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    Predefinito Rif: Breve storia della Federazione Nazionale Combattenti RSI

    Il tradimento dei chierici ed i fascisti senza Mussolini. Le sette anime del Fascismo.
    Ruolo antisistema della FNCRSI.


    «Forti della coscienza del nostro diritto, discuteremo con animo imperturbato, mentre il cannone ci tuonerà d'attorno; lanceremo le nostre Leggi dal Campidoglio al Popolo nel fragore della battaglia… e la nostra Costituzione Repubblicana suggellata con il sangue dei martiri, che la Francia repubblicana ci uccide, starà eterna come Legge di Dio»
    Aurelio Saliceti, Presidente della Costituente della Repubblica Romana, 1 luglio 1849

    «Il problema essenziale, però, resta il medesimo. È il problema di qualsiasi impresa storica: si può cogliere, contemporaneamente, in un modo o nell’altro, una storia che si trasforma in fretta, che sta alla ribalta proprio in ragione dei suoi stessi cambiamenti e dei suoi spettacoli - ed una storia sottostante, piuttosto silenziosa, certamente discreta, quasi insospettata dai suoi testimoni e dai suoi attori e che si conserva, alla meno peggio contro l’usura ostinata del tempo? Questa contraddizione decisiva, sempre da spiegare, si manifesta come un grande mezzo di conoscenza e di ricerca»
    Fernand Braudel, "Civiltà e Imperi del Mediterraneo", Einaudi, 1953.

    Morto Mussolini in circostanze misteriose il 28 aprile, probabilmente a causa d'infantili macchinazioni ed intrighi di Claretta Petacci e del fratello, trafficanti fra inglesi e tedeschi su questioni più grandi di loro; fucilati proditoriamente a Dongo quasi tutti gli esponenti del Governo repubblicano, («eroi di una missione più grande delle loro forze ma non meno degna di esser vissuta nel pensiero e nella sconfitta (…) sono figure smarrite sullo sfondo d'eventi grandiosi che danno la misura del loro animo e del loro puro amore: ideali di un sogno che splende in tenebrose lontananze e che s' avviva quanto più l'ombra s'incupisce intorno» come fu scritto per altri grandi quali Federico II e Machiavelli) la situazione nel territorio repubblicano è ferma, immobile. Su quest'argomento è essenziale l'ultimo libro di un noto esperto, Fabio Andriola, "Carteggio Churchill-Mussolini", Sugarco, maggio 2007.
    Un episodio finora rimasto nell'ombra è indicativo della situazione. Il 25 aprile sera, la colonna con Mussolini ed i gerarchi si ferma alla Prefettura di Como. Qui si viene a sapere della sparizione del camioncino contenente la documentazione alla quale il duce tiene di più. La moglie del ministro Mezzasoma che, assieme a quella del ministro Zerbino assiste all'andirivieni dei presenti ed alle loro concitate esclamazioni, sente il ministro Zerbino dichiarare che il camioncino era stato consegnato dalla Petacci a Wolff. Dichiarazioni di questo stampo uscite dalla bocca del ministro dell'interno, solitamente molto ben informato, non lasciano dubbi. Ed i troppi morti di quelle giornate non permettono ulteriori chiarimenti. «La morte di Claretta -ha osservato Dino Campini, segretario del ministro Biggini ed autore di pregevoli saggi pubblicati nel dopoguerra, relativi proprio al comportamento di Mussolini- non ha dunque un senso se non alla luce del mistero della linea d'ombra, del segreto dei carteggi. La donna sapeva o poteva sapere e quindi doveva sparire»
    Ma torniamo al quadro generale. Tutti gli attori, grandi o piccoli, stanno attendendo qualcosa, non essendo ancora chiaro quale potrebbe essere lo sviluppo della situazione politica mondiale, destinata peraltro a sfociare nella "Guerra Fredda". Solo di recente alcuni documenti pubblicati su "ACTA" dell'Istituto Storico RSI, maggio-giugno 2007, permettono di confermare le nostre ragionate supposizioni. Ne tratteremo nel paragrafo dedicato alla resa. Ad esempio, a Milano il 25 aprile 1945 le forze armate della RSI ed i tedeschi assommano alla non banale cifra di 30.000 contro 700 partigiani armati (testimonianza del generale Cadorna). Nelle principali città del nord, come già a Firenze, si sviluppa la resistenza fascista con una guerriglia che si protrarrà per molto tempo, mentre le FF.AA. repubblicane restano in attesa degli ordini. Finalmente entrano in funzione gli accordi presi da Wolff con gli esponenti di una specifica linea ideologica statunitense operativi nella OSS. L'aspetto della guerra segreta svolta sul territorio italiano è quanto mai interessante, anche se per lo più sconosciuto, e dimostra quanto fosse importante il ruolo svolto dalla RSI negli ultimi due anni di guerra, anche in relazione alla situazione nel Vicino Oriente. Quanto gli archivi segreti italiani interessassero le autorità alleate, è dimostrato dall'art. 35 del cosiddetto Armistizio Lungo del 29 settembre 1943, secondo cui l'ipotetico "governo italiano" si impegnava a mettere a disposizione degli Alleati tutti i documenti richiesti, con divieto di distruzione. La situazione italiana, anche per la presenza di un partito comunista diretto da Togliatti, aveva interessato anche le famose "spie di Cambridge": Philby, Maclean, Burgess. Né va dimenticato il ruolo sicuramente complesso recitato dagli esponenti dell'OVRA, Guido Leto in testa, sempre presenti sia pure sullo sfondo, e sempre interpellati al momento necessario. (In un recente libro, "Dalla Russia a Mussolini", Editori Riuniti, l'autore Aldo Giannuli documenta i molti negoziati segreti avvenuti durante il conflitto e rileva l'elevatissimo livello professionale di una rete d'informatori ampia, ramificata, e di preparazione raffinata)
    In ogni caso, è bene ricordare soprattutto a quelli che si stupiscono quando scoppia qualche scandalo di particolare intensità politica, che tra settembre e novembre 1945 furono trasportati a Roma gli archivi di tutti gli Enti governativi, caricati su 11 treni speciali di 35 vagoni ciascuno. Inoltre è utile tenere presente che nell'albergo "Pasubio", a Valdagno, in provincia di Vicenza, erano custodite 1.000 casse contenenti gli atti del SIM e della Polizia Politica. (Vedi: Dana Lloyd Thomas, "MI5, SIM e OVRA. Antony Blunt e gli archivi segreti italiani", in Nuova Storia Contemporanea anno VIII, n. 5, 2004].
    Pertanto, possiamo in piena coscienza affermare che, quando fu ucciso, Mussolini stava operando al fine di ottenere, per l'Italia, una resa onorevole assieme agli altri due alleati, tedesco e giapponese, che annullasse la vergognosa resa a discrezione del Savoia, del Badoglio e degli altri militari felloni.
    In conseguenza della scomparsa di Mussolini e di buona parte del Governo Social-repubblicano, il Maresciallo Graziani, nella veste di Ministro delle FF.AA. repubblicane assegna i pieni poteri a Karl Wolff per la firma della resa, che entra definitivamente in funzione il successivo 2 maggio, mentre sul fronte balcanico si continua a combattere fino ed oltre il 15 maggio. È in conseguenza di questi ordini tassativi che le truppe repubblicane depongono le armi ed iniziano le stragi, che si protraggono a lungo, come dimostra un manifesto del Quartier Generale Comando Militare Alleato firmato John Lund, contenente l'Ordine di smobilitazione e la cessazione delle fucilazioni, e datato 1 giugno. (pubblicato su: "La guerra degli Italiani, 1940-1945", di Piero Melograni, DeAgostini-Libero, 2007).
    Secondo i documenti pubblicati da "ACTA" (TNA, WO 204/405-6699-10107-11533 e 244/129 ottenuti tramite la collaborazione da Londra di Paolo Minucci Teoni) si può avere un'idea delle linee guida del Supreme Allied Commander Harold Alexander, in accordo con AGWAR di Washington e con AMSSO di Londra (Stati maggiori britannici). Secondo questi documenti, emerge con chiarezza il piano alleato di creare una situazione difensiva anticomunista con la collaborazione delle forze tedesche e repubblicane, come evidentemente programmato in anticipo assieme a Wolff e sicuramente con la collaborazione e l'assenso dei vertici repubblicani. È solo in seguito alla ferma posizione presa da Mosca che gli alleati sono costretti a firmare la pace con le truppe di stanza in Italia, delle quali le italiane sono consegnate, di fatto, ai partigiani comunisti in cambio della salvezza di quelle tedesche che devono poter proseguire verso la Germania a difesa della zona da preservare all'influenza occidentale.
    Ci si trova spesso a dover polemizzare su questioni apparentemente superficiali relative al fascismo ed alla repubblica.
    Poiché gli atti dell'uno e dell'altra sono pubblici con eccezione, come precedentemente scritto, di quanto operato dai Servizi Segreti, è evidente che è mancato nel nostro paese un sereno confronto fra le diverse e divergenti tesi interpretative del fenomeno. Questa gravissima lacuna può essere attribuita ad un comportamento del tutto anomalo, ma evidentemente specifico, degli intellettuali italiani i quali, come dimostrato nel più recente libro dedicato alla questione (Pierluigi Battista, "Cancellare le tracce. Il caso Grass ed il silenzio degli intellettuali italiani dopo il fascismo", Rizzoli, 2006) hanno con estrema disinvoltura nascosto il loro passato di sostenitori entusiastici del regime. Ma per fare ciò, hanno dovuto necessariamente nascondere, falsificare, edulcorare, le loro scelte più recenti, creando una base ideologica sostanzialmente infantile al supporto culturale dell'azione di qualsiasi governo di questo lungo dopoguerra. Per questa ragione il mito dell'antifascismo e della resistenza resta infantile e sostanzialmente falso, o meglio, si presta a qualsiasi mistificazione. Dove le singole voci, i singoli elementi, mancando di sistemazione critica che può nascere solo da un dibattito serio e competente, non possono offrire nemmeno una sicura informazione. Pertanto è molto divertente assistere allo stupore ed alla malinconia di tanti antifascisti (per lo più giornalisti ed intellettuali di formazione post bellica, appollaiati nelle redazioni "ufficiali"), di fronte a casi come quelli di Grass o di Vivarelli, ritenuti maestri di un antifascismo che, come dimostrato, non può essere che mitico. Per inciso, è utile e doveroso il paragone con un momento storico che apparentemente ha espresso un similare comportamento d'opportunismo intellettuale che oggi preferiscono definire da voltagabbana (da annotare che esistono anche i voltagabbana esperti in contestazione chic) utilizzando per diminuirne la carica negativa il titolo di un libro scritto a suo tempo da un esponente di questo squallido mondo. Ci si riferisce, doverosamente, alla storia controversa dei rapporti fra gli uomini della Rivoluzione Francese, Napoleone ed il suo regime. Ma, come ha di recente scritto Eugenio Di Rienzo ("Historica", n. 19, 2006) «i deputati della Convenzione, fedeli accoliti di Robespierre tra il 1793 e il 1794, nel 1799 erano tutti schierati, con rarissime eccezioni, ad appoggiare il Colpo di Stato del Buonaparte, il quale, non dimentichiamolo, aveva corso il serio rischio di cadere lui stesso sotto la mannaia durante il colpo di Stato di Termidoro». Per questi uomini il mutamento avveniva dopo matura e compiuta riflessione ed era funzionale al desiderio di conservare l'essenziale delle conquiste della Rivoluzione, contro le derive estremiste della destra e della sinistra dello schieramento politico. Uomini come Benjamin Constant, attivo principalmente negli ultimi tempi dell'Impero, tradirono il proprio partito per rimanere fedeli alle proprie idee. Gli stessi figli di Gracco Babeuf, ultimo fra i grandi rivoluzionari francesi al quale Mussolini aveva dedicato un celebre sonetto, furono accesamente bonapartisti. Uno dei due giunse a suicidarsi all'ingresso degli "Alleati" in Parigi nel 1814.
    I risultati sono evidenti dopo centocinquanta anni di storia nei quali l'influsso del bonapartismo, nel bene e nel male, si è dispiegato in Europa e nel mondo influenzandone intimamente ogni scelta individuale e collettiva. In Italia, al contrario, e dopo ben sessant'anni dalla fine del conflitto, nulla resta che possa in qualche modo giustificare i voltafaccia così palesemente stupidi o, peggio melensi e manichei alla Bobbio. Lo stesso Giorgio Bocca, che si è esibito di recente in accuse gratuite contro Gianpaolo Pansa, resta nella pubblicistica post bellica più per i libri in cui giustifica l'operato di Mussolini che per altro. Ma l'aspetto più grottesco è rappresentato proprio dalla politica di "egemonismo" instaurata dal partito togliattiano con lo scopo di dominare il mondo della cultura e quindi la società tutta. Assecondando tale politica, furono reclutati artisti ed intellettuali a prescindere dalle idee da costoro effettivamente coltivate. Ne risultò una "nuova classe" che poté usufruire di innumerevoli vantaggi coll'esibire una tessera, senza la quale l'esclusione dal mondo delle lettere e delle arti sarebbe stata certa. La conclusione è sotto gli occhi di tutti. Pur potendo contare ancora oggi sul dominio formale degli apparati, delle case editrici, della RAI, mezzi di comunicazione vari, giornali, banche (Monte dei Paschi di Siena), il messaggio che ne viene è quello della putredine, dell'assenza di idee, della decadenza, della falsificazione ideologica come forma di automistificazione. Un esempio per tutti è rappresentato dal sempre presente Umberto Eco, il quale scrive: «C'è una componente dalla quale è riconoscibile il fascismo allo stato puro, dovunque si manifesti, sapendo con assoluta certezza che da quelle premesse non potrà venire che il "fascismo" ed è il culto della morte». Tale prodotto dell'intelligenza antifascista è stato posto a premessa d'un libro anch'esso significativo. Si tratta di "Fascismo Islamico" di un noto israeliano di complemento, il giornalista de "il Foglio", Carlo Panella. Ora, se c'è un momento nel quale l'Italia, notoriamente considerata "terra di morti" (e non solo per l'espressiva opera di Böchlin, ispirata da paesaggi italiani, che tanto affascinava Lenin) ha dato la vivida impressione al mondo intero d'esplosione di vitalità, questa è l'Italia fascista. E questo fatto incontestabile è stato registrato da tanti viaggiatori e commentatori, oltreché dal noto Robert Brasillac, che visse e scrisse di Fascismo «immenso e rosso» e che morì fucilato testimoniando fino in fondo se stesso, la sua epoca ed una Francia che, fortunatamente per noi e nonostante gli esiti delle recenti elezioni presidenziali, ancora oggi non tramonta.
    Di recente, la manipolazione è arrivata al punto di accreditare come "intellettuali indipendenti" proprio quelli che maggiormente continuano a prestarsi ad operazioni di basso regime. Sono stati pubblicati alcuni libri utilizzabili in tal senso. Si tratta di "Politicamente scorretto" di Gianni Minà, edito da Sperling & Kupfer, di "Il dubbio. Politica e società in Italia nelle riflessioni di un liberale scomodo", Rizzoli, e "Quello che non si doveva dire", Enzo Biagi.
    Quest'esibizione di ruderi morali è tanto più evidente quanto più si esprime e circola, in Internet e tramite Media convenzionali, una pubblicistica di denuncia della crisi in atto. I libri di riferimento non mancano di certo. Pubblicati di recente infatti, possiamo annoverare quello di Mario Giordano: "Senti chi parla", Mondadori, che tira fuori molti scheletri dagli armadi. I libri di Oliviero Beha, ultimo in ordine di tempo: "Italiopoli", Chiarelettere, "Le libertà negate" di Michele Ainis, Rizzoli, che esplora la realtà della società nazionale soprattutto come riferimento all'amministrazione della Giustizia; "Post Italiani" di Edmondo Bertelli, che mette allo scoperto un'Italia euforica e brutale, in cui contano le logiche di clan e di cordata, dove il potere è esibito ed il denaro le donne e gli amori sono trofei d'obbligo; "Volevo solo vendere la pizza" di Luigi Furini, Garzanti, 2007, prefazione di Marco Travaglio. Ma potremmo continuare a lungo col successo incontrastato del recente "La Casta" scritto nientemeno che da un giornalista del "Corsera".
    «L'Italia è disseminata di zone franche dalla storia che sono attraversate da masse rumorose ma inerti» scrive Aldo di Lello su "Imperi", anno 4, n. 10.
    Ma che la cosa sarebbe finita così si capiva anche ai primordi. Basterebbe citare un pezzo preveggente di Corrado Alvaro, intellettuale meridionale, che così nel 1944, sotto il governo degli alleati, scriveva: «… Ma intanto il paese è immobile, segna il passo, non vive, non pensa, non agisce, è insicuro della sua vita interna e della sua vita domestica, ed intraprende il suo ennesimo assalto allo Stato, agl'impieghi, ai benefici, essendo l'economia italiana distrutta, e l'unico rifugio essendo lo Stato». (Ripubblicato in: "l'Italia rinunzia?" Sellerio, 1986)

    Un personaggio indicativo: James Jesus Angleton.
    La guerra fredda e gli opposti estremismi


    (Arcana Imperii, da Tacito, è usata nel pensiero politico europeo del sedicesimo e diciassettesimo secolo per designare le motivazioni reali e le tecniche del potere statale, in contrasto con quelle presentate al pubblico).
    Angleton nasce negli USA nel 1917. Dal 1943 al giugno 1944 presta servizio nell'OSS a Londra. Arriva in Italia dopo il 4 giugno 1944 ed assume il comando della X-2, il controspionaggio OSS. Dal febbraio 1943 è il coordinatore del controspionaggio in Italia. Dirige di fatto i servizi segreti italiani fino al 1949, quando nasce il SIFAR, che continuerà a subire la sua influenza. Dal 1946 stabilisce rapporti di collaborazione con gruppi neofascisti. Nel 1947 contribuisce alla nascita del Mossad. Se ne deduce che il Mossad è consapevole, a dir poco, della struttura dei servizi segreti italiani e delle sue pedine. Diventa infine uno dei capi della CIA fino allo scandalo Watergate nel 1974, che quindi costituisce un tassello nella storia del mondo molto più importante di quello che è lasciato credere, costretto a dimettersi, muore nel 1987, ma la sua azione nel contesto italiano continua a permanere indisturbata, anche per la permanenza alla ribalta politica di uomini presenti nell'immediato dopoguerra.
    Nota: nessuna organizzazione può fornire prestazioni più di quanto non consenta il livello intellettuale di chi è interessato ad utilizzarne le informazioni. Ciò vuol dire: capacità intellettuale di ricavare conclusioni, ammaestramenti, suggerimenti. Evidentemente, anche menti sopraffine falliscono il fine essenziale (che dovrebbe essere libertà e giustizia sociale), quando manca il carattere.
    Una dimostrazione di quanto poco abbiano contato o continuino a contare le organizzazioni "antifasciste per definizione" è fornita dal brano che segue, di Carlo Levi, acuto pittore ed osservatore politico del dopoguerra:
    Scrive infatti Sergio Luzzatto in "La mummia della Repubblica" (Rizzoli, 2001) in un capitolo significativamente intitolato "Piazzale Loreto alla rovescia" … Memorabile nel suo racconto autobiografico: l'orologio, la pagina sul passaggio di consegne governative da Ferruccio Parri ad Alcide De Gasperi, presentato non soltanto come una svolta politica -la fine dell'utopia resistenziale- ma anche come un tournant corporale: l'avvento, o il ritorno al potere dei «visi teologali e cardinalizi», ed insieme l'eclissi degli uomini impastati con la «materia impalpabile del ricordo», costruiti con il «pallido colore» dei «caduti per la libertà». Lo stesso Luzzatto, in un'arditissima sintesi storico-antropologica dell'italianità, giunge a collegare alcuni elementi a suo dire esemplificativi di una vocazione (condivisibile peraltro) corporale degli italiani. Secondo questo storico, infatti, «Il ventennio fascista era stato dominato, nella mentalità collettiva, dalla contrapposizione di due simboli: il corpo vivo del Duce ed il corpo morto di Matteotti. E la guerra civile del 1943-1945 era stata anche una guerra intorno all'esposizione della morte… E la Genova laureata della resistenza era una città altrettanto vogliosa di dare pubblica esposizione del corpo imbalsamato di Mazzini di quanto Milano lo era stata -un anno prima- di mostrare alla folla il corpo sfregiato di Mussolini ...»
    E l'autore così conclude, condivisibilmente, il suo scritto: «Quella dell'Italia moderna è una storia tragica: è storia di sangue, di cadaveri e di lutti. Dall'Unità in poi, ogni quarto di secolo una generazione di italiani ha conosciuto lo shock di una tragedia corporale. Dopo la pietrificazione di Mazzini, il regicidio di Umberto I nel 1900, dopo di questo, nel 24, il delitto Matteotti; vent'anni più tardi l'assassinio di Mussolini e la pubblica esposizione del suo cadavere in piazzale Loreto, infine il delitto Moro nel 1978».
    Ci fa piacere riportare questa frase che esprime una concezione tragica della storia e soprattutto sottolinea che, di contro all'aria spaesata ed infantile che traspare dall'immagine oleografica degli italiani d'oggi, la Storia d'Italia, cioè la storia politica del nostro paese, e senza citare gli aspetti degli omicidi di massa come quelli della strage dei fascisti e del genocidio delle genti dalmatiche ed istriane, è sempre e comunque una STORIA TRAGICA perché in tragedia si è risolta la lotta politica nel nostro paese.
    Come espresso con massima maestria dal nostro maestro Alfredo Oriani ("La Lotta politica in Italia", "Rivolta Ideale", "Fino a Dogali", "Matrimonio", "Sì"): «Oggi il popolo si è abituato come gli antichi Re alle lusinghe dei cortigiani, che gli carpiscono la delegazione del comando per abusarne nell'insaziabilità della propria piccolezza, mentre il popolo se ne accorge nell'istinto di fanciullo senza potervisi sottrarre. Quindi, presuntuoso perché ignorante, timido perché ingannato (…) finisce per sdraiarsi nel fango della strada aspettando l'appello di una nuova voce ...».
    Gli opposti estremismi e la strategia della tensione, che sembra un espediente di basso profilo per il controllo sociale rimesso in funzione di questi tempi, pur costituendo un aspetto frequente della storia dei popoli, dimostrano tuttavia quanto sia stato facile interferire nelle faccende interne del nostro paese con la cosciente complicità di tanti italiani prestatisi al gioco sotterraneo altrui per, a nostro avviso, puro istinto di servilismo.
    È evidente che, di fronte a questi intrighi ed alle morti provocate, la guerra civile del 1943-45 è stato un leale (assassinii dei GAP e dei SAP a parte) scontro frontale fra concezioni politiche antitetiche talmente contrastanti da provocare azioni e reazioni feroci.
    Ma su quest'argomento occorre essere chiari. In un recente articolo pubblicato sul quotidiano "Rinascita" del 2-3 giugno 2007, Gabriele Adinolfi, prendendo lo spunto da alcune ammissioni di Adriano Sofri, che denunciava la sua collaborazione con la CIA (peraltro ampiamente intuita da chiunque conoscesse i retroscena di "Lotta Continua"), tenta di giustificare il comportamento di quanti, appartenenti alla cosiddetta Destra Radicale, chiedendosi se «comportarsi come uomini di stato e confrontarsi quindi consapevolmente con gli apparati di potere, oltre ad essere velleitario come lo fu e disastroso come si rivelò, comportava davvero una colpa etica in sé».
    A nostro avviso, ovviamente, la risposta è affermativa, anche perché da parte della nostra Federazione arrivavano avvertimenti a non comportarsi da bambini sottosviluppati. L'Adinolfi poi, in conclusione, scrive: «È facilissimo essere agenti inconsapevoli il che, funzionalmente parlando, non è affatto meglio dell'esserlo consapevolmente… Oggi che siamo ad una terza fase della nostra storia, oggi che non si compete più per il potere e che non si costruisce, se non in rarissimi casi il contropotere, oggi che si recita e si rivendica senza perseguire alcun obiettivo concreto nella virtualità spettacolare ed ammantati da una mentalità democratica totale, oggi che si è pura nullità, cionondimeno le infiltrazioni sono all'ordine del giorno, le provocazioni altrettanto, la nostra strumentalizzazione è capillare e, qual che è peggio, non c'è alcuna consapevolezza dei meccanismi avversi e delle manovre nemiche».
    Anche questa frase deve essere commentata, perché Adinolfi, autorevole e seguito esponente di un certo ambiente umano, esprime una denuncia che non si sa bene a chi indirizzata. C'è un NOI dietro ai concetti espressi, ma in realtà chi conosce la materia sa che si tratta di una nebulosa definita più da altri che da un senso d'appartenenza che nel tempo si è dimostrato inconsistente, ovvero, come dice l'autore stesso, inquinato da infiltrazioni e compromessi troppo facili. Come nell'altro versante, peraltro, quello dei "Lotta continua" che, come riconosce l'autore, stanno a Forza Italia e a Mediaset. Una bella conclusione per la resistenza!
    Ma Noi, e qui il Noi ci sta bene perché si tratta di noi della FNCRSI, queste cose le abbiamo non solo pensate, non solo ne abbiamo parlato, ma le abbiamo sempre scritte. E d'altronde…
    Su "Nexus", edizione italiana di aprile-maggio 2007, un bell'articolo dell'inglese Philip Collins, redattore capo di Conspiracy Times, (www.conspiracy-times.com) è dedicato alla pratica degli Stati di scatenare direttamente il terrore attraverso agenti provocatori reclutati dai servizi segreti per indurre nella popolazione la paura e la disinformazione. Si tratta di un bel quadro panoramico. Per quanto riguarda l'Italia, notevole importanza è assegnata alle rivelazioni di Vincenzo Vinciguerra, ai libri del quale rinviamo chiunque voglia approfondire il tema rendendosi conto della reale entità dei fatti trattati.
    Chiunque stia dalla parte di una giusta causa non può essere definito un terrorista.
    Yasser Arafat

    Una religione senza guerra è zoppa.
    Ruhollāh Mosavi Khomeyni

  2. #42
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    Predefinito Rif: Breve storia della Federazione Nazionale Combattenti RSI

    Nascita della FNCRSI

    La nascita della FNCRSI, avvenuta il giorno 5 settembre 1947 presso il notaio Arcuri di Roma, è la risposta all'esigenza di rappresentare un patrimonio umano ed insieme combattentistico, necessario in un momento di particolari tensioni e, diciamolo subito, sbandamenti. Al 30 aprile 1949 la Federazione comprendeva. 10 ispettorati, 79 gruppi provinciali, 135 sezioni comunali, 2 sezioni estere (Barcellona e Madrid) e 5 corrispondenti da Argentina, Brasile, Cile, Canada, Uruguay.
    La nascita del MSI è di poco antecedente: 26 dicembre 1946, nello studio romano di Arturo Michelini, anche se anticipata da incontri avvenuti a Milano nello studio dell'avvocato Redenti. In ambedue i casi, l'impronta fu decisamente "anticomunista".
    Anche se, per ovvie ragioni, è possibile registrare almeno per i primi decenni, una costante comunicazione fra gli uomini delle due organizzazioni, la Federazione è sempre stata fedele ad una linea politica che discende direttamente da quanto stabilito nelle disposizioni dal Partito Fascista Repubblicano. Questo fatto ha portato ad una sua lenta ma costante emarginazione ed isolamento, ad opera soprattutto degli esponenti della linea "entrista" del MSI che hanno sempre avuto una notevole possibilità di "convincimento". Come documentato nel libro che presentiamo.
    Nel suo recente: "Fascisti senza Mussolini" lo storico Giuseppe Parlato racconta dettagliatamente la storia del fascismo italiano dalla defenestrazione di Mussolini nel 1943 fino al 1948. In un'intervista a Fabio Andriola, pubblicata sulla rivista "Storia in Rete" gen-feb 2007, Parlato accenna ai contatti coordinati nel 1944 da James Angleton con Borghese, Romualdi ed i coniugi Pignatelli in funzione anticomunista. Secondo lo storico, ma anche secondo noi, «... in sedicesimo nel MSI si riproposero le stesse dinamiche del Regime, con una destra ed una sinistra unificate dalla figura mitica di Mussolini». Tuttavia, fermo restando che un partito che raccogliesse i fascisti, immobilizzandoli al di fuori dell'"Arco Costituzionale" o attraverso la "Legge Scelba", faceva comodo a tutti, il MSI si muoveva nell'ambito di un atlantismo ideologicamente corretto fin dalla sua nascita.
    Per Andrea Ungari, che su "Nuova Storia Contemporanea", marzo-aprile 2007, commenta la stessa opera, l'interpretazione è leggermente diversa. Infatti, «di fronte allo schiacciamento dell'elettorato moderato sullo scudo crociato in funzione anticomunista, solo un partito dai chiari connotati ideologici, pur nostalgici e di per se antisistemici ed autoghettizzanti, e con riferimenti valoriali ben precisi poteva salvarsi in occasione di una competizione politica avvertita come uno scontro di civiltà. In tal modo, la strategia d'Almirante permise bene o male al partito di sopravvivere e quella riserva elettorale ed ideologica consentì negli anni successivi a De Marsanich ed a Michelini di portare avanti quel processo d'inserimento nel sistema, inizialmente pensato dal gruppo Romualdi, che si protrasse per tutti gli anni cinquanta concludendosi nell'estate del 1960 a Genova …»
    Per quanto ci riguarda, nessuno intende negare che il fascismo come qualsiasi movimento politico in fase nascente, avesse molte anime. Secondo il conte Ambrogino Lolli Ghetti, che fu strappato dalle grinfie partigiane dagli inglesi grazie al loro innato rispetto per le famiglie nobiliari, il fascismo ne aveva sette. Quella del fascismo regime, quella repubblichina, la monarchica, la nazionalista, la cattolica, la massonica e la liberale. Lungi da noi pertanto un giudizio negativo sui contenuti ideologico politici del MSI, oggi AN. Non accettiamo però il reiterato tentativo di presentare il neofascismo, sotto qualsiasi veste questo intenda presentarsi, come erede della RSI, che aveva, pur nelle sue molte sfaccettature anche conflittuali come tutti gli organismi vitali (vedi il recente "Intransigenti e moderati a Salò: i casi di Borsani e Farinacci", di Alessio Aschelter) un'inconfondibile linea di politica interna ed estera. Per un'idea ancor più completa del dibattito interno può essere utile anche l'ottimo libro di Luigi Emilio Longo: "RSI, antologia per un'atmosfera", Edizioni dell'Uomo Libero.
    Ma proseguiamo nella lettura dell'intervista. Secondo Parlato, «… alcuni personaggi del neofascismo riuscirono a costituire il partito a soli venti mesi dalla conclusione della guerra civile: costoro -i Romualdi, i Pignatelli, i Buttazzoni, i Puccioni, solo per citare i più significativi- avevano vissuto la fine della tragedia bellica e della sconfitta con una sorta di "carta di riserva" che era costituita dall'anticomunismo. I contatti dei neofascisti ora citati con ambienti più o meno rappresentativi dei servizi segreti americani, con ambienti ecclesiastici, con settori massonici, con gruppi monarchici, con rappresentati dei servizi israeliani non portarono ad una divisione interna del mondo neofascista solo perché su tali contatti calò una spessa coltre di silenzio; se la base avesse saputo con quali ambienti i capi del neofascismo avevano trattato, probabilmente non ci sarebbe stato il MSI. Tutto è rimasto, per sessant'anni nell'ambito delle voci e dei ricatti, inconfessati ed inconfessabili, utilizzati soltanto per la delegittimazione politica di qualche capo missino; il primo a farne le spese fu proprio Romualdi che, nella sua lunga vita, non riuscì mai a diventare segretario del partito che aveva costituito».
    Lo storico prosegue precisando che «è ovvio che coloro che trattarono non lo fecero per interesse personale o, peggio, per tradire la causa fascista». Su questo conveniamo anche noi, che rappresentiamo l'unica forza politica che "non stette al gioco", non assecondò in alcun modo i molti tentativi di "uscita dal tunnel del fascismo" portati avanti da intellettuali più o meno legati a quel mondo, pagandone però le conseguenze, ma rilevando in ogni caso che in Italia esistono più "Servizi" che segreti, e questi ultimi non sono certamente pochi. In politica è necessario valutare i fatti, e questi ci dicono che la scelta atlantica, anche se può essere legittimata in quanto legata ad una logica contingente, nonché ad un'ideologia, l'anticomunismo, falsa e strumentale perché l'Italia a seguito degli accordi di Yalta era stata posta sotto il protettorato atlantico, non è mai stata una proiezione della RSI né tampoco dell'ideologia fascista presa nel suo insieme.
    Va aggiunto, come compendio, che la posizione esistenziale di "Esuli in patria" secondo la felice definizione di Marco Tarchi, alla fine non ha dato altro risultato che una "tenuta" del sistema centralistico democristiano che, paragonato all'ideologia ed alla prassi di Alleanza nazionale resta pur sempre un modello di virtù civiche. Riportiamo, sempre di Tarchi, alcune considerazioni pubblicate su "Diorama" gen-feb 2007 nell'articolo dedicato al libro di Parlato: «… Su questo frammentato panorama prese poi a stendersi, dai primi mesi del 1946, l'ombra del timore di un colpo di forza comunista sostenuto dalla Yugoslavia che su molti ex-militi di Salò fece presa. All'insegna dell'anticomunismo gli ex-fedeli di Mussolini s'imbarcarono nelle avventure più sconcertanti: molti intensificarono l'abbraccio con i nemici di solo pochi mesi prima -statunitensi e monarchici in testa- offrendo disponibilità per qualunque progetto controrivoluzionario, da chiunque diretto, mentre in qualche caso si andò addirittura oltre, come quando (le carte scovate da Parlato non lasciano dubbi) un gruppo di ex-marò della X Mas collaborò con l'Irgun Zwai Leumi per far giungere di soppiatto imbarcazioni italiane ad attivisti sionisti, affondare una nave egiziana, realizzare un attentato contro l'ambasciata britannica a Roma e poi fornire armi detenute clandestinamente ai servizi segreti del neo costituito Stato di Israele, atti non esattamente scontati da parte di alleati fino all'ultimo giorno del Terzo Reich. In un panorama così ricco di spioni, avventurieri, doppiogiochisti, millantatori e sognatori, non mancavano comunque le persone serie e disinteressate. Fu grazie a loro, ed a volte ai loro danni che l'aggregazione politica del neofascismo poté realizzarsi, nei modi descritti nel libro di cui ci stiamo occupando. Puntando su alti richiami ideali, di cui si facevano eco in modo articolato ed in qualche caso contraddittorio le prime pubblicazioni dell'area, come "Rivolta Ideale", "Rataplan", "Rosso e Nero", "Meridiano d'Italia", "Fracassa", Romualdi ed i suoi s'impegnarono nella costruzione di un movimento che, come Parlato a ragione sottolinea, nasceva borghese ed anticomunista perché il suo obiettivo primario era "difendere lo stato borghese che il fascismo aveva validamente contribuito a rafforzare, pur con caratteristiche proprie e peculiari che lo rendono dissimile dalla società liberale classica". D'altronde, in un recente libro, "Il principe nero" di Jack Greene e Alessandro Massignani, Mondadori, la conclusione è questa: l'unica cosa certa è il rapporto ininterrotto del principe con i servizi italiani e americani, accomunati dalla convinzione che l'Italia non poteva uscire dalla sfera occidentale e disposti per questo anche ad agitare il fantasma del vecchio comandante, come commenta A. G. Ricci su "Storia in Rete" di aprile 2007. L'obiettivo non poteva essere condiviso dai sostenitori del fascismo di sinistra, come Giorgio Pini, Concetto Pettinato, Ernesto Massi, che opponevano alla vocazione al compromesso del neofascismo romano una posizione intransigente condivisa soprattutto dai simpatizzanti residenti al Nord, ma ad onta dei distinguo e dei dubbi il progetto di Romualdi, in una prima fase, prevalse, ed il 26 dicembre 1946, nello studio di A. Michelini, dopo frenetiche trattative fra singoli, gruppi e direttori di testate giornalistiche, il Movimento Sociale Italiano vide la luce».
    La premessa di tutto il daffare romualdiano era proporre il movimento neofascista come il più dinamico dei movimenti anticomunisti, al fine di ottenere l'approvazione ed il voto degli italiani moderati. Ma così aggiunge Tarchi: «Peccato che prima ancora di radicarsi nel paese la parola d'ordine anticomunista avesse fatto breccia fra i fondatori del neofascismo, spingendoli a mettere in soffitta una gran parte delle idealità del passato e ad accontentarsi di una formazione ben decisa a collocarsi nell'area nazionale e moderata con la benedizione di ambienti vicini al Vaticano, di servizi segreti americani ed anche degli stessi democristiani, che speravano così di arginare le tentazioni di avvicinamento di molti reduci della RSI alla sinistra».
    Commento irreprensibile e veritiero, al quale occorre aggiungere alcune considerazioni da parte nostra, anche se apparentemente a posteriori. Non crediamo di dichiarare qualcosa di strano se affermiamo che il momento che sta passando l'Italia è caratterizzato da una grande crisi politica e morale. Questa crisi non giunge, ovviamente, per caso, ma da lontano. E viene proprio a causa dell'abdicazione dalla tensione degli ideali nati e vissuti nella prima metà del secolo ventesimo attuata da tutti i partiti politici dell'Italia post-bellica, presumibilmente sullo stimolo programmatico dell'americanismo.
    Interessanti, per un'idea complessiva della vastità e della non casualità del fenomeno, i libri di Massimo Cacciari: "Geo-filosofia dell'Europa", Adelphi e Maurizio Blondet: "I fanatici dell'Apocalisse", Il Cerchio, nonché l'intera opera di Augusto Del Noce. Nei due libri citati gli autori pongono l'accento sulla coincidenza del Nuovo Ordine Tecnocratico col Capitalismo Internazionalista delle Multinazionali supportati dal fondamentalismo giudeo-cristiano, mentre Del Noce, vox in deserto, ha sempre sostenuto fino alla morte che il comunismo sconfitto si sarebbe trasformato in un elemento della società borghese, dominata da una classe che tratta ogni idea come strumento di potere. Di questa realtà si è fatto di recente portavoce anche un personaggio ambiguo come Achille Occhetto, il quale, all'indomani della decisione dei DS di dar vita al Partito Democratico, ha rilasciato un'intervista ("E Polis" 18 aprile 2007) nella quale dice testualmente: I grandi avvenimenti non finiscono mai a causa delle degenerazioni successive (…) questo è momento estremamente basso che nasce dal fatto che una parte di coloro che avevano partecipato alla svolta hanno poi snaturato il processo politico che si era aperto (...) prevalse la linea degli inciuci interni, delle continue compromissioni che molto probabilmente erano già dentro il dna del vecchio Partito Comunista.
    A noi sembra che una grande responsabilità incombe proprio sulla classe dirigente neofascista che avrebbe potuto farsi portavoce di una categoria di persone decise a tener duro proprio sui principi di fondo. E proprio contro i cedimenti di tutto il mondo circostante, ad iniziare da quello cattolico, che aveva trescato con l'americanismo, il protestantesimo, la massoneria americanocentrica, ricordiamo il viaggio in USA di Pacelli nel 1936 su cui pochissimo si scrive, e l'«amicizia» di Roosevelt con l'arcivescovo di Chicago, card. Mundelein, per finire coi comunisti che hanno innescato la guerra civile nell'interesse esclusivo degli alleati. Si tratta solo di compromessi e di piccole o grandi viltà. Noi ci rendiamo conto che dopo una guerra devastante come quella finita apparentemente nel 1945 il disorientamento fosse generale, ma è proprio per questo che noi affermiamo che è mancata una classe dirigente adeguata al momento storico. Inutile aggiungere che il naturale corollario di questa situazione è costituito dalla possibilità di inventare impunemente e far vivere l'intera popolazione italiana in una farsa come quella della Guerra Fredda.
    Nessuno, eccettuata la nostra Federazione, ha denunciato sistematicamente questo insulto all'intelligenza degli italiani. Solo ora qualcuno si sveglia. In un libro edito di recente, un giornalista esperto in storia militare e spionaggio, Giorgio Boatti, ("C'era una volta la Guerra Fredda", Baldini & Castoldi, 1994) scrive: «Talvolta la Guerra Fredda porta con sé un sospetto: e se fosse stata tutta un'illusione? Se tutta questa interminabile vicenda popolata di spie, di soldati senza divisa, di maestri di trucchi e inganni, fosse solo, a sua volta, un'invenzione delle spy-story? Se tutto questo conflitto, mai trasformatosi in guerra guerreggiata, e tuttavia scandito da spietati duelli tra organizzazioni di spionaggio votate al silenzio come antiche trapperie, dedite a violenze fuori da ogni regola come moderne gangsterie, fosse un miraggio? Se tutta quest'epopea, anziché essere la realtà vera, fosse la quinta monotona ed opaca, frapposta fra la realtà stessa e mezzo secolo di storia? Se questa fissità che batte e ribatte sempre sullo stesso chiodo- lo scontro fra il Comunismo ed il Capitalismo, tra Est ed Ovest, avesse voluto far scordare gli imprevisti e gli accadimenti di una realtà mozzafiato e cangiante, in contraddizione totale con gli scenari, dispiegati dalle due superpotenze, di controllo globale sull'ordine e sui disordini del pianeta?»

    Attualità della geopolitica socialrepubblicana

    «Tutto ciò che è esagerato è insignificante»
    Klemens di Metternich

    Come noto, l'elaborazione classica della geopolitica vede uno scontro costante dell'Oceano contro il Continente. (vedi: K. Haushofer: "Geopolitica delle idee continentaliste", Nuove Idee ed. e André Vigarié: "Economia marittima e geostrategia degli oceani", Mursia, 1992)
    «Qualsiasi spazio ha il suo valore politico», diceva Ratzel, ed anche in un momento in cui alcune trasformazioni propiziate dalla tecnologia (Internet, aeronautica e missilistica, dominio spaziale) hanno cambiato la vecchia concezione dello spazio, occorre tener sempre presente il determinismo della geopolitica. Ci sono scelte obbligate alle quali non ci si può sottrarre.
    «La storia mondiale -diceva Carl Schmitt- è la storia della lotta delle potenze marittime contro le potenze continentali e delle potenze continentali contro le potenze marittime».
    Anche se il mare è stato rimpiazzato dallo spazio, è facile costatare che la politica di potenza dei Theocons si basa ancora sull'uso delle flotte, sia pure ricche di portaerei. Secondo Lyndon LaRouche, l'attuale quadro politico che vede contrapposto il potere mondialista statunitense a quello continentale rappresentato dai due assi: Madrid, Parigi, Berlino, Mosca e Mosca, Teheran, Nuova Delhi, sarebbe la manifestazione di un perdurante asservimento della dirigenza nordamericana nei confronti della vecchia geopolitica imperiale britannica, che avrebbe anche oggi il suo centro a Londra. Si tratta di una tesi sostenibile. Non a caso il teatro delle operazioni è sempre il grande gioco che opponeva fin dalla nascita dell'imperialismo inglese, il Regno Unito alla Russia: Asia Centrale, Mesopotamia, Iran, Afganistan.
    Volendo, tutta la storia dell'umanità potrebbe essere racchiusa in questo contrasto. In particolare il mondo moderno e contemporaneo ce ne danno una visione plastica, con le potenze marine (Regno Unito ed USA) tese ad impedire qualsiasi processo di unificazione del Vecchio Continente. In quest'ottica la storia d'Italia, a causa della sua posizione geografica è la storia di un'oscillazione. Quella posizione strategica che fu la forza di Roma, oggi ne rappresenta la debolezza. Che tali oscillazioni sotto la forma di possedimenti di altre potenze o di scelte autonome in questo contesto importa poco. Resta il fatto certo che l'unità nazionale, ottenuta sul finire del XIX secolo ed anche dopo una lenta e contrastata maturazione durata oltre cento anni, è stata resa possibile dal complesso gioco delle potenze egemoni. Se esuliamo dai fattori personali e ci soffermiamo sulla nostra storia guardandola dal punto di vista geografico, possiamo con facilità notare che esistono almeno tre Italie. Queste tre Italie hanno differenti poli d'attrazione. Non ci sembra che finora, nel dibattito politico, sia emersa la necessità di tenere conto di queste differenze che potrebbero portare, un domani piuttosto vicino, a pericolose lacerazioni. Se, ad esempio, il movimento padano (Lega Nord) si è momentaneamente invischiato nel pantano della "politica romana", non è detto che in futuro, di fronte a pressanti richieste eurocentriche non trovi il modo di sviluppare scelte economico-politiche più legate alla propria collocazione geografica. Similmente, il Sud potrebbe stancarsi di essere mantenuto dai contributi romani e fare scelte autonome che riflettano la posizione di privilegio nel cuore del Mediterraneo.
    Un dato che potrebbe far riflettere, ma non sembra che qualcuno finora ci abbia posto l'attenzione necessaria, è la storia della Padania durante il periodo bonapartista, che non fu poca cosa per una serie di ragioni (vedi: Matteo Angelo Galdi, "Necessità di stabilire una repubblica in Italia", Salerno ed.; pubblicato per la prima volta nel 1796):
    1) Il genio ordinatore di Napoleone, valido ancor oggi, visto che le leggi napoleoniche sono il riferimento ordinativo per tutti i paesi europei, nella visione generale di una nuova Europa unita ed imperiale, della quale la Padania non poteva che essere il cardine.
    2) La storia secolare della Padania, almeno fin dal Regno Ostrogoto d'Italia, che l'ha vista gravitare verso il baricentro europeo più che verso il sud.
    3) L'attuale concentrazione dell'attività industriale ripartita in macro zone contigue ed integrate con le confinanti regioni di altre nazioni. In un processo d'integrazione europea accentuato, vi si formeranno unità territoriali destinate a gravitare verso le capitali delle nazioni preesistenti e c'è poco da sperare che tali zone possano gravitare più su Roma che su Parigi, Vienna, Berlino.
    4) Il sud d'Italia esposto da sempre alle scorribande inglesi (vedi la storia delle insorgenze siculo-calabresi 1799-1815 circa, ed il brigantaggio post-unitario).
    5) La Marcia su Roma del 1922 che parte dal Nord e la conquista d'Italia degli Atlantici che inizia dal Sud.
    6) Il fatto che, contrariamente ad altre formazioni governative italiane, già feudatarie dell'Impero, solo la Padania, tanto come Repubblica Cispadana, poi Cisalpina, infine come Regno Italico seguì il destino imperiale.
    7) Il ruolo di portaerei statunitense della Sicilia, dal 1943 ad oggi.
    Chiunque stia dalla parte di una giusta causa non può essere definito un terrorista.
    Yasser Arafat

    Una religione senza guerra è zoppa.
    Ruhollāh Mosavi Khomeyni

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    Predefinito Rif: Breve storia della Federazione Nazionale Combattenti RSI

    Geopolitica imperialista degli USA e geopolitica dell'Unione Europea
    «La politica estera di un paese rispecchia gli interessi di coloro i quali di esso controllano il sistema politico»
    S. R. Shalom, "Alibi Imperiali", Synergon

    «Qual è il vantaggio delle manovre e delle esibizioni di forza se non le usi mai?»
    Gwertzman, "Steps to invasion"

    «Quando, dall'alto della sua opulenza, l'America predica il Vangelo della democrazia a paesi che non hanno alcuna possibilità di giungere all'opulenza, il messaggio non assume il significato che dovrebbe avere. Mai l'America ha dovuto registrare tanti fallimenti, così massicci, duraturi, come da quando ha tentato di "esportare" la democrazia»
    David Potter, 1954

    «Il vero problema non è solo l'avidità degli individui, ma l'intera deregolamentazione del settore bancario e delle imprese, la natura speculativa dell'economia degli Stati Uniti»
    Casadio, Petras, Vasapollo.

    «… un secolo prima, Cromwell ed il popolo inglese avevano preso a prestito dal Vecchio Testamento le parole, le passioni, le illusioni per la loro rivoluzione borghese. Raggiunto lo scopo reale, condotta a termine la rivoluzione borghese della società inglese, Locke dette lo sfratto ad Abacuc (Karl Marx) (…) i costituenti americani a loro volta trassero da una costola della "Gloriosa Rivoluzione", le parole, le passioni e le illusioni per le battaglie cruciali con cui s'emanciparono dalla monarchia di Londra. (…) Da allora, trasformate nei contenuti ma trascinate lungo i decenni, quelle immagini politiche sono rimaste a far parte delle fonti ideologiche dell'americanismo»
    "Lotta Comunista", anno XXXIX, n. 398 (Organo dei gruppi leninisti della sinistra comunista)

    «In tutto il mondo, in un giorno qualsiasi, un uomo, una donna o un bambino verranno probabilmente deportati, torturati, uccisi o scompariranno ad opera di governi o gruppi politici armati. Nella maggior parte dei casi, tra i responsabili di quegli atti, ci saranno gli Stati Uniti»
    Rapporto Amnesty International 1996, riportato da Antonella Randazzo in
    "Dittature, la storia occulta". Il Nuovo Mondo ed, febbraio 2007.

    L'imperialismo americano non era la naturale estensione di un espansionismo cominciato con le origine stesse dell'America. Né era il naturale risultato di un sistema mondiale capitalistico di mercato che l'America aiutò a rinascere dopo il 1945.L'imperialismo americano, quali che fossero i mezzi assunti dall'America per dominare, organizzare e dirigere il "mondo libero" era il prodotto della corrente rooseveltiana del New Deal. Le due convinzioni di base del New Deal erano che il sistema capitalistico concorrenziale non era più in grado di assicurare il pieno impiego, condizione indispensabile per la stabilità sociale, attraverso il suo normale funzionamento, e che le crescenti esigenze dei poveri e degli oppressi avrebbero potuto creare un caos un caos rivoluzionario. Da queste due convinzioni se n'affermò una terza con conseguenze operative: solo un governo nazionale potente poteva salvare il capitalismo concorrenziale dalle contraddizioni sue proprie (…) La seconda guerra mondiale dimostrò ai liberali rooseveltiani che il ND poteva produrre miracoli e che quei miracoli accadevano soltanto quando la gente si sentiva minacciata da nemici esterni criticabili dal punto di vista ideologico: il fascismo in sue varie forme, era chiaramente un "nemico ideologico" della corrente radicale del New Deal»
    F. Schurmann, "La Logica del Potere", Il Saggiatore, 1980

    «Il militarismo e l'interventismo si sono rivelati utili anche ai presidenti americani. Quando le politiche interne sono volte sistematicamente alla riduzione degli standard di vita del cittadino medio ed alla ridistribuzione del benessere ai ricchi, un diversivo per chiamare a raccolta la gente attorno alla bandiera può fornire un aumento salutare degli indici di popolarità del presidente. Un pantano come il Vietnam può rivelarsi la rovina di un'amministrazione, ma non c'è niente di meglio di un'operazione lampo, contro un avversario più debole senza speranza, per rilanciare la popolarità di un presidente: come testimoniano le aggressioni a Grenada, alla Libia, a Panama, all'Iraq»
    S. R. Shalom, "Alibi Imperiali", Synergon

    Per chiarire meglio le lungimiranti scelte mussoliniane e le conseguenti scelte della nostra Federazione, occorre un rapido excursus sugli avvenimenti recenti, e per escludere qualsiasi possibilità di interpretazione unilaterale degli avvenimenti ci limiteremo a quanto scritto su testi facilmente reperibili.

    L'imperialismo statunitense nasce e si sviluppa assieme alla sua potenza economica.

    Le tappe dell'ascesa a grande potenza economica degli USA non sono un mistero, meno noto è il fatto che in questa grande "democrazia", nel 1913 il 2% degli americani guadagna il 60% del reddito nazionale. Si tratta pertanto di un'oligarchia del denaro che ha sempre piegato la geopolitica di quel paese ai propri interessi. L'acquisto dell'Alaska, una chiara indicazione delle strategie d'espansione che privilegiano il Pacifico, avviene nel 1867, appena dopo la fine di una guerra intestina che avrebbe dovuto provocare un disastro economico (che evidentemente lo fu solo per i sudisti perdenti). Che quella statunitense sia stata una storia di violenze e di sopraffazioni anche intestine, è documentato non solo dal genocidio dei nativi, si tratta di non meno di cinque milioni di persone, (a cominciare dalle battaglie combattute da Washington stesso, 1757-63, nell'ambito della guerra coloniale anglo-francese), sed etiam da quello che accadde durante le battaglie per l'indipendenza combattute per lo più da francesi e tedeschi (1775-83), con stragi, impiccagioni di coloni lealisti, uccisioni di prigionieri di guerra, come documentato da un recente libro. (D. H. Fischer, "Washington's Crossing", Oxford University Press, 2006)
    E neppure il termine tanto utilizzato dal presidente Bush per qualificare i paesi che si difendono dall'egemonia a stelle e strisce, "Stati canaglia", è concettualmente nuovo. Infatti, il presidente Jefferson già nel 1816 aveva espresso ampie minacce contro i "Barbarian States".
    Nel 1895, l'esplosione di una nave da guerra, il Maine, davanti all'Avana provoca la guerra contro la Spagna che entra in una crisi secolare. Seguono le conquiste di Cuba, Guam e Portorico, l'annessione delle Hawaii e delle Filippine (1897-1901), Samoa (1899), Canale di Panama (1903-1914); segue poi la Prima Guerra Mondiale e l'ingerenza statunitense nelle cose d'Europa, non prima di aver fatto dissanguare le popolazioni europee.
    In questo periodo comunque, abbiamo un enorme arricchimento del capitalismo statunitense con le forniture di materiale bellico e di petrolio, con l'imposizione di tariffe commerciali che permangono tuttora. Segue il finanziamento della rivoluzione russa, ma anche della contro rivoluzione per gestire il conflitto e l'imposizione al mondo dei 14 punti di Wilson creati con evidente astuzia per mantenere una situazione di conflittualità latente fra le popolazioni europee.
    Lo stesso dicasi per la nascita del "focolare ebraico" in Palestina deciso a due con il Regno Unito e destinato a permanere nel tempo come stimolo permanente di conflittualità nel Mediterraneo e nel Medio Oriente, per il controllo delle rotte delle materie prime industriali ed energetiche. Questo focolare, che insanguina la cosiddetta terra santa da quasi un secolo, finanziariamente dipende in larga misura dalla comunità ebraica statunitense, che è ben integrata nel sistema americano. Mentre, per il suo livello di vita, per le sue possibilità tecniche si colloca nell'area dei paesi sviluppati (al prezzo della povertà e dello sfruttamento integrale della componente palestinese). È proprio come voleva Herzl, una testa di ponte del mondo industrializzato capitalistico in mezzo ad un mondo sottosviluppato. (M. Rodinson, "Israele ed il rifiuto arabo", Einaudi)
    Seguono il secondo conflitto mondiale e la guerra fredda, utili per giustificare uno stretto controllo nelle zone d'influenza e per giustificare le spese militari, cioè l'arricchimento dell'industria pesante. A questo punto ciò che maggiormente stupisce è il silenzio dei Media sugli argomenti testé trattati, che invece dovrebbero essere ricordati da qualsiasi giornalista onesto in ogni articolo che tratti delle guerre in corso.
    Per la verità abbiamo trovato un solo indizio di denuncia del comportamento americano in una rivista del 1921, "Il Nuovo Patto", diretta da G. Provenzal, che contiene l'articolo di G. Racca dal titolo significativo: "L'ingerenza americana nelle cose d'Europa". Il mito amerikano, diffuso ad arte e favorito dalla cinematografia (film di guerra e film rosa) e dalla letteratura (edita in Italia ancor prima del conflitto) agirà prepotentemente anche durante il conflitto e la graduale occupazione dell'Italia. L'uso spregiudicato della propaganda psicologica è una delle armi che prendono sempre alla sprovvista. Ad esempio, solo per citare un caso, il terrorismo atomico viene esercitato non solo col possesso della "bomba", ma col reclutamento di ogni altro strumento di comunicazione. Un esempio è rappresentato dal coinvolgimento degli "scienziati" che, fingendosi pacifisti seminano il terrore. Un libro edito in Italia nel 1946 è indicativo. Si tratta di un testo dal titolo emblematico: "Il mondo unito o il caos", che coinvolge personalità come Bohr, Compton, Einstein, Oppenheimer, e con un'appendice di G. Giorgi sull'opera di Fermi. Per nostra fortuna, la proliferazione della bomba e dell'energia atomica ha reso gli USA piuttosto guardinghi sul suo uso indiscriminato, facilitando la colossale sconfitta del Vietnam.
    Tuttavia, è proprio dopo l'oscuramento dell'URSS e la scomparsa di un probabile antagonista che la smania di potere si impossessa delle classi dirigenti americane che da tempo avevano progettato la globalizzazione.
    «… La finanziarizzazione dei processi economici è anche l'indice di un sostanziale spostamento del potere. Il complesso dei fenomeni analizzati, la crescita delle disuguaglianze e della concentrazione del reddito e della ricchezza, il venir meno del bilanciamento del potere all'interno delle grandi imprese rispetto al potere del capitale finanziario con il formarsi di una sorta di oligarchia, il cambiamento della natura delle imprese e la loro finanziarizzazione con il crescente esclusivo ruolo del Top Management, lo spostarsi del potere di decisione verso istituzioni finanziarie sempre più concentrate, insomma l'evidente spostamento del potere nel complesso dei sistemi economici, sta avendo una ricaduta inevitabile sul funzionamento dei sistemi politici e della democrazia. Il rapporto tra capitalismo e democrazia è tornato ad essere problematico (…) secondo il supplemento del giugno 2003 di "The Economist", Le imprese pongono un problema per la democrazia con la loro stessa esistenza, a causa del loro comando sulle risorse, potere di persuasione e molti privilegi legali ...». Così Silvano Andriani nel libro: "L'ascesa della finanza. Risparmio, banche, assicurazioni: i nuovi assetti dell'economia mondiale", Donzelli ed.
    Questo è il ritratto della Globalizzazione e la fotografia dell'Italia di Prodi. Possiamo anche aggiungere che si tratta del prodotto della "civilizzazione americana". È l'americanizzazione del mondo, dentro la quale l'Europa dovrebbe svolgere il ruolo di provincia dell'impero. Quel tipo di società che Noi abbiamo sempre combattuto. Ne da un'inequivocabile descrizione l'intervento alla Commissione Esteri del Senato statunitense il 17 febbraio 1950 di James Paul Warburg, figlio dell'ideatore della Federal Reserve Bank, già direttore dell'Office of War Information, adepto del Council of Foreign Relations: «La grande questione del nostro tempo non è se si possa o non si possa arrivare ad un governo mondiale, ma se si possa o non si possa arrivare ad un governo mondiale con mezzi pacifici. Lo si voglia o no, arriveremo ad un governo mondiale. La sola questione è se ci arriveremo con un accordo o con la forza» (tratto da: Gianantonio Valli, "Holocaustica Religio", Effepi ed. 2007)
    Ma queste verità, per noi lapalissiane, sono negate negli States dagli esponenti di punta dei neocon ed in Italia dai Radicali ("I più vicini a noi sono Emma Bonino & Company", M. Ledeen, 2003). «C'è una profonda differenza tra una grande potenza ed un paese che cerca di esercitare il proprio dominio su altri paesi, che è poi la vera essenza di un impero. L'espansione del libero mercato non rappresenta una forma di imperialismo (!), a meno che non si seguano le teorie marxiste. L'America non è un impero anche se, per certi aspetti, ha esercitato un'influenza maggiore di qualsiasi altro impero (!)» Robert Kagan, "American As a Global Hegemon", ("The National Interest", 23 luglio 2003), tratto da: Christian Rocca, "Esportare l'America", I libri del Foglio, 2003.
    C'è anche un altro libro dal quale trarre alcune informazioni. Si tratta di "Alibi imperiali" di S. R. Shalom, edito in Italia da Synergon nel 1995. «Interferire negli affari degli altri Stati, scrisse Charles Krauthammer, redattore di "New Republic", è l'insieme degli scopi della politica estera. L'appello alla pace, Krauthammer lo interpreta come disarmo unilaterale. Gli Stati Uniti devono mantenere un grande esercito, tecnologicamente avanzato, presente ovunque nel mondo. Anche se la minaccia sovietica è scomparsa, fa notare Krauthammer nel marzo del 1990, c'è sempre la minaccia della Russia, e se questo non bastasse, semplicemente non sappiamo quali progetti di lungo periodo perseguono Germania, Cina, Giappone (….) Gran parte di questo repentino accorrere per far rispettare la legge o per mantenere l'ordine ad ogni costo -afferma un famoso editorialista conservatore come W. Safire del "New York Times"- serve soltanto a giustificare la continuità agli enormi bilanci militari (…) Nessun altro paese dispone di una potenza militare neppure lontanamente paragonabile alla nostra -ha scritto il generale Colin Powell- siamo noi che dobbiamo guidare il mondo e non potremmo assolvere questo gravoso compito se non avessimo forze armate tanto poderose (…) Solo gli Stati Uniti -disse Bush al popolo americano- dispongono di una potenza globale in grado di sbarcare una massiccia forza di intervento nelle località più lontane ed inaccessibili, con la rapidità e l'efficienza necessarie per salvare la vita a migliaia di innocenti (…) [Peccato, aggiungiamo noi, che nel caso dell'invasione di Santo Domingo, della Cambogia, per cui il caso della nave mercantile Mayaguez ricorda molto da vicino la recente provocazione inglese nelle acque territoriali iraniane… il deputato Pat Schroeder abbia dichiarato per l'occasione: "Non abbiamo provato nulla al mondo tranne che questo Presidente vuole, come volevano i suoi predecessori, utilizzare affrettatamente l'esercito degli Stati Uniti contro i piccoli paesi, senza badare al diritto"; di Grenada, di Panama, ed il sostegno indiretto ai massacri in Guatemala, Indonesia, Timor Est, Uganda, per non citare che i più raccapriccianti, dimostrino che mai sono stati effettivamente salvati degli innocenti] Nel marzo del 1991, il segretario alla Difesa Dick Cheney dichiarò che gli Stati Uniti, sulla scia della guerra all'Iraq avrebbero venduto più e non meno armi al Medio Oriente (…) Come scrisse il "Washington Post", analisti dei servizi segreti americani ed israeliani imputano alla guerra Iran-Iraq (provocata dagli USA e da Israele, N.d.R.) la maggior parte degli sviluppi destabilizzanti l'equazione militare in Medio Oriente: l' impiego generalizzato dell'uso di missili contro le popolazioni delle città, l'utilizzo d'ingegneria locale per estendere maggiormente la portata dei missili e l'acquisizione di testate chimiche».
    Robert Kagan e William Kristol, tra i più autorevoli esponenti teocon (con Cheney, Rumsfeld, Wolfowitz), hanno scritto il 25 agosto 2003 su "The Weekly Standard": «Ci sono più cose in gioco in Iraq che la semplice visione di un Medio Oriente migliore e più sicuro. Sono in gioco il futuro della politica estera americana, la leadership americana nel mondo e la sicurezza americana. Un fallimento in Iraq sarebbe un colpo devastante per tutto quello che gli Stati Uniti sperano di realizzare e devono realizzare nei prossimi decenni». (tratto da "Affari Esteri", n. 140, ottobre 2003)
    Per non dilungarci ulteriormente su un argomento arcinoto, ci limitiamo a citare alcuni fra i tanti libri pubblicati sull'argomento che dimostrano inequivocabilmente la volontà di dominio degli USA sul mondo intero, per mantenere costante il tenore di vita degli americani, come dichiarò Reagan, laddove per "americani" deve intendersi la sola classe dirigente. Mario Calvo Platero, "Il modello americano. Egemonia e consenso nell'era della globalizzazione", Garzanti, 1996; G. Valdevit. "I volti della Potenza", Carocci, 2004; G. Bertolizio, "Breve storia degli USA e getta", Ed. Clandestine, 2006; R. B. Stinnet, "Il giorno dell'inganno. Pearl Harbor: un disastro da NON evitare", Il Saggiatore; W. Blum, "Con la scusa della libertà", Marco Tropea, 2003; Claude Julien, "L'impero americano", Il Saggiatore, 1969; Casadio, Petras, Vasapollo. "Clash! Scontro tra le potenze. La realtà della Globalizzazione", Jaka Book, 2003; Antonio Donno, "Gli Stati Uniti, il sionismo ed Israele (1938-1956)", Bonacci ed. 1992; Jean Prassard, "Dominio", Capire ed. 2002; Robert Kagan, "Paradiso e Potere. America ed Europa nel Nuovo Ordine Mondiale", Mondadori; Mike Davis, "Cronache dall'Impero", Manifestolibri, 2004; Christopher Hitchens, "Processo a Henry Kissinger", Fazi ed. 2003; Marianne Debouzy "Il capitalismo selvaggio negli Stati Uniti (1860-1900)", Arianna ed. 2002; AA.VV. "Iraq. Dalle antiche civiltà alla barbarie del mercato petrolifero", Jaca Book, 2003; Bertani-Buttarelli, "L'impero colpisce ancora", Malatempora, 2003; Z. Brzezinski, "La grande scacchiera: la supremazia americana ed i suoi imperativi geostrategici", Longanesi, 1998; Brisard-Dasquié, "La verità negata. Una voce fuori dal coro racconta il ruolo della finanza internazionale nella vicenda Bin Laden", Tropea ed. 2002; N. Hertz "La conquista silenziosa. Perché le multinazionali minacciano la democrazia", Carocci ed. 2003; E. Laurent "Il potere occulto di G. W. Bush. Religione, affari, legami segreti dell'uomo alla guida del mondo", Mondadori, 2003; B. Li Vigni, "Le guerre del petrolio", Ed. Riuniti, 2004; G. Santoro, "Il mito del libero mercato", Barbarossa ed. 1997; W. I. Cohen, "Gli errori dell'Impero americano", Salerno ed. 2007; F. Zavaroni, "USA, Occidente, Libertà. Egemonia americana tra economia, informazione, repressione", Ed Riuniti, 2007.
    Per concludere, quindi, appena finite vittoriosamente nel 1865 le guerre d'indipendenza dall'Inghilterra, (la guerra di Secessione fu in realtà una guerra contro il Regno Unito la cui economia si basava essenzialmente sul cotone prodotto negli Stati Confederati), l'imperialismo statunitense si è sviluppato fino ad oggi con impressionante cadenza ritmica senza incontrare ostacoli efficaci, mentre l'Inghilterra si è gradualmente trasformata in una propaggine dell'asse atlantico ed una scheggia nel fianco dell'Unione Europea. Ma le cose stanno cambiando.

    Il riscatto europeo

    «L'Europa non può vivere senza patrie e, certamente, morirebbe se osasse distruggerle, perché sono i suoi organi essenziali; ma le patrie non possono più vivere senza l'Europa. L'hanno dilaniata nel periodo della loro crescita meravigliosa, come ragazzi che si emancipano crudelmente dalla madre per divorare la loro parte di destino, ma oggi devono rifugiarsi e riprendere energie dentro di lei»
    P. Drieu La Rochelle, "Le francais d'Europe", 1941

    «Quale deve essere oggi la parola d'ordine, il grido di guerra del Partito: azione, azione una, europea, incessante, logica, ardita, di tutti, per tutti, per ogni dove»
    G. Mazzini, 1850

    Lungi da noi voler fare una storia dell'Unione Europea, ci limitiamo soltanto a documentare alcuni passaggi che dimostrano la volontà di riscatto dei popoli d'Europa.
    È curioso come, dopo il gran bagno di sangue del primo conflitto mondiale, la prima voce in senso europeista sia di un nobile nippo-ungherese: Coudenhove-Kalergi, che nel 1923 fonda l'Unione Paneuropea in senso federalista. Nel 1947 promosse la costituzione dell'Unione Parlamentare Europea, di cui fu il primo presidente onorario (1952-1965). Evidentemente, aver vissuto la gioventù il Giappone gli aveva dato la possibilità di vedere le cose d'Europa in prospettiva. La spinta all'unificazione era però sentita in molti ambienti. In quello sindacale, ad esempio. Abbiamo come riferimento il libro del noto sindacalista francese Gaston Riou: "Europe, ma patrie" edito a Parigi nel 1928 proprio nell'ambito di una Biblioteca Sindacalista. Dal 14 al 20 novembre 1932 si tenne il famoso Convegno di Scienze morali e storiche indetto dalla Fondazione Alessandro Volta della Reale Accademia d'Italia, sul tema dell'Europa, pubblicato negli Atti dell'Accademia nel 1933. La lettura di questi atti è illuminante. Per riferirci ad un tema d'attualità, le radici culturali del nostro continente, l'intervento di Pierre Gaxotte è molto chiaro. Secondo il noto scrittore francese «La parola Europa non può essere usata legittimamente che nel senso di Civiltà Europea».
    E questa è composta da tre elementi.
    1) La Scienza greca. Creazione della ragione umana. Ordine intelligibile delle cose. Riflessione sull'esperienza.
    2) Il Diritto romano. Definizione della nozione astratta dello Stato. Posto dell'individuo nello Stato.
    3) La Religione cristiana. Credenza nell'infinito. Nozione dell'immortalità. Morale della bontà e della pietà.
    Nostra postilla: basterebbe questa minima citazione per rendersi conto della pretestuosità e della mistificazione insite nella recente battaglia per la Costituzione europea, dove le forze in gioco hanno cercato di imporre un loro punto di vista del tutto particolare ed unilaterale, e proprio per questo sostanzialmente antieuropeo. Cogliamo l'occasione per chiarire che per noi la forma con cui si sta organizzando l'unione europea è del tutto insignificante. Importante è la nascita e lo sviluppo di questa unione, seguendo un'evoluzione più naturale che artificiale, come insegna la storia delle aggregazioni geopolitiche degli ultimi secoli, anche perché, come ci ricorda Carl Schmitt, l'identificazione politica avviene sempre contro qualcosa. Non siamo in linea di principio contro una struttura federale, anche se a suo tempo avevamo condiviso il progetto di "Europa Nazione" di Jean Thiriart perché, come ci ricorda Giano Accame riferendosi ad uno scritto di Giovanni Gentile ("I profeti del Risorgimento Italiano"), fu la visione federale di Vincenzo Gioberti ed il consenso che ottenne nel 1848, che aprì la strada all'azione unitaria e rivoluzionaria del mazzinianesimo, che per noi che non siamo né guelfi né moderati, resta un preciso punto di riferimento, anche perché, a dispetto di qualsiasi estremismo verbale, gli eventi della storia umana si dipanano a tappe molto lente. In ogni caso, la nostra visione di un'Europa futura è allineata su quanto ha scritto di recente Franco Cardini con Sergio Valzania in "Le radici perdute dell'Europa", Mondadori.
    L'Europa tra il XVI ed il XVII secolo può essere definita una vera e propria superpotenza mondiale, caratterizzata dal policentrismo del potere politico e da un diffuso multiculturalismo. L'unico tentativo d'integrazione di popoli diversi che abbia ottenuto un esito positivo in tutta la storia. Spaziava da Praga all'America del Sud, sebbene il suo cuore rimase il bacino occidentale del Mar Mediterraneo ed i suoi punti di forza la Castiglia, il Viceregno di Napoli e la Lombardia. E proprio dalla penisola, con la sola eccezione dello Stato della Chiesa, furono profusi i maggiori sforzi militari ed economici per sorreggere la monarchia nelle altalenanti vicende dell'epoca.

    Primi passi dell'unificazione europea.

    A distanza di mezzo secolo possiamo valutare con maggiore precisione quanto avvenuto nel tempo a favore dell'unificazione europea: 1949, l'Italia è tra i fondatori del Consiglio d'Europa, «per la salvaguardia del patrimonio tradizionale della civiltà europea e del progresso sociale» ed i parlamentari italiani danno un contributo notevolissimo all'elaborazione di questo testo rivoluzionario, in seno a quella che allora si chiamava "Assemblea Consultiva" dell'organizzazione di Strasburgo. La Convenzione, poi, vede la luce proprio a Roma, dove è aperta alla firma, a Palazzo Barberini, il 4 novembre 1950. L'idea, sulla quale la Convenzione s'impernia, di una Corte Europea chiamata a giudicare delle violazioni dei diritti fondamentali perpetrate dagli Stati, è un primo elemento unificante, come spesso accade nella storia dei popoli, a dimostrazione che prima viene il diritto e poi la politica. Alla ratifica della Convenzione, peraltro, l'Italia pervenne nel 1955, dopo il Regno Unito e la Germania. La Francia ratificò soltanto nel 1974. Per quanto riguarda questo paese, politica "isolazionista" gollista a parte, occorre ricordare due elementi di non poco conto, che restano nei recessi della memoria storica di tutti i cittadini: il primo è costituito da Giovanna D'Arco, una protettrice della nazione che caratterizza la Francia in senso anti-inglese, e il secondo è l'affondamento a tradimento il 3 luglio 1940 della flotta ancorata ad Orano. Nella memoria collettiva, quest'atto si somma alle grandi tragedie navali d'Abukir e Trafalgar. Sono tragedie che scandiscono momenti di una costante ostilità popolare nei confronti d'Albione, molto più dell'avversione per i tedeschi provocata da Sedan e da Waterloo. È possibile trovarne una chiara dimostrazione in un libro ovviamente non tradotto in italiano: "Vivre avec l'ennemi. La France sous deux occupations: 1914-18 et 1940-44" di Richard Cobb, Sorbier, 1985. (Significativa la nazionalità inglese dell'autore).
    Importante in questo processo è anche la nascita della CECA, Comunità Europea Carbone ed Acciaio, firma degli accordi di Parigi del 1951. Trattati di Roma: firma a Roma il 25 marzo 1957, ricordati solennemente proprio in questi giorni, a dimostrazione che la città di Roma resta sempre un punto ideale di riferimento molto forte per tutti i popoli europei. Per inciso, proprio nel 1957 inizia la corsa alla conquista dello spazio, esplosione della prima bomba H inglese nel Pacifico, armi atomiche ed a razzo assegnate alla NATO. È evidente che i promotori di queste iniziative, Adenauer, De Gasperi, Schuman (Piano Schuman, redatto da Jean Monnet), tutti cattolici, si muovevano, sia pure con molte precauzioni, nell'ambito di un modello di riferimento che è inutile far finta di ignorare. L'Europa cattolica si stava difendendo dal comunismo ma anche dal liberismo protestante. Robert Schuman è stato di recente definito "il monaco con la giacca" da un foglio cattolico, ("il Messaggero di Sant'Antonio", maggio 2007). Non a caso, come scrive Sergio Romano ("Affari Esteri", n. 140, ottobre 2003) «I primi ministri britannici non furono mai europeisti. Accettarono la Comunità e fecero molto seriamente la loro parte, ma nella convinzione che soltanto dall'interno dell'organizzazione avrebbero potuto frenare le sue tendenze supernazionali e federali».
    Un imprevisto documento. Sul numero 19 dell'anno primo, del 2 aprile 1948 del quotidiano del MSI, "L'Ordine Sociale", abbiamo trovato una sorprendente notizia. Sotto il titolo: "Se la prendono con Nenni e vogliono la Federazione Europea", è reso noto l'arrivo di due deputati laburisti inglesi, Cristopher Showcross e Ivor Thomas, nonché del ministro del lavoro francese Meyer, ricevuti dal vice presidente del Consiglio, Saragat e dal ministro D'Aragona. I due deputati inglesi hanno dichiarato ai giornalisti di avere recentemente costituito un gruppo parlamentare per realizzare l'Unione Europea. Ad esso avrebbero già aderito 150 deputati di tutti i partiti inglesi. I due deputati hanno poi aggiunto di esser venuti in Italia, considerata, da questo punto di vista, il Paese più importante nel momento attuale.
    Questo documento è significativo, aggiungiamo noi col senno del poi, perché documenta che lo sviluppo dell'idea di Unione Europea deve attribuirsi già dall'immediato dopoguerra, alle forze cattoliche ed a quelle della Sinistra, non comunista, ovviamente.
    «L'adozione dell'euro, d'altronde, ha soddisfatto una condizione necessaria, ma al tempo stesso non sufficiente per innescare definitivamente il motore dell'armonizzazione delle leggi e della costruzione del mercato unico» scrive Enrico Cisnetto ("Charta Minuta", sett. 2006). E su questo punto anche noi siamo d'accordo, pur consci che anche la contestazione all'euro, in quanto espressione di signoraggio bancario ha una sua precisa funzione. Tuttavia, in questo momento riteniamo che la funzione della moneta europea sui mercati globalizzati abbia importanza strategica fondamentale per contrastare il signoraggio del dollaro, autentico veicolo del potere finanziario statunitense e delle multinazionali che ne sono il braccio armato.

    L'Europa unita alla base della caduta dell'URSS
    Su "Nuova Storia Contemporanea" n. 2/2007, un articolo molto interessante di Carlo Civiletti, ("L'atto finale di Helsinki o l'eterogenesi dei fini. Come il regime sovietico accettò i germi del proprio disfacimento") ci documenta sulla nascita e lo sviluppo della Conferenza sulla sicurezza e cooperazione in Europa. «Nella CSCE l'Europa comunitaria svolse un ruolo di primo piano. La Conferenza fu anzi un banco di prova per il collaudo di politiche comuni. Nel 1973 infatti aveva fatto i suoi esordi la Cooperazione politica europea, inoltre la posizione dei Nove doveva assumere rilievo preminente in una conferenza in cui gli USA non credevano. Kissinger guardava con scettico fastidio ad una deviazione multilaterale dalla sua visione bipolare dei rapporti Est-Ovest. Ciò portò ad una (salutare) assenza della componente statunitense nelle trattative. Spettò dunque alla Comunità Europea assumere il ruolo di contrappeso all'URSS ed al Patto di Varsavia, catalizzando in tal modo l'attenzione del piccolo ma attivo gruppo dei neutrali non allineati. Sul piano formale va ricordato che Aldo Moro firmò l'Atto finale nella sua duplice capacità di capo del Governo italiano e di presidente in esercizio della CEE».
    Chiunque stia dalla parte di una giusta causa non può essere definito un terrorista.
    Yasser Arafat

    Una religione senza guerra è zoppa.
    Ruhollāh Mosavi Khomeyni

  4. #44
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    Predefinito Rif: Breve storia della Federazione Nazionale Combattenti RSI

    La letteratura politica documenta abbondantemente lo scontro in atto fra USA ed UE

    «Gli Stati Uniti devono mantenere un grande esercito, tecnologicamente avanzato, presente ovunque nel mondo. Anche se la minaccia sovietica è scomparsa, c'è sempre la minaccia della Russia, e se questo non bastasse, semplicemente non sappiamo quali progetti di lungo periodo perseguono Germania, Cina e Giappone»
    Charles Krauthammer, "New Republic", marzo 1990

    I libri più interessanti da questo punto di vista sono:
    Mario Zagari, "Superare le sfide. La risposta dell'Italia e dell'Europa alle sfide mondiali. Perché non possiamo non dirci europei", Rizzoli, 1975; lo Zagari, socialista, ingiustamente dimenticato, autore nell'assemblea costituente dell'articolo 11 relativo al ruolo dell'Italia nella politica internazionale, fu anche autore del libro "La sfida europea" pubblicato nel lontano 1968. Fu più volte sottosegretario agli Esteri, ed anche ministro di Grazia e Giustizia.
    Giuseppe Vacca (a cura di), "Dilemma Euratlantico" (primo rapporto annuale sull'integrazione europea), edito nel 2004 dalla Fondazione Istituto Gramsci con il contributo della Fondazione Monte dei Paschi di Siena.
    Louis Armand e Michel Drancourt, "Scommettiamo sull'Europa. Di fronte alla sfida americana, organizzarsi su scala planetaria", Mondadori, 1969.
    Lester Thurow, "Testa a testa. USA, Europa, Giappone. La battaglia per la supremazia economica nel mondo", Mondadori, 1992; l'autore, professore d'economia al M.I.T. è una delle teste pensanti cui dare ascolto. Ancorché sviluppate nell'interesse degli Stati Uniti, le sue tesi sono importanti proprio per questa ragione. Egli evidenzia gli elementi d'attrito e di conflitto. Presenti e latenti.
    Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, ISPI, " L'Impero riluttante. Gli Stati Uniti nella società internazionale dopo il 1989" a cura di Sergio Romano. Il Mulino ed. 1992; In questo libro, un intervento di David P. Calleo, della John Hopkins University di Washington, ci chiarisce che «per comprendere l'influenza che la NATO tuttora esercita sul pensiero politico americano, bisogna vederla non solo come un'interessante alleanza militare, oppure come un'istituzione familiare e comoda, retaggio del predominio americano, bensì come la realizzazione concreta dell'atlantismo, una delle principali idee-guida che hanno contribuito a plasmare l'Europa post-bellica ed il sistema globale in genere».
    Rita di Leo, "Lo strappo atlantico. America contro Europa", Laterza ed. 2004; la Di Leo, ordinario di Relazioni Internazionali alla Sapienza, ci dimostra ampiamente con quest'agevole libro, che non sono gli europei ad agire contro gli States, bensì questi ultimi che hanno approntato da qualche tempo una serie d'interventi atti a bloccare qualsiasi sviluppo europeo che possa contrastare la supremazia globalista delle multinazionali americanocentriche. Tesi da noi sostenuta da sempre.
    Marcello Pamio, "Il lato oscuro del nuovo ordine mondiale", Macro ed.
    Costanzo Preve, "L'ideocrazia imperiale americana", Il Settimo Sigillo; secondo la tesi del noto politologo, quello americano è un impero ideocratico, legittimato da un'idea politica con cui s'identifica, dove la nazionalità è ricavata da un'ideologia di tipo biblico che lo rende una comunità elettiva. Tesi anche questa da noi sostenuta da sempre.
    Un altro libro di notevole interesse è: "Germanizzazione. Come cambierà l'Italia", di Federico Rampini, Laterza, 1996; il libro è un'eco delle preoccupazioni italiane per un'egemonia tedesca peraltro inevitabile. Tuttavia l'autore si chiede: «Se il problema vitale per l'Europa è di non farsi schiacciare tra America ed Asia, se per questo il vecchio continente deve trovare un polo egemone che superi le divisioni delle ex potenze coloniali, l'integrazione fra Germania e Francia può essere una risposta adeguata?» La nostra risposta, ovviamente, è affermativa perché l'evoluzione dei tempi conduce inesorabilmente a quel traguardo ed anche perché, dopo decenni di appassionate dichiarazioni antinazionaliste ci ritroviamo di fronte a persone che, pur di ritardare, nell'interesse di potenze extraeuropee, il processo di integrazione, rimestano tra vecchie preoccupazioni di carattere sciovinista.

    EURASIA, le speranze e la fondazione

    Sull'argomento Europa, Jacques Attali, nel "Dizionario del XXI Secolo", Armando ed. 1999, scrive: «l'Europa diverrà un Continente-Venezia, visitato da milioni di asiatici ed americani, popolato da guide turistiche, guardiani di musei ed albergatori. Per scansare una simile prospettiva ci sono quattro soluzioni possibili:
    1) Una Unione Europea Federale;
    2) Un allargamento rapido e senza condizioni dell'UE verso est tranne Russia e Turchia;
    3) UE allargata come nell'ipotesi precedente ed associata all'America del Nord, in uno spazio economico, culturale e politico comune, che raccoglie tutti i paesi membri dell'Alleanza Atlantica;
    4) La creazione di una Unione Continentale che raccolga economicamente e politicamente tutti i paesi del Continente.
    Lasciamo ai lettori interessati i commenti dell'autore alle singole soluzioni, peraltro improcrastinabili. Di queste quattro possibilità le più probabili sono le ultime due e su di queste si sta svolgendo una battaglia dai contorni abbastanza chiari. Noi siamo in ogni modo per la quarta soluzione per una serie di ragioni che abbiamo già ampiamente illustrato, tenendo ben presente che le scelte improntate su valutazioni di carattere geopolitico sono vincenti perché naturali ed appropriate, anche se gli avversari delle nostre tesi sostengono che la geopolitica è un'idea che nasce da una cultura deterministica che risorge ogni volta che crollano le ideologie politiche e costituisce una minaccia contro le libertà individuali a favore dello Stato, come scrive A. Corneli in "Geopolitica è. Leggere il mondo per disegnare scenari futuri", Fondaz. A. e G. Boroli, 2006.
    Ed anche se «... siamo semplicemente di fronte ad un vero e proprio fondamentalismo culturale e politico che fa a meno del confronto con l'altro ed allo stesso tempo pretende di sapere invece dell'altro cosa è meglio per tutti, ed in nome di questa presunzione bandisce ogni espressione di una reale differenza». (Marco Deriu, "Dizionario critico delle nuove guerre", EMI, 2005).
    Come ha scritto l'intellettuale sloveno Slavoj Zizek, «tutti i termini principali per designare il conflitto attuale (guerra al terrorismo, democrazia e libertà, diritti umani), sono termini falsi che distolgono la nostra percezione della situazione invece di consentirci di pensarla. Esattamente in questo senso, le nostre stesse libertà servono a mascherare e sostenere la nostra soggiacente illibertà (…) Ci sentiamo liberi perché ci manca addirittura il linguaggio per articolare la nostra illibertà».

    Il ruolo di Putin ed il progetto di sviluppo economico eurasiatico
    Il momento attuale vede in primo piano il ruolo preminente del leader russo in un braccio di ferro fondamentale per la nascita del nuovo grande soggetto continentale e per l'inizio di un forte rilancio economico-produttivo non finanziario.
    Pur sintetizzando al massimo gli avvenimenti, seguiamo il recente libro di Maurizio Blondet, "Stare con Putin?", Effedieffe, 2007 di cui raccomandiamo vivamente la lettura.
    La politica degli USA nei confronti della Russia continua ad essere improntata dalla dottrina Brzezinski elaborata nel suo testo fondamentale: il grande scacchiere, che consiste nel soffocare la Russia circondandola di paesi ostili (Ucraina, Paesi baltici, Polonia) per impedire il contatto fisico con l'UE. A tale scopo è sostanziale l'apporto delle "democrazie colorate" finanziate da Soros, come ampiamente documentato da una recente trasmissione di "Report", agenzia giornalistica di RAI3. Di recente, Putin è riuscito a scavalcare l'accerchiamento assieme alla Germania con il gasdotto del Baltico. Un altro passo importante di Putin è stato fatto nei confronti del Fondo Monetario Internazionale, al quale ha saldato il debito precedentemente contratto, liberandosi in tal modo dal giogo dell'usura mondialista. Un altro recentissimo ed importante accordo che faciliterà i rapporti Cina-Russia-Repubbliche centroasiatiche è quello relativo al gasdotto attorno al Caspio in opposizione a quello Baku-Ceyan fortemente voluto dagli Stati Uniti, mentre il rapporto Russia-Cina si sta trasformando in alleanza militare. La Russia, infatti, ha ceduto alla Cina missili velocissimi (due volte la velocità del suono) capaci, volando a bassa quota, di colpire le portaerei americane. Contemporaneamente è in atto un avvicinamento con le Chiese Ortodosse le quali a loro volta si stanno riunendo. Un segnale molto significativo è stato dato con due convegni svoltisi di recente a Roma dedicati al monte Athos ed all'esicasmo. A questi convegni hanno partecipato i rappresentanti delle Chiese di Cipro, Bulgaria, Grecia, Romania, Russia, Serbia ed Ucraina.
    Potremmo continuare a lungo nella descrizione di un braccio di ferro che ha già fatto molte morti eccellenti. Basterebbe ricordare l'assassinio d'Andrei Kozlov, vice presidente della Banca Centrale Russa seguito dall'assassinio il 10 ottobre 2006 d'Aleksander Plokhin, direttore della branca moscovita della Vneshtorgbank, la banca che aveva appena acquisito il 5% di EADS, il gruppo eurospaziale europeo proprietario di Airbus. Questa banca, del resto, è di proprietà dello Stato ed è il braccio finanziario del Cremlino.
    Ma noi ricordiamo bene che il secondo conflitto mondiale è scoppiato proprio quando era in atto un processo di integrazione russo-tedesco e contemporaneamente il processo di occupazione giapponese di parte della Cina e del sud-est asiatico. Cioè quando si stavano creando due spazi di assoluta autosufficienza che avrebbero escluso gli USA dai grandi interessi globali ed espulso l'Inghilterra dai suoi vecchi possedimenti.
    Com'è dimostrato dagli eventi storici, le infrastrutture nascono e si sviluppano autonomamente, sulla base d'esigenze economiche improcrastinabili. La nascita dell'UEO è stata, infatti, punteggiata dallo sviluppo di progetti e di realizzazioni nel campo della viabilità che una volta installate non potranno più essere cancellate. È quanto accaduto per le strade costruite dai romani, che tutt'oggi garantiscono quelle fondamentali comunicazioni che hanno di fatto creato l'Europa Imperiale. Ne costituisce una valida dimostrazione il libro di Favaretto-Gobet, "L'Italia, L'Europa centro-orientale ed i Balcani. Corridoi paneuropei di trasporto e prospettive di cooperazione", Laterza, 2001.
    Pertanto, qualora per grande disgrazia forze isolazioniste dovessero prevalere nel nostro paese, la preesistenza di questi corridoi ne renderebbe vano qualsiasi intervento. E ci riferiamo a quel «Ceto politico verde, uno dei ceti politici più gregari e fallimentari della recente storia del continente» come lo definisce Costanzo Preve nel recente "Il paradosso De Benoist. Un confronto politico e filosofico", Settimo Sigillo, 2006.
    Se a queste strutture preesistenti si riesce a sovrapporre un grande progetto geopolitico, allora potremmo assistere, lo vivranno, speriamo, i nostri posteri, ad un nuovo Rinascimento economico-politico-culturale. Quale sognato dai nostri padri del XX secolo.
    È quanto prospettato dal progetto illustrato di recente a Roma da Lyndon LaRouche, che è sempre stato un grande anticipatore di progetti geniali. Solo attraverso l'Eurasia, infatti, è possibile dare avvio a grandi progetti nei settori dell'energia, delle comunicazioni, della gestione dei grandi sistemi idraulici e degli insediamenti urbani. Il progetto ferroviario, infatti, unirebbe via terra con un sistema di ponti e tunnel ed utilizzando treni a levitazione magnetica già approntati in Germania, l'Europa centrale (ed eventualmente la Turchia) con la Siberia settentrionale e con l'Asia centrale favorendone lo sfruttamento delle risorse del sottosuolo ed eludendo il blocco navale atlantico.
    Come scrive LaRouche «... grazie ad un ruolo di mediazione della Russia, che storicamente merita più di ogni altra il nome di nazione euroasiatica, è possibile per l'Europa unirsi alla Russia ed alle nazioni asiatiche nella realizzazione di un sistema che, invece di concentrarsi sui mercati del consumo e degli investimenti finanziari, si proponga lo sviluppo a lungo termine delle capacità produttive di queste nazioni ...»
    È in sostanza, quanto si proponeva Mussolini invadendo la Russia, come abbiamo cercato in precedenza di dimostrare, nell'ambito della lotta contro la speculazione finanziaria e l'usura. Ma non è tutto, per quanto riguarda l'Italia, LaRouche propone anche il ripristino del credito pubblico con l'emissione di euro-equivalenti in moneta sovrana dello Stato Italiano, garantita dal credito pubblico e protetta dagli attacchi speculativi, come quello a suo tempo attuato da Soros assecondato da Ciampi, con i quali finanziare infrastrutture su larga scala capaci di trainare una ripresa generale. Ma per far ciò, prosegue LaRouche, «La banca centrale va tolta dalle mani delle banche e delle oligarchie private e ricondotta in ambito costituzionale, cioè pubblico».
    Come si può costatare, il conto torna.

    Commiato
    Quanto fin qui scritto costituisce solo la prefazione ad un'esposizione di articoli selezionati che hanno costellato un'epoca. Nessuno di Noi, che ci sentiamo i pochi rimasti di una stagione inimitabile, vuole proporsi come maestro di chicchessia, anche perché conosciamo i nostri polli. Tuttavia, ci confortano alcuni dati. L'interesse che la Repubblica Sociale Italiana suscita nel mondo è impressionante. Ovunque si elaborano teorie politiche e si studia con intenti seri la Storia, la RSI è sempre presente.
    Ma c'è qualcosa su cui mi piace soffermarmi. Un qualcosa del tutto insolito. Si tratta della vita di M. J. L. Adolphe Thiers. Un uomo notevole. Attore di primo piano nello scacchiere internazionale per conto di coloro che governavano la Francia dell'ottocento. Invito a leggerne la biografia, interessantissima e piena di fatti rilevanti. Scrittore di storia ("Storia del Consolato e dell'Impero", in 20 volumi). Presidente della Repubblica dal 1871, fu costretto alle dimissioni dal potente schieramento monarchico nel 1873. Un uomo da citare in ogni momento. Invece la Storia l'ha completamente dimenticato. E c'è una ragione: ha represso nel sangue la Comune di Parigi, che era comunarda, e quindi criticabile da un punto di vista ideologico, certamente non da Noi, ma che si era costituita, similmente alla Repubblica Romana del 1849, come reazione contro l'ignominia della capitolazione. Il popolo di solito ha un senso dell'onore e della dignità naturale molto superiore alla classe dirigente borghese, che vede solo i propri affari.
    Quanto al sottoscritto, mi piace chiudere con una frase di un grande maestro: Lucio Anneo Seneca «Laudari a turpibus infamia vera est. Maxima est hominis laus displicere pravis». che tradotto significa: «La vera infamia consiste nell'essere lodati dalle persone turpi. La massima lode per un uomo è dispiacere ai malvagi», mentre un altro grande, che tentò di reagire alla decadenza, Rutilio Namaziano, scrive: »Materies vitiis aurum letale parandis, auri caecus amor ducit in omne nefas» che significa «L'oro mortale: materia per ogni perversione! L'amore cieco dell'oro trascina ad ogni empietà».
    Chi vuole intendere intenda.
    Giorgio Vitali
    Introduzione
    Chiunque stia dalla parte di una giusta causa non può essere definito un terrorista.
    Yasser Arafat

    Una religione senza guerra è zoppa.
    Ruhollāh Mosavi Khomeyni

  5. #45
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    Predefinito Rif: Breve storia della Federazione Nazionale Combattenti RSI

    Promemoria per presidenti, ministri, poveri di spirito, finti tonti, analfabeti, voltagabbana, vigliacchi, figli di…. e simil lordura

    Francesco Paolo d'Auria (RSI)

    Siccome da decenni, e ormai alla noia, si replica la farsa della "pacificazione" e, ultimamente, della "parificazione", immediatamente contestata e subito rinnegata per finanche dal Presidente del Consiglio in carica (al quale davo credito di una migliore intelligenza!), sarà opportuno, una volta per tutte, definire la posizione degli unici interessati che possono o meno desiderare, chiedere, proporre o accettare qualsiasi atto di unità fra gli italiani. Unità che, in ogni caso, non potrà celebrarsi il 25 aprile, giorno di sconfitta che si pretende di far passare, con contorsioni da circo equestre, per giorno di vittoria!

    Si vuole davvero una "pacificazione" per mettere una pietra sull'ignobile passato che ha portato ad una insanabile divisione fra Italiani per colpa ESCLUSIVA di vigliacchi traditori al servizio e al soldo del nemico?
    (Le "parificazioni"… Quelle lasciamole alla "Livella" di Totò!)

    Orbene ecco le condizioni MINIME per una possibile riappacificazione.

    1) Riconoscimento che la Resa incondizionata e la fuga del Governo illegittimo di Badoglio furono atti di viltà e di tradimento ignominiosi, verso il Popolo italiano, verso i Combattenti, i gloriosi Caduti e gli Alleati Germanici.
    2) Riconoscimento dei valori della RSI come stato sovrano e riconoscimento dei suoi Combattenti e Caduti come Combattenti della Patria in guerra contro le "Nazioni Unite" così come stabilito dalla Sentenza del Tribunale Supremo Militare del 1954.
    3) Riconoscimento che le truppe Germaniche erano in Italia, non come occupanti ma come Alleati in forza di un trattato, confermato da Badoglio, in vigore prima e dopo l'8 settembre '43, e che dopo tale data queste truppe dovettero difendere da sole la linea del fronte, abbandonato dai traditori, contro gli invasori Anglo-Americani.
    4) Riconoscimento che la RSI non aveva lo scopo di combattere una guerra di fazione ma quello di affiancarsi agli Alleati Germanici, nella impari lotta contro l'invasione, riscattando la vergogna del tradimento.
    5) Riconoscimento che la guerriglia partigiana fu condotta nell'interesse delle Nazioni Unite, nemiche dell'Italia, da queste sovvenzionata, diretta e armata così come risulta dal contratto mercenario firmato il 7 dicembre 1944 a Roma dai rappresentanti del CLNAI e dal generale Maithland Wilson del Comando Supremo Alleato.
    6) Riconoscimento che la guerriglia, non avendo apportato alcun contributo alle operazioni militari ma immensi lutti alla popolazione civile, collaborava con il nemico angloamericano alla sconfitta dell'Italia e allo stesso tempo conduceva una lotta di fazione per il successo della ideologia comunista.
    7) Riconoscimento che le truppe del CIL (Corpo Italiano di Liberazione) erano agli ordini e alle dipendenze delle Armate Anglo Americane, operando quindi anch'esse per la sconfitta della Patria, pur non avendo avuto rilevanza alcuna nella condotta di guerra.
    8) Riconoscimento che, alla fine delle ostilità, fu perpetrato l'ennesimo vile tradimento da parte dei guerriglieri partigiani che, dopo aver proposto la "pace", si abbandonarono a stragi premeditate per eliminare ciò che loro consideravano nemici del comunismo.
    9) Ammissione che, la resa incondizionata e la successiva accettazione del diktat di pace, portò l'Italia ad essere una nazione non libera, e che la parte migliore del suo popolo fu sottoposta ad assurde restrizioni di libertà. In nome degli ignari cittadini, che non furono minimamente interpellati, furono accettate condizioni di servaggio inaccettabili e umilianti.
    10) Riconoscimento dei crimini commessi ai danni di cittadini italiani con la promulgazione delle cosiddette "leggi retroattive", con la istituzione di "tribunali del popolo", con la colpevole acquiescenza delle autorità del tempo alla violenza omicida delle squadre comuniste, con i processi e con le condanne a morte o a centinaia di migliaia di anni di galera comminati a cittadini colpevoli solo di aver amato la Patria e fatto il proprio dovere.
    11) Ammissione che quanto sopra indicato avvenne in ottemperanza a ordini o influenze di provenienza estera, sia di Mosca che di Londra o Washington a marcare ancor più, se ve ne fosse ancora bisogno, la stretta osservanza della funzione servile e obbediente allo straniero dei governi italiani da esso insediati.
    12) Abolizione di ogni celebrazione delle "ricorrenze" che richiamano l'ignominia della sconfitta e cioè il 25 luglio 1943, l'otto settembre 1943, il 22 gennaio 1944, il 4 giugno 1944, il 25 aprile 1945 e ogni altra data relativa a "liberazioni" fasulle e istituzione di una data che davvero possa rappresentare l'Unità di tutti gli italiani (ad esempio il 20 settembre 1870).
    13) Erezione di monumenti e lapidi e onoranze alle vittime delle stragi partigiane, delle stragi titine (foibe), dei Caduti nella guerra (El Alamein, Tunisia, Africa Orientale, ecc.), ricordo di quegli eroi nelle scuole.

    Quando tutte queste condizioni "minime" saranno accettate, attese e rispettate, si potrà parlare di pacificazione e procedere alla ricostruzione della Patria, passo agognato dai combattenti della RSI e dagli italiani che in essa si riconoscono.
    Necessariamente, si dovrà ottemperare ad altre clausole quali:

    * Abolizione della attuale costituzione, pesantemente condizionata dai nemici Anglo Americani e convocazione di una Assemblea Costituente LIBERA per una nuova Costituzione, suffragata dal popolo, che sia basata sulla continuità del retaggio storico, compreso il FASCISMO.
    * Ristrutturazione delle Assemblee rappresentative con la istituzione di rappresentanze del lavoro e delle imprese alla gestione della cosa pubblica, eliminazione dei privilegi; stipendi per deputati non superiori ai 2.500 euro.
    * Creazione di una Federazione, con possente Esercito, con quegli Stati Europei e non asiatici che vogliano sostenere le sfide politiche, economiche e sociali del mondo contemporaneo riportando l'Europa al centro del progresso nella tradizione culturale e storica greco, romana e cristiana.
    * Denuncia e abolizione delle ignobili clausole del DIKTAT di pace del 7 gennaio 1947.
    * Lo Stato Italiano, allora, potrà chiamarsi Repubblica Sociale Italiana con bandiera di combattimento con aquila che artiglia un fascio littorio.

    Il tricolore ci proviene dal Risorgimento, l'Aquila e il Fascio dall'antica Roma!!!

    Francesco Paolo d'Auria (RSI)
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  6. #46
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    Predefinito Rif: Breve storia della Federazione Nazionale Combattenti RSI

    Il collaborazionismo neofascista nel dopoguerra
    Maurizio Barozzi
    (5 dicembre 2009)


    Due appunti, terra terra, per chiudere il dibattito inerente il destrismo e il collaborazionismo neofascista nel dopoguerra.
    Premesso che, comuni conoscenze delle recenti vicende storiche, una oramai approfondita letteratura ed una evidente documentazione ci dimostrano come, nell'immediato dopoguerra, neofascisti di varia estrazione ed esperienze si misero a completa disposizione dell'OSS americano e delle forze reazionarie del paese (Vaticano, democrazia cristiana, borghesia, ecc.) e finirono per traghettare sulle sponde del destrismo e dell'ultra atlantismo, la stragrande maggioranza dell'ambiente neofascista, con i risultati che ben conosciamo (la "strategia della tensione" affonda le sue radici proprio a quella contingenza storica), tanto su premesso è duopo fare una doverosa analisi per spiegare prima e giudicare poi quanto avvenne, perché lo spiegare non può voler dire "giustificare".
    Tralasciamo, intanto, quanti erano collusi con l'OSS americano fin da prima della fine della guerra, collusi a vari titoli, o per incarichi di partito e di prassi politica durante la RSI (per esempio Romualdi), o per posizione propria tendente a prevedere una inevitabile conclusione della guerra e quindi a che certe cose poi andassero in un certo modo invece che in un altro (per esempio Borghese), ecc., tralasciamoli perché, fino a quando non saranno completamente accessibili gli archivi americani e vaticani, è alquanto difficile stabilire se alcuni di costoro travalicarono certi compiti fino a sconfinare nei tradimento. Tralasciamo anche coloro, e ce ne furono, che in perfetta malafede si vendettero agli americani, da questi ebbero mezzi e autorizzazioni a stampare giornali, formare gruppuscoli, ecc., perché è questa una categoria che si giudica da sola.
    Vediamo però le altre situazioni che sono alquanto complesse e non possono spiegarsi con la semplice etichetta di "traditori", ma rientrano in quella che è la prassi politica praticata dalla natura umana.
    Primo, la situazione dei fascisti e di tanti altri aderenti alla RSI era, nel dopo liberazione, effettivamente tragica, con la "caccia al fascista" che ancora continuava e il recente ricordo delle stragi nelle "radiose giornate". Niente di più facile, quindi, che molti aderissero volentieri a proposte per combattere i "rossi" e magari rendergli la pariglia, anche se chi "proponeva" era di dubbia origine e malcelato intento.
    Secondo, gli Alleati durante le radiose giornate ebbero una duplice faccia: in genere agevolarono le stragi disinteressandosi della caccia al fascista, ma quando la cosa li interessava, in particolare se tratta vasi di ufficiali ed elementi di spicco, allora intervenivano per sottrarli ad una brutta fine. Pisanò ce lo racconta magnificamente nel suo "La generazione che non si è arresa", ma quello che sottace e cosa accadde "dopo", quando in cambio di quella "salvezza", molti di quegli ufficiali della RSI vennero collusi con l'OSS (non per nulla Pisanò stesso, a quanto si dice, sembra che sarà vicino al servizio supersegreto dell'"Anello" legato agli americani (vedesi Paolo Cucchiarelli, "Il segreto di Piazza Fontana", Ed, Ponte alle Grazie Milano 2009 e Stefania Limiti "L'Anello della Repubblica" Ed. Chiareletere, 2009). Anche queste situazioni agevolarono il passaggio dei neofascisti nelle fila dell'imminente atlantismo.
    Terzo, infine, c'erano una gran massa di fascisti e aderenti alla RSI intimamente conservatori, di destra, moderati, spesso appartenenti ad agiate classi sociali, i quali istintivamente erano portati a sopravvalutare e paventare il "pericolo bolscevico" e magari una, sia pur inesistente, invasione sovietica. Tutti costoro, ma non solo costoro, già da tempo si erano posti il problema del "dopo" ed anelavano a riciclarsi, tramite consenso Alleato, come anticomunisti e antisovietici e da subito pronti a mettersi a loro disposizione.
    Ho forse scordato qualche altro profilo, ma la sostanza delle situazioni è questa, ed è una sostanza tutta interna al fascismo e al regime sostanzialmente conservatore del ventennio. Del resto il nostro paese non aveva una cultura antioccidentale, anzi, e quindi queste situazioni e posizioni eterogenee ne erano la conseguenza (Hollywood e la letteratura occidentale entrarono nella cultura popolare italiana molto prima della guerra).
    Spiegato in qualche modo quanto e perché si verificò il "collaborazionismo" filo americano nel dopoguerra, noi dobbiamo oggi trarne le dovute conclusioni e sostenere che, qualunque siano state le motivazioni che spinsero i neofascisti a mettersi a disposizione degli americani, esse non sono accettabili per due semplici motivi, dai quali elido quello di una mancata corretta scelta ideologica e politica perché, come abbiamo appena visto, c'erano situazioni contingenti di assoluta eccezionalità e perché il panorama del neofascismo, in conseguenza della storia del fascismo stesso, non presentava un quadro culturalmente, politicamente e ideologicamente omogeneo a cui fosse facile fare riferimento:
    1) la scelta dei neofascisti per il fronte antibolscevico e antisovietico e filo americano, non avvenne in conseguenza di una decisione di un governo fascista repubblicano il quale, magari, nell'imminenza della resa (e se non ci fosse stata di mezzo Jalta) avrebbe anche potuto contrattare con gli Alleati, un sia pur sgradevole passaggio di campo in cambio di più mitigate condizioni di resa o come ribaltamento del fronte, e quindi il tutto giustificarsi come un "interesse nazionale". Chiediamoci, se ipoteticamente, gli Alleati, in rottura con i Sovietici, avessero ritenuto opportuno contrattare una resa della RSI, a certe condizioni favorevoli, e questa resa avesse previsto lo schieramento della FF.AA. repubblicane a fianco degli Alleati e contro i sovietici, Mussolini non avrebbe forse accettato queste condizioni ?
    Questa ipotesi che sappiamo inverosimile, resta però confinata nei se e i ma, mentre invece nel campo del reale sappiamo che avvenne un passaggio o una collusione con l'OSS americano, da parte di uomini sconfitti, con la RSI spazzata via, Mussolini ammazzato e la occupazione e colonizzazione del paese da parte degli Alleati. Ergo nessun interesse nazionale o ragion di Stato giustificava questa collusione.
    2) I neofascisti, o forse meglio dire i fascisti superstiti, con la sconfitta subita, seppur braccati dai "post partigiani liberatori" più facinorosi, in genere i comunisti, avevano di fronte questa situazione:
    un governo ciellenista e antifascista esteso a tutto il paese dalla occupazione Alleata e che immediatamente, con il tacito consenso delle forze di sinistra, procedeva alla liquidazione delle conquiste sociali della RSI (e si tendeva anche a mantenere in auge la monarchia), le forze armate e le forze di polizia e sicurezza sottoposte alla autorità Alleata e di li a poco sarebbero definitivamente state poste sotto l'autorità della Nato (situazione che ancora perdura), ed infine l'occupazione Alleata che provvedeva a riformare tutta la società sul modello occidentale, a subordinare l'economia e la finanza del paese a quella americana e ad imporre quella way of life americana che finirà per stravolgere tutta la cultura e le peculiarità tradizionali del nostro popolo.
    E facilmente intuibile quindi che l'atteggiamento corretto, doveroso, più consono e in linea con la scelta culturale, sociale ed ideologica della RSI, sarebbe stato quello di condurre, appena possibile, e magari anche in clandestinità, una lotta contro l'occupante e a sostegno delle riforme socializzatrici della RSI.
    Né d'altronde, i neofascisti che collaborarono con l'OSS, finita la contingenza di una certa situazione eccezionale e straordinaria (diciamo tra il 1947 e il 1948?), ruppero questa collaborazione e ribaltarono la loro politica, tutt'altro, il filo americanismo e il filo atlantismo non si interruppe e, come era prevedibile, partorì un partito politico conservatore per una lotta democratica da posizioni reazionarie, nonché la organizzazione di strutture paramilitari coperte per la cosiddetta "guerra non ortodossa" (Gladio).
    Ne consegue, quindi, che viene meno ogni tipo di giustificazione, ad una scelta filo atlantica, per cause straordinarie e contingenti
    .
    Per riassumere possiamo dire che, in generale, vennero cooptati o arruolati o semplicemente utilizzati nell'OSS, prima e nella CIA ed altre strutture filoamericane coperte poi (per esempio il "noto superservizio" dell' Anello) tre categorie di ex fascisti o neofascisti che dir si voglia o ancora militari della ex RSI, della Decima, ecc.:
    a) Elementi degli ex servizi di Stato, dell'OVRA e delle Questure operanti durante il regime del ventennio e ufficiali già appartenenti alle FF.AA. della RSI. Tutta gente con una certe esperienza e altamente qualificata (per esempio il Generale Mario Roatta, Adalberto Titta e lo stesso Valerio Borghese, ecc.). Erano personaggi che avevano ricoperto cariche o funzioni di un certo rilievo, in quanto appartenenti o preposti alle strutture di sicurezza e militari o di polizia dello Stato. Potevano definirsi fascisti sui generis, essendo più che altro funzionari o militari con una forma mentis conservatrice e che avrebbero potuto essere gli stessi e operare nello stesso modo, sotto uno Stato fascista, come sotto uno Stato antifascista. Non a caso costoro, in modo palese o sotto copertura, garantirono la continuità dello Stato e dei "Servizi", offrendo le loro prestazioni anche nella Repubblica democratica nata dalla Resistenza ed ovviamente sotto l'egida americana. Quei militari invece che avevano partecipato alla RSI vennero collusi con l'OSS attraverso varie ed eterogenee motivazioni, situazioni contingenti o interessi.
    b) Elementi moderati, conservatori, tendenzialmente reazionari che avevano magari aderito alla RSI e/o al PFR in conseguenza di una loro posizione personale nelle Istituzioni o nel partito o per motivi genericamente ideali (un istintivo anticomunismo, il carisma di Mussolini, l'onore infranto dal tradimento badogliano, ecc.), ma che, sostanzialmente, con il fascismo repubblicano e con le vere finalità della guerra contro l'Occidente avevano poco a che fare. Anche questi pseudo fascisti vissero gli ultimi mesi della RSI nella speranza di un dissidio tra Alleati e Sovietici in modo da offrirsi, agli Alleati, come anticomunisti e antisovietici.
    c) Ed infine elementi che già durante la RSI, pur fascisti o militi della repubblica sociale, erano stati ingaggiati dall'OSS e quindi operarono in favore degli Alleati. Significativo a questo proposito il caso del padre di Carlo Digilio. Come noto, Carlo Digilio deambulava tra Ordine Nuovo del veneto e la base americana Ftase di Verona, sotto le dipendenze di alti ufficiali americani, risultando al centro delle inchieste della magistratura sulla "strategia della tensione" che ha insanguinato l'Italia negli anni '60 e '70. Interrogato dai magistrati, il Digilio disse semplicemente: «sono un agente di spionaggio, figlio di un agente di spionaggio, andate a vedere cosa ha fatto mio padre».
    Ed infatti il padre, ex ufficiale della Guardia di Finanza, al tempo deceduto, nella collusione con gli Alleati aveva avuto lo stesso criptonimo "Erodoto" poi assunto dal figlio e risultava che aveva giurato per la RSI, ma in realtà forniva informazioni al comando Alleato, per la zona del porto di Venezia, tanto che, a guerra finita, gli americani si premunirono di avvisare le competenti autorità preposte all'epurazione degli ex fascisti, che il Digilio padre, non doveva essere punito perché aveva lavorato per loro.
    Tanti sono purtroppo gli esempi simili a questo, ma incredibilmente ancora oggi i mass media ed i ricercatori storici, nei lori testi definiscono questi soggetti semplicemente "fascisti", quando è perfettamente evidente che trattasi di antifascisti nel vero senso della parola.
    In ogni caso il paventato pericolo "rosso" e l'inesistente pericolo di una invasione sovietica, non dovevano e non potevano influenzare, più di tanto la scelta di campo dei neofascisti. Anzi, se veramente si fosse determinata la rottura dei patti di Jalta con un tentativo sovietico di occupazione dell'Italia del nord, i neofascisti avrebbero dovuto sfruttare questa occasione per cacciare gli invasori Alleati.
    La scelta di campo filo conservatrice e filo americana, rappresentò invece un vero e proprio tradimento del fascismo repubblicano, ma soprattutto -si badi bene- degli interessi nazionali che esigevano una lotta di liberazione nazionale, anche di lunga durata, per cacciare gli occupanti colonizzatori e non la collaborazione con gli stessi.
    Questa scelta, oltretutto, coinvolse e travolse anche tutti quei giovani che alla fine degli anni '40 e agli inizi dei '50 contribuirono con molti sacrifici e spesso con contributi di sangue e guai con la giustizia, a far riprendere la vita politica al fascismo e a sostenere il nascente MSI. Si trattava perlopiù di giovani dai forti sentimenti nazionali (al tempo erano dolorosamente vive le vicende di Trieste e delle altre terre che ci venivano sottratte), giovani che sentivano il richiamo del fascismo e della sua storia. Ebbene questi giovani, fin da subito, furono incanalati dal MSI in una prassi politica di destra, qualunquista, dove si cercava di esaltare il Regime del ventennio conservatore, non certo la RSI rivoluzionaria, ma soprattutto questi giovani vennero gettati criminosamente nella pratica dell'anticomunismo viscerale che, in definitiva, visto che i "rossi" tiravano per la Russia sovietica, li portava indirettamente a sostenere sempre più il filo atlantismo. Confesserà il missista Caradonna, che il modo migliore, per spingere i giovani missini, nella destra filo atlantica era stato proprio quello di farli "menare" con i "rossi". Più ci si menava e più ci si spostava su posizioni di destra!
    Ed è avvenuto così che mentre in Italia una vera e concreta lotta alla Nato e alla way of life americana avrebbe dovuto essere sostenuta dai fascisti, che ne avevano tutti i presupposti ideali, politici ed ideologici per praticarla, essa venne invece lasciata alle sinistre che, di fatto, praticarono una pseudo lotta all'Atlantismo da posizioni subordinate agli interessi sovietici.
    Oggi, se ci lamentiamo che l'Italia è utilizzata per le guerre altrui, ovvero le guerre americane (chi non porta le proprie armi, finisce inevitabilmente per portare quelle degli altri), la responsabilità è anche di coloro (i neofascisti) che a suo tempo non ingaggiarono una lotta contro l'occupante.
    Maurizio Barozzi
    Il collaborazionismo neofascista nel dopoguerra
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  7. #47
    Ghibellino
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    Predefinito Re: Breve storia della Federazione Nazionale Combattenti RSI

    Se guardi troppo a lungo nell'abisso, poi l'abisso vorrà guardare dentro di te. (F. Nietzsche)

  8. #48
    Ghibellino
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    Predefinito Re: Rif: Breve storia della Federazione Nazionale Combattenti RSI

    Chi ci fu dietro la morte di Mussolini: americani o inglesi?
    Maurizio Barozzi (16 ottobre 2016)



    Gli ultimi due numeri di "Storia in Rete" hanno proposto due angoli di visuale, alquanto interessanti, circa la cattura e la soppressione di Mussolini.
    È necessario ora focalizzare le situazioni in una vicenda che vede americani e britannici, ognuno per il suo ruolo, entrambi interessati alla soppressione di Mussolini.
    Per la precisione, anticipando qui le mie conclusioni, possiamo dire che gli americani non vollero affatto prendere Mussolini vivo, contrariamente a quanto comunemente ritenuto, e quindi lasciarono campo libero agli inglesi che predisposero ogni cosa per farlo fucilare dai partigiani.
    Il n. 130 di agosto di "Storia in Rete", offre un servizio, con tanto di foto, che rivela la presenza di Valerian Lada Mocasky, agente americano in servizio per l'OSS, al bivio di Azzano, adiacente il luogo ove Mussolini venne fucilato.
    In realtà quella foto non può in nessun modo essere fatta risalire alla sera del 28 aprile 1945, giorno in cui furono soppressi Mussolini e la Petacci, perché nel caso dovrebbe esser stata scattata intorno alle ore 20, se non dopo, ovvero dopo che il camion con i cadaveri di Dongo ripartì per Milano e lasciò in terra quella larga pozza di sangue che la pioggia non lavò, perchè il terreno era in terra battuta e quindi restò per giorni e venne poi perfino circoscritta in un cerchio di gesso per evidenziarla ai visitatori. Non può essere una foto scattata intorno alle 20, perchè la foto mostra il sole, sotto l'auto americana e sotto i balconcini alle finestre, e verso le 20 di un giorno piovoso come quello, anche se era in vigore l'ora legale, quel sole non poteva esserci. La foto, con la gente in piazza è quindi di un giorno successivo, magari anche il 29 o 30 aprile, ma non il 28.
    In realtà Lada Mocarscky ebbe incarichi da Allen Dullas, dalla centrale di Intelligence statunitense in Svizzera, sia con compiti di osservatore dei fatti che come indagatore sulla vicenda dell'ingente "oro di Dongo" che si sapeva al seguito della "colonna Mussolini".
    Questo in virtù del fatto che il Mocarsky non era un "agente killer", ma un bancario. Quindi la sua presenza, ritratta in foto, assieme al Pier Bellini delle Stelle, Lorenzo Bianchi e Urbano Lazzaro, tutti partigiani non comunisti, tagliati fuori dalle requisizioni di oro, valute e gioielli, razziati dai comunisti, ha un altro significato, di interesse finanziario oltre, forse, un interesse per le importanti documentazioni al seguito del Duce, anch'esse sparite. Non si dimentichi che Mussolini aveva anche documentazioni su Roosevelt e non solo su Churchill.
    In realtà la soppressione di Mussolini, già preventivata dalle alte sfere della amministrazione americana e del governo inglese, come dimostrato dalla famosa telefonata intercontinentale tra Roosevelt e Churchill del 29 luglio 1943, era stata decisa e concordata tra inglesi e americani fin da allora, mentre la consegna del Duce si concretizzerà nell'imminenza della fine della guerra, quando a Berna gli Alleati trattarono con il generale Carl Wolff una resa tedesca in Italia. È ovvio che in quella sede non potè non parlarsi di Mussolini che era sotto tutela tedesca.
    Wolff quindi dovette sicuramente impegnarsi a far catturare Mussolini, cercando di non apparire come un traditore e questo non solo lo fece capire Erich Kubi nel suo libro "Il tradimento tedesco", Mondadori 1996, ma è dimostrato dal comportamento del tenente SS Fritz Birzer che aveva in custodia il Duce: questi, infatti, fino ad un momento prima assatanato custode di ogni suo movimento e della sicurezza personale, e poi invece sulla piazza di Dongo, dove Mussolini fu fatto andare, proprio su consiglio tedesco, nascosto in un camion (ben sapendo che i camion sarebbero stati attentamente controllati), il Birzer e il suo gruppetto di SS si eclissano e si disinteressano della sorte del Duce. Nulla fecero, eppure erano garanti della sua sicurezza di fronte ad Hitler.
    In ogni caso, più di una testimonianza di parte partigiana ci dice che il camion con Mussolini venne segnalato dai tedeschi stessi.
    Mussolini, era andato via da Como poco prima dell'alba del 26 aprile e finì a Menaggio con il resto di ministri, pochi militi e altri personaggi al seguito. Tutti in qualche modo osservati e seguiti da lontano dove si riferirono targhe e consistenza numerica di questa colonna in spostamento (vedesi A. Zanella, "L'ora di Dongo", Rusconi 1993).
    Possiamo dire che sia inglesi che americani erano propensi a sopprimerlo o farlo sopprimere, sebbene gli americani inizialmente ebbero o giocarono la parte di coloro che lo volevano solo requisire e quindi, sempre inizialmente, ebbero ordini di prenderlo vivo, come si evince da varie, seppur dubbie, ricostruzioni storiche.
    Gli inglesi, nel frattempo, per bocca di Max Salvadori - Paleotti, ufficiale di collegamento con il CLNAI, si premunirono, come sottolineò lo storico Renzo De Felice a far osservare ai dirigenti ciellenisti che avevano poco tempo per gestire Mussolini, cioè dal momento della cattura, all'arrivo delle truppe Alleate che avrebbero imposto l'AMGOT ovvero la loro autorità in quei luoghi.
    Un chiaro invito ad ucciderlo alla svelta.
    Ma veniamo agli americani che, apparentemente, sembrava, come da disposizioni avute, che cercassero di catturare Mussolini.
    Noti sono i radiomessaggi che inviarono dal loro comando di Siena al CVL-CLNAI per chiedere la consegna del Duce come prescritto dagli accordi con il governo del Sud, e le indicazioni che furono fornite al tenente colonnello Giovanni Sardagna a Como, per predisporre e coordinarne la consegna agli americani. Ma sono tutti elementi ed episodi che risulteranno ininfluenti nella realtà di quegli avvenimenti. Anche ammettendo che non ci furono messe in scena per attestare da parte americana un certo comportamento e da parte della Resistenza un certo alibi, evidentemente all'ultimo momento, da Berna e/o Lugano, giunsero ordini segretissimi alle missioni americane, di lasciar Mussolini in mano ai partigiani.
    A Berna c'era Allen Dulles a capo della Intelligence americana, ma del quale sappiamo che in virtù di certe affiliazioni con la massoneria britannica, era anche considerato disponibile verso l'intelligence britannica che era interessata a sopprimere il Duce.
    E la stessa cosa si poteva dire di James J. Angleton, a capo dello OSS italiano, che al pari del padre e di Dulles aveva riferimenti con la massoneria britannica.
    C'erano quindi tutti i presupposti affinchè inglesi e americani agissero di conserva, con un certo gioco delle parti, per superare le difficoltà del momento.
    Comunque, a prescindere dalle operazioni affidate al barone colonnello Giovanni Sardagna a Como, vi erano alcune unità inviate alla ricerca di Mussolini.
    Come ben ricostruisce nel suo "Il gioco delle ombre" (Edizione riservata: Alessandro De Felice ), lo storico Alessandro De Felice, la prima è la 34ª Divisione Usa -unità celere- guidata dal Generale Browne Bolty e diretta a Como, poi vi è l'unità comandata dal Maggiore USA Albert William Phillips del C.I.C. (Counter Intelligence Corps), che arriva a Como la notte del 27 aprile '45 con il compito militare, avuto dalla Vª Armata, di prendere Mussolini vivo.
    Ma quella sera, al posto di confine di Chiasso, il maggiore Phillips ricevette l'ordine di attendere l'arrivo di altri ufficiali dell'OSS e del CIC da Lugano, ma alle 21, quando arrivarono, costoro gli dissero, forse intenzionalmente ingannandolo, che Mussolini era già stato catturato e che ormai lo stavano trasportando a Milano.
    Inoltre, a Lugano, Donald P. Jones, vice console statunitense aveva precedentemente ordinato a due suoi agenti di andare a Como per il trasferimento dei poteri al CLN e, almeno così dicesi, per prendere in custodia il Duce.
    I due sono Salvadore Guastoni e Giovanni Dessì che arrivano a Como la sera del 26 aprile e in poche ore si misero in tasca i comandanti fascisti, facendogli firmare la famosa tregua che in realtà era una resa e prevedeva anche la consegna di Mussolini in una zona neutra in Val d'Intelvi.
    In realtà il vero scopo di Guastoni e Dessì, era quello di tenere a Como lontani i fascisti armati da Mussolini isolato a Menaggio e magari farli arrendere. Operazione perfettamente riuscita.
    Lo attestano alcuni stralci di "La cronaca degli avvenimenti che condussero alla cattura di M." scritto il 1 maggio 1945 proprio da Giovanni Dessy e reperibile presso il National Archives and Records Administration. Scrisse il Dessy nella sua relazione, riferendosi ai noti avvenimenti del 26 aprile a Como che portarono alla resa dei comandanti fascisti presenti in città:
    «... il dottor Guastoni si mise immediatamente in contatto con il vice console americano per sondare il punto di vista degli Alleati (...). Da una parte quindi vi era l'assoluta necessità di bloccare le forze fasciste che erano ancora padrone della situazione perché erano ancora più numerose e con armi migliori (...). Nello stesso tempo, era assolutamente necessario impedire a tutte le forze delle Brigate Nere, che stavano convergendo su Como di arrivare nella zona di Menaggio (...) ottenere la smobilitazione e il disarmo di tutte le forze fasciste radunate a Como o in arrivo, così da prevenire la formazione di un gruppo di forte resistenza attorno a Mussolini (...)».
    Gli ordini segreti, quindi, che arrivarono nelle ultime ore alle missioni americane, dopo la cattura del Duce, erano di prendersela comoda e disinteressarsene..
    Marino Vigano, ricercatore storico, preciserà:
    «Per di più, a Jones (Donald Jones viceconsole a Lugano, N.d.R.), vennero date istruzioni di "stare alla larga dal Duce"» (M. Viganò "Mussolini, i gerarchi e la 'fuga' in Svizzera 1944-45", in Nuova Storia Contemporanea N. 3 - maggio giugno 2001).
    Questo invito può essere letto in diversi modi, ma noi lo riteniamo anche in considerazione di un non interessarsi più alla cattura del Duce.
    In effetti considerando poi il modo di operare di Guastoni a Como, vi troveremo la stessa strana analogia riscontrata, come vedremo con Emilio Q. Daddario a capo di un altra importate missione americana precedentemente incaricata di requisire Mussolini: il Guastoni, infatti perde parte della giornata del 26 aprile e tutta la notte successiva a mediare una resa dei fascisti disinteressandosi di Mussolini, come se più che altro la sua preoccupazione fosse quella (e quella era, come abbiamo visto) di evitare che il Duce, isolato a Menaggio, potesse ricongiungersi con i suoi uomini rimasti a Como.
    La favoletta degli americani impegnati a catturare Mussolini da vivo è inattendibile e ancor più lo sono tutti quegli aneddoti circolati negli anni '50 sui grandi rotocalchi, per cui i furbi capi del CVL al comando di Milano, giocarono il capitano Daddario facendogli credere che il colonnello Valerio, alias Walter Audisio dovesse andare a Dongo a prendere il Duce per portarlo a Milano, tanto che il Daddario gli firma il lasciapassare, risultato poi decisivo in Prefettura a Como. Non scherziamo sono tutte leggende campate in aria, queste sull'ingenuo capitano.
    In realtà il modo di procedere degli americani per una asserita cattura di Mussolini vivo fu del tutto superficiale. Emblematico è il fatto che tra le missioni impegnate nella ricerca del Duce, la più vicina ai luoghi interessati era quella del capitano Emilio Daddario giunto appositamente dalla Svizzera. Ebbene proprio il Daddario, guarda caso, oltretutto considerato un elemento non certo campione di efficienza, era stato incaricato di arrestare il Duce.
    Il tardo pomeriggio del 27 aprile 1945, l'agente statunitense se la prende comoda, procedendo prima a recuperare il maresciallo Graziani arresosi a Cernobbio, poi accettando a Como la resa del generale tedesco Hans Leyers e dei suoi uomini. Quindi trasportato Graziani a Milano, lo stesso Daddario, come detto, firma anche, a notte inoltrata, il famoso lasciapassare in inglese per Walter Audisio. In pratica, oltre che goffamente, il lento pede Daddario si muove talmente male da far venire il sospetto che, in realtà avesse ben altre segrete disposizioni.
    Scrive nel suo citato "Il gioco delle ombre" Alessandro De Felice:
    «Daddario non fece alcuno sforzo per cercare Mussolini: gli ordini che aveva ricevuto da Dulles, in combutta con Wolff, non erano di catturare l'ex dittatore, ma di lasciarlo prendere dai partigiani. Finito questo bel lavoro, Wolff rientrò a Bolzano, passando per la Svizzera».
    Si da il caso che ora questa situazione riguardante gli americani si intreccia con quelle riguardanti gli inglesi, i quali sono anche scatenati nel cercare e requisire ogni documentazione di Mussolini.
    E veniamo quindi agli inglesi. Il N. 131 di "Storia in Rete" di settembre, presenta il secondo servizio, a firma del giornalista storico Luciano Garibaldi, che sensatamente asserisce che vi è una sola pista, in merito alla morte del Duce, quella britannica.
    Noi concordiamo con questa asserzione, anche se non ci sono prove tangibili ed evidenze da mostrare, ma soltanto alcuni indizi e varie supposizioni.
    A nostro avviso, il tutto dovrebbe rientrare in uno scenario che come ebbe a confidare Leo Valiani, pezzo da novanta della Resistenza e anche in servizio presso il SOE dal '43, allo storico Alessandro De Felice negli anni '90: la morte di Mussolini doveva rimanere un mistero, laddove «gli inglesi avevano suonato la musica e i comunisti erano andati a tempo».
    En passant osserviamo però di non essere concordi sulla ipotesi di Garibaldi, secondo la quale gli inglesi volevano recuperare le documentazioni e sopprimere Mussolini per non far emergere i loro approcci con il Duce, avvenuti nel 1944, in cui si parlò di un possibile ribaltamento del fronte in funzione antisovietica.
    È questa una ipotesi inconsistente per il semplice fatto che sono traffici non inusuali, tra diplomazie segrete, anche in tempo di guerra, ma se non si concretizzano, come non si è concretizzarono questi, hanno poco o nullo valore.
    Rivelati a guerra finita non costituiscono particolari problemi per le nazioni coinvolte, che possono sempre parlare di bluf, di tergiversazioni tattiche, ecc. Si pensi che non costituì neppure un problema il ben più grave episodio riguardante la resa, sul fronte italiano, trattata segretamente dagli Alleati con i tedeschi, senza coinvolgere i sovietici. Questi ultimi protestarono, minacciarono, ma poi tutto finì lì. Oltretutto è d'uopo porre seri dubbi sul sentimento anticomunista di Churchill, che era, comunque sia, accantonato di fronte agli accordi di Jalta a cui il britannico era stato partecipe attivo.
    La necessità inglese e di Churchill in particolare, di uccidere Mussolini e recuperare tutte le sue carte, era in considerazioni di quanto avvenuto in prossimità del nostro intervento in guerra dove Churchill aveva espressamente invitato Mussolini a scendere in guerra, con la falsa promessa di un prossimo tavolo della pace, e un accordo tacito, nel frattempo, a non farsi troppo male (come dimostrò il comportamento italiano nei primi mesi di guerra.).
    Ma era una trappola del britannico, finalizzata ad allargare il teatro bellico per rendere la guerra irreversibile e in vista di un non ancora prossimo intervento americano.

    Maurizio Barozzi (16 ottobre 2016)

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    Predefinito Re: Breve storia della Federazione Nazionale Combattenti RSI

    I combattenti della RSI, ultime sentinelle della terra
    Premessa necessaria
    Il primo fra noi a parlare di resistenza fu il prof. Carlo Alberto Biggini, ministro dell’educazione nazionale prima del 25 luglio e durante la RSI, con un articolo pubblicato dal "Popolo di Roma" del 21 aprile 1943. Dopo pochi giorni, infatti, con la caduta di Tunisi, si concluse l’ultimo atto della nostra tragedia africana. Lo scritto del ministro Biggini, additando ad insegnanti e studenti la consegna ad impegnare tutte le energie nel fronteggiare l’imminente sbarco del nemico sulle nostre coste, suscitò un clima di alta tensione patriottica; la quale raggiunse il suo acme con il discorso di Giovanni Gentile pronunciato dal Campidoglio il successivo 24 giugno, in cui, come italiano e «non gregario di un partito, che divide», egli auspicò la concorde unione di tutte le forze per la difesa della Patria, che stava per essere invasa. Così parlò il ministro: «Questa grande ora della nostra storia non può non essere viva nella coscienza di ogni docente, perché viva fu, in circostanze simili, nella coscienza dei nostri padri (…) Oggi la loro voce ha nelle aule scolastiche un timbro che non ebbe mai; da Dante a Mazzini tutti i grandi italiani diventano testimoni della certezza che alla più nobile delle nazioni spetti il più nobile destino (…) La scuola ha sempre rivendicato a sé il diritto di essere la prima custode dell’integrità spirituale del Paese, ora più prezioso di questo non vi ha, per fornire di questo suo privilegio il segno più austero (…) insegnare non può avere oggi altro significato che insegnare a resistere (…) Oggi il nostro lavoro non può essere che lotta, affinché la nostra pace sia una Vittoria».In quel frangente gli italiani percepirono di vivere un momento cruciale della loro storia. Poi la lotta ci fu e, sciaguratamente, fu anche fratricida. La cui analisi, però, esige una preliminare reinterpretazione critica delle sue non poche anomalie, prima fra tutte quella che, pur avendo essa assunto le caratteristiche di vera e propria guerra civile, a motivo di attività militarmente irrilevanti (Eisenhower), è stata contrabbandata come guerra di liberazione nazionale. Anche la sentenza n° 747 emessa dal Tribunale Supremo Militare in data 26.04.54, nel generoso intento di eludere che: «… al cospetto delle altre nazioni»si formasse «una leggenda che non torna ad onore del popolo italiano», gettò un pietoso velo sopra una amara realtà, affermando che: «… la guerra fraterna non fu inizialmente voluta, ma fatalmente sorse dalla disfatta».Ciò corrisponde al vero solo in parte, perché –come è stato dimostrato in sede storica- la guerra civile fu propiziata dal nemico ancor prima dell’8 settembre 1943; nemico che non combatteva il fascismo in quanto tale, bensì mirava a fiaccare in ogni senso i popoli europei, per meglio dominarli in seguito.

    La guerra civile in Italia
    L’Esercito italiano entrò in guerra nel ‘40 senza alcuna preparazione alla guerriglia-controguerriglia; la classe dirigente fascista –anche durante la RSI– mostrò una spiccata tendenza alla regolarità-legalità; lo scontro Ricci-Graziani e le difficoltà che incontrò la costituzione delle BB.NN., la dicono lunga nel merito; la stessa Wehrmacht, erede del «grande S.M. prussiano», elaborò le prime disposizioni per la controguerriglia nel maggio del 1944. Anche nella resistenza, soltanto pochissimi dirigenti comunisti, che avevano assorbito i concetti leninisti riguardanti l’inimicizia assoluta, la inseparabilità della guerra partigiana dalla guerra civile e la ineluttabilità della rivoluzione violenta, possedevano cognizioni di guerra rivoluzionaria. Ciò li indusse in errori gravissimi: non tollerarono il biunivoco rapporto che li legava (unico fattore l’antifascismo) agli altri partiti componenti il CLN, il quale registrò nel suo interno drammatiche tensioni ed eccidi, molti dei quali attribuiti ai fascisti o insabbiati; combatterono, come nemico di classe, un esercito costituito da lavoratori e da figli di lavoratori; infierirono selvaggiamente, dopo il 25 aprile ’45, su fascisti giovanissimi, che, in buona fede, avevano deposto le armi.
    Difatti, salvo rarissime eccezioni, da entrambe le parti contendenti non emersero personalità autenticamente rivoluzionarie, dotate di forti convinzioni, d’indipendenza di giudizio e di vocazione alla lotta anche nella solitudine. Tant’è che ben presto gli italiani si divisero in attivisti della NATO e in quelli del Patto di Varsavia, così palesando tutto il proprio servilismo nei confronti dei «padroni del vapore», USA-URSS-Vaticano. Si deve però aggiungere che, come sostiene Pacifico D’Eramo con il suo libro di perenne attualità "La liberazione dall’antifascismo", c’è: «… incompatibilità tra l’abito mentale e morale fascista e la guerra partigiana, per quanto ciò significa di bene e di male. Mancanza, da parte fascista, di una tradizione e di uno spirito rivoluzionari, della volontà di opporsi al potere costituito, ma anche necessità di agire a viso aperto, di battersi per i propri ideali sul campo di battaglia e non mediante l’insidia, il colpo alla nuca, la premeditata provocazione dell’odio, l’uccisione di connazionali inermi. Non di meno, è attuale anche la riflessione di C. Peuy: «Le mani più pure della guerra straniera sono più pure delle mani più pure della guerra civile».
    L’attività della resistenza italiana fu diretta:
    1) ad uccidere proditoriamente fascisti e tedeschi, anche secondo le direttive giornaliere di radio Londra;
    2) a molestare le formazioni militari di uno Stato italiano de facto, che tuttavia: «… emanava le sue leggi e i suoi decreti senza l’autorizzazione dell’alleato tedesco»,rispetto quello de jure, che: «… esercitava il suo potere sub condicione nei limiti assegnati dal comando degli eserciti nemici» (pag. 35 della sentenza), e dava luogo ad una fiera ed efficiente difesa contro il nemico sui confini di terra, di mare, di cielo. I partigiani, invece, agirono d’appoggio alle truppe nemiche e sostennero (i soli socialcomunisti) persino la pretesa di Tito di portare il nostro confine orientale fino a Cervignano. Conclusa la pace, i partigiani R. Pacciardi e P. E. Taviani concessero rispettivamente l’installazione delle basi americane in Italia e la "Zona B" del Territorio Libero di Trieste alla Iugoslavia;
    3) a disturbare le truppe non di un esercito occupante (non dimentichiamo che fu lo S.M. di Badoglio a sollecitare presso i tedeschi l’invio in Italia di 16 divisioni), bensì quelle di una Nazione alleata. Ciò la distingue nettamente dalle formazioni partigiane operanti in altri paesi contro eserciti realmente invasori.
    4) tale resistenza fu contraddistinta da completa dipendenza dagli eserciti nemici (e che fossero nemici lo conferma il più alto Organo della giustizia militare dell’Italia attuale), i quali la diressero, la finanziarono e armarono. Lo dimostrano: il Promemoria di accordo fra il CLNAI e il Comando supremo alleato sottoscritto a Caserta il 07.12.1944, la presenza di un capo militare designato dagli Alleati nella persona del gen. R. Cadorna, la occhiuta missione militare alleata con sede in Svizzera, e le altre commissioni paracadutate nelle zone in cui si verificavano deviazioni dai compiti loro assegnati;
    5) i partigiani italiani, per altro, furono riconosciuti del governo c.d. legittimo mediante provvedimento del 28.02.1945, con grave pregiudizio giuridico delle azioni precedentemente compiute.
    In Italia, quindi, le resistenze furono due:
    * quella della RSI, nel corso della quale circa 800 mila italiani, subendo con profonda ripulsa ed amarezza la guerra civile, combatterono tenacemente contro gli angloamericani e contro le bande slave che premevano sul confine orientale. Questa perse la guerra con onore e acquisì il diritto di risorgere nell’avvenire;
    * quella dei partigiani degli angloamericani, i quali -malgrado la volontà contraria di taluni suoi protagonisti pensosi del bene della Patria– agì in funzione di finalità opposte agli interessi del popolo italiano. Questa non ha saputo vincere la pace ed è responsabile della degenerazione morale, politica sociale e religiosa del popolo italiano.

    Carenze semantiche del termine "partigiano"
    Al centro delle varie interpretazioni del "partigiano" si colloca, per acutezza e completezza d’indagine storico-giuridico-filosofica la "Teoria del partigiano" (Il Saggiatore, Milano 1981), pregevole opera del noto filosofo del diritto e dello Stato, Carl Schmitt, alla quale, in questa sede, ci riferiamo solo di sfuggita. Come è noto, le convenzioni internazionali dell’Aja e di Ginevra individuano nella irregolarità e illegalità i precipui caratteri distintivi dell’azione partigiana, e quelli accessori nella mobilità, impegno politico, carattere tellurico, clandestinità e oscurità. Però, dal momento che nel corso di eventi bellici non sono da escludere azioni malavitose e mercenarie, adottando soltanto questi parametri, si corre il rischio di raccogliere sotto la medesima categoria più soggetti diversi e fra loro antinomici e, omettere l’elemento fondamentale della prassi rivoluzionaria, la sorpresa. Ciò deriva dall’abusato sofisma che presenta la guerra rivoluzionaria come minore, rispetto a quella regolare vista come maggiore. Nondimeno, potendosi la prima valere degli aspetti più complessi della psicologia (si pensi alle innumerevoli varianti della prassi cui può dar luogo il volontarismo soggettivistico, secondo il quale le situazioni non sono valutabili se non dal modo in cui il singolo soggetto le percepisce) è da considerarsi arte più sottile e creativa della seconda. Comunque sia, è assurdo comprendere la nozione e il carattere della guerra partigiana come contemplata in un orizzonte in cui appaiano una pluralità di situazioni tutte ordinate –come in teologia– ad unico fine. Senza cioè tener conto che è la volontà autonoma individuale a guidare le azioni umane, e, quindi, che le finalità ad esse sottese non possono che essere giudicate, secondo situazioni operative oggettivamente e soggettivamente diverse.
    Esaminiamo ora due personaggi esemplari, J. G. Tupac Amaru e R. Bentivegna. Il primo, dopo circa 300 anni di massacri e di orrende nefandezze perpetrate dagli spagnoli nella sua terra e ai danni della sua gente, si ribellò e in fine, legato a quattro cavalli, venne cristianamente fatto squartare nella piazza di Cuczo. Il secondo, in assenza di altrui massacri, ne compì un primo al fine di provocarne un altro più grande contro i propri concittadini. Uccise poi, a sangue freddo, un suo compagno di partigianeria perché, in un unico disegno criminoso, aveva strappato un manifesto comunista. Non venne squartato. Anzi, gli venne concessa una ricompensa al V.M.. Questi due uomini tanto diversi posso essere davvero accomunati nell’unica definizione di «partigiani»?
    Il termine «partigiano», usato come sostantivo o come aggettivo, fatto derivare da Parteiganger (=adepto di un partito) o da un vago «prender partito», non potendo assumere sempre un significato univoco, atto a caratterizzare l’insieme delle azioni partigiane, necessita pertanto di una più consona ridefinizione. La medesima lacuna è avvertita anche da Schmitt quando ammette che: «I diversi tipi di guerra partigiana possono ben mescolarsi e assomigliarsi nella pratica concreta, tuttavia nel fondo continuano a differenziarsi così profondamente da diventare il criterio secondo cui si vengono a formare certi schieramenti politici».
    A nostro avviso, per addivenire ad un appropriato criterio assiologico, s’impone quindi una più precisa focalizzazione delle motivazioni su cui si fonda ogni singola azione partigiana. In altri termini, escludendo le azioni meramente malavitose, il significato di partigiano non può non implicare una radicale discriminazione fra:
    * formazioni armate che agisconoa scopi mercenari;
    * franchi tiratori;
    * spie e sabotatori;
    * gruppi di rivoluzionari che, seguendo un progetto di rivoluzione mondiale, si battono per sconvolgere lo status quo nel proprio o in altri paesi;
    * rivoltosi di ogni specie;
    * formazioni armate autoctone (regolari o non) che lottano, all’interno del proprio paese, contro eserciti invasori, nella «… più nobile di tutte le guerre, quella che un popolo combatte sul proprio suolo per la difesa della libertà e dell’indipendenza» (von Clausewitz).
    Ai componenti di queste ultime non dovrebbe essere dato altro nome che quello di patrioti, anzi, secondo la bella definizione schmittiana, quello di «ultime sentinelle della terra», che ben si addice ai Combattenti della RSI.
    F. G. Fantauzzi
    FNCRSI
    Se guardi troppo a lungo nell'abisso, poi l'abisso vorrà guardare dentro di te. (F. Nietzsche)

 

 
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