di Stato di Termidoro». Per questi uomini il mutamento avveniva dopo matura e compiuta riflessione ed era funzionale al desiderio di conservare l'essenziale delle conquiste della Rivoluzione, contro le derive estremiste della destra e della sinistra dello schieramento politico. Uomini come Benjamin Constant, attivo principalmente negli ultimi tempi dell'Impero, tradirono il proprio partito per rimanere fedeli alle proprie idee. Gli stessi figli di Gracco Babeuf, ultimo fra i grandi rivoluzionari francesi al quale Mussolini aveva dedicato un celebre sonetto, furono accesamente bonapartisti. Uno dei due giunse a suicidarsi all'ingresso degli "Alleati" in Parigi nel 1814.
I risultati sono evidenti dopo centocinquanta anni di storia nei quali l'influsso del bonapartismo, nel bene e nel male, si è dispiegato in Europa e nel mondo influenzandone intimamente ogni scelta individuale e collettiva. In Italia, al contrario, e dopo ben sessant'anni dalla fine del conflitto, nulla resta che possa in qualche modo giustificare i voltafaccia così palesemente stupidi o, peggio melensi e manichei alla Bobbio. Lo stesso Giorgio Bocca, che si è esibito di recente in accuse gratuite contro Gianpaolo Pansa, resta nella pubblicistica post bellica più per i libri in cui giustifica l'operato di Mussolini che per altro. Ma l'aspetto più grottesco è rappresentato proprio dalla politica di "egemonismo" instaurata dal partito togliattiano con lo scopo di dominare il mondo della cultura e quindi la società tutta. Assecondando tale politica, furono reclutati artisti ed intellettuali a prescindere dalle idee da costoro effettivamente coltivate. Ne risultò una "nuova classe" che poté usufruire di innumerevoli vantaggi coll'esibire una tessera, senza la quale l'esclusione dal mondo delle lettere e delle arti sarebbe stata certa. La conclusione è sotto gli occhi di tutti. Pur potendo contare ancora oggi sul dominio formale degli apparati, delle case editrici, della RAI, mezzi di comunicazione vari, giornali, banche (Monte dei Paschi di Siena), il messaggio che ne viene è quello della putredine, dell'assenza di idee, della decadenza, della falsificazione ideologica come forma di automistificazione. Un esempio per tutti è rappresentato dal sempre presente Umberto Eco, il quale scrive: «C'è una componente dalla quale è riconoscibile il fascismo allo stato puro, dovunque si manifesti, sapendo con assoluta certezza che da quelle premesse non potrà venire che il "fascismo" ed è il culto della morte». Tale prodotto dell'intelligenza antifascista è stato posto a premessa d'un libro anch'esso significativo. Si tratta di "Fascismo Islamico" di un noto israeliano di complemento, il giornalista de "il Foglio", Carlo Panella. Ora, se c'è un momento nel quale l'Italia, notoriamente considerata "terra di morti" (e non solo per l'espressiva opera di Böchlin, ispirata da paesaggi italiani, che tanto affascinava Lenin) ha dato la vivida impressione al mondo intero d'esplosione di vitalità, questa è l'Italia fascista. E questo fatto incontestabile è stato registrato da tanti viaggiatori e commentatori, oltreché dal noto Robert Brasillac, che visse e scrisse di Fascismo «immenso e rosso» e che morì fucilato testimoniando fino in fondo se stesso, la sua epoca ed una Francia che, fortunatamente per noi e nonostante gli esiti delle recenti elezioni presidenziali, ancora oggi non tramonta.
Di recente, la manipolazione è arrivata al punto di accreditare come "intellettuali indipendenti" proprio quelli che maggiormente continuano a prestarsi ad operazioni di basso regime. Sono stati pubblicati alcuni libri utilizzabili in tal senso. Si tratta di "Politicamente scorretto" di Gianni Minà, edito da Sperling & Kupfer, di "Il dubbio. Politica e società in Italia nelle riflessioni di un liberale scomodo", Rizzoli, e "Quello che non si doveva dire", Enzo Biagi.
Quest'esibizione di ruderi morali è tanto più evidente quanto più si esprime e circola, in Internet e tramite Media convenzionali, una pubblicistica di denuncia della crisi in atto. I libri di riferimento non mancano di certo. Pubblicati di recente infatti, possiamo annoverare quello di Mario Giordano: "Senti chi parla", Mondadori, che tira fuori molti scheletri dagli armadi. I libri di Oliviero Beha, ultimo in ordine di tempo: "Italiopoli", Chiarelettere, "Le libertà negate" di Michele Ainis, Rizzoli, che esplora la realtà della società nazionale soprattutto come riferimento all'amministrazione della Giustizia; "Post Italiani" di Edmondo Bertelli, che mette allo scoperto un'Italia euforica e brutale, in cui contano le logiche di clan e di cordata, dove il potere è esibito ed il denaro le donne e gli amori sono trofei d'obbligo; "Volevo solo vendere la pizza" di Luigi Furini, Garzanti, 2007, prefazione di Marco Travaglio. Ma potremmo continuare a lungo col successo incontrastato del recente "La Casta" scritto nientemeno che da un giornalista del "Corsera".
«L'Italia è disseminata di zone franche dalla storia che sono attraversate da masse rumorose ma inerti» scrive Aldo di Lello su "Imperi", anno 4, n. 10.
Ma che la cosa sarebbe finita così si capiva anche ai primordi. Basterebbe citare un pezzo preveggente di Corrado Alvaro, intellettuale meridionale, che così nel 1944, sotto il governo degli alleati, scriveva: «… Ma intanto il paese è immobile, segna il passo, non vive, non pensa, non agisce, è insicuro della sua vita interna e della sua vita domestica, ed intraprende il suo ennesimo assalto allo Stato, agl'impieghi, ai benefici, essendo l'economia italiana distrutta, e l'unico rifugio essendo lo Stato». (Ripubblicato in: "l'Italia rinunzia?" Sellerio, 1986)
Un personaggio indicativo: James Jesus Angleton.
La guerra fredda e gli opposti estremismi
(Arcana Imperii, da Tacito, è usata nel pensiero politico europeo del sedicesimo e diciassettesimo secolo per designare le motivazioni reali e le tecniche del potere statale, in contrasto con quelle presentate al pubblico).
Angleton nasce negli USA nel 1917. Dal 1943 al giugno 1944 presta servizio nell'OSS a Londra. Arriva in Italia dopo il 4 giugno 1944 ed assume il comando della X-2, il controspionaggio OSS. Dal febbraio 1943 è il coordinatore del controspionaggio in Italia. Dirige di fatto i servizi segreti italiani fino al 1949, quando nasce il SIFAR, che continuerà a subire la sua influenza. Dal 1946 stabilisce rapporti di collaborazione con gruppi neofascisti. Nel 1947 contribuisce alla nascita del Mossad. Se ne deduce che il Mossad è consapevole, a dir poco, della struttura dei servizi segreti italiani e delle sue pedine. Diventa infine uno dei capi della CIA fino allo scandalo Watergate nel 1974, che quindi costituisce un tassello nella storia del mondo molto più importante di quello che è lasciato credere, costretto a dimettersi, muore nel 1987, ma la sua azione nel contesto italiano continua a permanere indisturbata, anche per la permanenza alla ribalta politica di uomini presenti nell'immediato dopoguerra.
Nota: nessuna organizzazione può fornire prestazioni più di quanto non consenta il livello intellettuale di chi è interessato ad utilizzarne le informazioni. Ciò vuol dire: capacità intellettuale di ricavare conclusioni, ammaestramenti, suggerimenti. Evidentemente, anche menti sopraffine falliscono il fine essenziale (che dovrebbe essere libertà e giustizia sociale), quando manca il carattere.
Una dimostrazione di quanto poco abbiano contato o continuino a contare le organizzazioni "antifasciste per definizione" è fornita dal brano che segue, di Carlo Levi, acuto pittore ed osservatore politico del dopoguerra:
Scrive infatti Sergio Luzzatto in "La mummia della Repubblica" (Rizzoli, 2001) in un capitolo significativamente intitolato "Piazzale Loreto alla rovescia" … Memorabile nel suo racconto autobiografico: l'orologio, la pagina sul passaggio di consegne governative da Ferruccio Parri ad Alcide De Gasperi, presentato non soltanto come una svolta politica -la fine dell'utopia resistenziale- ma anche come un tournant corporale: l'avvento, o il ritorno al potere dei «visi teologali e cardinalizi», ed insieme l'eclissi degli uomini impastati con la «materia impalpabile del ricordo», costruiti con il «pallido colore» dei «caduti per la libertà». Lo stesso Luzzatto, in un'arditissima sintesi storico-antropologica dell'italianità, giunge a collegare alcuni elementi a suo dire esemplificativi di una vocazione (condivisibile peraltro) corporale degli italiani. Secondo questo storico, infatti, «Il ventennio fascista era stato dominato, nella mentalità collettiva, dalla contrapposizione di due simboli: il corpo vivo del Duce ed il corpo morto di Matteotti. E la guerra civile del 1943-1945 era stata anche una guerra intorno all'esposizione della morte… E la Genova laureata della resistenza era una città altrettanto vogliosa di dare pubblica esposizione del corpo imbalsamato di Mazzini di quanto Milano lo era stata -un anno prima- di mostrare alla folla il corpo sfregiato di Mussolini ...»
E l'autore così conclude, condivisibilmente, il suo scritto: «Quella dell'Italia moderna è una storia tragica: è storia di sangue, di cadaveri e di lutti. Dall'Unità in poi, ogni quarto di secolo una generazione di italiani ha conosciuto lo shock di una tragedia corporale. Dopo la pietrificazione di Mazzini, il regicidio di Umberto I nel 1900, dopo di questo, nel 24, il delitto Matteotti; vent'anni più tardi l'assassinio di Mussolini e la pubblica esposizione del suo cadavere in piazzale Loreto, infine il delitto Moro nel 1978».
Ci fa piacere riportare questa frase che esprime una concezione tragica della storia e soprattutto sottolinea che, di contro all'aria spaesata ed infantile che traspare dall'immagine oleografica degli italiani d'oggi, la Storia d'Italia, cioè la storia politica del nostro paese, e senza citare gli aspetti degli omicidi di massa come quelli della strage dei fascisti e del genocidio delle genti dalmatiche ed istriane, è sempre e comunque una STORIA TRAGICA perché in tragedia si è risolta la lotta politica nel nostro paese.
Come espresso con massima maestria dal nostro maestro Alfredo Oriani ("La Lotta politica in Italia", "Rivolta Ideale", "Fino a Dogali", "Matrimonio", "Sì"): «Oggi il popolo si è abituato come gli antichi Re alle lusinghe dei cortigiani, che gli carpiscono la delegazione del comando per abusarne nell'insaziabilità della propria piccolezza, mentre il popolo se ne accorge nell'istinto di fanciullo senza potervisi sottrarre. Quindi, presuntuoso perché ignorante, timido perché ingannato (…) finisce per sdraiarsi nel fango della strada aspettando l'appello di una nuova voce ...».
Gli opposti estremismi e la strategia della tensione, che sembra un espediente di basso profilo per il controllo sociale rimesso in funzione di questi tempi, pur costituendo un aspetto frequente della storia dei popoli, dimostrano tuttavia quanto sia stato facile interferire nelle faccende interne del nostro paese con la cosciente complicità di tanti italiani prestatisi al gioco sotterraneo altrui per, a nostro avviso, puro istinto di servilismo.
È evidente che, di fronte a questi intrighi ed alle morti provocate, la guerra civile del 1943-45 è stato un leale (assassinii dei GAP e dei SAP a parte) scontro frontale fra concezioni politiche antitetiche talmente contrastanti da provocare azioni e reazioni feroci.
Ma su quest'argomento occorre essere chiari. In un recente articolo pubblicato sul quotidiano "Rinascita" del 2-3 giugno 2007, Gabriele Adinolfi, prendendo lo spunto da alcune ammissioni di Adriano Sofri, che denunciava la sua collaborazione con la CIA (peraltro ampiamente intuita da chiunque conoscesse i retroscena di "Lotta Continua"), tenta di giustificare il comportamento di quanti, appartenenti alla cosiddetta Destra Radicale, chiedendosi se «comportarsi come uomini di stato e confrontarsi quindi consapevolmente con gli apparati di potere, oltre ad essere velleitario come lo fu e disastroso come si rivelò, comportava davvero una colpa etica in sé».
A nostro avviso, ovviamente, la risposta è affermativa, anche perché da parte della nostra Federazione arrivavano avvertimenti a non comportarsi da bambini sottosviluppati. L'Adinolfi poi, in conclusione, scrive: «È facilissimo essere agenti inconsapevoli il che, funzionalmente parlando, non è affatto meglio dell'esserlo consapevolmente… Oggi che siamo ad una terza fase della nostra storia, oggi che non si compete più per il potere e che non si costruisce, se non in rarissimi casi il contropotere, oggi che si recita e si rivendica senza perseguire alcun obiettivo concreto nella virtualità spettacolare ed ammantati da una mentalità democratica totale, oggi che si è pura nullità, cionondimeno le infiltrazioni sono all'ordine del giorno, le provocazioni altrettanto, la nostra strumentalizzazione è capillare e, qual che è peggio, non c'è alcuna consapevolezza dei meccanismi avversi e delle manovre nemiche».
Anche questa frase deve essere commentata, perché Adinolfi, autorevole e seguito esponente di un certo ambiente umano, esprime una denuncia che non si sa bene a chi indirizzata. C'è un NOI dietro ai concetti espressi, ma in realtà chi conosce la materia sa che si tratta di una nebulosa definita più da altri che da un senso d'appartenenza che nel tempo si è dimostrato inconsistente, ovvero, come dice l'autore stesso, inquinato da infiltrazioni e compromessi troppo facili. Come nell'altro versante, peraltro, quello dei "Lotta continua" che, come riconosce l'autore, stanno a Forza Italia e a Mediaset. Una bella conclusione per la resistenza!
Ma Noi, e qui il Noi ci sta bene perché si tratta di noi della FNCRSI, queste cose le abbiamo non solo pensate, non solo ne abbiamo parlato, ma le abbiamo sempre scritte. E d'altronde…
Su "Nexus", edizione italiana di aprile-maggio 2007, un bell'articolo dell'inglese Philip Collins, redattore capo di Conspiracy Times, (www.conspiracy-times.com) è dedicato alla pratica degli Stati di scatenare direttamente il terrore attraverso agenti provocatori reclutati dai servizi segreti per indurre nella popolazione la paura e la disinformazione. Si tratta di un bel quadro panoramico. Per quanto riguarda l'Italia, notevole importanza è assegnata alle rivelazioni di Vincenzo Vinciguerra, ai libri del quale rinviamo chiunque voglia approfondire il tema rendendosi conto della reale entità dei fatti trattati.